L’agenda governativa risponde sempre ai dettami delle imprese

di Federico Giusti

Governo che va, governo che viene ma la sostanza del problema rimane sempre la stessa e ogni Esecutivo rispecchia il punto di vista datoriale tutelandone in sede legislativa e politica le istanze e gli interessi.

Dal prossimo 2 agosto entreranno in vigore le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 103 del 12 luglio scorso,  delega di una legge di due anni or sono in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
 
La ratio del provvedimento legislativo è quello di allentare i controlli alle aziende in materia ambientale e nelle norme che disciplinano la sicurezza sul lavoro. Per mesi ministri del Governo Meloni hanno lanciato messaggi rassicuranti. Il fisco deve essere amico delle imprese, lo stesso dicasi per la Pubblica amministrazione.
 
Se queste sono le premesse la riduzione degli adempimenti e del sistema dei controlli diventa un aiuto concreto alle associazioni datoriali ma segna al contempo il progressivo disimpegno dello Stato dal costruire sistemi efficaci atti a verificare il corretto adempimento di norme a tutela della salute pubblica.
 
La protesta degli ispettori del lavoro andrebbe presa sul serio, ad esempio annunciare dieci giorni prima una ispezione in azienda significa rinunciare in partenza a efficaci controlli che di solito avvengono a sorpresa.

Tra un controllo e l’altro poi dovranno passare almeno 10 mesi se non saranno riscontrare criticità, se pensiamo al numero degli ispettori in rapporto alle imprese esistenti oggi possono trascorrere anni prima di un controllo.
 
Il problema non è dato non solo dall’insufficiente numero degli ispettori ma dall’effettivo potere che gli stessi potranno esercitare, anche il calcolo del fattore di rischio a determinare le attività in azienda potrebbe dimostrarsi un’arma a doppio taglio se pensiamo che molti infortuni , e malattie professionali, si verificano nelle piccole imprese in settori dove la probabilità di un sinistro è sulla carta remota.
 
Siamo poi alquanto preoccupati dalla istituzione di  specifici enti certificatori che potrebbero diventare strumento delle associazioni datoriali proprio per allentare i controlli.
 
E si parla del congelamento delle sanzioni fino a 5 mila euro qualora l’impresa dovesse adempiere agli emendamenti richiesti.
 
Ci chiediamo quale imprenditore avvertito dieci giorni prima faccia trovare  dei lavoratori a nero, poi dopo una diffida ci saranno 20 giorni di tempo per mettersi in regola senza incorrere in alcuna sanzione. La patente a punti in edilizia eleva a 100 punti la dotazione per alcune categorie di imprese che per scendere sotto i 15 punti dovrebbero commettere una serie infinita di reati di grave entità fino agli omicidi sul lavoro
 
E come se non bastassero questi favori alle imprese manca il capitolo delle vittime sul lavoro, intanto è finita nel dimenticatoio la istituzione di una Procura nazionale del lavoro, 
 
Un magistrato ha correttamente sintetizzato i provvedimenti nella volontà di “trasformare le irregolarità in immunità e, dunque, in impunità”.
 
Mentre aumentano malattie professionali, infortuni e morti sul lavoro, questa è la risposta del Governo Meloni.

La nuova architettura di sicurezza in Eurasia

di Fabrizio Verde

Il ministero degli Esteri russo ha riferito di un incontro avvenuto in Laos tra Sergey Lavrov, ministro degli Esteri della Federazione Russa, e il suo omologo cinese Wang Yi.

I ministri avrebbero discusso della cooperazione all’interno dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) nel contesto dell’intensificarsi delle attività di alcuni Paesi volte a stabilire “meccanismi politico-militari di blocco ristretto volti a minare il sistema di mantenimento della sicurezza e della stabilità incentrato sull’ASEAN” nella regione.

I ministri degli Esteri hanno anche discusso le prospettive di attuazione dell’iniziativa lanciata dalla Russia per creare una nuova architettura di sicurezza eurasiatica in un contesto di “stagnazione dei meccanismi euro-atlantici”.

Inoltre, Lavrov e Wang Yi hanno sottolineato l’importanza di rafforzare il coordinamento della politica estera tra Mosca e Pechino in varie piattaforme internazionali, come le Nazioni Unite, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), la Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC), il G20 e altri formati.

“Il legame Russia-Cina sta lavorando per formare un ordine mondiale più giusto e multipolare, promuovendo i principi di un autentico multilateralismo e portando energia positiva sia alle Nazioni Unite che al G20”, ha dichiarato l’alto diplomatico russo.

Cos’è un’architettura di sicurezza?

Ma che cos’è un’architettura di sicurezza e perché urge in Eurasia? L’architettura di sicurezza interstatale si riferisce alla rete di accordi, alleanze e organizzazioni che vengono stabilite tra i paesi per mantenere la pace, la stabilità e la sicurezza a livello regionale o globale. Lo scopo dell’architettura di sicurezza interstatale è prevenire i conflitti, gestire le crisi e promuovere la cooperazione tra i paesi per affrontare le sfide comuni alla sicurezza.

Centrale è quindi l’istituzione di alleanze e partnership tra i paesi. Queste alleanze servono come meccanismo per affrontare le minacce e le sfide alla sicurezza che interessano più nazioni. Esempi di queste alleanze includono la NATO e l’Unione Europea, almeno a livello teorico e propagandistico, visto che invece la realtà ci mostra che queste organizzazioni rappresentano il principale ostacolo al raggiungimento della pace in Ucraina, dove proprio NATO e USA con la complicità dell’UE hanno deciso di combattere una guerra per procura contro la Russia. Insomma, queste organizzazioni seminano caos e morte per soddisfare gli interessi geopolitici ed economici della potenza declinante, gli Stati Uniti, e quindi rappresentano perfettamente la “stagnazione dei meccanismi euro-atlantici” denunciata dai ministri Lavrov e Wang Yi.

Uno degli obiettivi principali dell’architettura di sicurezza interstatale è promuovere stabilità e pace a livello regionale e globale. Stabilendo alleanze, accordi e istituzioni formali, i paesi possono lavorare insieme per prevenire i conflitti e gestire le crisi prima che degenerino in conflitti più ampi. Attraverso la cooperazione e il dialogo, i paesi possono affrontare le sfide alla sicurezza in modo proattivo e coordinato.

Inoltre, l’architettura di sicurezza interstatale serve anche a promuovere lo sviluppo economico e la prosperità. Quando i paesi lavorano insieme per affrontare le sfide alla sicurezza, creano un ambiente più stabile per il commercio, gli investimenti e la crescita economica. Promuovendo la sicurezza e la stabilità, l’architettura di sicurezza interstatale può aiutare a creare le condizioni per il progresso economico e lo sviluppo.

E qui veniamo alle istituzioni multipolari che vanno crescendo su impulso primario di Cina e Russia che lavorano alacremente a una sempre più urgente nuova architettura di sicurezza eurasiatica.

Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai avrà un ruolo chiave?

Oggi, mentre il mondo sta vivendo la fase di smantellamento dell’ormai vetusto e inadeguato sistema di sicurezza internazionale incentrato sull’Occidente, e i paesi del Sud del mondo rivendicano lo status di attori mondiali uguali e sovrani, sono le piattaforme ‘multipolari’ a rappresentare il futuro. Tra queste spicca sicuramente l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO). L’elenco dei paesi interessati a questo formato cresce regolarmente, il che aumenta sicuramente lo status e la fiducia nell’organizzazione. Russia e Cina rimangono i motori in termini di strategia militare, non solo come potenze nucleari, ma anche come membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La presenza nella regione della piattaforma russa e cinese, indipendente dagli Stati Uniti, composta dagli Stati dell’Asia centrale, nonché da India, Pakistan e Iran, crea sicuramente un contrappeso alle iniziative strategico-militari anglo-americane nello Spazio eurasiatico.

Secondo Sergey Lavrov, i membri della SCO hanno un desiderio comune di coordinare le azioni dell’organizzazione all’interno delle Nazioni Unite e nello spazio eurasiatico con strutture quali l’UEEA, l’ASEAN e i BRICS. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha invitato la SCO a prendere in mano la sicurezza della regione. Dalla sua creazione nel 2001, la SCO si è trasformata da un ristretto blocco regionale concepito per garantire la sicurezza lungo il perimetro degli Stati post-sovietici e della Cina a una struttura che ha tutte le carte in regola per essere garante di una sicurezza eurasiatica globale.

