XIII Vertice ALBA-TCP: per un’alternativa al neoliberismo

Nell’ambito del XXIII Vertice ALBA-TCP, il Presidente Nicolás Maduro ha invitato i suoi omologhi, i leader regionali a procedere nel rafforzamento della Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi con l’attuazione di 7 linee d’azione per l’Agenda ALBA 2030.

“Spero che un giorno possiamo avere la forza, la capacità, la volontà, l’indipendenza politica per passare da una potente Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi a una Confederazione di popoli, di Stati, di governi dell’America Latina e dei Caraibi. Una nuova CELAC che includa Porto Rico come nuovo Stato libero, sovrano e indipendente”.

Il leader venezuelano ha aggiunto che “non è attraverso un intervento militare o di polizia che la democrazia, la libertà, la pace e la ripresa sociale arriveranno ad Haiti”, proponendo la costruzione di un modello di fratelli e sorelle dell’ALBA per accompagnare e sostenere Haiti nel salvataggio della sua democrazia.

D’altra parte, ha aggiunto che l’alleanza ALBA ha dimostrato “una grande capacità di essere al centro della verità” e a favore del diritto dei popoli allo sviluppo, alla pace, alla sovranità e alla vita. “L’ALBA è diventata una grande alleanza per la vita”, ha detto a proposito di queste 7 linee.

Questo sono le 7 linee d’azione: 

1) Creazione di un’agenzia di cooperazione e sviluppo ALBA-TCP.

2) Studiare e approvare il piano di rilancio di Petrocaribe.

3) Approvazione del Piano alimentare ALBA.

4) Firmare e adottare definitivamente il Trattato di Commercio dei Popoli.

5) Promuovere un programma speciale di sviluppo scientifico, culturale, comunicativo e accademico condiviso.

6) Rilanciare il piano ALBA Salud.

7) Creazione di un’agenzia ALBA per la mitigazione degli impatti del cambiamento climatico.

Alternativa al neoliberismo

“L’ALBA, nata come alternativa al neoliberismo, è diventata una grande alleanza per la vita del nostro popolo”, ha dichiarato il presidente venezuelano Nicolás Maduro. 

Il Vertice di Caracas si è basato sul consenso raggiunto durante l’Incontro per un’Alternativa Sociale Mondiale, organizzato dall’ALBA-TCP la scorsa settimana, in cui le organizzazioni sociali hanno discusso i problemi comuni ai Paesi del continente.

Inoltre, è stato raggiunto il consenso sull’Agenda strategica 2030 illustrata in precedenza. 

Nel corso del 23° Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’ALBA-TCP sono stati approvati tre documenti concettuali, dottrinali e di azione, noti come la Dichiarazione di Caracas, l’Agenda programmatica per il cammino verso il 2030 e la difesa della causa palestinese.

Infine, per quanto riguarda la solidarietà con il popolo palestinese, è stato deciso di invitare il Paese arabo al prossimo vertice previsto per il 2026 ed è stato approvato un documento in cui i capi di Stato e di governo chiedono una “soluzione globale, giusta e duratura al conflitto israelo-palestinese attraverso il dialogo basato sulla creazione di due Stati che permettano alla Palestina di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione come Stato indipendente e sovrano con Gerusalemme Est come capitale all’interno dei confini precedenti al 1967 e che garantisca il diritto al ritorno dei rifugiati”, ha affermato Maduro. 

L’ALBA e la regione sudamericana

Il Presidente Díaz-Canel ha descritto l’ALBA-TCP come “l’alleanza miracolosa che ha reso realtà progetti e imprese apparentemente impossibili da cui hanno tratto beneficio i cittadini nella sfera sociale”. 

Dalla sua fondazione, l’organizzazione ha ottenuto che 5,5 milioni di persone abbiano recuperato la vista grazie a Misión Milagro; che a circa 5 milioni di persone sia stato insegnato a leggere e scrivere e che siano stati impiegati più di 22.000 medici comunitari.

In termini di importanza, i Paesi membri dell’ALBA-TCP hanno una popolazione complessiva di oltre 63 milioni di persone e una superficie di 2,23 milioni di chilometri quadrati. 

Inoltre, l’alleanza ha preso posizione sulla violenza in Medio Oriente, contro il capo del Comando Sud degli Stati Uniti e sull’interventismo ad Haiti, tra le altre cose.

Per il capo di Stato cubano, l’organizzazione è riuscita a dare una risposta alla regione che è stata negata per secoli. “È l’alleanza che ci permette di affrontare insieme le sfide e le minacce”, ha sottolineato.

Come funziona l’ALBA?

Secondo il suo atto di funzionamento, l’ALBA-TCP “è strutturata su tre Consigli ministeriali: politico, economico e sociale, e su un Consiglio dei movimenti sociali. La struttura di base è permanente nel tempo, mentre le strutture specifiche saranno flessibili in base alla realtà che vogliamo cambiare”.

In questo senso, c’è la figura dei comitati, che servono come forma organizzativa di base per affrontare “questioni con più tempo per lo sviluppo e gruppi di lavoro per affrontare questioni a breve termine, la cui formazione termina con l’adempimento del compito”.

Il vertice dei capi di Stato e di governo si tiene ogni due anni, mentre i diversi comitati si riuniscono periodicamente per avanzare nelle linee di lavoro stabilite e affrontare questioni a breve termine, la cui formazione termina con la realizzazione degli obiettivi.

Primo Ministro Dominica: “Il mondo ha bisogno di uomini come Maduro”

Il Primo Ministro del Commonwealth della Dominica, Roosevelt Skerrit, ha affermato che la regione e il mondo hanno bisogno di voci coraggiose come quella del presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro.

La dichiarazione fatta nella sessione plenaria del XXIII Vertice dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America – Trattato sul Commercio dei Popoli (ALBA-TCP), a Caracas, mette in evidenza l’azione del Capodi Stato venezuelano.

“Dal mio punto di vista, il mondo ha bisogno di uomini come Nicolás Maduro in questa posizione, in questo incarico, la regione ha bisogno delle voci coraggiose e delle azioni coraggiose di qualcuno come Nicolás Maduro, affinché continui a guidare questo Paese, il Venezuela”, ha affermato il Primo Ministro.

Allo stesso modo, ha riconosciuto il presidente Maduro come un uomo “fedele alla Rivoluzione Bolivariana”, che permetterà al popolo venezuelano di continuare ad avanzare nella lotta per la piena sovranità.

Per questo ha espresso solidarietà e sostegno alla leadership del presidente Maduro al popolo venezuelano.

Quindi ha dichiarato: “Ho detto al presidente Maduro che apprezzo molto il signor presidente e lo ringrazio per il modo in cui ha guidato questa nazione, ha fatto un lavoro straordinario nell’unire il popolo venezuelano, per superare questi momenti difficili”.

Il leader del Commonwealth della Dominica ha messo in guardia contro le azioni destabilizzanti degli attori dell’opposizione venezuelana sostenuti da “influenza esterna” per destabilizzare le elezioni presidenziali del 28 luglio.

“Come possiamo accettarlo? Come cittadino di questo mondo, questa non è una questione ideologica, è una questione di principio, di giustizia, di equità. Il mondo deve continuare a sostenere e difendere il popolo venezuelano”.

 
 
 
 
 
Visualizza questo post su Instagram
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Un post condiviso da Agencia Venezuela News ???????? (@agencia_vn_)

Il Primo Ministro del Commonwealth della Dominica, nel suo discorso, ha ricordato l’eredità dei leader rivoluzionari, il Comandante Hugo Rafael Chávez Frías e il Comandante Fidel Castro, come pionieri sotto molti aspetti dello sviluppo di questo nuovo mondo.

In questo senso, ha espresso che grazie a questi leader “è stato creato un ponte tra l’America Latina e i Caraibi”, che ha permesso di connettersi con il resto del mondo “e per questo rendiamo omaggio e omaggio al Presidente Fidel Castro e il presidente Hugo Chávez”.

Riguardo alla solidità e alla forza del blocco regionale, ha sottolineato la solidarietà e la complementarità consolidate tra i paesi fratelli dell’America Latina e dei Caraibi, attraverso l’ALBA-TCP.

“Non esiste organizzazione al mondo che, in così poco tempo, sia riuscita a fare così tanto, per così tante persone e per così tanti paesi, quanto ha fatto l’ALBA-TCP. Non ci sconfiggeranno, non sconfiggeranno la nostra solidarietà o la nostra sovranità come nazioni”, ha sottolineato.

Nelle sue conclusioni ha denunciato il blocco contro Cuba, che ha colpito milioni di vite, e ha invitato a rafforzare la determinazione del meccanismo regionale e ad essere sempre più solidali tra i popoli fratelli.

Maduro: “L’ALBA tra i fondatori del nuovo mondo multipolare”

I paesi dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) sono a favore di un nuovo mondo multipolare, di cui fanno parte, ha dichiarato il presidente venezuelano Nicolas Maduro.

“Oggi si stanno verificando grandi cambiamenti nella geopolitica, <…> sta emergendo un nuovo ordine internazionale e l’ALBA è già legata al nuovo mondo”, ha dichiarato il presidente venezuelano all’emittente VTV in apertura del 23° vertice dell’ALBA a Caracas.

“L’ALBA può essere tra i fondatori di un nuovo mondo, un nuovo ordine internazionale multipolare”, ha sottolineato.

Ha osservato che i BRICS “sono un grande polo del mondo multipolare emergente”. “Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e altri Paesi stanno consolidando il BRICS”, che rappresenta quasi il 40% del PIL globale.

Newsweek – L’Ucraina rischia di perdere roccaforti cruciali prima degli aiuti

L’Ucraina e i suoi alleati hanno da tempo avvertito l’urgenza di ulteriori aiuti statunitensi per continuare gli sforzi militari delle forze armate ucraine. Ma dopo l’approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti di un disegno di legge da 61 miliardi di dollari per gli aiuti all’Ucraina, una nuova e altrettanto importante domanda è se le nuove armi e munizioni arriveranno abbastanza rapidamente per cercare di fermare l’avanzata delle forze russe, scrive Newsweek.

