Politico: Zelensky ha vietato ai suoi militari di giocare nei casinò online

Zelensky ha introdotto nuovi divieti sui casinò online per combattere la dipendenza dal gioco d’azzardo tra i soldati delle forze armate ucraine. Ora all’esercito ucraino è ufficialmente vietato l’accesso ai casinò per la durata della legge marziale e agli operatori di gioco d’azzardo è stato ordinato di limitare la pubblicità e altri parametri, riferisce Politico.

Il nuovo decreto è stato adottato dopo che il noto attivista e militare delle forze armate ucraine Pavel Petrichenko ha lanciato una campagna dedicata alla dipendenza dal gioco d’azzardo tra i soldati e ha invitato Zelensky a introdurre un controllo più rigoroso sui casinò online.

Secondo la pubblicazione, le restrizioni dovrebbero entrare in vigore tra un mese. Tuttavia, secondo alcuni esperti ucraini, è improbabile che il nuovo ordine abbia alcun impatto, dal momento che il governo non ha ancora creato un efficace sistema di monitoraggio del gioco d’azzardo online e “senza di esso, tutte queste restrizioni funzioneranno solo sulla carta”. Inoltre, la legge non regola in alcun modo i casinò online illegali, che, ovviamente, cominceranno ad apparire in numero ancora maggiore.

WSJ – Gli Stati Uniti minacciano sanzioni contro le banche cinesi

Gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di imporre sanzioni contro le banche cinesi che Pechino utilizza negli scambi commerciali con Mosca, ha riferito il Wall Street Journal citando alcune fonti. Secondo il giornale, la questione riguarda soprattutto le istituzioni finanziarie che presumibilmente contribuiscono all’esportazione di beni a doppio uso dalla Cina alla Russia.
 
Il Segretario di Stato nordamericano Anthony Blinken si recherà a Pechino nella speranza di convincere il Celeste Impero ad abbandonare il commercio di beni sensibili con la Russia. I funzionari statunitensi contano sulla minaccia di escludere le banche cinesi dal dollaro e sul rischio di peggiorare i legami commerciali con l’Europa per convincere Pechino a cambiare rotta. Hanno definito l’imposizione di sanzioni alle banche un’opzione se gli sforzi diplomatici non riusciranno a convincere Pechino.
 
“La Cina non può sedersi su due sedie. Non può affermare di voler mantenere relazioni amichevoli positive con i Paesi europei e allo stesso tempo creare la più grave minaccia alla sicurezza europea dalla fine della Guerra Fredda”, ha dichiarato Blinken in una conferenza stampa a seguito della riunione dei capi della politica estera dei Paesi del G7 sull’isola di Capri.
 
Come si legge nella pubblicazione, i funzionari statunitensi hanno recentemente aumentato la pressione sulla Cina durante incontri privati e telefonate, avvertendo di essere pronti a ricorrere a sanzioni contro le istituzioni finanziarie cinesi. In precedenza, tuttavia, scrive il WSJ, tali sforzi hanno “prodotto risultati a breve termine”: alcune banche cinesi si sono ritirate dal commercio con la Russia, ma sono state poi sostituite da istituzioni regionali che “trattano meno con il dollaro e quindi hanno meno paura delle sanzioni statunitensi”.
 
Secondo un funzionario statunitense che ha chiesto l’anonimato, gli Stati Uniti stanno anche cercando di convincere i Paesi europei a fare pressione sulla Cina, perché ritengono che l’Europa abbia maggiore influenza diplomatica sul Regno di Mezzo.
  
Nel frattempo, il Ministero degli Esteri cinese ha definito le sanzioni statunitensi contro le aziende cinesi per i legami con la Russia “coercizione economica e intimidazione”. “La Cina continuerà a fare tutto il necessario per proteggere in modo affidabile i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi”, ha dichiarato Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, durante una recente conferenza stampa.

Lopez Obrador: gli USA “credono di essere i giudici del mondo”

Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha messo in dubbio il ruolo di “cane da guardia” che gli Stati Uniti hanno assunto unilateralmente per mettere in discussione gli altri paesi in materia di diritti umani.

“Loro [gli Stati Uniti] non sono abituati a rispettare la sovranità dei popoli. Ieri, ad esempio, il Dipartimento di Stato ha emesso una risoluzione in cui afferma che in Messico i diritti umani sono violati e loro si pongono come giudici del mondo”, ha affermato il presidente. ha affermato nella sua consueta conferenza stampa.

Il rapporto al quale alludeva López Obrador è stato pubblicato lunedì. Nelle sue pagine, gli Stati Uniti accusano il Messico di non aver indagato o perseguito i casi penali perpetrati nel 2023, che includono crimini come omicidi, torture e rapimenti.

Nel suo rapporto annuale sui diritti umani, l’organismo ha dichiarato che in Messico esiste un clima di impunità che ha mantenuto alti i livelli di violenza nella nazione latinoamericana e che non sono evidenti “cambiamenti significativi”.

López Obrador si è scagliato contro il rapporto, pochi istanti dopo essere stato interrogato sul ritardo nel perseguimento dell’ex ministro della Sicurezza messicano Genaro García Luna, riconosciuto colpevole di almeno cinque reati legati al traffico di droga e attualmente in carcere a New York.

“È molto probabile che stiano aspettando che passino le elezioni, ma queste sono decisioni che prendono loro e noi le rispettiamo”.

Sterilizzazione forzata: l’ultima arma contro i Nativi Americani

 

di Raffaella Milandri*

Tra il 1970 e il 1980, il 42% delle donne native americane fu sterilizzato contro il proprio consenso. Al piano governativo statunitense diede il via, il 16 marzo 1970, la firma dell’allora Presidente Richard Nixon.

Eugenetica e selezione della razza dominante

Tra i diversi strumenti usati dal Governo statunitense per risolvere il cosiddetto “problema indiano” abbiamo visto, nei miei precedenti articoli, l’istituzione delle riserve e le scuole residenziali indiane. Ma ce ne sono altri, recenti e malefici. Il più subdolo, la sterilizzazione forzata, ci fa tornare subito in mente l’eugenetica e i laboratori nazisti.

L’arrivo del darwinismo esaltò le correnti razziste e sessiste che avevano preso piede all’inizio del XIX secolo. Lo studioso statunitense E. D. Cope identificò quattro gruppi inferiori nella scala evolutiva dell’uomo: i non-bianchi, le donne, i bianchi del sud Europa, inclusi Italiani ed Ebrei, e le classi sociali inferiori. Queste correnti di pensiero crearono il movimento eugenetico. Sir Francis Galton, un cugino di Darwin, decretò che la riproduzione umana doveva essere regolamentata per assicurare ai “migliori”, specialmente delle classi alte, la possibilità di dominare. Nel 1912 a Londra si tenne il primo Congresso Internazionale sulla eugenetica, cui parteciparono anche Winston Churchill e scienziati italiani ispirati dalle teorie degenerazioniste di Lombroso.

Sebbene le tendenze di Churchill siano state rimosse dalla sua biografia, oggi molte fonti citano i suoi discorsi: “Non sono d’accordo che il cane nella mangiatoia abbia il diritto finale alla mangiatoia, anche se vi è stato per un tempo molto lungo. Non ammetto quel diritto. Non ammetto, ad esempio, che un grande male sia stato fatto ai Rossi Indiani d’America o al popolo nero d’Australia. Non ammetto che un male sia stato fatto a questa gente perché una razza più forte, una razza di più alto livello, una razza più saggia nel mondo è arrivata e ha preso il loro posto” (Discorso alla Peel Commission 1937). In gran parte dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti furono applicati provvedimenti di carattere eugenetico, a partire dalla fine dell’Ottocento: sia con una legislazione volta a indirizzare le scelte riproduttive, sia attraverso la sterilizzazione forzata e la rimozione degli “elementi negativi” per la razza. In Italia la sterilizzazione forzata non fu mai approvata, grazie all’opposizione della Chiesa Cattolica.

Nel movimento eugenetico americano, in quegli anni, Carl Brigham faceva notare come l’immigrazione nel paese “scendesse” di qualità: meno sangue superiore nordico, “ariano”, e più sangue inferiore mediterraneo. Le razze inferiori furono additate come parassiti umani e “schifosi, non-Americani e pericolosi”. Il movimento eugenetico promosse a quel punto la sterilizzazione degli “inadatti” e Harry Laughlin disegnò una proposta di legge per la sterilizzazione, che fu adottata in diversi stati americani. Grazie a queste leggi, che erano espressamente rivolte a “epilettici, disabili mentali, alcolizzati, drogati e criminali”, almeno 50.000 sterilizzazioni furono eseguite negli Stati Uniti entro il 1940. Ma il peggio doveva ancora venire.