L’elenco dei partner di dialogo della SCO è molto ampio e comprende l’Armenia, l’Azerbaigian, l’Egitto, la Turchia (paese NATO) e una serie di altri attori arabi e asiatici del Sud globale. Oggi, quasi tutti i Paesi del Golfo Persico sono rappresentati nell’Organizzazione come partner di dialogo, prestando così la loro fiducia a un progetto regionale non occidentale. Sullo sfondo dell’espansione dei BRICS il Sud globale sta guadagnando confini più istituzionalizzati nella sfera della sicurezza e dell’economia. Inoltre, la SCO include quattro attori nucleari, il che significa che l’organizzazione è garante della sicurezza nucleare nello spazio eurasiatico.

Col passar del tempo questa organizzazione è venuta conformandosi come una seria e credibile alternativa al braccio armato degli Stati Uniti, la NATO, come garante di una sicurezza eurasiatica reale e globale. L’insistenza dell’Occidente nel promuovere la propria visione della sicurezza globale imponendo il proprio sistema di valori e priorità spinge gli attori non occidentali a considerare altre opportunità per consolidare gli sforzi per affrontare le sfide e le minacce attuali. La SCO, nonostante le differenze tra i suoi membri in termini di potenziale militare ed economico, ha tutta la possibilità di confrontarsi con successo al progetto nordatlantico, visto il suo  potenziale militare, economico, demografico ed energetico.

Oltre a sancire nella Carta della SCO i principi universalmente riconosciuti del diritto internazionale – come il rispetto reciproco della sovranità, dell’indipendenza, dell’integrità territoriale, dell’inviolabilità dei confini degli Stati, della non ingerenza negli affari interni, del non uso della forza o della minaccia della forza, dell’uguaglianza dei diritti, della risoluzione pacifica delle controversie e dei disaccordi tra gli Stati e dell’adempimento degli obblighi internazionali in buona fede – gli Stati membri della SCO hanno introdotto una serie di innovazioni nella pratica e nella teoria delle relazioni tra gli Stati.

Tra i più importanti: il rifiuto della superiorità militare unilaterale nelle aree limitrofe, la ricerca di punti di vista comuni sulla base della comprensione reciproca e del rispetto delle opinioni di ogni Stato membro, la graduale attuazione di azioni congiunte in aree di interesse comune.

Una caratteristica e peculiarità della SCO è il suo dichiarato principio di apertura, il fatto che non sia diretta contro altri Stati e organizzazioni internazionali.

Sono questi principi che distinguono la SCO dall’Alleanza Nord Atlantica e la rendono attraente per gli attori non occidentali con la loro percezione critica del modello di relazioni internazionali incentrato sugli Stati Uniti e la loro indisponibilità nel continuare a sottostare a un ordine mondiale unipolare organizzato in funzione degli Stati Uniti e in subordine dei vassalli occidentali di Washington.

Dunque la SCO sostiene la creazione di una nuova architettura di sicurezza globale basata sull’uguaglianza, il rispetto reciproco, la fiducia e la cooperazione win-win, il rifiuto della divisione in blocchi e ideologica. Secondo la logica multipolare che governa l’organizzazione, la cooperazione nel contrastare le nuove sfide e minacce deve essere condotta in modo coerente, senza doppi standard, attraverso il rigoroso rispetto del diritto internazionale, e la costruzione di un sistema di sicurezza globale deve avvenire solo sotto gli auspici delle Nazioni Unite e nel rigoroso rispetto della sua Carta.

Gli Stati membri della SCO non accettano per principio azioni unilaterali, poiché tali azioni non sono in grado di risolvere i problemi esistenti nel mondo ma bensì finiscono per aggravarli e possono condurre a esiti catastrofici.

I componenti della SCO sono convinti che le questioni di sicurezza internazionale non debbano escludere compiti quali la garanzia della sostenibilità dell’economia mondiale, la riduzione della povertà, l’equiparazione dei livelli di sviluppo socio-economico, la garanzia della sicurezza economica, ambientale, energetica e dell’informazione, nonché la protezione della popolazione e dei territori degli Stati membri della SCO dalle emergenze naturali e di origine umana.

Pertanto, il concetto di sicurezza proposto dalla SCO nel XXI secolo è completo e onnicomprensivo. Si basa sui principi democratici e sulle norme del diritto internazionale, comprende sia le aree di fornitura di sicurezza globale sia la soluzione delle contraddizioni socio-economiche, in cui sono radicate molte sfide e minacce moderne alla sicurezza, come il terrorismo, il separatismo, l’estremismo e la criminalità transfrontaliera.

A chi dovesse pensare a enunciazioni esclusivamente teoriche, bisogna ricordare che la SCO è riuscita a risolvere le questioni relative ai confini di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Russia con la Cina, dal Pamir alle coste dell’Oceano Pacifico, a stabilire un sistema di misure di rafforzamento della fiducia, soprattutto in ambito militare, e un meccanismo di consultazione e cooperazione su una gamma sempre più ampia di questioni di sicurezza.

Dove va l’Unione Europea?

A questo punto se l’Unione Europea non fosse governata da fantocci al servizio degli interessi di Washington dovrebbe volgere il proprio sguardo verso est per costruire una nuova – urgente e non più rinviabile – architettura di sicurezza eurasiatica al di fuori della NATO.

In primis perché il conflitto in corso in Ucraina ha evidenziato la necessità per l’UE di diversificare i suoi partenariati di sicurezza, superare la vetusta NATO che ormai rappresenta una sorta di residuato post-bellico. I tempi moderni richiedono l’impegno con la Russia e altri Paesi eurasiatici per promuovere la stabilità e la cooperazione nella regione. L’UE deve bilanciare i propri interessi di sicurezza con quelli di altre grandi potenze, tra cui Russia e Cina. Una nuova architettura di sicurezza eurasiatica può aiutare a gestire queste dinamiche di potere e impedire il dominio di una singola potenza.

L’impegno in una nuova architettura di sicurezza può contribuire ad affrontare i problemi di stabilità regionale, come quelli del Caucaso meridionale e del Medio Oriente. Questo approccio può favorire la cooperazione e affrontare i problemi politici in queste regioni, contribuendo così alla stabilità regionale complessiva.

Se vuole avere un futuro l’Unione Europea deve puntare all’autonomia strategica. Un punto fondamentale per la sua sicurezza futura. Una nuova architettura di sicurezza può aiutare l’UE ad assumersi maggiori responsabilità e oneri, riducendo la sua dipendenza dalla NATO e dagli Stati Uniti. Questo aspetto è visto con molto interessa anche a Mosca. Se la coesione occidentale contemporanea dovesse rivelarsi tattica, limitata principalmente alla crisi riguardante l’Ucraina e in ultima analisi di breve durata, allora il mondo si sposterà rapidamente verso un nuovo sistema multipolare in cui gli Stati Uniti e l’Unione Europea costituiranno due diversi centri di potere.

Dunque lo sviluppo di una nuova architettura di sicurezza può essere un processo a lungo termine, che richiede una pianificazione strategica e una cooperazione di diversi anni. Questo approccio può aiutare l’UE ad affrontare i problemi di sicurezza sistemici e ad adattarsi alle mutevoli dinamiche globali che adesso puntano dritto verso il multipolarismo.

Gutul: ‘Il sostegno russo è cruciale per la Gagauzia’”

In un’intervista esclusiva rilasciata al quotidiano Izvestia, la leader della Gagauzia, Evghenia Gutul, ha affrontato diverse questioni cruciali riguardanti la situazione politica ed economica della regione autonoma all’interno della Moldavia. Questi i punti salienti delle sue dichiarazioni.

Sostegno economico russo

Evghenia Gutul ha annunciato che 50-60 mila residenti di Gagauzia potranno beneficiare delle carte di pagamento “Mir” e di aumenti salariali e pensionistici finanziati dalla Russia. “Entro la fine dell’anno, miriamo a coprire il 100% della popolazione avente diritto a questi aiuti”, ha affermato. Questo programma non si limiterà alla Gagauzia ma si espanderà ad altre regioni della Moldavia, come Orhei e Taraclia, in un futuro prossimo.