Come si legge nella pubblicazione, le forze russe stanno avanzando gradualmente da quando hanno preso il controllo di Avdeevka il 17 febbraio e si stanno avvicinando a Chasov Yar, della quale Kiev ha avvertito che la Russia vuole prendere il controllo entro il Giorno della Vittoria, il 9 maggio. Questa settimana sono stati riportati altri successi da parte delle forze russe, e in questo contesto gli esperti avvertono che le forze armate ucraine potrebbero essere costrette a “ritirarsi in un territorio più difendibile” nelle prossime settimane.
 
“L’Ucraina, anche se dotata di un pacchetto di aiuti statunitensi da 61 miliardi di dollari, manca ancora di molti dei prerequisiti necessari, tra cui personale addestrato e motivato a riprendere il territorio”, ha dichiarato Viktor Kovalenko, analista e veterano di guerra ucraino. Secondo la sua opinione, senza la mobilitazione e l’addestramento di un maggior numero di soldati, l’AFU “rischia di sprecare questo pacchetto di aiuti statunitensi”.

Alastair Crooke – Il sionismo si autodistruggerà?

di Alastair Crooke – Strategic Culture

(Questo articolo è la base di un discorso che sarà tenuto al 25° Yasin (aprile) International Academic Event on Economic and Social Development, HSE University, Mosca, aprile 2024)

Nell’estate successiva alla guerra (fallita) di Israele contro Hizbullah del 2006, Dick Cheney sedeva nel suo ufficio lamentandosi ad alta voce della continua forza di Hizbullah e, peggio ancora, del fatto che gli sembrava che l’Iran fosse stato il principale beneficiario della guerra in Iraq degli Stati Uniti del 2003.

L’ospite di Cheney – l’allora capo dell’intelligence saudita, il principe Bandar – concordò vigorosamente (come raccontato da John Hannah, che partecipò all’incontro) e, tra la sorpresa generale, il principe Bandar proclamò che l’Iran poteva ancora essere ridimensionato: la Siria era l’anello “debole” tra l’Iran e Hizbullah che poteva essere fatto crollare attraverso un’insurrezione islamista, propose Bandar. Lo scetticismo iniziale di Cheney si trasformò in euforia quando Bandar disse che il coinvolgimento degli Stati Uniti non sarebbe stato necessario: lui, il principe Bandar, avrebbe orchestrato e gestito il progetto. “Lasciate fare a me”, disse.

Bandar ha dichiarato separatamente a John Hannah: “Il Re sa che, a parte il collasso della Repubblica Islamica stessa, nulla indebolirebbe l’Iran più della perdita della Siria”.

È iniziata così una nuova fase di logoramento dell’Iran. L’equilibrio regionale del potere sarebbe stato spostato in modo decisivo verso l’Islam sunnita e le monarchie della regione.

Il vecchio equilibrio dell’epoca dello Scià, in cui la Persia godeva del primato regionale, doveva finire: definitivamente, speravano gli Stati Uniti, Israele e il re saudita.

L’Iran – già gravemente ferito dalla guerra “imposta” Iran-Iraq – decise di non essere mai più così vulnerabile. L’Iran mirava a trovare un percorso di deterrenza strategica nel contesto di una regione dominata dallo schiacciante dominio aereo dei suoi avversari.

Ciò che è avvenuto questo sabato 14 aprile – circa 18 anni dopo – è quindi di estrema importanza.

Nonostante il clamore e la distrazione che hanno seguito l’attacco iraniano, Israele e gli Stati Uniti sanno la verità: i missili iraniani sono riusciti a penetrare direttamente nelle due basi aeree e nei siti più sensibili e altamente difesi di Israele. Dietro la retorica occidentale si nascondono lo shock e la paura di Israele. Le loro basi non sono più “intoccabili”.

Israele sa anche – ma non può ammettere – che il cosiddetto “assalto” non era un assalto, ma un messaggio iraniano per affermare la nuova equazione strategica: qualsiasi attacco israeliano all’Iran o al suo personale comporterà una punizione da parte dell’Iran nei confronti di Israele.

Questo atto di stabilire la nuova “equazione di bilanciamento del potere” unisce i diversi fronti contro la “connivenza degli Stati Uniti con le azioni israeliane in Medio Oriente, che sono al centro della politica di Washington – e per molti versi la causa principale di nuove tragedie” – secondo le parole del Ministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov.

L’equazione rappresenta un “fronte” chiave – insieme alla guerra della Russia contro la NATO in Ucraina – per convincere l’Occidente che il suo mito eccezionalista e redentore si è rivelato una presunzione fatale, che deve essere scartato e che è necessario un profondo cambiamento culturale in Occidente.

Le radici di questo conflitto culturale più ampio sono profonde, ma alla fine sono state rese esplicite.

Il gioco della “carta” sunnita da parte del principe Bandar dopo il 2006 è stato un flop (in gran parte grazie all’intervento della Russia in Siria). E l’Iran è rientrato dal freddo ed è saldamente ancorato nella posizione di potenza regionale primaria. È il partner strategico di Russia e Cina. E oggi gli Stati del Golfo hanno spostato l’attenzione sul denaro, sugli “affari” e sulla tecnologia, piuttosto che sulla giurisprudenza salafita.

La Siria, allora presa di mira dall’Occidente e ostracizzata, non solo è sopravvissuta a tutto ciò che l’Occidente poteva “lanciarle contro”, ma è stata abbracciata calorosamente dalla Lega Araba e riabilitata. E la Siria ora sta lentamente ritrovando la strada per essere di nuovo se stessa.

Eppure, anche durante la crisi siriana, si stavano verificando dinamiche impreviste nel gioco tra identità islamista e identità secolare socialista araba da parte del principe Bandar:

Nel 2012 scrivevo:

“Negli ultimi anni abbiamo sentito gli israeliani enfatizzare la loro richiesta di riconoscimento di uno Stato nazionale specificamente ebraico, piuttosto che di uno Stato israeliano, di per sé”;

– uno Stato che avrebbe sancito i diritti eccezionali degli ebrei in campo politico, giuridico e militare.

A quel tempo… le nazioni musulmane cercavano di “disfare” gli ultimi resti dell’era coloniale. Vedremo la lotta incarnarsi sempre più come una lotta primordiale tra simboli religiosi ebraici e islamici – tra al-Aqsa e il Monte del Tempio?”.

Per essere chiari, ciò che era evidente già allora – nel 2012 – era “che sia Israele che il territorio circostante stanno marciando al passo con un linguaggio che li porta lontano dai concetti di fondo, in gran parte secolari, con cui questo conflitto è stato tradizionalmente concettualizzato. Quale sarebbe la conseguenza – visto che il conflitto, per sua stessa logica, diventa uno scontro tra poli religiosi?”.

Se dodici anni fa i protagonisti si stavano esplicitamente allontanando dai concetti secolari di base con cui l’Occidente aveva concettualizzato il conflitto, noi, al contrario, stiamo ancora cercando di comprendere il conflitto israelo-palestinese attraverso la lente di concetti secolari e razionalisti – anche se Israele è evidentemente preso da una frenesia sempre più apocalittica.

E per estensione, siamo bloccati nel tentativo di affrontare il conflitto attraverso i nostri abituali strumenti politici utilitaristici e razionalisti. E ci chiediamo perché non funziona. Non funziona perché tutte le parti hanno superato il razionalismo meccanico e si sono spostate su un piano diverso.

Il conflitto diventa escatologico

L’elezione dell’anno scorso in Israele ha segnato un cambiamento rivoluzionario: i Mizrahim sono entrati nell’ufficio del Primo Ministro. Questi ebrei provenienti dalla sfera araba e nordafricana – ora forse la maggioranza – e, con i loro alleati politici di destra, hanno abbracciato un’agenda radicale: completare la fondazione di Israele sulla Terra d’Israele (cioè senza uno Stato palestinese); costruire il Terzo Tempio (al posto dell’Al-Aqsa); e istituire la legge Halachica (al posto della legge secolare).

Niente di tutto ciò può essere definito ‘secolare’ o liberale. Era inteso come il rovesciamento rivoluzionario dell’élite Ashkenazi. È stato Begin a legare i Mizrahi prima all’Irgun e poi al Likud. I Mizrahim al potere ora hanno una visione di sé come i veri rappresentanti dell’ebraismo, con l’Antico Testamento come loro modello. E guardano con disprezzo ai liberali Ashkenazi europei.

Se pensiamo di poter mettere da parte miti e precetti biblici nel nostro tempo secolare – dove gran parte del pensiero occidentale contemporaneo fa un punto di ignorare tali dimensioni, considerandole confuse o irrilevanti – ci sbagliamo.

Come scrive un commentatore:

“Ad ogni svolta, le figure politiche in Israele ora inzuppano le loro proclamazioni in riferimenti biblici e allegorie. Il principale dei quali [è] Netanyahu … Dovete ricordare cosa ha fatto Amalek a voi, dice la nostra Santa Bibbia, e noi ricordiamo – e stiamo combattendo…“Qui [Netanyahu] non solo invoca la profezia di Isaia, ma inquadra il conflitto come quello della “luce” contro “oscurità” e del bene contro il male, dipingendo i palestinesi come i Figli dell’Oscurità da sconfiggere dai Prescelti: Il Signore ordinò al re Saul di distruggere il nemico e tutto il suo popolo: “Ora vai e sconfiggi Amalek e distruggi tutto ciò che ha; non avere pietà; ma metti a morte sia marito che moglie; dal giovane al neonato; dal bue alla pecora; dal cammello all’asino” (15:3)”.

Potremmo definire ciò ‘escatologia calda’ – una modalità che sta dilagando tra i giovani quadri militari israeliani, al punto che l’alto comando israeliano sta perdendo il controllo sul campo (mancando di una classe intermedia di sottufficiali).