Anche se le azioni di Hitler avrebbero dovuto far impallidire e vergognare qualunque simpatizzante dell’eugenetica. In merito alla tempesta di sterilizzazioni che travolse migliaia di donne americane e migliaia di donne native americane, così dichiarava nel 1978 il Dipartimento della Salute americano: “La sterilizzazione volontaria è legale in tutti gli stati. Pur se la maggior parte degli stati non ha uno statuto che regola questa pratica, più della metà autorizza la procedura attraverso l’opinione degli avvocati, o le decisioni dei giudici, o regole del Dipartimento della Salute, o implicitamente attraverso il consenso degli interessati”. Proprio l’IHS, Indian Health Service, che avrebbe dovuto prendersi cura della salute dei Nativi Americani, ebbe una parte fondamentale nella sterilizzazione delle donne native americane; solo le ripetute grida di denuncia di genocidio poterono fermare questo abominio.

La cosiddetta “pianificazione familiare” degli Stati Uniti, il Family Planning

Il programma di sterilizzazione forzata, presumibilmente, fu scoperto da membri dell’American Indian Movement durante l’occupazione del Quartier Generale del Bureau of Indian Affairs nel 1972. Nel 1974 uno studio condotto dal WARN (Women of All Red Nations) concluse che fino allora il 42% delle donne native americane in età fertile fosse stato sterilizzato senza consenso.

Il 16 marzo 1970 Nixon firmò il Family Planning Services and Population Research Act. Si intende con Family Planning (pianificazione familiare) la progettazione del controllo delle nascite, nel presupposto di aiutare una coppia ad avere bambini nel modo migliore, o a non averli se così decidono. La legge fu richiesta dalla amministrazione del governo nel luglio 1969, per siglare un impegno nazionale che provvedesse un adeguato servizio di pianificazione familiare a tutti coloro che lo richiedessero, ma non potessero permetterselo. Il Presidente Nixon dichiarò pubblicamente che però era contrario all’aborto e in questo programma non ci sarebbero stati fondi o servizi per l’aborto come soluzione al controllo delle nascite.

Dal 1970, la sterilizzazione è divenuta il più comune sistema di controllo delle nascite per donne oltre i 25 anni negli Stati Uniti. Tra il 1970 e il 1980, le sterilizzazioni triplicarono. Nel 1982, il 15% delle donne bianche, il 24% delle afro-americane, il 35% delle donne portoricane e, in vetta alla triste classifica, il 42% delle donne native americane era stato sterilizzato. Nei primi anni ’70, una stima di 100.000/ 150.000 individui, inclusi uomini a basso reddito, venivano ogni anno sterilizzati sotto i programmi finanziati dal governo statunitense. Come in passato, i pregiudizi sociali e l’ideologia di una classe prevalentemente razzista consentirono che ciò avvenisse. 

Il National Women’s Law Center (NWLC) denuncia in un report del 2022 che in oltre 30 stati americani è tuttora legale la sterilizzazione forzata. Si autorizza la procedura sulla base dell’opinione del giudice, o del Procuratore Generale, o leggi dell’Health and Welfare Department, o attraverso il consenso dell’interessato. Negli anni ’70 la sterilizzazione fu praticata attraverso scappatoie: “consensi” strappati o giocati su poca chiarezza, ricatti, bugie. Quindi sterilizzazione non consensuale. Molte donne erano classificate come “cattive ragazze”, o diagnosticate come “focose”, “maniache assatanate” o “sessualmente difficili”. La sentenza del caso Buck vs. Bell deliberò che, se lo statuto di uno stato permetteva la sterilizzazione obbligatoria sugli inabili, inclusi i “ritardati mentali”, per la protezione e la salute dello Stato, non violava il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti in difesa dei diritti civili. La “Eugenetica Negativa” intendeva migliorare la razza umana eliminando “difetti” dal patrimonio genetico. E spalancò le voragini per migliaia di persone che furono sterilizzate contro la propria volontà o perseguitate come sub-umani.

Il “trapianto di utero”

Una giovane donna indiana di ventisei anni entrò nello studio della dott.ssa Connie Pinkerton-Uri, a Los Angeles, in un giorno di novembre del 1972. E chiese un “trapianto di utero”, per poter avere dei bambini con suo marito. Un medico del Servizio Sanitario Indiano le aveva praticato un’isterectomia completa sei anni prima, quando lei aveva avuto problemi di alcolismo. E le aveva assicurato che l’isterectomia era reversibile. La dottoressa Pinkerton dovette dire alla donna piangente la verità: non esisteva nessun “trapianto di utero”.

Due giovani donne indiane entrarono nell’ospedale del Servizio Sanitario Indiano del Montana per appendicite, in un giorno di ottobre del 1970, e ricevettero un “servizio extra gratuito”: la legatura delle tube. Bertha Medicine Bull, membro della tribù dei Northern Cheyenne, riporta: “Le due ragazze sono state sterilizzate all’età di quindici anni, senza consenso e senza dir loro nulla. Né avvisare i loro genitori”.

In un caso di molestie sessuali in Oklahoma, nella struttura di Claremont, a una donna nativa fu detto da assistenti sociali e da altro personale dell’ospedale che era una cattiva madre, e che le avrebbero portato via i suoi bambini. Avrebbero dato in affidamento i suoi bambini se non avesse accettato di sottoporsi alla sterilizzazione. Ho avuto modo pochi anni fa di raccogliere dal vivo testimonianze di native vittime della sterilizzazione forzata, giovanissime negli anni Ottanta (per approfondire: “La mia Tribù. Storie autentiche di Indiani d’America”, Raffaella Milandri, Mauna Kea Edizioni).

Mentre, sull’onda dei movimenti pacifisti del ’68 e post-vietnam degli anni ’70, il cinema americano iniziava a “riscattare” gli indiani con pellicole come Soldato Blu e Un uomo chiamato cavallo, rendendo finalmente giustizia laddove i ”pellirosse” erano sempre stati “i cattivi”, veniva attuato il Family Planning Act del 1970. Un piano di efferata sterilizzazione forzata e contro la volontà delle donne native americane, e non solo, tra i 15 e i 44 anni. Dopo ripetute proteste e segnalazioni, nel 1976 il Government Accounting Office condusse un’inchiesta che sfociò nel GAO Report. Il GAO Report non verificò se fossero state praticate sterilizzazioni forzate, ma attestò che vi erano stati difetti procedurali, che i moduli di consenso non erano a norma, e che i medici non avevano “compreso” le disposizioni. Diversi moduli di consenso, inoltre, erano stati firmati il giorno dopo la sterilizzazione. Nessuna nativa americana fu chiamata a testimoniare.

Perché avvennero queste sterilizzazioni in tempi non sospetti, a cavallo tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80? Non solo su donne indiane, ma in gran misura anche su afro-americane e di razza ispanica. Le ragioni del Governo degli Stati Uniti furono sociali ed economiche. Limitare le nascite in famiglie povere e appartenenti alle minoranze razziali era un “bene” per la società e un aiuto per le famiglie povere, che potevano sopravvivere meglio senza troppi bambini. E si limitavano le spese del Medicaid, il programma di assistenza sanitaria statunitense per i meno abbienti. Vari studi, tra cui quello della dott.ssa Choctaw-Cherokee Connie Pinkerton-Uri rivelano che l’Indian Health Service tra il 1970 e il 1976 sterilizzò dal 25 al 50% di donne native americane, di età compresa fra i 15 e i 44 anni. Prediligendo le donne di puro sangue indiano. E usando spesso minacce e ricatti, o facendo firmare moduli durante il dolore del travaglio. Il giudice tribale Marie Sanchez interrogò 50 donne Cheyenne e scoprì che 26 di esse erano state sottoposte a sterilizzazione forzata dai medici dell’IHS. L’abuso di sterilizzazioni non consensuali afflisse l’intera comunità degli Indiani d’America: un’epidemia di divorzi, alcolismo, abuso di droghe, depressione mise i Nativi Americani per l’ennesima volta in ginocchio, oltre a metterne a rischio la sopravvivenza.