Pressioni politiche e problemi giudiziari

Gutul ha denunciato l’intensificazione delle pressioni da parte del governo moldavo, soprattutto dopo il suo incontro con Vladimir Putin. “Le udienze del mio processo si svolgono a ritmi serrati, quasi ogni due giorni”, ha spiegato, indicando che queste accelerazioni sono dovute a ordini superiori. La leader gagauza è accusata di aver importato illegalmente denaro dalla Russia per finanziare il partito Shor e di aver coordinato le attività del partito stesso. Secondo Gutul, queste accuse sono motivate politicamente per rimuoverla dalla sua posizione e ostacolare l’autonomia della regione.

Relazioni con Chi?in?u

“La nostra relazione con Chisinau non è migliorata, anzi, è peggiorata”, ha affermato Gutul, sottolineando che non si aspetta miglioramenti fino alla fine del mandato del presidente Maia Sandu. La leader ha evidenziato come le autorità centrali ignorino sistematicamente Gagauzia, e come Sandu incontri solo le amministrazioni locali che le sono favorevoli. Tuttavia, Gutul è fiduciosa che un cambio di presidenza possa portare a un miglioramento delle relazioni.

Collaborazione con la Russia

La Russia è un partner fondamentale per la Gagauzia, specialmente in settori come il commercio, l’istruzione e i progetti sociali. “I nostri agricoltori possono esportare in Russia e stiamo lavorando per eliminare i dazi doganali sui nostri vini”, ha affermato Gutul. Inoltre, la Russia ha fornito aiuti economici significativi, con tre tranche già consegnate e una quarta in arrivo.

Sfide energetiche

Gutul ha descritto le difficoltà nel garantire forniture di gas russo a prezzi accessibili attraverso l’Ucraina. “Abbiamo firmato un contratto con NordGaz per gas a metà prezzo rispetto al mercato, ma il governo moldavo ha sospeso la licenza di NordGaz, impedendoci di ottenere il gas a buon mercato”, ha dichiarato. Attualmente, la Gagauzia è costretta a comprare gas russo tramite intermediari europei, aumentando significativamente i costi.

Prospettive future

Nonostante le tensioni, Gutul guarda al futuro con ottimismo, confidando che un cambiamento nella leadership moldava possa aprire nuove possibilità di dialogo e cooperazione. “Continueremo a lavorare per migliorare le condizioni di vita dei nostri cittadini e rafforzare i legami con la Russia,” ha concluso.

Lo stato (al collasso) di Israele

 

di Francesco Corrado 

 

La guerra apertamente ed oscenamente genocida che Israele sta conducendo a Gaza sta minando la comunità dalle fondamenta. Tralasciando l’aspetto militare che per Israele è davvero tragico, quello cui abbiamo assistito in questi 8 mesi è lo smantellamento di parte del paese sia dal punto di vista demografico che di quello economico.  

 

Dal 7 ottobre scorso 46.000 attività sono state chiuse e l’economia è crollata del 20%. La previsione degli economisti israeliani è che per fine 2024 altre 60.000 attività chiuderanno; ma si tratta di previsioni, plausibili, vediamo i fatti.

 

Questi i dati riportati dal periodico israeliano Maariv e sono dati ufficiali. La crisi attraversa molti settori dell’economia. Innanzitutto colpisce le piccole attività, quelle fino a 5 dipendenti: il 77% delle attività chiuse, circa 35.000, appartengono a questa categoria. La fuga in massa di israeliani verso l’estero seguita agli attacchi del 7 ottobre ha colpito duramente il settore immobiliare. Questo ha trascinato con se l’indotto: ceramica, materiali da costruzione, mobilio, alluminio, condizionatori ecc.

 

Del terziario sono stati fortemente colpiti ovviamente i trasporti, ma anche la moda, l’industria del divertimento ed il turismo che è sceso in maniera drammatica.

 

Ricordiamo che l’autorità portuale di Eilat, unico approdo di Israele sul Mar Rosso dove arrivano le merci provenienti dall’Asia, ha dichiarato bancarotta. La chiusura dello stretto di Bab el-Mandeb da parte dello Yemen, efficace al di là degli sforzi militari dei paesi occidentali fin ora del tutto inutili, ha comportato un’immediata diminuzione dell’85% del volume di merci in arrivo. Questo già alla fine del 2023, tanto che il 7 luglio scorso Gideon Golbert, l’amministratore del porto, ha dichiarato alla Knesset che di fatto per 8 mesi il porto è stato inattivo e non ci sono ingressi economici. 

 

L’occidente non è riuscito a trovare rimedi e quindi dopo mesi in cui lo Yemen ha mantenuta salda la volontà di sanzionare Israele per il genocidio in corso a Gaza, l’autorità portuale di Eilat ha dichiarato fallimento.

 

Questo va ricordato: lo Yemen con la chiusura dello stretto di Bab el-Mandeb sta sanzionando uno stato che sta commettendo una miriade di crimini di guerra, di violazioni del diritto umanitario e di trattati, il tutto per commettere un genocidio dichiarato dai propri ministri. Dopo aver visto USA e paesi del G7 sanzionare altre nazioni, sempre del sud globale, con pretesti assurdi o palesemente falsi, il che è un atto di guerra, per la prima volta assistiamo a delle sanzioni poste da un paese del sud globale a danni di uno stato, Israele, che sta commettendo un genocidio (quindi una buona ragione) e anche ai suoi alleati occidentali. 

 

Il fatto che questo eroico paese, cioè lo Yemen, abbia sfidato l’intero occidente e che quest’ultimo non ci abbia potuto fare ancora niente, la dice lunga sull’avanzamento tecnologico che questi stati hanno avuto in termini militari.

 

Se il porto di Eilat è stato strangolato dal blocco dello stretto di Bab el-Mandeb, i tre porti sul mediterraneo vengono presi di mira sia dallo Yemen che dall’Iraq, complicando ulteriormente le cose.

 

A subire un duro colpo poi è stata l’agricoltura che si concentra soprattutto al sud del paese, cioè vicino a Gaza, e a nord, vicino ad Hezbollah, che sta portando avanti un deciso e consapevole attacco all’economia israeliana.

 

Le due principali zone agricole del paese quindi sono state dichiarate zone di guerra con decine di migliaia di persone che hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni e ora sono ospitate in alberghi e campano di sussidi, oppure se ne tornano nei paesi occidentali da cui provengono. Soprattutto al nord il problema è molto serio: ci sono stime che parlano di 100.000 sfollati in totale. Il 10 luglio scorso Hassan Nasrallah, grande capo di Hezbollah, ha dichiarato che l’obiettivo di indebolire l’economia di Israele è stato raggiunto.

 

Israele, militarmente, è già in serissima difficoltà a Gaza e sta affrontando perdite cui non è abituato, in uomini e soprattutto mezzi; affrontare la milizia libanese potrebbe scuotere lo stato ebraico dalle fondamenta. Lo sforzo bellico sarebbe del tutto deleterio per l’economia e la getterebbe in un abisso, stando alle parole di Yoel Amir, CEO dell’Israeli information service and credit risk management firm, ente che si occupa di rischi di impresa insieme alla federazione delle camere di commercio.

 

Un altro aspetto è fondamentale: quello della fuga dei coloni. Sappiamo che circa 500.000 persone hanno lasciato il paese nei primi tre mesi del conflitto. I cittadini israeliani vengono da Europa, America del nord, Australia, nazioni di cui sono cittadini. Paesi in cui hanno vissuto prima di provare l’ebrezza dell’avventura coloniale. L’ebrezza di presentarsi in una terra meravigliosa, da perfetto straniero, ed ottenere, in quanto professante una religione, la casa di un palestinese che è stato previamente cacciato. Ecco questa gente fino a quando ha potuto combattere contro civili indifesi, come nelle precedenti intifada, quando i palestinesi combattevano con le pietre e poi con qualche mitra, ancora ci stava, ma ora i nemici hanno ben altre armi e lo stesso vale per i loro alleati. 