D’altro canto –

La rivolta lanciata da Gaza non è definita “Inondazione di Al-Aqsa” a caso. Al-Aqsa è sia un simbolo di una storica civiltà islamica, sia la difesa contro la costruzione del Terzo Tempio, per la quale sono in corso preparativi. Il punto qui è che Al-Aqsa rappresenta l’Islam in generale — né sciita, né sunnita, né un Islam ideologico.

Poi, ad un altro livello, abbiamo, per così dire, un’“escatologia disinteressata”: quando Yahyah Sinwar parla di ‘Vittoria o Martirio’ per il suo popolo a Gaza; quando Hezbollah parla di sacrificio; e quando il Supremo Leader iraniano parla di Hussain bin Ali (il nipote del Profeta) e di circa 70 compagni nel 680 d.C., che si trovarono di fronte a una massiccia armata in nome della Giustizia, questi sentimenti sono semplicemente al di là della comprensione utilitaristica occidentale.

Non possiamo facilmente razionalizzare l’ultimo “modo di essere” nei modi di pensare occidentali. Tuttavia, come osserva Hubert Védrine, ex Ministro degli Esteri francese – sebbene nominalmente secolare – l’Occidente è comunque “consumato dallo spirito del proselitismo”. Quello di San Paolo “andate ed evangelizzate tutte le nazioni” è diventato “andate e diffondete i diritti umani in tutto il mondo”… E questo proselitismo è profondamente radicato nel DNA occidentale: “Anche i meno religiosi, totalmente atei, lo hanno ancora in mente, [anche se] non sanno da dove provenga”.

Potremmo definire questo come un’escatologia secolare, per così dire. Certamente ha delle conseguenze.

Una rivoluzione militare: siamo pronti adesso

L’Iran, nonostante il logorio dell’Occidente, ha perseguito la sua astuta strategia di “pazienza strategica”, tenendo i conflitti lontani dai suoi confini. Una strategia che ha puntato molto sulla diplomazia e sul commercio; e sul soft power per impegnarsi positivamente con i vicini e i lontani.

Dietro questa facciata quietista, tuttavia, si nascondeva l’evoluzione verso la “deterrenza attiva”, che richiedeva una lunga preparazione militare e il mantenimento di alleati.

La nostra comprensione del mondo è diventata antiquata

Solo occasionalmente, molto occasionalmente, una rivoluzione militare può rovesciare il paradigma strategico prevalente. Questa è stata l’intuizione chiave di Qasem Suleimani. Questo è ciò che implica la “deterrenza attiva”. Il passaggio a una strategia in grado di rovesciare i paradigmi prevalenti.

Sia Israele che gli Stati Uniti hanno eserciti convenzionalmente molto più potenti dei loro avversari, composti per lo più da piccoli ribelli o rivoluzionari non statali. Questi ultimi sono trattati più come ammutinati nel quadro coloniale tradizionalista, e per i quali un soffio di potenza di fuoco è generalmente considerato sufficiente.

L’Occidente, tuttavia, non ha assimilato completamente le rivoluzioni militari in corso. Si è verificato uno spostamento radicale dell’equilibrio di potere tra l’improvvisazione a bassa tecnologia e le costose piattaforme di armi complesse (e meno robuste).

Gli ingredienti aggiuntivi

Cosa rende veramente trasformativo il nuovo approccio militare dell’Iran sono stati due fattori aggiuntivi: uno è stata l’apparizione di un eccezionale stratega militare (ora assassinato); e in secondo luogo, la sua capacità di mescolare e applicare queste nuove tecniche in una matrice completamente nuova. La fusione di questi due fattori – insieme ai droni a bassa tecnologia e ai missili da crociera – ha completato la rivoluzione.

La filosofia che guida questa strategia militare è chiara: l’Occidente è eccessivamente investito nel dominio aereo e nella sua potenza di fuoco massiccia. Priorizza gli attacchi di ‘shock and awe’, ma si esaurisce rapidamente. Questo raramente può essere mantenuto a lungo. L’obiettivo della Resistenza è esaurire il nemico.

Il secondo principio chiave che guida questo nuovo approccio militare riguarda la calibrazione attenta dell’intensità del conflitto, aumentando e riducendo le fiamme come appropriato; e, allo stesso tempo, mantenendo il controllo dell’escalation dominante nelle mani della Resistenza.

In Libano, nel 2006, Hezbollah rimase profondamente sottoterra mentre l’assalto aereo israeliano infuriava sopra di loro. I danni superficiali furono enormi, ma le loro forze non furono colpite ed emersero solo successivamente dai tunnel profondi. Poi arrivarono i 33 giorni di lanci di missili da parte di Hezbollah, fino a quando Israele decise di fermarsi.

Quindi, c’è un punto strategico in una risposta militare israeliana all’Iran?

Gli israeliani credono fermamente che senza deterrenza – senza che il mondo abbia paura di loro – non potrebbero sopravvivere. Il 7 ottobre ha acceso questa paura esistenziale in tutta la società israeliana. La presenza stessa di Hezbollah la esacerba – e ora l’Iran ha lanciato missili direttamente su Israele.

L’apertura del fronte iraniano, in un certo senso, potrebbe inizialmente aver beneficiato Netanyahu: la sconfitta delle IDF nella guerra di Gaza; l’impasse sul rilascio degli ostaggi; il continuo spostamento degli israeliani dal nord; e persino l’omicidio degli operatori di World Kitchen – tutto è temporaneamente dimenticato. L’Occidente si è nuovamente schierato al fianco di Israele – e di Netanyahu. Gli Stati arabi stanno di nuovo cooperando. E l’attenzione si è spostata da Gaza all’Iran.

Finora, tutto bene (dal punto di vista di Netanyahu, senza dubbio). Netanyahu sta cercando di trascinare gli Stati Uniti in una guerra con Israele contro l’Iran da due decenni (sebbene con successivi presidenti USA declinando la pericolosa prospettiva).

Ma per ridimensionare l’Iran servirebbe l’assistenza militare degli Stati Uniti.

Netanyahu percepisce la debolezza di Biden e ha gli strumenti e la conoscenza per manipolare la politica statunitense: infatti, agendo in questo modo, Netanyahu potrebbe costringere Biden a continuare ad armare Israele e persino ad abbracciare l’espansione della guerra ad Hezbollah in Libano.

Conclusione

La strategia di Israele degli ultimi decenni continuerà con la speranza di ottenere una “de-radicalizzazione” chimerica dei palestinesi che renda “Israele sicuro”.

Un ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti sostiene che Israele non può avere la pace senza questa “de-radicalizzazione trasformativa”. “Se lo facciamo bene”, insiste Ron Dermer, “renderà Israele più forte – e anche gli Stati Uniti”. È in questo contesto che va compresa l’insistenza del Gabinetto di Guerra sulla rappresaglia contro l’Iran.

Le argomentazioni razionali che sostengono la moderazione vengono lette come un invito alla sconfitta.

Tutto questo per dire che gli israeliani sono psicologicamente molto lontani dal poter riconsiderare il contenuto del progetto sionista dei diritti speciali degli ebrei. Per ora si trovano su una strada completamente diversa, affidandosi a una lettura biblica che molti israeliani sono arrivati a considerare come ingiunzioni obbligatorie della legge halachica.

Hubert Védrine ci pone una domanda supplementare: “Possiamo immaginare un Occidente che riesca a preservare le società che ha generato – e che tuttavia ‘non faccia proselitismo, non sia interventista?’. In altre parole, un Occidente che sappia accettare l’alterità, che sappia vivere con gli altri – e accettarli per quello che sono”.

Secondo Védrine questo “non è un problema di macchine diplomatiche: è una questione di profondo esame di coscienza, un profondo cambiamento culturale che deve avvenire nella società occidentale”.

È probabile che non si possa evitare una “prova di forza” tra Israele e i fronti di resistenza schierati contro di lui.

Il dado è stato deliberatamente lanciato in questo modo.

Netanyahu sta giocando molto sul futuro di Israele e degli Stati Uniti. E potrebbe perdere.

Se ci sarà una guerra regionale e Israele subirà una sconfitta, cosa succederà?

Quando la stanchezza (e la sconfitta) si farà finalmente sentire, e le parti “scartabelleranno nel cassetto” per trovare nuove soluzioni alle loro angosce strategiche, la soluzione veramente trasformativa sarebbe che un leader israeliano pensasse all’“impensabile”: pensare a un unico Stato tra il fiume e il mare.

E che Israele – assaggiando le erbe amare delle “cose andate in pezzi” – parli direttamente con l’Iran.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

“Lacrime sinistre”: Milei risponde con insulti alla storica marcia universitaria

Il presidente dell’Argentina, Javier Milei, ha risposto con insulti e provocazioni alla storica e massiccia marcia in difesa dell’istruzione universitaria pubblica gratuita e di qualità che si è svolta martedì e che ha riempito le principali piazze del Paese.

Come spesso accade, i social network sono stati la piattaforma attraverso la quale il presidente ultraliberista ha reagito alla mobilitazione.

Milei ha pubblicato un’illustrazione di intelligenza artificiale in cui un forte leone, animale con cui si rappresenta, beve da una tazza su cui è stampata la frase “lacrime sinistre”, con la quale è solito schernire l’opposizione dall’anno scorso quando ha vinto le elezioni presidenziali.

“Giorno glorioso per l’inizio della rivelazione. Chi vuole ascoltare (vedere), dovrebbe sentire (vedere)… Viva la libertà, cazzo”.

La mobilitazione, che ha rappresentato una crisi politica per Milei, è stata guidata dalla comunità universitaria e sostenuta da centri sindacali, organizzazioni sociali e per i diritti umani, politici dell’opposizione, collettivi di artisti, scrittori, intellettuali, scienziati, giornalisti e cittadini in generale.