Emily Moore nei suoi studi mette in risalto come, tra i Nativi Americani, i figli siano vitali per la famiglia, ma anche per la sopravvivenza del gruppo e dell’identità tribale. La politica di “controllo delle nascite” dell’IHS produsse una serie di effetti che non sono certo secondari: le comunità tribali, diminuendo di popolazione, ebbero assistenza e servizi ridotti, numero di votanti per le elezioni limitato e un numero minore di rappresentanti che potessero tutelarli. Quindi potere politico minore sia ai consigli tribali e sia al governo. Torna sempre, di fronte a tutto ciò, lo spettro della prima ragione per gli stermini di Nativi Americani: la terra e il denaro. Farli fuori una volta per tutte, tagliare i costi assistenziali e prendere le risorse naturali delle riserve. Un crimine perpetrato con lucidità e determinazione, per “stemperare” il sangue indiano in una tonalità sempre più “bianca.”

 

*Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.

Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi.

Paolo Maddalena – Escludere Scurati dalla Rai tradisce in pieno la Costituzione: un evento gravissimo

 

La comunicazione giornalistica e radiotelevisiva, secondo i noti canoni della deontologia professionale, deve essere “vera”, “utile” e “interessante”. Tutte qualità fortemente presenti nel “monologo” di Antonio Scurati (riguardante la “liberazione” dai crimini e dalle stragi del nazifascismo: l’assassinio di Matteotti, le Fosse ardeatine, Marzabotto, ecc,), che Raitre avrebbe dovuto trasmettere nella ricorrenza della “Liberazione”, ma che è stato improvvisamente eliminato dal programma con una decisione che, nella sua essenza, è stata contro “la verità storica”, contro la “utilità” di far conoscere, specie alle nuove generazioni, ciò che è realmente avvenuto, e contro l’ “interesse” che tutti hanno di conoscere la storia del Popolo di cui fanno parte.

Ed è gravissimo che ciò sia avvenuto in Rai, cioè in una sede radiotelevisiva che appartiene a tutti i cittadini, i quali, peraltro, proprio ai fini appena detti, pagano di tasca propria un non indifferente “canone” annuo.

Non mi occupo di politica, ma di Costituzione. E pertanto ritengo inutile ricercare gli autori di questo misfatto radiotelevisivo. Desidero solo rilevare che si tratta di una operazione che tradisce in pieno l’articolo 21 della nostra Carta costituzionale, secondo il quale le comunicazioni di questo genere “non possono essere soggette ad autorizzazioni o censure”. Ripeto “censure”, perché di proprio questo si tratta. E si badi bene che la libertà di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, è il principale strumento di cui si serve la democrazia, per quell’enorme salto di civiltà che consiste nel sostituire alla “forza e alla violenza”, la “dialettica e la persuasione”.

Dunque dobbiamo purtroppo registrare un evento gravissimo, che può facilmente essere inteso come il “preannuncio”, insieme a molti altri recenti eventi diretti a evitare il “dissenso” giornalistico, della fine del nostro “Stato democratico”, nella prospettiva di “un uomo solo al comando”: un “premier” eletto direttamente dal Popolo, il quale, inconsapevolmente, si spoglia così del diritto fondamentale della propria “partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 Cost.).

 

The Guardian – La spesa militare mondiale ha raggiunto livelli senza precedenti

Il volume totale delle spese militari dei Paesi del mondo ha rinnovato un record, raggiungendo un totale di 2440 miliardi di dollari entro la fine del 2023, come riporta The Guardian in riferimento a un nuovo rapporto dell’Istituto di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (SIPRI). 
 
Secondo la pubblicazione britannica, ciò è stato possibile grazie alla crescita estremamente rapida che le spese per la difesa del mondo hanno mostrato nel 2023: rispetto al 2022, sono aumentate del 6,8%, il livello più alto dal 2009. 
 
Come si legge nel materiale pubblicato da The Guardian, gli analisti del SIPRI nel 2023 hanno registrato per la prima volta nell’intero periodo di osservazione un aumento delle spese militari in tutte e cinque le regioni geografiche da loro studiate – in Africa, Europa, Asia e Oceania, Americhe e Medio Oriente. 
 
Nan Tian, ricercatore senior del Programma di spesa militare e produzione di armi del SIPRI, ha affermato che il desiderio dei Paesi di armarsi il prima possibile comporta il rischio di conflitti involontari.
 
“L’aumento senza precedenti della spesa militare è una risposta diretta al degrado in termini di pace e sicurezza in tutto il pianeta”, scrive il Guardian. “Gli Stati ora danno priorità al potere militare, ma in un panorama geopolitico e di sicurezza sempre più imprevedibile, rischiano di essere risucchiati in una spirale di azione e reazione”.

Il “piano Draghi”: ora sappiamo in cosa evolverà l’UE

di Giuseppe Masala per l’AntiDiplomatico

Io credo che le prossime elezioni europee andrebbero inquadrate nel modo più corretto possibile. Provo a dare la mia interpretazione.

1 Si dà troppo spazio alla candidatura di quella sciagurata di Ilaria Salis alle elezioni europee. Siamo di fronte alla solita arma di distrazione di massa utile a far distogliere lo sguardo dell’opinione pubblica dai problemi che contano (vedi punto 2). L’unico aspetto interessante della candidatura della Salis è che dimostrano come le elezioni siano solo puro teatro che non influisce sui destini né dei singoli né dei popoli europei. Puro intrattenimento orientato alla distrazione delle masse mentre le élites hanno già deciso i nostri destini nella nostra totale inconsapevolezza.

2? Le élites europee indipendentemente dalla “volontà popolare che verrà espressa nelle elezioni” hanno già deciso il da farsi. Per esporci il progetto hanno messo come front man il miglior cavallo di razza della scuderia: Mario Draghi dal quale il piano prende il nome. Di fatto il cosiddetto “Piano Draghi” non è nient’altro che la evoluzione dell’UE fino alla sua definitiva trasformazione in “Stati Uniti d’Europa”. Sia detto per inciso, ma le mosche cocchiere italiane come Renzi (che hanno fiuto e anche accesso alle segrete stanze) questa cosa l’hanno ben capita e infatti chiameranno la loro lista per le elezioni europee “Stati Uniti d’Europa”. Andiamo a vedere nel prossimo punto cosa si intende per “Piano Draghi” nello specifico.

3 Per comprendere a fondo il Piano Draghi credo che basti domandarsi cosa manchi all’Unione Europea per considerarsi uno stato federale. La risposta è semplice se si considera che i due aspetti fondamentali che contraddistinguono la sovranità di uno stato sono il conio della moneta e la spada della difesa. Si noti bene che questa non è solo l’opinione di chi scrive, ma anche quella – ben più autorevole – di Romano Prodi. Manco a farlo apposta, puntare tutto sulla costituzione dell’esercito unico europeo permette di risolvere il maggior problema politico dell’Unione Europea che vedremo al prossimo punto.