 

La voglia di andare a beneficiare di un regime di apartheid a danno di un’altra popolazione, ridotta in schiavitù, inizia a venire meno se ti tocca combattere e morire davvero o se non puoi più vivere tranquillamente perché stavolta la guerra raggiunge anche te. Così, mentre i palestinesi in quella terra ci sono nati e cresciuti e non hanno un altro posto dove andare, i coloni ebrei occidentali si, e infatti se ne vanno. Se in oltre 500.000 hanno lasciato il paese nei primi tre mesi di guerra c’è da scommettere che i dati attuali siano ben peggiori. E queste sono pessime notizie per il governo fascista di Israele.

Cina: “La NATO è una macchina che semina guerra e caos”

Questa settimana, il Segretario di Stato USA Blinken e il Segretario alla Difesa Austin intraprenderanno un viaggio in Asia con l’obiettivo principale di rafforzare il supporto degli Stati Uniti ai propri alleati e partner nella regione. Questo viaggio si inserisce in un contesto di crescente incertezza politica in vista delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti e dei tentativi di consolidare le relazioni di alleanza mirate a contenere l’influenza della Cina.

Uno degli aspetti chiave di questa visita è l’incontro di Blinken e Austin con i funzionari giapponesi a Tokyo, dove discuteranno dell’aggiornamento dell’alleanza militare, in particolare del miglioramento del sistema di comando militare per potenziare le capacità di difesa congiunta. Secondo quanto riportato dal South China Morning Post, il vice segretario di Stato nordamericano Kurt Campbell ha dichiarato in un’intervista che gli Stati Uniti intendono “istituzionalizzare” i quattro partner indo-pacifici della NATO, rifocalizzando l’attenzione di Washington sulla regione.

L’iniziativa degli Stati Uniti mira a rafforzare i legami militari con questi paesi e a creare una serie di meccanismi per integrarli nel quadro della NATO. Il gruppo, composto da Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud, è comunemente noto come IP4. Questi quattro paesi sono considerati partner globali critici della NATO e fungono da punti di atterraggio per le “rotte aeree strategiche” dell’alleanza verso la regione Asia-Pacifico.

La partecipazione dei leader dell’IP4 al vertice della NATO tenutosi a Washington per il terzo anno consecutivo e la dichiarazione congiunta emessa in tale occasione evidenziano chiaramente l’intenzione degli Stati Uniti di estendere la portata della NATO nella regione Asia-Pacifico, nel quadro di una partita strategica globale in cui la Cina è vista come il principale concorrente strategico.

L’Involucro della sicurezza regionale

L’espansione della NATO in Asia rappresenta una sfida seria per la sicurezza della regione. Dopo la fine della Guerra Fredda, la NATO ha dovuto trovare nuovi motivi per giustificare la propria esistenza. Come un giocatore che necessita di espandersi costantemente per sopravvivere, la NATO sembra intrappolata in un ciclo logico di espansione attraverso la guerra, il conflitto e la creazione di tensioni costanti, evidenzia il quotidiano cinese Global Times.

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha offerto alla NATO un’opportunità di “estensione della vita”. Ora, gli Stati Uniti stanno rivolgendosi verso l’Asia, cercando di estendere i tentacoli della NATO fino alla periferia della Cina. Questa espansione strategica rischia di spostare un barile di polvere da sparo instabile dall’Europa all’Asia, aumentando la probabilità di nuove tensioni e conflitti piuttosto che accrescere la sicurezza regionale.

Gli Stati Uniti sembrano giocare una partita di scacchi a livello globale, con la NATO e i suoi alleati asiatici usati come pedine sulla scacchiera. Seguendo questa strategia, i paesi dell’Asia-Pacifico potrebbero trovarsi a diventare gradualmente proxy per le manovre geopolitiche nordamericane nella regione, coinvolti in una nuova guerra fredda che non serve ai loro interessi.

Le accuse della Cina

In risposta a questi sviluppi, la Cina ha lanciato dure accuse contro la NATO e gli Stati Uniti, descrivendo l’alleanza militare come una “macchina che semina guerre e caos” per aver provocato scontri tra blocchi e creato divisioni a livello globale. Durante una conferenza stampa, il colonnello Zhang Xiaogang ha criticato la NATO per la sua “retorica bellicosa” e ha dichiarato che la Cina si oppone fermamente a tali contenuti.

Zhang ha sottolineato che negli ultimi anni la NATO ha esteso il suo “sinistro raggio d’azione” alla regione Asia-Pacifico, utilizzando la Cina come antagonista immaginario e provocando scontri tra blocchi. Il portavoce ha anche criticato la NATO per aver portato guerra e disastri in varie regioni del mondo, da Ucraina ad Afghanistan, da Iraq a Libia.

Una nuova Guerra Fredda?

Mentre la Cina sostiene di mantenere una posizione “obiettiva e imparziale” riguardo al conflitto in Ucraina e promuove attivamente i colloqui di pace, accusa la NATO e gli Stati Uniti di alimentare il conflitto e trarre vantaggio dalla guerra. Secondo Zhang, la NATO dovrebbe riflettere su se stessa piuttosto che incolpare la Cina.

La situazione attuale presenta un’analogia con un gioco online multiplayer, in cui gli Stati Uniti, come il giocatore più potente, stanno ridefinendo le regole del gioco incorporando l’ordine di sicurezza regionale nel quadro della NATO. Se non saranno prudenti, gli altri giocatori potrebbero diventare strumenti per gli Stati Uniti, usati per “accumulare punti esperienza”.

Lo sviluppo pacifico dell’Asia differisce da un campo di battaglia virtuale nei giochi elettronici, e il suo percorso di sviluppo non deve necessariamente seguire le orme dell’Europa. La continua partecipazione della NATO nella regione suggerisce che il momento del “crash” di questo gioco elettronico si avvicina sempre di più. Le vittorie che la NATO non può ottenere nei giochi elettronici sono ancora meno probabili nel mondo reale, sottolinea un editoriale del Global Times.

Pepe Escobar – Il treno ad alta velocità è partito: il XXI° non potrà che essere il secolo cinese (ed euroasiatico)

 

di Pepe Escobar – Strategic Culture

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

Il plenum di quattro giorni, due volte al decennio, del Partito Comunista Cinese che si è svolto la scorsa settimana a Pechino, disegnando una road map economica che arriva fino al 2029, è stato un evento sbalorditivo sotto più punti di vista.

Cominciamo dalla continuità – e dalla stabilità. Dopo il plenum non c’è dubbio che Xi Dada, ovvero il Grande Panda, resterà al timone fino al 2029 – fino alla fine dell’attuale quinquennio economico.

E se Xi è abbastanza in salute, resterà fino al 2035: il fatidico anno in cui la Cina raggiungerà un PIL pro capite di 30.000 dollari, con enormi ripercussioni in tutto il mondo.

Qui vediamo la confluenza tra la progressione del “socialismo con caratteristiche cinesi” e la definizione dei contorni, se non di una Pax Sinica, almeno di un mondo non egemonocentrico e multinodale (corsivo mio).

Il proverbiale asse statunitense Think Tankland/Sinofobia si è isterilito sul fatto che la Cina non sia in grado di sostenere un tasso di crescita del 5% annuo per i prossimi anni – l’obiettivo sottolineato ancora una volta al plenum.

Un’analisi russa del Center for Geopolitical Forecasts fa un punto cruciale: “I cinesi stessi non si preoccupano più da tempo del tasso di crescita, poiché nel 2018 sono passati a una strategia di cosiddetto sviluppo qualitativo, cioè non a spese delle industrie tradizionali, ma sulla base di alte tecnologie e della creazione di nuovi settori, come la produzione di nuove fonti energetiche e l’intelligenza artificiale.”

È questa la logica alla base del Made in China 2025 – che si sta realizzando a rotta di collo: lo sviluppo dell’alta tecnologia che apre la strada a una “economia socialista di mercato di alto livello”, da consolidare entro il 2025 e costruire completamente entro il 2035.

Il passo successivo sarà quello di raggiungere lo status di “potenza socialista modernizzata” entro il 2049, in occasione del centesimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese (RPC).

Il plenum ha dimostrato ancora una volta che il “socialismo con caratteristiche cinesi” – o, per i recalcitranti, il capitalismo modificato dalla Cina – è “incentrato sul popolo”. I valori supremi sono l’interesse nazionale e l’interesse del popolo – attestato dal fatto che…

…le grandi imprese private rimangono sotto il controllo strategico del PCC.