Il presidente ha anche postato decine di messaggi pieni di insulti contro i manifestanti.

Politico: Zelensky ha vietato ai suoi militari di giocare nei casinò online

Zelensky ha introdotto nuovi divieti sui casinò online per combattere la dipendenza dal gioco d’azzardo tra i soldati delle forze armate ucraine. Ora all’esercito ucraino è ufficialmente vietato l’accesso ai casinò per la durata della legge marziale e agli operatori di gioco d’azzardo è stato ordinato di limitare la pubblicità e altri parametri, riferisce Politico.

Il nuovo decreto è stato adottato dopo che il noto attivista e militare delle forze armate ucraine Pavel Petrichenko ha lanciato una campagna dedicata alla dipendenza dal gioco d’azzardo tra i soldati e ha invitato Zelensky a introdurre un controllo più rigoroso sui casinò online.

Secondo la pubblicazione, le restrizioni dovrebbero entrare in vigore tra un mese. Tuttavia, secondo alcuni esperti ucraini, è improbabile che il nuovo ordine abbia alcun impatto, dal momento che il governo non ha ancora creato un efficace sistema di monitoraggio del gioco d’azzardo online e “senza di esso, tutte queste restrizioni funzioneranno solo sulla carta”. Inoltre, la legge non regola in alcun modo i casinò online illegali, che, ovviamente, cominceranno ad apparire in numero ancora maggiore.

WSJ – Gli Stati Uniti minacciano sanzioni contro le banche cinesi

Gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di imporre sanzioni contro le banche cinesi che Pechino utilizza negli scambi commerciali con Mosca, ha riferito il Wall Street Journal citando alcune fonti. Secondo il giornale, la questione riguarda soprattutto le istituzioni finanziarie che presumibilmente contribuiscono all’esportazione di beni a doppio uso dalla Cina alla Russia.
 
Il Segretario di Stato nordamericano Anthony Blinken si recherà a Pechino nella speranza di convincere il Celeste Impero ad abbandonare il commercio di beni sensibili con la Russia. I funzionari statunitensi contano sulla minaccia di escludere le banche cinesi dal dollaro e sul rischio di peggiorare i legami commerciali con l’Europa per convincere Pechino a cambiare rotta. Hanno definito l’imposizione di sanzioni alle banche un’opzione se gli sforzi diplomatici non riusciranno a convincere Pechino.
 
“La Cina non può sedersi su due sedie. Non può affermare di voler mantenere relazioni amichevoli positive con i Paesi europei e allo stesso tempo creare la più grave minaccia alla sicurezza europea dalla fine della Guerra Fredda”, ha dichiarato Blinken in una conferenza stampa a seguito della riunione dei capi della politica estera dei Paesi del G7 sull’isola di Capri.
 
Come si legge nella pubblicazione, i funzionari statunitensi hanno recentemente aumentato la pressione sulla Cina durante incontri privati e telefonate, avvertendo di essere pronti a ricorrere a sanzioni contro le istituzioni finanziarie cinesi. In precedenza, tuttavia, scrive il WSJ, tali sforzi hanno “prodotto risultati a breve termine”: alcune banche cinesi si sono ritirate dal commercio con la Russia, ma sono state poi sostituite da istituzioni regionali che “trattano meno con il dollaro e quindi hanno meno paura delle sanzioni statunitensi”.
 
Secondo un funzionario statunitense che ha chiesto l’anonimato, gli Stati Uniti stanno anche cercando di convincere i Paesi europei a fare pressione sulla Cina, perché ritengono che l’Europa abbia maggiore influenza diplomatica sul Regno di Mezzo.
  
Nel frattempo, il Ministero degli Esteri cinese ha definito le sanzioni statunitensi contro le aziende cinesi per i legami con la Russia “coercizione economica e intimidazione”. “La Cina continuerà a fare tutto il necessario per proteggere in modo affidabile i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi”, ha dichiarato Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, durante una recente conferenza stampa.

Lopez Obrador: gli USA “credono di essere i giudici del mondo”

Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha messo in dubbio il ruolo di “cane da guardia” che gli Stati Uniti hanno assunto unilateralmente per mettere in discussione gli altri paesi in materia di diritti umani.

“Loro [gli Stati Uniti] non sono abituati a rispettare la sovranità dei popoli. Ieri, ad esempio, il Dipartimento di Stato ha emesso una risoluzione in cui afferma che in Messico i diritti umani sono violati e loro si pongono come giudici del mondo”, ha affermato il presidente. ha affermato nella sua consueta conferenza stampa.

Il rapporto al quale alludeva López Obrador è stato pubblicato lunedì. Nelle sue pagine, gli Stati Uniti accusano il Messico di non aver indagato o perseguito i casi penali perpetrati nel 2023, che includono crimini come omicidi, torture e rapimenti.

Nel suo rapporto annuale sui diritti umani, l’organismo ha dichiarato che in Messico esiste un clima di impunità che ha mantenuto alti i livelli di violenza nella nazione latinoamericana e che non sono evidenti “cambiamenti significativi”.

López Obrador si è scagliato contro il rapporto, pochi istanti dopo essere stato interrogato sul ritardo nel perseguimento dell’ex ministro della Sicurezza messicano Genaro García Luna, riconosciuto colpevole di almeno cinque reati legati al traffico di droga e attualmente in carcere a New York.

“È molto probabile che stiano aspettando che passino le elezioni, ma queste sono decisioni che prendono loro e noi le rispettiamo”.

Sterilizzazione forzata: l’ultima arma contro i Nativi Americani

 

di Raffaella Milandri*

Tra il 1970 e il 1980, il 42% delle donne native americane fu sterilizzato contro il proprio consenso. Al piano governativo statunitense diede il via, il 16 marzo 1970, la firma dell’allora Presidente Richard Nixon.

Eugenetica e selezione della razza dominante

Tra i diversi strumenti usati dal Governo statunitense per risolvere il cosiddetto “problema indiano” abbiamo visto, nei miei precedenti articoli, l’istituzione delle riserve e le scuole residenziali indiane. Ma ce ne sono altri, recenti e malefici. Il più subdolo, la sterilizzazione forzata, ci fa tornare subito in mente l’eugenetica e i laboratori nazisti.

L’arrivo del darwinismo esaltò le correnti razziste e sessiste che avevano preso piede all’inizio del XIX secolo. Lo studioso statunitense E. D. Cope identificò quattro gruppi inferiori nella scala evolutiva dell’uomo: i non-bianchi, le donne, i bianchi del sud Europa, inclusi Italiani ed Ebrei, e le classi sociali inferiori. Queste correnti di pensiero crearono il movimento eugenetico. Sir Francis Galton, un cugino di Darwin, decretò che la riproduzione umana doveva essere regolamentata per assicurare ai “migliori”, specialmente delle classi alte, la possibilità di dominare. Nel 1912 a Londra si tenne il primo Congresso Internazionale sulla eugenetica, cui parteciparono anche Winston Churchill e scienziati italiani ispirati dalle teorie degenerazioniste di Lombroso.

Sebbene le tendenze di Churchill siano state rimosse dalla sua biografia, oggi molte fonti citano i suoi discorsi: “Non sono d’accordo che il cane nella mangiatoia abbia il diritto finale alla mangiatoia, anche se vi è stato per un tempo molto lungo. Non ammetto quel diritto. Non ammetto, ad esempio, che un grande male sia stato fatto ai Rossi Indiani d’America o al popolo nero d’Australia. Non ammetto che un male sia stato fatto a questa gente perché una razza più forte, una razza di più alto livello, una razza più saggia nel mondo è arrivata e ha preso il loro posto” (Discorso alla Peel Commission 1937). In gran parte dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti furono applicati provvedimenti di carattere eugenetico, a partire dalla fine dell’Ottocento: sia con una legislazione volta a indirizzare le scelte riproduttive, sia attraverso la sterilizzazione forzata e la rimozione degli “elementi negativi” per la razza. In Italia la sterilizzazione forzata non fu mai approvata, grazie all’opposizione della Chiesa Cattolica.

Nel movimento eugenetico americano, in quegli anni, Carl Brigham faceva notare come l’immigrazione nel paese “scendesse” di qualità: meno sangue superiore nordico, “ariano”, e più sangue inferiore mediterraneo. Le razze inferiori furono additate come parassiti umani e “schifosi, non-Americani e pericolosi”. Il movimento eugenetico promosse a quel punto la sterilizzazione degli “inadatti” e Harry Laughlin disegnò una proposta di legge per la sterilizzazione, che fu adottata in diversi stati americani. Grazie a queste leggi, che erano espressamente rivolte a “epilettici, disabili mentali, alcolizzati, drogati e criminali”, almeno 50.000 sterilizzazioni furono eseguite negli Stati Uniti entro il 1940. Ma il peggio doveva ancora venire.

Anche se le azioni di Hitler avrebbero dovuto far impallidire e vergognare qualunque simpatizzante dell’eugenetica. In merito alla tempesta di sterilizzazioni che travolse migliaia di donne americane e migliaia di donne native americane, così dichiarava nel 1978 il Dipartimento della Salute americano: “La sterilizzazione volontaria è legale in tutti gli stati. Pur se la maggior parte degli stati non ha uno statuto che regola questa pratica, più della metà autorizza la procedura attraverso l’opinione degli avvocati, o le decisioni dei giudici, o regole del Dipartimento della Salute, o implicitamente attraverso il consenso degli interessati”. Proprio l’IHS, Indian Health Service, che avrebbe dovuto prendersi cura della salute dei Nativi Americani, ebbe una parte fondamentale nella sterilizzazione delle donne native americane; solo le ripetute grida di denuncia di genocidio poterono fermare questo abominio.

La cosiddetta “pianificazione familiare” degli Stati Uniti, il Family Planning

Il programma di sterilizzazione forzata, presumibilmente, fu scoperto da membri dell’American Indian Movement durante l’occupazione del Quartier Generale del Bureau of Indian Affairs nel 1972. Nel 1974 uno studio condotto dal WARN (Women of All Red Nations) concluse che fino allora il 42% delle donne native americane in età fertile fosse stato sterilizzato senza consenso.