4? Sappiamo tutti che l’Unione Europea fin dalla sua fondazione si è basata su un asse insostituibile, quello Parigi-Berlino. Il problema è che in questa fase storica quest’asse è assolutamente incrinato per cause materiali. La Francia è la grande malata e grande debitrice dell’Unione Europea. La sua posizione finanziaria netta è negativa per circa mille miliardi di dollari; si tratta di una cifra che porta dritti alla bancarotta e alla reductio ad Argentina. Fino ad ora Parigi è riuscita a rimanere a galla grazie all’Euro che consente ai capitali tedeschi (la Germania è il grande creditore d’Europa con circa tremila miliardi di dollari di posizione finanziaria netta positiva) di fluire liberamente verso la Francia consentendole così di evitare una terribile crisi finanziaria. Il punto è però che gli interessi tedeschi e quelli francesi, in questa fase storica, non sono più mediabili. Se la Grande Debitrice (la Francia) ha interesse ad alleggerire il suo fardello di cambiali, la Grande Creditrice (la Germania) ha l’interesse a farsi pagare e dunque a preservare il proprio capitale.  Come si può capire in una fase storica di enorme crisi geopolitica e di crisi economica incombente le posizioni sono irrimediabilmente opposte. Non casualmente la Germania frena su qualunque possibile intervento diretto europeo nel conflitto ucraino mentre la Francia fa di tutto per creare i presupposti per l’intervento diretto. E’ chiaro, il debitore cerca di bruciare il proprio debito impagabile in un conflitto armato mentre il creditore tenta in tutti i modi di evitare l’entrata nel conflitto mettendo così a rischio il proprio capitale. A rafforzare ancora di più questa situazione vi è poi anche il particolare – certamente non ininfluente – che la Grande Debitrice è dotata di armi atomiche e dunque si sente protetta da un attacco di ritorsione diretto al proprio territorio mentre la Grande Creditrice è sostanzialmente disarmata e quindi vede con terrore l’entrata diretta nel conflitto contro la Russia. La proposta dell’esercito unico europeo indicata nel Piano Draghi risolve questa enorme divaricazione di interessi tra Parigi e Berlino che ormai incrina l’architrave franco-tedesco su cui si fonda l’intera costruzione europea. Infatti la Francia ha un forte esercito, dotato peraltro del deterrente nucleare, e conseguentemente ha una forte industria degli armamenti che nelle rilevazioni del SIPRI di Stoccolma nel quinquennio 2018-2023 la pone al secondo posto per export a livello mondiale dopo gli USA  mentre, dall’altro lato, la Germania ha i risparmi in grado di sostenere gli investimenti considerato che ha una posizione finanziaria netta di oltre tremila miliardi di dollari ai quali poi vanno aggiunte le posizioni positive detenute dagli altri paesi della cosiddetta “ex area del Marco”, come l’Olanda, l’Austria, la Danimarca, la Svezia, il Lussemburgo. Insomma la potenza di fuoco dei risparmi nordeuropei messi a disposizione per finanziare gli investimenti necessari al riarmo europeo, dove, ovviamente la Francia ha quel know how che le consentirebbe di avvantaggiarsi a livello di esportazioni riducendo il suo enorme debito estero. Dall’uovo di Colombo all’uovo di Draghi il passo è breve. Se mi è concessa l’ironia bisognerebbe dire, più precisamente, che questo uovo oltre a Draghi lo stava covando (non a caso) anche il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire che si era già dimostrato strenuo sostenitore delle posizioni di Draghi durante l’Ecofin di Gend del 24 febbraio ultimo scorso e di cui vi ho già scritto in un articolo per l’AntiDiplomatico. Certo, ancora gli stati e le istituzioni europee si devono mettere d’accordo sulla veste tecnico-finanziaria che dovranno dare all’operazione. Forse faranno un veicolo privato ad hoc (come il MES per intenderci) dove faranno confluire i finanziamenti a fronte dell’emissione di obbligazioni private, oppure potranno far confluire le risorse in una sorta di Ente Europeo per il Riarmo direttamente dagli stati che si saranno finanziati con l’emissione di speciali titoli di stato “di scopo” oppure ancora una soluzione intermedia tra questi due estremi. La fantasia agli sherpa europei non è mai mancata.

5? Dunque tutto bene? Con il Piano Draghi l’Unione Europea ritroverà la prosperità perduta a causa delle rovinose sanzioni alla Russia che ci hanno fatto perdere la competitività nei mercati internazionali? Tornerà finalmente anche la concordia tra gli stati della UE ed in particolare tra Germania e Francia grazie all’utile scambio tra armi francesi e risorse finanziarie tedesche? Io direi di no, ancora qualcosa non torna. E di preciso a non tornare è il fatto che la competitività europea non può tornare senza l’energia e le materie prime a basso costo che la Russia garantiva da trenta anni. E allora qual è il senso profondo del piano? Secondo me sta nel fatto che una volta riarmata, l’Europa potrà scegliere di andarsi a prendere manu militari quelle risorse necessarie al suo benessere lì dove si trovano. Ovvero in Africa e in Russia. Che poi è esattamente quello che ci fanno intendere gli americani quando dicono che l’Europa questa volta dovrà assumersi tutte le sue responsabilità anche perché gli USA saranno impegnati in Estremo Oriente nell’assedio alla Cina e probabilmente anche nel Medio Oriente.

Chi appartiene alla mia generazione e Mario Draghi lo conosce bene sin dai tempi delle folli privatizzazioni italiane sa che i suoi piani hanno sempre una sorpresa finale, peraltro non esattamente piacevole. Timeo Danaos et dona ferentes di Virgilio forse andrebbe aggiornata in Timeo Dracones et dona ferentes.

The Spectator – Aiuti statunitensi troppo modesti e troppo in ritardo per gli ucraini

All’ultimo momento, quando le truppe russe erano sull’orlo di una grande conquista in Ucraina, il Congresso degli Stati Uniti ha votato a favore di oltre 61 miliardi di dollari di aiuti militari a Kiev, ha scritto Owen Matthews, editorialista di The Spectator.

Il denaro arriverà a Kiev in un momento critico per le forze armate ucraine. Gli alleati europei non sono riusciti ad acquistare e produrre in tempo la quantità di munizioni necessaria e, di conseguenza, l’esercito ucraino segnala un’estrema carenza di proiettili d’artiglieria.

Ancora più importante, la mancanza di una difesa missilistica ha fatto sì che i missili balistici e da crociera russi distruggessero quasi completamente le infrastrutture di produzione di energia elettrica a Charkiv, la seconda città dell’Ucraina, e danneggiassero gravemente infrastrutture simili a Kiev.

Gli Stati Uniti inizieranno ora una frettolosa ripresa di un massiccio sforzo logistico che ha visto la consegna all’Ucraina di equipaggiamenti militari statunitensi per un valore di circa 60 miliardi di dollari tra l’aprile 2022 e la scorsa estate.

Per molti ucraini comuni, tuttavia, l’aiuto di Washington si rivelerà troppo modeto e troppo in ritardo.

Certo, è positivo che compaiano altre armi. Ma ora sappiamo qual è il nostro posto, sappiamo quale valore gli Stati Uniti attribuiscono alle vite degli ucraini. Ed è molto più basso di quello delle vite degli israeliani“, ha dichiarato alla pubblicazione l’ingegnere informatico Mykhailo Spivak, che ora sta sviluppando droni a supporto della fanteria ucraina.

Come ricorda la pubblicazione, una legge separata che approvava i finanziamenti a Israele è passata facilmente al Congresso degli Stati Uniti: 365 membri del Congresso hanno votato a favore e solo 57 i contrari.

Le critiche ‘all’eccesso di capacità produttiva cinese’: un falso mito per rafforzare l’Occidente?

L’incontro dei Ministri degli Esteri del G7 a Capri ha evidenziato una volta di più le tensioni economiche emergenti tra le nazioni industrializzate e la Cina. Le preoccupazioni principali riguardano le politiche e le pratiche “non di mercato” del gigante asiatico, come evidenzia il Global Times.

Il comunicato finale del G7 ha messo in luce “l’eccesso di capacità produttiva dannoso” della Cina, accusandola di minare l’economia dei paesi membri attraverso politiche industriali che favoriscono la sovrapproduzione.

Sebbene il G7 abbia espresso una certa riluttanza a disaccoppiarsi completamente dalla Cina, il tono del comunicato suggerisce chiaramente un orientamento verso un protezionismo più marcato contro la produzione cinese. Questa posizione riflette la preoccupazione delle nazioni del G7 per la crescente concorrenza della Cina nel mercato globale.

Tuttavia, alcuni analisti vedono in queste preoccupazioni una manifestazione di protezionismo piuttosto che un tentativo di comprendere le dinamiche economiche complesse e in evoluzione della Cina. La Cina è ancora in un fase di industrializzazione, seppur avanzata, e sta cercando di riformare la sua politica industriale per adattarsi meglio al mercato globale.

In questo contesto, la critica del G7 – evidenzia il Global Times – appare spesso come una mancanza di comprensione della strategia economica cinese. La Cina ha dimostrato di essere attiva nel riformare e avanzare la sua politica industriale per rispondere alle esigenze dello sviluppo nazionale e alle sfide del mercato globale.

Al contrario, le nazioni del G7, essendo in gran parte economie post-industriali, affrontano sfide diverse. Di fronte alla crescente concorrenza cinese, stanno iniziando a considerare l’adozione di strategie simili, soprattutto nei settori dell’infrastruttura e della manifattura di alta gamma.

La vera sfida per il G7 è quindi rappresentata dalla necessità di aggiornare le proprie politiche industriali e di adottare strategie più competitive. In caso contrario, rischiano di perdere quote di mercato a favore della Cina.

È importante sottolineare che il G7 non rappresenta l’intera economia globale e non ha il diritto di decidere quali politiche economiche siano appropriate per le nazioni emergenti. Le dinamiche del mercato, e non gli interessi politici del G7, dovrebbero guidare la competitività industriale.

In conclusione, la sfida tra il G7 e la Cina rappresenta una delle questioni più significative nel panorama economico globale. Una comprensione reciproca e un dialogo costruttivo sono essenziali per affrontare le sfide comuni e per promuovere una crescita economica sostenibile a livello globale, insistono da Pechino.