 

È inutile cercare di trovare nel comunicato finale del plenum qualsiasi restrizione al capitale privato sulla via della “prosperità universale”. Il punto chiave è che il ruolo del capitale deve essere sempre subordinato al concetto di “socialismo con caratteristiche cinesi”.

 

Osserviammo la nave della riforma in costante navigazione

Tutto viene spiegato in termini quasi didattici, raccontando la nascita della “Decisione del Comitato Centrale del PCC sull’ulteriore approfondimento delle riforme per promuovere la modernizzazione cinese”.

Quella che oggi in tutta la Cina viene già chiamata colloquialmente “La Decisione” si sviluppa in 15 parti e 60 articoli, divisi in tre sezioni principali, proponendo più di 300 importanti riforme.

La “Decisione”, nella sua interezza, non è ancora stata pubblicata; è stata pubblicata solo la road map di come i pianificatori di Pechino sono arrivati a questo punto. Naturalmente non si tratta di un semplice documento politico: è una dissertazione in stile PCC in cui i dettagli delle misure economiche e politiche sono oscurati da nuvole di immagini e metafore.

 

Si veda, ad esempio, questo passaggio:

 

“Per garantire che la nave delle riforme navighi costantemente in avanti, ‘La Decisione’ propone che l’ulteriore approfondimento globale della riforma debba implementare ‘i sei principi’: aderire alla leadership generale del partito, aderire all’approccio incentrato sul popolo, aderire al principio di mantenere l’integrità e promuovere l’innovazione, aderire alla costruzione del sistema come linea principale, aderire allo stato di diritto globale e aderire a un approccio sistematico.”

 

La maggior parte della “Decisione” – 6 parti su un totale di 13 – riguarda la riforma economica. La Cina ce la farà? Certo che sì.

Basta guardare i precedenti. Nel 1979 il Piccolo Timoniere Deng Xiaoping ha iniziato a trasformare una nazione di agricoltori e contadini in una macchina ben oliata di efficienti lavoratori industriali. Lungo il percorso, il PIL pro capite è stato moltiplicato per ben 30 volte.

Ora le ramificazioni del Made in China 2025 stanno trasformando una nazione di operai in una nazione di ingegneri. Su 10,5 milioni di laureati all’anno, un terzo sono ingegneri.

L’enfasi sull’intelligenza artificiale ha portato, tra gli altri esempi, l’industria automobilistica a produrre un veicolo elettrico da 9.000 dollari in completa automazione e a realizzare un profitto. La Cina è già leader mondiale nei veicoli elettrici (BYD sta costruendo impianti in Brasile, Tailandia, Turchia, Ungheria), nell’energia solare, nei droni, nelle infrastrutture di telecomunicazione (Huawei, ZTE), nell’acciaio, nella cantieristica navale – e presto anche nei semiconduttori (grazie alle sanzioni di Trump).

 

Mentre l’Egemone ha speso almeno 7 trilioni di dollari – e non solo – in Guerre Eterne non vincenti, la Cina sta spendendo 1 trilione di dollari in una serie di progetti della Belt and Road Initiative (BRI) nel Sud Globale: l’enfasi è sui corridoi di connettività digitale/trasporti. Gli imperativi geoeconomici si intrecciano con la crescente influenza geopolitica.

A parte l’isteria da Egemone, il fatto è che l’economia cinese crescerà di ben 1.700 miliardi di dollari solo nel 2024. Si tratta di una cifra superiore a quella degli ultimi tre anni – a causa dell’effetto Covid.

E Pechino ha preso in prestito esattamente zero yuan per questa crescita. L’economia statunitense, in confronto, potrebbe crescere di 300 miliardi di dollari nel 2024, ma Washington ha dovuto prendere in prestito 3,3 trilioni di dollari per farlo.

Il ricercatore Geoff Roberts ha compilato un elenco molto utile di ciò che la Cina sta facendo bene.

E quando si arriva al nocciolo della questione, i numeri sono sbalorditivi. Eccone solo alcuni, oltre alla crescita del PIL:

 

  • Il commercio di beni esteri è aumentato del 6,1%, raggiungendo i 2.900 miliardi di dollari su base annua.

 

  • L’avanzo commerciale è di 85 miliardi di dollari, con un aumento del 12% rispetto al 2023.

 

  • Il commercio dell’ASEAN è aumentato del 10,5% a 80 miliardi di dollari; la Cina è il primo partner commerciale dei singoli membri dell’ASEAN.

 

  • La Cina ha registrato un raccolto record di 150 milioni di tonnellate di cereali.

 

  • Il settore dei corrieri ha gestito 80 miliardi di pacchi, con un aumento del 23% rispetto all’anno precedente.

 

  • SMIC è la seconda fonderia pura al mondo, dopo TSMC di Taiwan.

 

  • China Telecom ha pagato 265 milioni di dollari per il 23% di QuantumCTek, il brevetto di Micius, il primo satellite per comunicazioni quantistiche al mondo.

 

  • Il settore aerospaziale commerciale ha lanciato il 39% dei 26 razzi cinesi.

 

  • I brevetti di invenzione sono aumentati del 43%, raggiungendo quota 524.000. La Cina è il primo Paese con 4 milioni di brevetti d’invenzione nazionali in vigore.

 

  • I 1.000 robotaxi di Baidu a Wuhan raggiungeranno il pareggio nel quarto trimestre e saranno redditizi l’anno prossimo.

 

  • La Cina ha il 47% dei migliori talenti mondiali nel campo dell’IA. Dal 2019 ha aggiunto non meno di 2000 corsi di IA ai programmi scolastici e universitari.

 

  • Per quanto riguarda le istituzioni di livello mondiale che fungono da leader della ricerca, 7 su 10 sono cinesi, compresa la prima: l’Accademia cinese delle scienze, davanti ad Harvard.

 

Gli “esperti” eccezionalisti della Cina credono alla loro stessa fantasia, secondo la quale gli Stati Uniti alleati con il Giappone, la Germania e la Corea del Sud occupati sarebbero in grado di eguagliare e superare la forza di attrazione della Cina con la Maggioranza Globale, perché hanno più risorse e più capitali.

Fesserie. Ancora più assurdo è credere che i “partner” NATO dell’Egemone – cioè i vassalli – seguiranno il leader nella creazione di tecnologie all’avanguardia.

Il treno ad alta velocità che conta ha già lasciato la stazione. Il XXI secolo si prospetta come il secolo asiatico, eurasiatico e cinese.

Kamala Harris non ci sarà. Il discordo di Netanyahu al Congresso spacca il Partito democratico

 

“La vicepresidente Kamala Harris sarà assente”. Lo scrive il New York Times in riferimento al discorso che Benjamin Netanyahu terrà al Congresso Usa nel pomeriggio statunitense. “Le file di sedili sul lato democratico della Camera saranno vistosamente più vuote di quelle sul lato repubblicano. La tensione è così alta che il presidente della Camera Mike Johnson ha minacciato di far arrestare chiunque provochi disordini”, scrive Annie Karni. 

“Cercherò di consolidare il sostegno bipartisan che è così importante per Israele”, aveva dichiarato Netanyahu prima di lasciare Israele per la sua visita a Washington. In realtà, prosegue il New York Times, la sua visita sottolineerà le spaccature nel Congresso, in particolare tra i Democratici, in un momento in cui il partito sta cercando di unirsi intorno alla figura di Harris come candidato presidenziale. Kamala Harris che ha rifiutato di presiedere al discorso di Netanyahu, come è tradizione per il vicepresidente, ponendo come scusa “impegni pregressi di agenda”.

Lungo l’elenco degli assenti che fornisce il quotidiano statunitense. Alexandria Ocasio-Cortez, rappresentante democratica di New York, ha dichiarato che non parteciperà al discorso per il semplice motivo che ritiene Netanyahu un “criminale di guerra” per le sue tattiche nel conflitto, che ha ucciso decine di migliaia di persone a Gaza e causato un disastro umanitario. Lo stesso vale per la rappresentante Rashida Tlaib, rappresentante democratica del Michigan e unica palestinese americana al Congresso. “È assolutamente vergognoso che i leader di entrambi i partiti lo abbiano invitato a parlare al Congresso”, ha dichiarato in un comunicato. “Dovrebbe essere arrestato e inviato alla Corte penale internazionale”. Ha aggiunto: “È un giorno triste per la nostra democrazia quando i miei colleghi sorridono per una foto con un uomo che sta attivamente commettendo un genocidio”.