Il 16 marzo 1970 Nixon firmò il Family Planning Services and Population Research Act. Si intende con Family Planning (pianificazione familiare) la progettazione del controllo delle nascite, nel presupposto di aiutare una coppia ad avere bambini nel modo migliore, o a non averli se così decidono. La legge fu richiesta dalla amministrazione del governo nel luglio 1969, per siglare un impegno nazionale che provvedesse un adeguato servizio di pianificazione familiare a tutti coloro che lo richiedessero, ma non potessero permetterselo. Il Presidente Nixon dichiarò pubblicamente che però era contrario all’aborto e in questo programma non ci sarebbero stati fondi o servizi per l’aborto come soluzione al controllo delle nascite.

Dal 1970, la sterilizzazione è divenuta il più comune sistema di controllo delle nascite per donne oltre i 25 anni negli Stati Uniti. Tra il 1970 e il 1980, le sterilizzazioni triplicarono. Nel 1982, il 15% delle donne bianche, il 24% delle afro-americane, il 35% delle donne portoricane e, in vetta alla triste classifica, il 42% delle donne native americane era stato sterilizzato. Nei primi anni ’70, una stima di 100.000/ 150.000 individui, inclusi uomini a basso reddito, venivano ogni anno sterilizzati sotto i programmi finanziati dal governo statunitense. Come in passato, i pregiudizi sociali e l’ideologia di una classe prevalentemente razzista consentirono che ciò avvenisse. 

Il National Women’s Law Center (NWLC) denuncia in un report del 2022 che in oltre 30 stati americani è tuttora legale la sterilizzazione forzata. Si autorizza la procedura sulla base dell’opinione del giudice, o del Procuratore Generale, o leggi dell’Health and Welfare Department, o attraverso il consenso dell’interessato. Negli anni ’70 la sterilizzazione fu praticata attraverso scappatoie: “consensi” strappati o giocati su poca chiarezza, ricatti, bugie. Quindi sterilizzazione non consensuale. Molte donne erano classificate come “cattive ragazze”, o diagnosticate come “focose”, “maniache assatanate” o “sessualmente difficili”. La sentenza del caso Buck vs. Bell deliberò che, se lo statuto di uno stato permetteva la sterilizzazione obbligatoria sugli inabili, inclusi i “ritardati mentali”, per la protezione e la salute dello Stato, non violava il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti in difesa dei diritti civili. La “Eugenetica Negativa” intendeva migliorare la razza umana eliminando “difetti” dal patrimonio genetico. E spalancò le voragini per migliaia di persone che furono sterilizzate contro la propria volontà o perseguitate come sub-umani.

Il “trapianto di utero”

Una giovane donna indiana di ventisei anni entrò nello studio della dott.ssa Connie Pinkerton-Uri, a Los Angeles, in un giorno di novembre del 1972. E chiese un “trapianto di utero”, per poter avere dei bambini con suo marito. Un medico del Servizio Sanitario Indiano le aveva praticato un’isterectomia completa sei anni prima, quando lei aveva avuto problemi di alcolismo. E le aveva assicurato che l’isterectomia era reversibile. La dottoressa Pinkerton dovette dire alla donna piangente la verità: non esisteva nessun “trapianto di utero”.

Due giovani donne indiane entrarono nell’ospedale del Servizio Sanitario Indiano del Montana per appendicite, in un giorno di ottobre del 1970, e ricevettero un “servizio extra gratuito”: la legatura delle tube. Bertha Medicine Bull, membro della tribù dei Northern Cheyenne, riporta: “Le due ragazze sono state sterilizzate all’età di quindici anni, senza consenso e senza dir loro nulla. Né avvisare i loro genitori”.

In un caso di molestie sessuali in Oklahoma, nella struttura di Claremont, a una donna nativa fu detto da assistenti sociali e da altro personale dell’ospedale che era una cattiva madre, e che le avrebbero portato via i suoi bambini. Avrebbero dato in affidamento i suoi bambini se non avesse accettato di sottoporsi alla sterilizzazione. Ho avuto modo pochi anni fa di raccogliere dal vivo testimonianze di native vittime della sterilizzazione forzata, giovanissime negli anni Ottanta (per approfondire: “La mia Tribù. Storie autentiche di Indiani d’America”, Raffaella Milandri, Mauna Kea Edizioni).

Mentre, sull’onda dei movimenti pacifisti del ’68 e post-vietnam degli anni ’70, il cinema americano iniziava a “riscattare” gli indiani con pellicole come Soldato Blu e Un uomo chiamato cavallo, rendendo finalmente giustizia laddove i ”pellirosse” erano sempre stati “i cattivi”, veniva attuato il Family Planning Act del 1970. Un piano di efferata sterilizzazione forzata e contro la volontà delle donne native americane, e non solo, tra i 15 e i 44 anni. Dopo ripetute proteste e segnalazioni, nel 1976 il Government Accounting Office condusse un’inchiesta che sfociò nel GAO Report. Il GAO Report non verificò se fossero state praticate sterilizzazioni forzate, ma attestò che vi erano stati difetti procedurali, che i moduli di consenso non erano a norma, e che i medici non avevano “compreso” le disposizioni. Diversi moduli di consenso, inoltre, erano stati firmati il giorno dopo la sterilizzazione. Nessuna nativa americana fu chiamata a testimoniare.

Perché avvennero queste sterilizzazioni in tempi non sospetti, a cavallo tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80? Non solo su donne indiane, ma in gran misura anche su afro-americane e di razza ispanica. Le ragioni del Governo degli Stati Uniti furono sociali ed economiche. Limitare le nascite in famiglie povere e appartenenti alle minoranze razziali era un “bene” per la società e un aiuto per le famiglie povere, che potevano sopravvivere meglio senza troppi bambini. E si limitavano le spese del Medicaid, il programma di assistenza sanitaria statunitense per i meno abbienti. Vari studi, tra cui quello della dott.ssa Choctaw-Cherokee Connie Pinkerton-Uri rivelano che l’Indian Health Service tra il 1970 e il 1976 sterilizzò dal 25 al 50% di donne native americane, di età compresa fra i 15 e i 44 anni. Prediligendo le donne di puro sangue indiano. E usando spesso minacce e ricatti, o facendo firmare moduli durante il dolore del travaglio. Il giudice tribale Marie Sanchez interrogò 50 donne Cheyenne e scoprì che 26 di esse erano state sottoposte a sterilizzazione forzata dai medici dell’IHS. L’abuso di sterilizzazioni non consensuali afflisse l’intera comunità degli Indiani d’America: un’epidemia di divorzi, alcolismo, abuso di droghe, depressione mise i Nativi Americani per l’ennesima volta in ginocchio, oltre a metterne a rischio la sopravvivenza.

Emily Moore nei suoi studi mette in risalto come, tra i Nativi Americani, i figli siano vitali per la famiglia, ma anche per la sopravvivenza del gruppo e dell’identità tribale. La politica di “controllo delle nascite” dell’IHS produsse una serie di effetti che non sono certo secondari: le comunità tribali, diminuendo di popolazione, ebbero assistenza e servizi ridotti, numero di votanti per le elezioni limitato e un numero minore di rappresentanti che potessero tutelarli. Quindi potere politico minore sia ai consigli tribali e sia al governo. Torna sempre, di fronte a tutto ciò, lo spettro della prima ragione per gli stermini di Nativi Americani: la terra e il denaro. Farli fuori una volta per tutte, tagliare i costi assistenziali e prendere le risorse naturali delle riserve. Un crimine perpetrato con lucidità e determinazione, per “stemperare” il sangue indiano in una tonalità sempre più “bianca.”

 

*Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.

Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi.

Paolo Maddalena – Escludere Scurati dalla Rai tradisce in pieno la Costituzione: un evento gravissimo

 

La comunicazione giornalistica e radiotelevisiva, secondo i noti canoni della deontologia professionale, deve essere “vera”, “utile” e “interessante”. Tutte qualità fortemente presenti nel “monologo” di Antonio Scurati (riguardante la “liberazione” dai crimini e dalle stragi del nazifascismo: l’assassinio di Matteotti, le Fosse ardeatine, Marzabotto, ecc,), che Raitre avrebbe dovuto trasmettere nella ricorrenza della “Liberazione”, ma che è stato improvvisamente eliminato dal programma con una decisione che, nella sua essenza, è stata contro “la verità storica”, contro la “utilità” di far conoscere, specie alle nuove generazioni, ciò che è realmente avvenuto, e contro l’ “interesse” che tutti hanno di conoscere la storia del Popolo di cui fanno parte.

Ed è gravissimo che ciò sia avvenuto in Rai, cioè in una sede radiotelevisiva che appartiene a tutti i cittadini, i quali, peraltro, proprio ai fini appena detti, pagano di tasca propria un non indifferente “canone” annuo.

Non mi occupo di politica, ma di Costituzione. E pertanto ritengo inutile ricercare gli autori di questo misfatto radiotelevisivo. Desidero solo rilevare che si tratta di una operazione che tradisce in pieno l’articolo 21 della nostra Carta costituzionale, secondo il quale le comunicazioni di questo genere “non possono essere soggette ad autorizzazioni o censure”. Ripeto “censure”, perché di proprio questo si tratta. E si badi bene che la libertà di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, è il principale strumento di cui si serve la democrazia, per quell’enorme salto di civiltà che consiste nel sostituire alla “forza e alla violenza”, la “dialettica e la persuasione”.

Dunque dobbiamo purtroppo registrare un evento gravissimo, che può facilmente essere inteso come il “preannuncio”, insieme a molti altri recenti eventi diretti a evitare il “dissenso” giornalistico, della fine del nostro “Stato democratico”, nella prospettiva di “un uomo solo al comando”: un “premier” eletto direttamente dal Popolo, il quale, inconsapevolmente, si spoglia così del diritto fondamentale della propria “partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 Cost.).