Gao Jian (Univ. Shangai): “Germania capro espiatorio per l’Ucraina”

La Repubblica Federale Tedesca spera di convincere Pechino a fare pressione sulla Russia per il bene dell’Ucraina. Il professor Gao Jian dell’Università di Studi Internazionali di Shanghai, tuttavia, ritiene che se c’è qualcuno che avrebbe dovuto cambiare rotta è Berlino, che si lascia manipolare e si è trasformata in un “capro espiatorio per l’Ucraina”, sostenendone tutti i costi. Il professore cinese ritiene che il conflitto si sarebbe potuto evitare rifiutando l’espansione della NATO, mentre ora è necessario cercare un equilibrio di interessi con la Russia.

Barbados riconosce lo Stato della Palestina e chiede una tregua

Il ministero degli Esteri delle Barbados ha dichiarato di riconoscere la Palestina come Stato sovrano e ha chiesto la fine della guerra di Israele a Gaza.

Il ministro degli Esteri delle Barbados, Kerrie Symmonds, ha dichiarato venerdì in un comunicato che il suo Paese ha “preso la decisione di riconoscere lo Stato della Palestina”.

In questo modo, il Paese caraibico pone fine ad anni di incoerenza politica, avendo sempre sostenuto un approccio al conflitto basato su due Stati sulla scena internazionale.

“Nonostante abbiamo detto al mondo che vorremmo vedere una soluzione a due Stati, le Barbados non hanno mai riconosciuto lo Stato di Palestina. C’è quindi un’incongruenza e un’incoerenza perché ‘come possiamo dire di volere una soluzione a due Stati se non riconosciamo la Palestina come Stato'”, ha detto Symmonds.

Symmonds ha anche espresso il disappunto di Barbados e della Caricom per la crisi umanitaria a Gaza causata dagli attacchi di Israele dal 7 ottobre. Da allora, il regime israeliano ha ucciso più di 34.000 palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini.

“Crediamo fermamente che si stia esagerando. Ci uniamo quindi ai Paesi che hanno già chiesto oggi una de-escalation dell’antagonismo”, ha dichiarato il capo diplomatico delle Barbados.    

USA: Camera dei Rappresentanti approva pacchetto aiuti per Ucraina

La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha votato a favore del disegno di legge di aiuto al regime di Kiev, del valore di 60,8 miliardi di dollari, compresi 23 miliardi di dollari per ricostituire gli arsenali statunitensi.

I legislatori hanno approvato l’Ukraine Supplemental Security Appropriations Act con 311 voti a favore e 112 contrari. Un membro della Camera, il repubblicano Dan Meuser, ha votato in assenza.

Il pacchetto comprende circa 23 miliardi di dollari per la sostituzione di armi, scorte e strutture statunitensi e più di 11 miliardi di dollari per finanziare le operazioni militari statunitensi in corso nella regione. Inoltre, quasi 14 miliardi di dollari aiuteranno l’Ucraina ad acquistare sistemi d’arma avanzati e altre attrezzature per la difesa.

Dopo l’approvazione della Camera dei Rappresentanti, il disegno di legge passa ora al Senato per il voto e sarà poi inviato al Presidente degli Stati Uniti per la firma. Una volta firmata da Joe Biden, l’iniziativa entrerà in vigore.

Va notato che il presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Mike Johnson, che ha presentato il disegno di legge, ha indicato che l’80% dei fondi del nuovo pacchetto di aiuti sarà destinato al rifornimento di armi e riserve statunitensi.

All’inizio della settimana, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato di “sostenere fortemente questo pacchetto” e ha esortato il Senato ad approvarlo “rapidamente”. “Firmerò immediatamente questa legge per inviare un messaggio al mondo: siamo al fianco dei nostri amici e non permetteremo che l’Iran o la Russia abbiano successo”, ha dichiarato.

Nella stessa sessione, la Camera bassa ha votato a favore di un disegno di legge supplementare sulla sicurezza indo-pacifica, che include 8,1 miliardi di dollari e mira a contrastare le azioni della Cina nella regione indo-pacifica.

Inoltre, è stato dato il via libera a un disegno di legge che prevede 26,4 miliardi di dollari di aiuti a Israele.

È stata approvata anche un’iniziativa che approva la confisca dei beni russi congelati a favore dell’Ucraina. Allo stesso tempo, secondo il disegno di legge, la società proprietaria di TikTok, ByteDance, avrà nove mesi di tempo per vendere il social network, altrimenti l’applicazione sarà bandita dagli app store statunitensi.

Politica del doppio standard: l’Occidente e la sua incoerenza nel caso Israele-Iran

Nei nostri articoli ci troviamo, nostro malgrado, a dover denunciare l’insopportabile pratica tutta occidentale del doppio standard. 

Un concetto che troviamo applicato in maniera perfetta dal ministro degli Esteri del Regno Unito David Cameron per commentare la risposta dell’Iran al mortale attacco di Israele contro la propria ambasciata a Damasco in Siria. 

In un’intervista con Sky News all’inizio di questa settimana, Cameron ha criticato aspramente l’Iran per i suoi attacchi militari contro il regime israeliano, ma si è affrettato ad aggiungere che il Regno Unito avrebbe reagito in modo simile se una delle sue ambasciate fosse stata attaccata.

Come noto, nella giornata di sabato l’Iran ha lanciato una raffica di droni e missili direttamente contro i territori occupati da Israele in risposta all’attacco al consolato iraniano a Damasco che ha portato all’assassinio di sette persone, tra cui tre comandanti del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica.

L’attacco israeliano è avvenuto in flagrante violazione del diritto internazionale e la Convenzione di Vienna del 1961, poiché le ambasciate sono considerate inviolabili e suolo del paese che le occupa, quindi in questo caso dell’Iran.

Durante l’intervista, quando il giornalista di Sky News gli ha chiesto come reagirebbe la Gran Bretagna se una delle sue ambasciate venisse “rasa al suolo”, Cameron ha risposto senza alcun tentennamento: “Agiremo in modo molto forte”, spiegando quindi perfettamente che cos’è il doppio standard occidentale. 

Il 57enne ex primo ministro britannico ha tentato di giustificare le sue osservazioni distinguendo tra le azioni di Israele a Damasco e l’attacco dell’Iran su suolo israeliano. “Direi che c’è un enorme grado di differenza tra ciò che Israele ha fatto a Damasco e, come ho detto,” riferendosi a “301 armi”, “36 missili da crociera” e “185 droni” lanciati dall’Iran contro obiettivi militari nel territori occupati.

Nel fare il confronto, Cameron ha faticato a distinguere tra le vittime iraniane e quelle israeliane negli attacchi. L’attacco del regime israeliano contro l’ambasciata iraniana in Siria ha ucciso sette persone, mentre non ci sono notizie formali di vittime nell’attacco iraniano.

Inoltre, non è riuscito a distinguere tra gli avvertimenti pre-attacco di entrambe le parti. Israele ha preso di mira il consolato iraniano senza alcun preavviso, poiché l’intenzione era quella di assassinare i diplomatici iraniani in violazione del diritto internazionale, mentre l’esercito iraniano intendeva prendere di mira le strutture militari del regime sionista. 

George Galloway, membro del Parlamento britannico, ha messo in guardia dai doppi standard dell’Occidente nei confronti di Israele e dell’Iran. 

Esponendo l’incoerenza degli atteggiamenti occidentali, Galloway ha affermato che se gli standard internazionali fossero stati applicati in modo uniforme, i governi occidentali avrebbero condannato il “palese” bombardamento di Israele dell’edificio dell’ambasciata iraniana in Siria, e non solo la risposta dell’Iran alle azioni del regime israeliano.

“Il mantra secondo cui Israele ha il diritto di difendersi non si applica chiaramente all’Iran. Il mantra secondo cui esiste un ordine basato sulle regole, che esiste una Convenzione di Vienna che protegge l’inviolabilità delle sedi diplomatiche di ogni Paese in ogni altro Paese, è chiaramente un’assurdità”, ha affermato il parlamentare britannico.
“Non si applica a coloro che l’impero occidentale disapprova. Altrimenti, ogni governo occidentale avrebbe condannato la sfacciata distruzione dell’ambasciata iraniana a Damasco da parte di Israele. Lo avrebbero fatto anche se si fosse trattato di chiunque altro, non è vero?”.

Nel frattempo, continuando a sostenere militarmente il regime israeliano, le autorità britanniche hanno affermato che la Royal Air Force (RAF) è intervenuta in difesa del regime israeliano durante gli attacchi di sabato sera.