La rappresentante Ilhan Omar del Minnesota, un’altra democratica progressista che ha condannato la gestione della guerra da parte di Israele, ha detto che non sarebbe stata presente e che avrebbe dato i suoi biglietti da ospite ai familiari degli ostaggi.  “Detesto ciò che Netanyahu sta facendo e detesto la sua leadership”, ha dichiarato il rappresentante Maxwell Alejandro Frost, democratico della Florida, che ha anche detto che salterà il discorso.

La rappresentante Pramila Jayapal di Washington, presidente del Congressional Progressive Caucus, aveva in programma di non partecipare, e la lista dei no democratici si allungava di ora in ora nel pomeriggio di martedì. La rappresentante Lauren Underwood, democratica dell’Illinois, martedì ha fissato con sguardo assente un giornalista quando le è stato chiesto per due volte se avesse intenzione di partecipare e si è rifiutata di rispondere alla domanda.

Anche la rappresentante Nancy Pelosi, democratica della California ed ex speaker, ha fatto sapere mercoledì che avrebbe saltato il discorso per incontrare invece le famiglie israeliane colpite dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. All’inizio dell’estate, la Pelosi ha dichiarato di non ritenere che il senatore Chuck Schumer, democratico di New York e leader della maggioranza, che ha criticato aspramente Netanyahu, avrebbe dovuto aggiungere il suo nome all’invito.

Al Senato, diversi membri del caucus democratico intendono saltare il discorso, tra cui i senatori Richard J. Durbin dell’Illinois, il leader numero 2, e Patty Murray di Washington, il presidente pro tempore.

Anche i senatori Jeff Merkley, democratico dell’Oregon, e Bernie Sanders, indipendente del Vermont, hanno previsto di astenersi. In un’intervista, il senatore Chris Van Hollen, democratico del Maryland, ha detto che avrebbe saltato l’incontro, affermando a proposito di Netanyahu: “Non voglio essere parte di una rappresentazione politica in questo atto.

 

 

Slovacchia e Ungheria minacciano di fare causa all’Ucraina per aver bloccato l’oleodotto Druzhba

L’Ucraina ha limitato le forniture di petrolio all’Europa attraverso l’oleodotto Druzhba, “l’ultima via rimasta per le forniture di petrolio russo all’Europa”. La Reuters riporta che Ungheria e Slovacchia hanno minacciato di fare causa all’Ucraina per questo blocco, che riguarda l’azienda russa Lukoil.

Fino al 2022, la Russia forniva un terzo di tutto il petrolio all’Europa; dopo l’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina, i volumi sono diminuiti significativamente, ma ancora “circa 300.000 barili di petrolio” venivano pompati ogni giorno attraverso gli oleodotti verso l’Europa.

I principali acquirenti sono stati la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Slovacchia, che sono esenti dalle sanzioni petrolifere di Bruxelles contro la Russia perché “dipendenti dal petrolio russo e limitati nelle alternative” senza accesso al mare. La Polonia e la Germania, che hanno terminali marittimi, hanno smesso di acquistare il petrolio russo dagli oleodotti.

Reuters osserva che la Russia non è stata danneggiata dal rifiuto di Berlino e Varsavia di rifornirsi attraverso l’oleodotto Druzhba. “La Russia ha dirottato la maggior parte di questi volumi verso l’Asia” e ‘la Cina è diventata il più grande acquirente di petrolio russo, ricevendo circa 2,14 milioni di bpd attraverso varie rotte’.

L’Ucraina ha già limitato il funzionamento dell’oleodotto Druzhba in passato. Ad esempio, nel 2023, le tariffe per l’utilizzo sono state aumentate più volte, il che ha reso “la rotta di Druzhba una delle meno redditizie” per le aziende russe. E da giugno sotto le sanzioni di Kiev è caduta la “Lukoil”, che forniva il 50% del volume di petrolio fornito attraverso l’oleodotto.

 
 

 

 

Il messaggio di Putin ai cittadini di Donbass e Novorossia

“L’intero Paese sostiene il Donbass e la Novorossia nel loro sforzo di stabilire una vita pacifica sulla terra che per secoli è stata una parte inseparabile della Russia”. A dichiararlo, secondo il resoconto dell’agenzia Tass, è il Presidente russo Vladimir Putin durante l’incontro sullo sviluppo sociale ed economico del Donbass e della Novorossia.

“Effettivamente, l’intero Paese, milioni di persone, volontari e altre organizzazioni pubbliche sostengono il Donbass e la Novorossija, li aiutano a realizzare il loro colossale potenziale di costruzione e crescita, a stabilire una vita pacifica e prospera sulla terra che per secoli è stata una parte inseparabile della Russia e che si è riunita di nuovo con la sua Patria”, ha detto il capo di Stato.

Il Presidente ha sottolineato che il lavoro di restauro delle regioni coinvolge non solo le agenzie federali, ma anche 26 aziende statali e 82 regioni della Russia, che hanno assunto il patrocinio di alcune città e distretti.

“Gli edifici residenziali, gli ospedali, le scuole, i servizi di pubblica utilità vengono riparati e costruiti in modo intensivo, il che significa che le misure adottate tempestivamente dal governo forniscono un riscontro reale – intendo dire il finanziamento ritmico, anche da parte del bilancio federale, naturalmente”, ha concluso Putin.

 

Martin Jay – Trump può davvero concludere un rapido accordo di pace in Ucraina?

di Martin Jay – Strategic Culture

Trump può davvero concludere un accordo di pace con l’Ucraina e la Russia nella sua prima settimana di mandato? Inizialmente, quando ne ha parlato durante la prima parte della guerra, il quadro era molto più semplice e molti commentatori e analisti hanno creduto alla sua idea: affamare l’Ucraina di aiuti militari e costringere Zelensky ad accettare l’inevitabile, minacciando Putin di raddoppiare gli aiuti all’Ucraina. Di certo, in questo caso, l’elemento sorpresa è venuto meno quando ha comunicato il piano a diversi giornalisti.

Di recente, il tema di un accordo di pace con l’Ucraina è tornato alla ribalta quando Trump ha parlato al telefono con Zelensky e, nonostante il Presidente ucraino abbia parlato molto positivamente del colloquio, non sono stati rivelati dettagli su ciò che era sul tavolo. Quanto è trapelato, tuttavia, è che Trump si aspettava che Zelensky ritirasse le sue truppe dalle quattro aree chiave che la Russia considera proprie regioni, cosa che finora era sempre stata fuori discussione.

Questo potrebbe significare la possibilità che il super accordo che Trump ritiene di poter concludere abbia le sue gambe. Tuttavia, ci sono una serie di complicazioni da considerare. In primo luogo, la Russia ha davvero pochi incentivi a cedere qualcosa, perché militarmente è in vantaggio. I tre punti chiave sono la volontà di mantenere le quattro regioni in disputa, la denazificazione dell’Ucraina, la promessa che non potrà mai essere un Paese della NATO e, infine, la firma di un accordo con un nuovo presidente democraticamente eletto, dato che, va sottolineato, il mandato di Zelensky è legalmente scaduto.

Ma al centro di tutto questo c’è il problema di Zelensky stesso. Trump convincerà Putin che Zelensky deve restare? Putin potrebbe piegarsi a questa condizione se è Trump a fare l’offerta, mentre allo stesso tempo la NATO viene messa in riga da un nuovo presidente USA che non ha pazienza per le manie di alcuni dei suoi attori principali. Allo stesso tempo, però, Zelensky potrebbe facilmente vedersi spettatore di un affare più grande. Entrambe le parti, a un certo punto, potrebbero sostenere che Zelensky è davvero il cuore di tutti i problemi ed è stato il principale ostacolo alla firma di un accordo. All’inizio del conflitto era sul punto di firmare un accordo di pace, solo che Boris Johnson, allora primo ministro del Regno Unito, è arrivato per strappare la vittoria dalle fauci della sconfitta e far fallire l’accordo. Molti potrebbero sostenere che se Zelensky fosse stato più duro e avesse anteposto il Paese a se stesso, avrebbe potuto resistere alla prepotenza dell’Occidente e firmare l’accordo di Istanbul a prescindere.