 

The Guardian – La spesa militare mondiale ha raggiunto livelli senza precedenti

Il volume totale delle spese militari dei Paesi del mondo ha rinnovato un record, raggiungendo un totale di 2440 miliardi di dollari entro la fine del 2023, come riporta The Guardian in riferimento a un nuovo rapporto dell’Istituto di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (SIPRI). 
 
Secondo la pubblicazione britannica, ciò è stato possibile grazie alla crescita estremamente rapida che le spese per la difesa del mondo hanno mostrato nel 2023: rispetto al 2022, sono aumentate del 6,8%, il livello più alto dal 2009. 
 
Come si legge nel materiale pubblicato da The Guardian, gli analisti del SIPRI nel 2023 hanno registrato per la prima volta nell’intero periodo di osservazione un aumento delle spese militari in tutte e cinque le regioni geografiche da loro studiate – in Africa, Europa, Asia e Oceania, Americhe e Medio Oriente. 
 
Nan Tian, ricercatore senior del Programma di spesa militare e produzione di armi del SIPRI, ha affermato che il desiderio dei Paesi di armarsi il prima possibile comporta il rischio di conflitti involontari.
 
“L’aumento senza precedenti della spesa militare è una risposta diretta al degrado in termini di pace e sicurezza in tutto il pianeta”, scrive il Guardian. “Gli Stati ora danno priorità al potere militare, ma in un panorama geopolitico e di sicurezza sempre più imprevedibile, rischiano di essere risucchiati in una spirale di azione e reazione”.

Il “piano Draghi”: ora sappiamo in cosa evolverà l’UE

di Giuseppe Masala per l’AntiDiplomatico

Io credo che le prossime elezioni europee andrebbero inquadrate nel modo più corretto possibile. Provo a dare la mia interpretazione.

1 Si dà troppo spazio alla candidatura di quella sciagurata di Ilaria Salis alle elezioni europee. Siamo di fronte alla solita arma di distrazione di massa utile a far distogliere lo sguardo dell’opinione pubblica dai problemi che contano (vedi punto 2). L’unico aspetto interessante della candidatura della Salis è che dimostrano come le elezioni siano solo puro teatro che non influisce sui destini né dei singoli né dei popoli europei. Puro intrattenimento orientato alla distrazione delle masse mentre le élites hanno già deciso i nostri destini nella nostra totale inconsapevolezza.

2? Le élites europee indipendentemente dalla “volontà popolare che verrà espressa nelle elezioni” hanno già deciso il da farsi. Per esporci il progetto hanno messo come front man il miglior cavallo di razza della scuderia: Mario Draghi dal quale il piano prende il nome. Di fatto il cosiddetto “Piano Draghi” non è nient’altro che la evoluzione dell’UE fino alla sua definitiva trasformazione in “Stati Uniti d’Europa”. Sia detto per inciso, ma le mosche cocchiere italiane come Renzi (che hanno fiuto e anche accesso alle segrete stanze) questa cosa l’hanno ben capita e infatti chiameranno la loro lista per le elezioni europee “Stati Uniti d’Europa”. Andiamo a vedere nel prossimo punto cosa si intende per “Piano Draghi” nello specifico.

3 Per comprendere a fondo il Piano Draghi credo che basti domandarsi cosa manchi all’Unione Europea per considerarsi uno stato federale. La risposta è semplice se si considera che i due aspetti fondamentali che contraddistinguono la sovranità di uno stato sono il conio della moneta e la spada della difesa. Si noti bene che questa non è solo l’opinione di chi scrive, ma anche quella – ben più autorevole – di Romano Prodi. Manco a farlo apposta, puntare tutto sulla costituzione dell’esercito unico europeo permette di risolvere il maggior problema politico dell’Unione Europea che vedremo al prossimo punto.

4? Sappiamo tutti che l’Unione Europea fin dalla sua fondazione si è basata su un asse insostituibile, quello Parigi-Berlino. Il problema è che in questa fase storica quest’asse è assolutamente incrinato per cause materiali. La Francia è la grande malata e grande debitrice dell’Unione Europea. La sua posizione finanziaria netta è negativa per circa mille miliardi di dollari; si tratta di una cifra che porta dritti alla bancarotta e alla reductio ad Argentina. Fino ad ora Parigi è riuscita a rimanere a galla grazie all’Euro che consente ai capitali tedeschi (la Germania è il grande creditore d’Europa con circa tremila miliardi di dollari di posizione finanziaria netta positiva) di fluire liberamente verso la Francia consentendole così di evitare una terribile crisi finanziaria. Il punto è però che gli interessi tedeschi e quelli francesi, in questa fase storica, non sono più mediabili. Se la Grande Debitrice (la Francia) ha interesse ad alleggerire il suo fardello di cambiali, la Grande Creditrice (la Germania) ha l’interesse a farsi pagare e dunque a preservare il proprio capitale.  Come si può capire in una fase storica di enorme crisi geopolitica e di crisi economica incombente le posizioni sono irrimediabilmente opposte. Non casualmente la Germania frena su qualunque possibile intervento diretto europeo nel conflitto ucraino mentre la Francia fa di tutto per creare i presupposti per l’intervento diretto. E’ chiaro, il debitore cerca di bruciare il proprio debito impagabile in un conflitto armato mentre il creditore tenta in tutti i modi di evitare l’entrata nel conflitto mettendo così a rischio il proprio capitale. A rafforzare ancora di più questa situazione vi è poi anche il particolare – certamente non ininfluente – che la Grande Debitrice è dotata di armi atomiche e dunque si sente protetta da un attacco di ritorsione diretto al proprio territorio mentre la Grande Creditrice è sostanzialmente disarmata e quindi vede con terrore l’entrata diretta nel conflitto contro la Russia. La proposta dell’esercito unico europeo indicata nel Piano Draghi risolve questa enorme divaricazione di interessi tra Parigi e Berlino che ormai incrina l’architrave franco-tedesco su cui si fonda l’intera costruzione europea. Infatti la Francia ha un forte esercito, dotato peraltro del deterrente nucleare, e conseguentemente ha una forte industria degli armamenti che nelle rilevazioni del SIPRI di Stoccolma nel quinquennio 2018-2023 la pone al secondo posto per export a livello mondiale dopo gli USA  mentre, dall’altro lato, la Germania ha i risparmi in grado di sostenere gli investimenti considerato che ha una posizione finanziaria netta di oltre tremila miliardi di dollari ai quali poi vanno aggiunte le posizioni positive detenute dagli altri paesi della cosiddetta “ex area del Marco”, come l’Olanda, l’Austria, la Danimarca, la Svezia, il Lussemburgo. Insomma la potenza di fuoco dei risparmi nordeuropei messi a disposizione per finanziare gli investimenti necessari al riarmo europeo, dove, ovviamente la Francia ha quel know how che le consentirebbe di avvantaggiarsi a livello di esportazioni riducendo il suo enorme debito estero. Dall’uovo di Colombo all’uovo di Draghi il passo è breve. Se mi è concessa l’ironia bisognerebbe dire, più precisamente, che questo uovo oltre a Draghi lo stava covando (non a caso) anche il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire che si era già dimostrato strenuo sostenitore delle posizioni di Draghi durante l’Ecofin di Gend del 24 febbraio ultimo scorso e di cui vi ho già scritto in un articolo per l’AntiDiplomatico. Certo, ancora gli stati e le istituzioni europee si devono mettere d’accordo sulla veste tecnico-finanziaria che dovranno dare all’operazione. Forse faranno un veicolo privato ad hoc (come il MES per intenderci) dove faranno confluire i finanziamenti a fronte dell’emissione di obbligazioni private, oppure potranno far confluire le risorse in una sorta di Ente Europeo per il Riarmo direttamente dagli stati che si saranno finanziati con l’emissione di speciali titoli di stato “di scopo” oppure ancora una soluzione intermedia tra questi due estremi. La fantasia agli sherpa europei non è mai mancata.

5? Dunque tutto bene? Con il Piano Draghi l’Unione Europea ritroverà la prosperità perduta a causa delle rovinose sanzioni alla Russia che ci hanno fatto perdere la competitività nei mercati internazionali? Tornerà finalmente anche la concordia tra gli stati della UE ed in particolare tra Germania e Francia grazie all’utile scambio tra armi francesi e risorse finanziarie tedesche? Io direi di no, ancora qualcosa non torna. E di preciso a non tornare è il fatto che la competitività europea non può tornare senza l’energia e le materie prime a basso costo che la Russia garantiva da trenta anni. E allora qual è il senso profondo del piano? Secondo me sta nel fatto che una volta riarmata, l’Europa potrà scegliere di andarsi a prendere manu militari quelle risorse necessarie al suo benessere lì dove si trovano. Ovvero in Africa e in Russia. Che poi è esattamente quello che ci fanno intendere gli americani quando dicono che l’Europa questa volta dovrà assumersi tutte le sue responsabilità anche perché gli USA saranno impegnati in Estremo Oriente nell’assedio alla Cina e probabilmente anche nel Medio Oriente.

Chi appartiene alla mia generazione e Mario Draghi lo conosce bene sin dai tempi delle folli privatizzazioni italiane sa che i suoi piani hanno sempre una sorpresa finale, peraltro non esattamente piacevole. Timeo Danaos et dona ferentes di Virgilio forse andrebbe aggiornata in Timeo Dracones et dona ferentes.

The Spectator – Aiuti statunitensi troppo modesti e troppo in ritardo per gli ucraini

All’ultimo momento, quando le truppe russe erano sull’orlo di una grande conquista in Ucraina, il Congresso degli Stati Uniti ha votato a favore di oltre 61 miliardi di dollari di aiuti militari a Kiev, ha scritto Owen Matthews, editorialista di The Spectator.