Nell’ambito dell’Operazione Shader, nome in codice degli interventi militari britannici in Asia occidentale dal 2014, sono stati inviati nella regione diversi jet e aerocisterne di rifornimento, secondo quanto dichiarato dal primo ministro Rishi Sunak, che ha confermato che i jet della RAF hanno intercettato e abbattuto “un certo numero” di droni iraniani.

Parlando alla Camera dei Comuni lunedì, Sunak ha detto che “i nostri piloti si sono messi in pericolo” per proteggere il regime e ha riconosciuto il contributo del Regno Unito di “un importante supporto di intelligence, sorveglianza e ricognizione per i nostri partner”.

Il ministro della Difesa britannico Grant Shapps ha inoltre confermato il dispiegamento di ulteriori mezzi militari nei territori occupati come dimostrazione di solidarietà con il regime israeliano.

“In risposta all’escalation nella regione e in collaborazione con i nostri alleati, il Primo Ministro ed io abbiamo autorizzato il dispiegamento di ulteriori mezzi della Royal Air Force”, ha dichiarato Shapps.

Il Regno Unito è uno strenuo alleato di Israele e sostiene il regime sionista con una serie di armi letali. 

Doppi standard come residuo del passato coloniale e imperialista

Il concetto di doppi standard nella politica occidentale è persistente nel corso della storia ed è spesso visto come un residuo di un’epoca passata. Una delle origini della politica occidentale del doppio standard può essere fatta risalire all’era coloniale, quando le potenze europee imponevano i propri valori e convinzioni ad altri paesi e popoli. Questo senso di superiorità e di diritto ha continuato a plasmare gli atteggiamenti politici occidentali, portando alla tendenza a mantenere standard diversi per se stessi e per gli altri.

Un’altra ragione della prevalenza dei doppi standard nella politica occidentale è l’influenza delle dinamiche di potere. I paesi che detengono (detenevano?) il maggior potere, come gli Stati Uniti e le nazioni europee, si considerano in grado di dettare i termini delle relazioni internazionali e di stabilire l’agenda della politica globale. Inoltre, l’eredità dell’imperialismo e del colonialismo ha lasciato un impatto duraturo sugli atteggiamenti occidentali nei confronti delle altre culture e società.

La persistenza di doppi standard nella politica occidentale può avere gravi implicazioni per la stabilità e la sicurezza globale. Quando i paesi potenti agiscono impunemente per imporre la propria volontà agli altri, provocano risentimento e reazione da parte di coloro che si sentono emarginati e oppressi. Come stiamo vendendo in questa epoca di passaggio a una fase multipolare dove i paesi del cosiddetto sud del mondo hanno ormai abbandonato il declinante ordine occidentale a guida anglosassone, studi della loro tracotanza e delle loro angherie. 

Questi doppi standard hanno finito per minare la credibilità e la legittimità delle istituzioni e dei valori occidentali. Perché i paesi occidentali stessi non riescono a essere all’altezza degli standard che sostengono per gli altri. Così facendo hanno portato al crollo della cooperazione e della diplomazia internazionale.

Per affrontare la questione dei doppi standard nella politica occidentale, è importante che i paesi occidentali riflettano sulle proprie azioni e si ritengano responsabili del proprio comportamento. Ciò significa riconoscere i propri limiti e sforzarsi di sostenere i valori di uguaglianza, giustizia e rispetto per tutti i popoli. Significa anche impegnarsi in un approccio più inclusivo e collaborativo alle relazioni internazionali, in cui tutti i paesi siano trattati con dignità e rispetto.

Mondo multipolare: rispetto e sovranità

Uno dei segreti del successo di Russia e Cina sulla scena mondiale è che questi paesi comprendono perfettamente che la cooperazione deve basarsi sul rispetto reciproco e sull’uguaglianza.

 Un mondo multipolare si riferisce a un ordine mondiale in cui il potere è distribuito tra diverse grandi potenze, anziché essere concentrato in un’unica superpotenza. Questa distribuzione del potere consente un sistema internazionale più equilibrato e stabile, poiché ciascuna grande potenza può controllare e bilanciare le altre.

Uno dei principi chiave di un mondo multipolare basato sul rispetto reciproco e sulla sovranità è il riconoscimento e il rispetto della sovranità di tutti gli Stati. La sovranità è il principio secondo cui ogni stato ha il diritto di governarsi senza interferenze da parte di altri stati. In un mondo multipolare, ciascuna grande potenza riconosce e rispetta la sovranità degli altri Stati, consentendo la coesistenza e la cooperazione pacifica. Viene così a crearsi  un sistema internazionale più stabile e prevedibile, poiché gli Stati possono impegnarsi nella diplomazia e nel dialogo basati sul rispetto reciproco.

In un mondo multipolare, le grandi potenze si trattano reciprocamente da pari a pari e si impegnano in un dialogo e in una cooperazione basati sul rispetto reciproco. Questo rispetto reciproco consente la risoluzione dei conflitti attraverso mezzi pacifici, piuttosto che ricorrere alla coercizione o alla forza. Trattandosi reciprocamente con rispetto, le grandi potenze possono costruire fiducia nelle loro relazioni, portando a una maggiore cooperazione e collaborazione su questioni globali.

Un altro aspetto chiave di un mondo multipolare basato sul rispetto reciproco e sulla sovranità è il riconoscimento della diversità degli stati e delle culture. Le maggiori potenze devono riconoscere e rispettare le storie, le tradizioni e i valori unici degli altri Stati, invece di imporre le proprie convinzioni e norme. Per intendrci bene, non esistono eccezzionalismi o superiorità di culture su altre. 

Per costruire un mondo multipolare basato sul rispetto reciproco e sulla sovranità, le grandi potenze devono anche essere disposte a impegnarsi in istituzioni e accordi multilaterali. Il multilateralismo consente agli Stati di lavorare insieme su sfide comuni, mettendo in comune risorse e competenze per raggiungere obiettivi condivisi. Partecipando a istituzioni multilaterali come le Nazioni Unite, le grandi potenze possono creare un quadro di cooperazione e dialogo che promuova la pace e la stabilità nel sistema internazionale.

Gaza, più di 34.000 i palestinesi uccisi da Israele dal 7 ottobre

 

Almeno 34.012 palestinesi sono stati uccisi e 76.833 feriti negli attacchi israeliani a Gaza dal 7 ottobre, secondo il Ministero della Sanità dell’enclave assediata.

Il ministero ha aggiunto che 42 persone sono state uccise e 63 ferite nelle ultime 24 ore.

Secondo l’agenzia UN Women, quasi un terzo delle persone uccise nella guerra di Gaza – almeno 10.000 persone – erano donne.

Di queste donne, 6.000 sono madri, la cui morte ha lasciato 19.000 orfani,si legge nel report di UN Women.

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L’AntiDiplomatico e LAD edizioni sono impegnati a sostenere l’associazione “Gazzella”, in prima linea nel sostegno della popolazione di Gaza. 

Con l’acquisto di “Il Racconto di Suaad” (Edizioni Q – LAD edizioni) dal nostro portale, finanzierete le attività di “Gazzella”.

WSJ: Biden valuta invio di armi a Israele per 1,3 miliardi di dollari

 

Gli accordi sulle armi, se approvati, fornirebbero a Israele 700 milioni di dollari in munizioni per carri armati, 500 milioni di dollari in veicoli tattici e meno di 100 milioni di dollari in colpi di mortaio, secondo funzionari statunitensi citati dal Wall Street Journal.

Questi trasferimenti di armi proposti andrebbero ad integrare quelli presentati in un disegno di legge separato dai repubblicani della Camera, che stanzia 26 miliardi di dollari in ulteriori aiuti militari a Israele.

Biden ha dovuto affrontare una crescente reazione negativa, anche da parte di figure di spicco del suo stesso partito, per aver continuato a fornire armi a Israele, pur sollevando preoccupazioni sulla condotta bellica di Israele e sul peggioramento del bilancio umanitario a Gaza.

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Iran nega un attacco israeliano sul suo territorio – Reuters

In alcune dichiarazioni rilasciate all’agenzia di stampa Reuters, una “fonte iraniana a conoscenza della questione” ha smentito le voci pubblicate dai media israeliani su un “attacco” all’Iran e ha assicurato che il suono delle esplosioni udite questo venerdì nel Paese persiano era dovuto all’attivazione dei sistemi di difesa antiaerea.

Anche diversi media statunitensi hanno parlato di un “attacco” all’Iran, negando il coinvolgimento degli Stati Uniti.

Da parte sua, il Segretariato del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale iraniano ha liquidato come false le notizie riportate dai media su una riunione di emergenza. 