Il ruolo di Johnson all’epoca era quello di servire in egual misura gli interessi degli Stati Uniti e della NATO, ma oggi è difficile capire chi rappresenti, visto che di recente si è presentato alla convention dei Repubblicani che ha inaugurato ufficialmente Trump come candidato alla presidenza. È sorprendente che Trump non abbia visto Nigel Farage – che l’ex leader insiste di considerare un “amico” – ma abbia concesso a Boris un sacco di tempo. Boris è ora il nuovo inviato non ufficiale delle élite occidentali, chiamato a gestire Trump? O, forse meno edificante, è semplicemente sul libro paga di Zelensky come agente provocatore di PR internazionali.

In ogni caso, è difficile considerare la telefonata a Zelensky e l’incontro con Trump come una semplice coincidenza. Zelensky e una cabala di élite della NATO si stanno radunando dietro di lui e Boris per cercare di distogliere Trump dal prendere una decisione affrettata ed errata in Ucraina. Il problema è che i due campi non riescono a mettersi d’accordo e questo confonde ancora di più le cose per Trump, che non legge mai le note informative e ha la capacità di attenzione di un bambino di 5 anni durante gli incontri con gli alti funzionari.

E per rendere le cose ancora più complicate, la posizione di J. D. Vance sulla Cina sta spingendo Trump a creare una nuova tassa globale sulle importazioni per colpire contemporaneamente sia la Cina che l’UE, mentre l’amministrazione Trump deve concentrare tutto il suo entusiasmo in politica estera sulla distruzione dell’economia cinese. Questo, di per sé, presenta dei problemi quando Trump si rivolgerà a Putin per una soluzione rapida in Ucraina, in quanto un nuovo strato geopolitico di questioni verrà svelato rendendo quasi impossibile un accordo rapido. È più probabile che Trump ottenga solo un cessate il fuoco.

Non c’è da stupirsi che sia l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite che i suoi portavoce ufficiali abbiano snobbato una soluzione rapida da parte di Trump, considerandola quasi impossibile. Nel caso di quest’ultimo, si sono persino spinti a sollevare il problema del processo di pace in Medio Oriente, di cui Trump ha fatto scempio durante il suo mandato. Ahi. Deve aver fatto male.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

Ritiro truppe USA. Delegazione irachena a Washington

 

Secondo quanto riportato da Al-Monitor, ieri, alti funzionari statunitensi e iracheni hanno ripreso i negoziati sul futuro dei circa 2.500 soldati americani ancora presenti in Iraq.

La delegazione irachena, guidata dal ministro della Difesa Thabet Muhammad al-Abbasi, è arrivata a Washington per incontrare al Pentagono funzionari statunitensi del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato, del Comando centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) e dei capi di stato maggiore congiunti del Pentagono.

Il primo ministro iracheno Mohamed Shia al-Sudani chiede il ritiro delle truppe statunitensi che operano in Iraq dal 2014 con il pretesto di combattere il gruppo terroristico ISIS.

Zelensky: “Dobbiamo porre fine alla guerra il prima possibile”

Il leader del regime ucraino, Vladimir Zelensky, ha dichiarato che il conflitto armato nel suo Paese deve finire “il prima possibile”.

“Penso che tutti capiamo che dobbiamo porre fine alla guerra il prima possibile, naturalmente, in modo che non si perdano altre vite umane”, ha sottolineato durante un incontro con il Segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin.

Zelenski ha anche ringraziato il Vaticano per la sua partecipazione al cosiddetto vertice di pace che si è svolto in Svizzera il mese scorso, definendo l’incontro un “primo passo” verso la fine del conflitto.

Il ministro degli Esteri ucraino Kuleba in Cina: un passo verso la pace?

Il Ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, è atteso in Cina da martedì a venerdì, in una visita che potrebbe segnare un punto di svolta nella ricerca di una soluzione politica alla crisi ucraina. Gli analisti sottolineano come questo evento dimostra che l’Ucraina riconosce sempre più il ruolo costruttivo e significativo della Cina nell’aiutare le parti in conflitto a cercare una possibilità di risoluzione politica. Questo, inoltre, contrasta con l’accusa degli Stati Uniti secondo cui la Cina sarebbe un “abilitatore decisivo” nel conflitto tra Russia e Ucraina, accusa che non sembra essere condivisa da Kiev, evidenziano i media cinesi.

La visita di Kuleba, su invito del membro del Politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e Ministro degli Esteri Wang Yi, si svolgerà dal 23 al 26 luglio, come annunciato dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning. Lo stesso giorno, l’ambasciata ucraina in Cina ha pubblicato su Sina Weibo un video discorso del ministro ucraino rivolto al popolo cinese. Kuleba ha dichiarato: “Questa sarà la mia prima visita bilaterale nel vostro paese in qualità di Ministro degli Esteri. Discuteremo di questioni importanti come il ripristino della pace, l’approfondimento del dialogo bilaterale, l’espansione della cooperazione commerciale ed economica”.

Li Haidong, professore presso la China Foreign Affairs University, ha affermato che la visita mostra come, dopo più di due anni di conflitto, i dirigenti in Ucraina abbiano riconosciuto che la crisi deve essere risolta attraverso misure politiche e diplomatiche, e che la Cina, potenza di grande influenza, ha sempre mantenuto una posizione di equità e giustizia. Sempre più persone in Ucraina, e anche nel mondo occidentale, stanno iniziando a rendersi conto che le armi fornite dagli Stati Uniti e dai suoi alleati non faranno altro che prolungare il conflitto e il bagno di sangue, senza offrire alcuna speranza di pace.

Domenica scorsa, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato la sua decisione di ritirarsi dalle elezioni presidenziali, con alcuni osservatori che affermano che tutte le parti coinvolte nella crisi ucraina hanno la stessa sensazione: gli Stati Uniti stanno per subire un cambiamento significativo nella loro posizione sulla crisi ucraina. Di conseguenza, le parti interessate si stanno preparando per questa eventualità, offrendo così qualche speranza di pace.

Dopo un incontro privato con l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha dichiarato che Trump chiederà rapidamente colloqui di pace tra Russia e Ucraina se vincerà le elezioni presidenziali di novembre, avendo sviluppato “piani ben fondati” a riguardo. Prima del suo viaggio negli Stati Uniti, Orban ha visitato Kiev, Mosca e Pechino.

Gli alleati sono molto preoccupati per l’incertezza negli Stati Uniti e cercano sempre più sostegno diplomatico e cooperazione da una potenza importante come la Cina, che può offrire un supporto certo e responsabile per la pace. Questo è fondamentale per l’Ucraina per trovare una via d’uscita dalla guerra senza fine, per mediare i suoi complessi problemi con la Russia e per liberarsi dal controllo e dalla manipolazione di potenze esterne sui suoi problemi di sicurezza.

Tuttavia, prima delle elezioni presidenziali statunitensi, l’amministrazione Biden e alcuni suoi alleati in Occidente continueranno a influenzare la crisi ucraina. Il conflitto ha portato enormi profitti al complesso militare-industriale statunitense, quindi le speranze di pace rimangono fragili e richiedono sforzi incessanti da tutte le parti.

Durante la visita, Kuleba discuterà con i suoi omologhi cinesi di come fermare l’aggressione russa e del possibile ruolo della Cina nel raggiungere una pace sostenibile e giusta. Questo incontro segue i colloqui tra il vice ministro degli Esteri cinese Sun Weidong e il primo vice ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha avvenuti a Pechino il mese scorso. In quell’occasione, il politico ucraino aveva sollecitato Pechino a inviare una delegazione al vertice per la pace svoltosi in Svizzera, ma la Cina non aveva partecipato, sostenendo che la presenza di entrambe le parti in conflitto fosse una precondizione per qualsiasi summit di pace significativo.

La visita di Kuleba in Cina rappresenta un’opportunità cruciale per rafforzare il dialogo bilaterale e per esplorare nuove vie di cooperazione economica, ma soprattutto potrebbe segnare un passo importante verso la ricerca di una soluzione pacifica al conflitto.

Venezuela: l’infrastruttura elettronica è pronta per le elezioni

La Repubblica Bolivariana del Venezuela avanza speditamente verso la prossima tornata elettorale in programma il 28 di luglio. Domenica, il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) ha confermato che il 100% delle macchine per votare sono state distribuite in tutto il territorio venezuelano. 