Il denaro arriverà a Kiev in un momento critico per le forze armate ucraine. Gli alleati europei non sono riusciti ad acquistare e produrre in tempo la quantità di munizioni necessaria e, di conseguenza, l’esercito ucraino segnala un’estrema carenza di proiettili d’artiglieria.

Ancora più importante, la mancanza di una difesa missilistica ha fatto sì che i missili balistici e da crociera russi distruggessero quasi completamente le infrastrutture di produzione di energia elettrica a Charkiv, la seconda città dell’Ucraina, e danneggiassero gravemente infrastrutture simili a Kiev.

Gli Stati Uniti inizieranno ora una frettolosa ripresa di un massiccio sforzo logistico che ha visto la consegna all’Ucraina di equipaggiamenti militari statunitensi per un valore di circa 60 miliardi di dollari tra l’aprile 2022 e la scorsa estate.

Per molti ucraini comuni, tuttavia, l’aiuto di Washington si rivelerà troppo modeto e troppo in ritardo.

Certo, è positivo che compaiano altre armi. Ma ora sappiamo qual è il nostro posto, sappiamo quale valore gli Stati Uniti attribuiscono alle vite degli ucraini. Ed è molto più basso di quello delle vite degli israeliani“, ha dichiarato alla pubblicazione l’ingegnere informatico Mykhailo Spivak, che ora sta sviluppando droni a supporto della fanteria ucraina.

Come ricorda la pubblicazione, una legge separata che approvava i finanziamenti a Israele è passata facilmente al Congresso degli Stati Uniti: 365 membri del Congresso hanno votato a favore e solo 57 i contrari.

Le critiche ‘all’eccesso di capacità produttiva cinese’: un falso mito per rafforzare l’Occidente?

L’incontro dei Ministri degli Esteri del G7 a Capri ha evidenziato una volta di più le tensioni economiche emergenti tra le nazioni industrializzate e la Cina. Le preoccupazioni principali riguardano le politiche e le pratiche “non di mercato” del gigante asiatico, come evidenzia il Global Times.

Il comunicato finale del G7 ha messo in luce “l’eccesso di capacità produttiva dannoso” della Cina, accusandola di minare l’economia dei paesi membri attraverso politiche industriali che favoriscono la sovrapproduzione.

Sebbene il G7 abbia espresso una certa riluttanza a disaccoppiarsi completamente dalla Cina, il tono del comunicato suggerisce chiaramente un orientamento verso un protezionismo più marcato contro la produzione cinese. Questa posizione riflette la preoccupazione delle nazioni del G7 per la crescente concorrenza della Cina nel mercato globale.

Tuttavia, alcuni analisti vedono in queste preoccupazioni una manifestazione di protezionismo piuttosto che un tentativo di comprendere le dinamiche economiche complesse e in evoluzione della Cina. La Cina è ancora in un fase di industrializzazione, seppur avanzata, e sta cercando di riformare la sua politica industriale per adattarsi meglio al mercato globale.

In questo contesto, la critica del G7 – evidenzia il Global Times – appare spesso come una mancanza di comprensione della strategia economica cinese. La Cina ha dimostrato di essere attiva nel riformare e avanzare la sua politica industriale per rispondere alle esigenze dello sviluppo nazionale e alle sfide del mercato globale.

Al contrario, le nazioni del G7, essendo in gran parte economie post-industriali, affrontano sfide diverse. Di fronte alla crescente concorrenza cinese, stanno iniziando a considerare l’adozione di strategie simili, soprattutto nei settori dell’infrastruttura e della manifattura di alta gamma.

La vera sfida per il G7 è quindi rappresentata dalla necessità di aggiornare le proprie politiche industriali e di adottare strategie più competitive. In caso contrario, rischiano di perdere quote di mercato a favore della Cina.

È importante sottolineare che il G7 non rappresenta l’intera economia globale e non ha il diritto di decidere quali politiche economiche siano appropriate per le nazioni emergenti. Le dinamiche del mercato, e non gli interessi politici del G7, dovrebbero guidare la competitività industriale.

In conclusione, la sfida tra il G7 e la Cina rappresenta una delle questioni più significative nel panorama economico globale. Una comprensione reciproca e un dialogo costruttivo sono essenziali per affrontare le sfide comuni e per promuovere una crescita economica sostenibile a livello globale, insistono da Pechino.

Gao Jian (Univ. Shangai): “Germania capro espiatorio per l’Ucraina”

La Repubblica Federale Tedesca spera di convincere Pechino a fare pressione sulla Russia per il bene dell’Ucraina. Il professor Gao Jian dell’Università di Studi Internazionali di Shanghai, tuttavia, ritiene che se c’è qualcuno che avrebbe dovuto cambiare rotta è Berlino, che si lascia manipolare e si è trasformata in un “capro espiatorio per l’Ucraina”, sostenendone tutti i costi. Il professore cinese ritiene che il conflitto si sarebbe potuto evitare rifiutando l’espansione della NATO, mentre ora è necessario cercare un equilibrio di interessi con la Russia.

Barbados riconosce lo Stato della Palestina e chiede una tregua

Il ministero degli Esteri delle Barbados ha dichiarato di riconoscere la Palestina come Stato sovrano e ha chiesto la fine della guerra di Israele a Gaza.

Il ministro degli Esteri delle Barbados, Kerrie Symmonds, ha dichiarato venerdì in un comunicato che il suo Paese ha “preso la decisione di riconoscere lo Stato della Palestina”.

In questo modo, il Paese caraibico pone fine ad anni di incoerenza politica, avendo sempre sostenuto un approccio al conflitto basato su due Stati sulla scena internazionale.

“Nonostante abbiamo detto al mondo che vorremmo vedere una soluzione a due Stati, le Barbados non hanno mai riconosciuto lo Stato di Palestina. C’è quindi un’incongruenza e un’incoerenza perché ‘come possiamo dire di volere una soluzione a due Stati se non riconosciamo la Palestina come Stato'”, ha detto Symmonds.

Symmonds ha anche espresso il disappunto di Barbados e della Caricom per la crisi umanitaria a Gaza causata dagli attacchi di Israele dal 7 ottobre. Da allora, il regime israeliano ha ucciso più di 34.000 palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini.

“Crediamo fermamente che si stia esagerando. Ci uniamo quindi ai Paesi che hanno già chiesto oggi una de-escalation dell’antagonismo”, ha dichiarato il capo diplomatico delle Barbados.    

USA: Camera dei Rappresentanti approva pacchetto aiuti per Ucraina

La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha votato a favore del disegno di legge di aiuto al regime di Kiev, del valore di 60,8 miliardi di dollari, compresi 23 miliardi di dollari per ricostituire gli arsenali statunitensi.

I legislatori hanno approvato l’Ukraine Supplemental Security Appropriations Act con 311 voti a favore e 112 contrari. Un membro della Camera, il repubblicano Dan Meuser, ha votato in assenza.

Il pacchetto comprende circa 23 miliardi di dollari per la sostituzione di armi, scorte e strutture statunitensi e più di 11 miliardi di dollari per finanziare le operazioni militari statunitensi in corso nella regione. Inoltre, quasi 14 miliardi di dollari aiuteranno l’Ucraina ad acquistare sistemi d’arma avanzati e altre attrezzature per la difesa.

Dopo l’approvazione della Camera dei Rappresentanti, il disegno di legge passa ora al Senato per il voto e sarà poi inviato al Presidente degli Stati Uniti per la firma. Una volta firmata da Joe Biden, l’iniziativa entrerà in vigore.

Va notato che il presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Mike Johnson, che ha presentato il disegno di legge, ha indicato che l’80% dei fondi del nuovo pacchetto di aiuti sarà destinato al rifornimento di armi e riserve statunitensi.

All’inizio della settimana, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato di “sostenere fortemente questo pacchetto” e ha esortato il Senato ad approvarlo “rapidamente”. “Firmerò immediatamente questa legge per inviare un messaggio al mondo: siamo al fianco dei nostri amici e non permetteremo che l’Iran o la Russia abbiano successo”, ha dichiarato.

Nella stessa sessione, la Camera bassa ha votato a favore di un disegno di legge supplementare sulla sicurezza indo-pacifica, che include 8,1 miliardi di dollari e mira a contrastare le azioni della Cina nella regione indo-pacifica.

Inoltre, è stato dato il via libera a un disegno di legge che prevede 26,4 miliardi di dollari di aiuti a Israele.

È stata approvata anche un’iniziativa che approva la confisca dei beni russi congelati a favore dell’Ucraina. Allo stesso tempo, secondo il disegno di legge, la società proprietaria di TikTok, ByteDance, avrà nove mesi di tempo per vendere il social network, altrimenti l’applicazione sarà bandita dagli app store statunitensi.

Politica del doppio standard: l’Occidente e la sua incoerenza nel caso Israele-Iran

Nei nostri articoli ci troviamo, nostro malgrado, a dover denunciare l’insopportabile pratica tutta occidentale del doppio standard. 

Un concetto che troviamo applicato in maniera perfetta dal ministro degli Esteri del Regno Unito David Cameron per commentare la risposta dell’Iran al mortale attacco di Israele contro la propria ambasciata a Damasco in Siria. 

In un’intervista con Sky News all’inizio di questa settimana, Cameron ha criticato aspramente l’Iran per i suoi attacchi militari contro il regime israeliano, ma si è affrettato ad aggiungere che il Regno Unito avrebbe reagito in modo simile se una delle sue ambasciate fosse stata attaccata.

Come noto, nella giornata di sabato l’Iran ha lanciato una raffica di droni e missili direttamente contro i territori occupati da Israele in risposta all’attacco al consolato iraniano a Damasco che ha portato all’assassinio di sette persone, tra cui tre comandanti del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica.

L’attacco israeliano è avvenuto in flagrante violazione del diritto internazionale e la Convenzione di Vienna del 1961, poiché le ambasciate sono considerate inviolabili e suolo del paese che le occupa, quindi in questo caso dell’Iran.