Secondo l’agenzia di stampa iraniana Fars, le esplosioni sono state udite nei pressi dell’aeroporto e della base aerea dell’8° reggimento. 

Secondo l’agenzia di stampa IRNA, le difese aeree sono in funzione in diverse province dell’Iran e i voli per Teheran, Isfahan e Shiraz, così come per gli aeroporti di altre regioni del Paese, sono stati sospesi.

Il media iraniano Press TV sostiene che i sistemi di difesa aerea del Paese sono stati attivati per far fronte a possibili obiettivi. Successivamente, ha rilevato come non siano state segnalate esplosioni su larga scala causati da una minaccia aerea.

Secondo quanto riportato dai funzionari iraniani, il suono di diverse esplosioni udito nella provincia centrale iraniana di Isfahan e nella città nord-occidentale di Tabriz nelle prime ore di venerdì sono dovute al lancio dei sistemi di difesa aerea iraniani. Nel frattempo, i media locali hanno riportato la distruzione di tre micro-aerei da parte dei sistemi di difesa aerea del Paese nei cieli sopra Isfahan.

Immediatamente si è scatenata un’ondata mediatica per attribuire le esplosioni a un “attacco” israeliano, in un momento di forte tensione tra le due parti, dopo l’aggressione sionista all’edificio consolare iraniano in Siria e la successiva operazione “True Promise”, la risposta militare globale della Repubblica Islamica contro il regime di occupazione.

L’Iran ha terminato la sua azione contro il regime di Tel Aviv, che difende come “legittima, reciproca e proporzionata” e ha avvertito che, se Israele dovesse commettere ulteriori aggressioni contro gli interessi iraniani o ricorrere alla forza, la Repubblica Islamica non esiterà a esercitare il suo diritto intrinseco di dare una risposta immediata, decisa e dura per autodifesa.

Nella notte del 13 aprile, l’Iran aveva lanciato 300 droni e missili circa contro Israele in risposta al crimine contro il consolato iraniano a Damasco. Il capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane, il tenente generale Herzi Halevi, aveva dichiarato lunedì che l’attacco iraniano a Israele “sarà accolto con una risposta”.

IN AGGIORNAMENTO

 

La politica estera di Macron scredita la Francia

L’intercettazione da parte della Francia di missili iraniani sopra la Giordania all’inizio di questo mese rappresenta l’ultimo errore di Macron che ulteriormente scredita il suo Paese sul fronte della politica estera. Nel 2018, il leader francese si attribuì il merito di aver impedito una guerra civile in Libano l’anno precedente, dopo che il suo intervento diplomatico contribuì a risolvere la crisi nata dalle dimissioni scandalose dell’ex Primo Ministro Hariri mentre si trovava in Arabia Saudita. Fu intorno a quel periodo, alla fine del 2017, che Macron iniziò anche a parlare della creazione di un’Esercito Europeo.

Questi passi hanno fatto pensare a molti che la Francia stesse cercando di rilanciare le sue tradizioni di politica estera indipendente, percezione rafforzata dalle parole di Macron a The Economist alla fine del 2019, quando dichiarò che la NATO era cerebralmente morta. Gli Stati Uniti presero poi la loro rivincita sulla Francia sottraendole un accordo da miliardi di dollari per un sottomarino nucleare con l’Australia due anni dopo, per creare AUKUS. Le divergenze di visione sulla politica estera tra questi due Paesi dal 2017 al 2021 erano chiaramente diventate una tendenza.

Questo cominciò a cambiare dopo lo scoppio della guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina all’inizio del 2022, dato che la Francia si schierò subito con gli Stati Uniti sanzionando la Russia e fornendo armi all’Ucraina. Quello è stato il primo grande errore di politica estera di Macron, poiché screditava la percezione che aveva cercato di costruire dal 2017 di una Francia che rilanciava le sue tradizioni di politica estera indipendente sotto la sua guida.

Nel frattempo, il tallone d’Achille di questa strategia rimaneva l’Africa, dove la Francia continuava a dominare i suoi ex sudditi imperiali attraverso una forma rozza di neocolonialismo che ostacolava lo sviluppo socio-economico. Non c’era molta dinamicità su questo fronte fino al 2022-2023, dopo i rispettivi colpi di Stato patriottici in Burkina Faso e Niger che liberarono il Sahel dalla “sfera di influenza” francese, prima dei quali Macron avrebbe potuto riformare questa politica per prevenire tali eventi.

Ecco il secondo grande errore di politica estera, poiché non trattare questi Paesi con il rispetto che meritano, specialmente non offrendo aiuti d’emergenza per gestire le crisi domestiche causate dalle sanzioni anti-russe dell’Occidente, ha segnato la fine della “Françafrique”. La Francia avrebbe potuto invece promuovere una politica estera veramente indipendente lì, progettata per mantenere la sua influenza storica nelle condizioni moderne, permettendole di competere meglio con la Russia.

Il panico suscitato a Parigi dall’espulsione della Francia dal Sahel spinse Macron a cercare di creare una “sfera di influenza” nel Caucaso Meridionale centrata sull’Armenia. A tal fine, il suo Paese si unì agli Stati Uniti nel tentativo di attrarre l’Armenia fuori dal CSTO, sfruttando falsi percezioni sull’inaffidabilità della Russia. Questa narrazione di guerra informativa fu promossa con aggressività all’interno della società armena dalla lobby della diaspora ultranazionalista con sede in Francia (Parigi) e negli Stati Uniti (California).

Sebbene ciò sia stato un successo nel senso che l’Armenia ha sospeso la sua partecipazione al CSTO e si è decisamente orientata verso l’Occidente, cercando ora “garanzie di sicurezza”, è stato probabilmente una vittoria di Pirro per la Francia, poiché ha rovinato le relazioni con la Turchia. Visto che quella nazione esercita un’influenza immensa nel mondo islamico, la politica filo-armena della Francia può quindi essere considerata il terzo grande errore di politica estera di Macron, poiché ha influenzato negativamente come i musulmani vedono la Francia.

Per quanto riguarda il quarto errore, riguarda la minaccia di Macron a fine febbraio di intervenire militarmente in Ucraina, specificando che ciò potrebbe avvenire attorno a Kiev e/o Odessa nel caso in cui la Russia ottenesse una vittoria. Questo può essere considerato un grande errore di politica estera perché ha immediatamente esposto le profonde divisioni all’interno della NATO su questo scenario dopo che molti leader hanno condannato la sua affermazione avventata.

Evidentemente, pensava che presentare la Francia come estremamente bellicosa verso la Russia avrebbe attirato l’elite occidentale, ma l’effetto è stato l’opposto: la Francia è sembrata un cecchino sconsiderato che rischiava di scatenare la Terza Guerra Mondiale per errore, con alcune preoccupazioni che l’ego di Macron stesse diventando pericoloso per tutti. Queste nuove percezioni hanno comprensibilmente screditato la Francia agli occhi dei suoi alleati.

Infine, il quinto e ultimo grande errore di politica estera è stato quando Macron ha ordinato ai suoi piloti in Giordania di intercettare alcuni dei missili lanciati dall’Iran contro Israele come rappresaglia per l’attacco al suo consolato a Damasco. Facendo ciò, ha inflitto un duro colpo al soft power della Francia nel mondo islamico, che aveva cercato di migliorare dopo il suo intervento diplomatico in Libano alla fine del 2017. Sostenendo apertamente Israele, Macron rischia anche di provocare l’ira dei musulmani francesi.

Questo gruppo demografico è facilmente mobilitabile e ha un precedente di turbolenze nella società con le grandi proteste organizzate dai loro leader comunitari negli anni. Sono anche un importante blocco elettorale, coloro che sono cittadini, il che potrebbe ostacolare notevolmente la sua capacità di nominare un successore una volta scaduto il suo secondo mandato nel 2027. I musulmani francesi potrebbero votare per altri candidati, riducendo così le possibilità che il candidato di Macron arrivi al secondo turno.

La serie di grandi errori di politica estera di Macron potrebbe non essere dovuta solo a lui personalmente, ma potrebbe essere attribuibile anche parzialmente a fattori sistemici. Il Valdai Club ha pubblicato lo studio “Crafting National Interests: How Diplomatic Training Impacts Sovereignty” il mese scorso, che sostiene che le riforme implementate sotto la sua amministrazione rischiano di diminuire il ruolo delle tradizioni diplomatiche nazionali. In termini pratici, i funzionari nazionali si stanno trasformando in funzionari globali, o essenzialmente in burattini degli Stati Uniti.

In fondo, sebbene Macron abbia l’ultima parola sulla politica estera, è anche consigliato da esperti diplomatici sulla migliore strategia possibile per avanzare gli interessi francesi in qualsiasi situazione. Invece di concepire questi interessi come nazionali, come hanno fatto all’inizio del suo mandato durante la crisi libanese del 2017 prima delle riforme del 2022, l’anno in cui tutto è cominciato a declinare, hanno iniziato a concepirli come inestricabili da quelli dell’Occidente collettivo. Ciò ha comportato una cessione di sovranità.

Il risultato finale è che la Francia si è entusiasticamente unita alla guerra per procura della NATO contro la Russia, ha perso la sua “sfera di influenza” nel Sahel, ha rovinato le relazioni con la Turchia (già indebolite dai precedenti errori di Macron) alleandosi con l’Armenia, ha perso la fiducia degli alleati della NATO rivelando dettagli sulle loro segrete discussioni riguardo all’intervento convenzionale in Ucraina e si è screditata agli occhi di tutti i musulmani sostenendo apertamente Israele contro l’Iran.

A questo ritmo, non c’è più alcuna credibile possibilità che la Francia rilanci le sue tradizioni di politica estera indipendente dopo i cinque grandi errori di politica estera commessi da Macron negli ultimi due anni. Ha inflitto così tanto danno alla reputazione del suo Paese che è impossibile riparare finché rimane al potere. Ancora peggio, sta risvegliando un vespaio a casa rischiando ulteriori agitazioni musulmane a causa delle sue politiche fortemente pro-israeliane, il che non promette nulla di buono per il futuro della Francia nei prossimi anni.

(Articolo pubblicato in inglese sulla newsletter di Andrew Korybko)

Maduro: “Le sanzioni non sconfiggeranno il Venezuela”

Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha respinto le sanzioni imposte dagli Stati Uniti in occasione dell’inaugurazione dell’incontro ‘I ExpoVenezuela Produce 2024’.

“Non abbiamo bisogno di una licenza per crescere, per lavorare, non siamo schiavi, non siamo diventati una colonia gringo, il Venezuela produce con le proprie mani”, ha detto il presidente che ha affermato che le sanzioni statunitensi non influiscono sugli sforzi del Paese per costruire un nuovo modello economico produttivo, come segnala teleSUR.

Maduro ha affermato che “non c’è nessuna sanzione, non c’è nessuna minaccia che oggi possa danneggiare lo sforzo di costruire un modello economico produttivo, dipendiamo solo dal nostro lavoro e dall’unione che abbiamo”. 

Ha denunciato che i settori dell’opposizione del Paese continuano con la richiesta di sanzioni da parte del Governo degli Stati Uniti contro la nazione bolivariana.

Nonostante le cospirazioni e le minacce, il governo venezuelano si è concentrato sul lavoro e sulla semina di speranza per il futuro del Paese, ha detto il presidente. Maduro ha affermato che “mentre loro cospiravano, noi lavoravamo, seminando idee, seminando sogni, seminando speranza, seminando piani”.

Ha anche sottolineato la resistenza del popolo venezuelano di fronte alle avversità. “Né le sanzioni, né le minacce, né le cospirazioni, né i corrotti, né i traditori potranno farlo. Nessuno è stato in grado, né sarà in grado di sconfiggere il Venezuela”, ha detto. 

Il presidente venezuelano ha invitato coloro che dubitano o non credono nelle potenzialità del Paese sudamericano a visitare ExpoVenezuela Produce, ad Araure, nello Stato di Portuguesa, per assistere alla rinascita del Paese. Alcune delle aziende presenti a ExpoVenezuela Produce sono Asoportuguesa, Alimentos Doña Emilia, Brudden e Vista al Mar, tra le altre.

“L’indipendenza del Venezuela, la rivoluzione del XXI secolo è la produzione, è l’indipendenza economica”, ha dichiarato Maduro in questa occasione, sottolineando la crescita e i progressi del settore agroindustriale del Paese.

La Cina annuncia nuove misure di stimolo economico

La Commissione Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma della Cina (NDRC), il principale ente di pianificazione economica del Paese, ha recentemente annunciato una serie di misure di stimolo per rafforzare ulteriormente l’economia cinese. Queste azioni seguono l’ottimo risultato del 5,3% di crescita del PIL nel primo trimestre dell’anno, che riflette un buon avvio e una forte dinamicità pronta a essere liberata, scrive il quotidiano Global Times.

Per sostenere questa crescita, il governo ha previsto di facilitare i piani di investimento attraverso il bilancio centrale e di promuovere ulteriori emissioni di titoli del tesoro. Nonostante le sfide persistenti legate a un ambiente esterno complicato e una domanda interna insufficiente, l’economia cinese continua a mostrare una crescita solida e costante grazie alle politiche di supporto e al consumo.

Liu Sushe, vice capo della NDRC, ha dichiarato che il governo accelererà i piani di investimento del bilancio centrale, con un’allocazione di 700 miliardi di yuan (circa 96,7 miliardi di dollari) per quest’anno. Oltre il 30% di questi fondi è già stato assegnato. Liu ha inoltre sottolineato l’importanza di migliorare l’efficienza degli investimenti e di guidare gli investimenti da tutta la società.

Le recenti misure di stimolo sono state accolte positivamente dagli esperti, che hanno evidenziato l’efficacia delle politiche governative nel sostenere l’economia. Cao Heping, economista dell’Università di Pechino, ha sottolineato come la combinazione di una politica monetaria relativamente accomodante con il supporto fiscale abbia rafforzato l’economia stabile.

Nonostante la performance economica positiva, alcuni media occidentali continuano a sostenere la teoria del “Peak China”, affermando che la crescita economica cinese ha raggiunto il suo apice. Tuttavia, Song Guoyou, vice direttore del Centro per gli Studi Americani dell’Università Fudan, ha ribattuto sottolineando che la Cina continua a distinguersi tra le principali economie globali.

Il progresso strutturale dell’economia cinese è evidente, con una crescita annuale del 6,7% nel settore manifatturiero e un aumento del 7,5% nella produzione di manifattura ad alta tecnologia. Questi settori, come la stampa 3D e i robot di servizio, stanno contribuendo a iniettare nuova linfa nello sviluppo economico.

Nonostante le sfide persistenti, tra cui un ambiente esterno complesso e una domanda interna debole, la Cina mantiene un trend di ripresa economica e miglioramento a lungo termine. Gli esperti sono fiduciosi che con l’implementazione di politiche corrispondenti, la crescita del secondo trimestre non dovrebbe essere inferiore al 5,3%.

In conclusione – afferma il Global Times – la Cina continua a mostrare segni di robustezza economica e di resilienza. Con l’implementazione di ulteriori politiche di sostegno e l’upgrade strutturale in corso, il Paese è ben posizionato per mantenere e consolidare la sua traiettoria di crescita positiva nel corso dell’anno.

USA riattivano sanzioni petrolifere contro il Venezuela

Il governo statunitense non rinnoverà la licenza 44 che consente un parziale alleggerimento delle sanzioni per il settore petrolifero e del gas del Venezuela, in scadenza giovedì.

Secondo la Reuters, che cita alti funzionari statunitensi, la decisione è stata presa a causa di quello che gli Stati Uniti considerano il mancato rispetto di alcuni impegni elettorali da parte dell’amministrazione venezuelana.

Precisamente, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha rilasciato una licenza sostitutiva alla 44, per dare alle aziende 45 giorni – fino al 31 maggio – per “chiudere” i loro affari e le loro transazioni con il settore petrolifero e del gas venezuelano.

Nell’ottobre dello scorso anno, il governo statunitense ha annunciato la revoca parziale di alcune sanzioni contro il Venezuela, relative al settore petrolifero, dell’oro e del gas, in seguito all’accordo firmato tra il governo venezuelano e la Piattaforma Unitaria nel 2023.

Secondo le fonti consultate dall’agenzia, “mentre Maduro ha rispettato alcuni impegni previsti dall’accordo dello scorso anno, non ne ha rispettati altri, tra cui quello di permettere all’opposizione di candidare il candidato di sua scelta contro di lui alle elezioni presidenziali del 28 luglio”.

“Di conseguenza, l’amministrazione Biden intende lasciare che l’attuale congedo generale di sei mesi scada senza essere rinnovato poco dopo la mezzanotte EDT (0500 GMT di giovedì)”, hanno dichiarato i funzionari a condizione di anonimato.