Durante l’intervista, quando il giornalista di Sky News gli ha chiesto come reagirebbe la Gran Bretagna se una delle sue ambasciate venisse “rasa al suolo”, Cameron ha risposto senza alcun tentennamento: “Agiremo in modo molto forte”, spiegando quindi perfettamente che cos’è il doppio standard occidentale. 

Il 57enne ex primo ministro britannico ha tentato di giustificare le sue osservazioni distinguendo tra le azioni di Israele a Damasco e l’attacco dell’Iran su suolo israeliano. “Direi che c’è un enorme grado di differenza tra ciò che Israele ha fatto a Damasco e, come ho detto,” riferendosi a “301 armi”, “36 missili da crociera” e “185 droni” lanciati dall’Iran contro obiettivi militari nel territori occupati.

Nel fare il confronto, Cameron ha faticato a distinguere tra le vittime iraniane e quelle israeliane negli attacchi. L’attacco del regime israeliano contro l’ambasciata iraniana in Siria ha ucciso sette persone, mentre non ci sono notizie formali di vittime nell’attacco iraniano.

Inoltre, non è riuscito a distinguere tra gli avvertimenti pre-attacco di entrambe le parti. Israele ha preso di mira il consolato iraniano senza alcun preavviso, poiché l’intenzione era quella di assassinare i diplomatici iraniani in violazione del diritto internazionale, mentre l’esercito iraniano intendeva prendere di mira le strutture militari del regime sionista. 

George Galloway, membro del Parlamento britannico, ha messo in guardia dai doppi standard dell’Occidente nei confronti di Israele e dell’Iran. 

Esponendo l’incoerenza degli atteggiamenti occidentali, Galloway ha affermato che se gli standard internazionali fossero stati applicati in modo uniforme, i governi occidentali avrebbero condannato il “palese” bombardamento di Israele dell’edificio dell’ambasciata iraniana in Siria, e non solo la risposta dell’Iran alle azioni del regime israeliano.

“Il mantra secondo cui Israele ha il diritto di difendersi non si applica chiaramente all’Iran. Il mantra secondo cui esiste un ordine basato sulle regole, che esiste una Convenzione di Vienna che protegge l’inviolabilità delle sedi diplomatiche di ogni Paese in ogni altro Paese, è chiaramente un’assurdità”, ha affermato il parlamentare britannico.
“Non si applica a coloro che l’impero occidentale disapprova. Altrimenti, ogni governo occidentale avrebbe condannato la sfacciata distruzione dell’ambasciata iraniana a Damasco da parte di Israele. Lo avrebbero fatto anche se si fosse trattato di chiunque altro, non è vero?”.

Nel frattempo, continuando a sostenere militarmente il regime israeliano, le autorità britanniche hanno affermato che la Royal Air Force (RAF) è intervenuta in difesa del regime israeliano durante gli attacchi di sabato sera.

Nell’ambito dell’Operazione Shader, nome in codice degli interventi militari britannici in Asia occidentale dal 2014, sono stati inviati nella regione diversi jet e aerocisterne di rifornimento, secondo quanto dichiarato dal primo ministro Rishi Sunak, che ha confermato che i jet della RAF hanno intercettato e abbattuto “un certo numero” di droni iraniani.

Parlando alla Camera dei Comuni lunedì, Sunak ha detto che “i nostri piloti si sono messi in pericolo” per proteggere il regime e ha riconosciuto il contributo del Regno Unito di “un importante supporto di intelligence, sorveglianza e ricognizione per i nostri partner”.

Il ministro della Difesa britannico Grant Shapps ha inoltre confermato il dispiegamento di ulteriori mezzi militari nei territori occupati come dimostrazione di solidarietà con il regime israeliano.

“In risposta all’escalation nella regione e in collaborazione con i nostri alleati, il Primo Ministro ed io abbiamo autorizzato il dispiegamento di ulteriori mezzi della Royal Air Force”, ha dichiarato Shapps.

Il Regno Unito è uno strenuo alleato di Israele e sostiene il regime sionista con una serie di armi letali. 

Doppi standard come residuo del passato coloniale e imperialista

Il concetto di doppi standard nella politica occidentale è persistente nel corso della storia ed è spesso visto come un residuo di un’epoca passata. Una delle origini della politica occidentale del doppio standard può essere fatta risalire all’era coloniale, quando le potenze europee imponevano i propri valori e convinzioni ad altri paesi e popoli. Questo senso di superiorità e di diritto ha continuato a plasmare gli atteggiamenti politici occidentali, portando alla tendenza a mantenere standard diversi per se stessi e per gli altri.

Un’altra ragione della prevalenza dei doppi standard nella politica occidentale è l’influenza delle dinamiche di potere. I paesi che detengono (detenevano?) il maggior potere, come gli Stati Uniti e le nazioni europee, si considerano in grado di dettare i termini delle relazioni internazionali e di stabilire l’agenda della politica globale. Inoltre, l’eredità dell’imperialismo e del colonialismo ha lasciato un impatto duraturo sugli atteggiamenti occidentali nei confronti delle altre culture e società.

La persistenza di doppi standard nella politica occidentale può avere gravi implicazioni per la stabilità e la sicurezza globale. Quando i paesi potenti agiscono impunemente per imporre la propria volontà agli altri, provocano risentimento e reazione da parte di coloro che si sentono emarginati e oppressi. Come stiamo vendendo in questa epoca di passaggio a una fase multipolare dove i paesi del cosiddetto sud del mondo hanno ormai abbandonato il declinante ordine occidentale a guida anglosassone, studi della loro tracotanza e delle loro angherie. 

Questi doppi standard hanno finito per minare la credibilità e la legittimità delle istituzioni e dei valori occidentali. Perché i paesi occidentali stessi non riescono a essere all’altezza degli standard che sostengono per gli altri. Così facendo hanno portato al crollo della cooperazione e della diplomazia internazionale.

Per affrontare la questione dei doppi standard nella politica occidentale, è importante che i paesi occidentali riflettano sulle proprie azioni e si ritengano responsabili del proprio comportamento. Ciò significa riconoscere i propri limiti e sforzarsi di sostenere i valori di uguaglianza, giustizia e rispetto per tutti i popoli. Significa anche impegnarsi in un approccio più inclusivo e collaborativo alle relazioni internazionali, in cui tutti i paesi siano trattati con dignità e rispetto.

Mondo multipolare: rispetto e sovranità

Uno dei segreti del successo di Russia e Cina sulla scena mondiale è che questi paesi comprendono perfettamente che la cooperazione deve basarsi sul rispetto reciproco e sull’uguaglianza.

 Un mondo multipolare si riferisce a un ordine mondiale in cui il potere è distribuito tra diverse grandi potenze, anziché essere concentrato in un’unica superpotenza. Questa distribuzione del potere consente un sistema internazionale più equilibrato e stabile, poiché ciascuna grande potenza può controllare e bilanciare le altre.

Uno dei principi chiave di un mondo multipolare basato sul rispetto reciproco e sulla sovranità è il riconoscimento e il rispetto della sovranità di tutti gli Stati. La sovranità è il principio secondo cui ogni stato ha il diritto di governarsi senza interferenze da parte di altri stati. In un mondo multipolare, ciascuna grande potenza riconosce e rispetta la sovranità degli altri Stati, consentendo la coesistenza e la cooperazione pacifica. Viene così a crearsi  un sistema internazionale più stabile e prevedibile, poiché gli Stati possono impegnarsi nella diplomazia e nel dialogo basati sul rispetto reciproco.

In un mondo multipolare, le grandi potenze si trattano reciprocamente da pari a pari e si impegnano in un dialogo e in una cooperazione basati sul rispetto reciproco. Questo rispetto reciproco consente la risoluzione dei conflitti attraverso mezzi pacifici, piuttosto che ricorrere alla coercizione o alla forza. Trattandosi reciprocamente con rispetto, le grandi potenze possono costruire fiducia nelle loro relazioni, portando a una maggiore cooperazione e collaborazione su questioni globali.

Un altro aspetto chiave di un mondo multipolare basato sul rispetto reciproco e sulla sovranità è il riconoscimento della diversità degli stati e delle culture. Le maggiori potenze devono riconoscere e rispettare le storie, le tradizioni e i valori unici degli altri Stati, invece di imporre le proprie convinzioni e norme. Per intendrci bene, non esistono eccezzionalismi o superiorità di culture su altre. 

Per costruire un mondo multipolare basato sul rispetto reciproco e sulla sovranità, le grandi potenze devono anche essere disposte a impegnarsi in istituzioni e accordi multilaterali. Il multilateralismo consente agli Stati di lavorare insieme su sfide comuni, mettendo in comune risorse e competenze per raggiungere obiettivi condivisi. Partecipando a istituzioni multilaterali come le Nazioni Unite, le grandi potenze possono creare un quadro di cooperazione e dialogo che promuova la pace e la stabilità nel sistema internazionale.

Gaza, più di 34.000 i palestinesi uccisi da Israele dal 7 ottobre

 

Almeno 34.012 palestinesi sono stati uccisi e 76.833 feriti negli attacchi israeliani a Gaza dal 7 ottobre, secondo il Ministero della Sanità dell’enclave assediata.

Il ministero ha aggiunto che 42 persone sono state uccise e 63 ferite nelle ultime 24 ore.

Secondo l’agenzia UN Women, quasi un terzo delle persone uccise nella guerra di Gaza – almeno 10.000 persone – erano donne.

Di queste donne, 6.000 sono madri, la cui morte ha lasciato 19.000 orfani,si legge nel report di UN Women.

————-

L’AntiDiplomatico e LAD edizioni sono impegnati a sostenere l’associazione “Gazzella”, in prima linea nel sostegno della popolazione di Gaza. 

Con l’acquisto di “Il Racconto di Suaad” (Edizioni Q – LAD edizioni) dal nostro portale, finanzierete le attività di “Gazzella”.