“Abbiamo il 100% delle macchine distribuite in ogni Stato”, ha dichiarato il presidente del CNE Elvis Amoroso, aggiungendo che gli osservatori stranieri considerano il sistema elettorale venezuelano ‘perfetto e totalmente sicuro’.

Tra questi osservatori ci sono rappresentanti del Carter Center, con sede negli Stati Uniti, del Consiglio di esperti elettorali dell’America Latina e del gruppo di esperti delle Nazioni Unite.

Amoroso ha anche confermato che i rappresentanti di ogni partito politico sono stati presenti durante i processi di revisione del sistema di voto elettronico, verificando “tutto, dai codici al software”.

I candidati alle presidenziali potranno fare campagna elettorale fino al 25 luglio. Dopo giovedì, dovranno osservare il silenzio elettorale. Finora i 10 candidati presidenziali hanno organizzato eventi in tutto il Paese.

Nel fine settimana, ad esempio, il presidente Nicolas Maduro ha visitato gli Stati di Monagas, Anzoategui, Apure e Barinas. Il leader bolivariano e il Grande Polo Patriottico chiuderanno la loro campagna elettorale giovedì a Caracas, dove le forze della sinistra bolivariana terranno un’imponente manifestazione.

Domenica il viceministro delle Politiche anti-blocco, William Castillo, ha denunciato che l’opposizione venezuelana di estrema destra sta organizzando una “gigantesca operazione di disinformazione” per il 28 luglio. Attraverso i social media, intendono diffondere narrazioni volte a delegittimare il processo elettorale venezuelano.

“Stiamo combattendo una battaglia di comunicazione contro i media transnazionali e i social network. Attivatevi. Per la verità del Venezuela!”, ha scritto, definendo gli attivisti di estrema destra ‘info-mercenari’ al servizio degli Stati Uniti.

Norme per garantire la partecipazione elettorale

Le misure per garantire la partecipazione e lo sviluppo del processo elettorale venezuelano saranno in vigore dal 26 al 29 luglio.

Con l’avvicinarsi del giorno delle elezioni presidenziali in Venezuela, i Ministeri della Difesa e dell’Interno hanno emesso una risoluzione che garantirà la protezione e il diritto degli elettori a partecipare alle elezioni del 28 luglio.

La risoluzione firmata dai capi di entrambi gli enti, Vladimir Padrino e Remigio Ceballos, stabilisce le regole da rispettare dalle 12H01 del 26 luglio fino alle 23H59 del 29 luglio.

A questo proposito, ha ordinato al Comando strategico operativo delle Forze armate nazionali bolivariane (Ceofanb), attraverso le Regioni strategiche di difesa integrale, di stabilire un rigido controllo del movimento di persone attraverso la frontiera per diverse vie.

La misura è volta a “salvaguardare l’inviolabilità delle frontiere e prevenire le attività di persone che potrebbero rappresentare una minaccia per la sicurezza” della Repubblica Bolivariana, in occasione delle elezioni del 28J.

Saranno inoltre vietati la vendita di alcolici e fuochi d’artificio, il porto di coltelli e armi da fuoco e la circolazione di veicoli pesanti in tutto il territorio venezuelano.

Inoltre, sarà vietato organizzare riunioni e manifestazioni pubbliche, o qualsiasi altro atto simile che possa influenzare il normale svolgimento del processo elettorale.

Il testo congiunto indica che ogni forza di polizia continuerà a fornire i propri servizi per garantire la sicurezza in conformità con le istruzioni emanate dalla Ceofanb.

Corridoio ferroviario Cina-Kirghizistan-Uzbekistan e Nuova Via della Seta

La Via della Seta, una rete di rotte commerciali che collegava l’Oriente e l’Occidente, ha svolto un ruolo fondamentale nella crescita e nella cooperazione in Asia centrale. La Via della Seta non era solo una rotta commerciale per la seta, le spezie e altri beni, ma anche un mezzo di scambio culturale e di comunicazione tra diverse civiltà. Mentre i mercanti viaggiavano lungo la Via della Seta, portavano con sé nuove idee, tecnologie e beni che contribuivano a stimolare la crescita economica e a promuovere la cooperazione tra le varie società lungo il percorso.

L’Asia centrale era un fulcro cruciale lungo la Via della Seta, che collegava le civiltà di Cina, India, Persia e Mediterraneo. Di conseguenza, l’Asia centrale divenne un crogiolo di culture e idee, con mercanti, viaggiatori e studiosi che attraversavano la regione diretti in altre parti del mondo. Questo scambio culturale portò alla diffusione di nuove religioni, lingue e tecnologie, contribuendo alla crescita e allo sviluppo delle società lungo la Via della Seta.

Uno dei fattori chiave che promossero la crescita e la cooperazione in Asia centrale fu l’istituzione di rotte commerciali e mercati stabili lungo la Via della Seta. I mercanti erano in grado di viaggiare in sicurezza e di commerciare beni tra loro, portando allo sviluppo di città fiorenti e centri commerciali lungo il percorso. Queste città divennero centri di attività economica, attraendo mercanti da tutto il mondo e promuovendo uno spirito di cooperazione e reciproco beneficio tra le varie società che abitavano la regione.

Oggi, l’iniziativa della Via della Seta cinese sta rilanciando questa antica rete di rotte commerciali, con un’attenzione alla promozione dello sviluppo economico e della cooperazione nella regione.

Uno degli aspetti chiave dell’iniziativa della Via della Seta cinese in Asia centrale è lo sviluppo delle infrastrutture, tra cui strade, ferrovie e porti. Questi progetti infrastrutturali mirano a migliorare la connettività tra la Cina e i paesi dell’Asia centrale, facilitando il flusso di merci e persone attraverso i confini. Ad esempio, il corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) è un importante progetto infrastrutturale che mira a collegare le regioni occidentali della Cina al Mar Arabico, passando attraverso il Pakistan e fornendo una rotta più breve per il commercio tra la Cina e il Medio Oriente.

Questo non è il solo esempio, in rampa di lancio vi è infatti un altro ambizioso progetto che vede coinvolte Cina, Kirghizistan e Uzbekistan.

Il corridoio ferroviario Cina-Kirghizistan-Uzbekistan per rafforzare la cooperazione regionale

I governi di Cina, Kirghizistan e Uzbekistan hanno firmato un accordo per la costruzione di una nuova ferrovia di 523 km che collegherà i tre Paesi, il cui costo è stimato in 8 miliardi di dollari e che fa parte dell’iniziativa cinese Belt and Road o Nuova via della Seta in italiano.

L’accordo, firmato a Pechino il 6 giugno scorso, stabilisce i principi e i meccanismi di cooperazione tra i tre Paesi in relazione al finanziamento, alla costruzione, al funzionamento e alla manutenzione della nuova ferrovia.

Uno studio di fattibilità completo del progetto è stato completato a metà del 2023. Cina, Kirghizistan e Uzbekistan hanno poi concordato di realizzare il progetto attraverso una joint venture delle rispettive ferrovie statali.

Oltre alla costruzione della nuova linea da Kashgar in Cina, passando per Torugart, Makmal e Jalalabad in Kirghizistan, fino ad Andijan in Uzbekistan, il progetto prevede la creazione di moderne infrastrutture logistiche lungo il percorso, tra cui terminal merci e magazzini.

Una volta completata, la nuova ferrovia dovrebbe trasportare 15 milioni di tonnellate di merci all’anno e ridurre i tempi di transito end-to-end di sette giorni.

Secondo il presidente del Kirghizistan, Sadyr Japarov, la nuova ferrovia aprirà nuove rotte verso l’Europa e il Golfo Persico. “Senza dubbio, avrà un impatto positivo globale sul commercio e sulla cooperazione economica tra i nostri Paesi”.

“Questa ferrovia diventerà il collegamento terrestre più breve tra la Cina e la nostra regione”, afferma a sua volta il presidente dell’Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev. “In futuro, consentirà di accedere, attraverso il promettente corridoio trans-afghano, ai capienti mercati dei Paesi dell’Asia meridionale e del Medio Oriente”.

La lunghezza della ferrovia sarà di 454 km, 280 dei quali attraverseranno il territorio del Kirghizistan. È prevista la costruzione di 18 stazioni, 41 gallerie e 81 ponti lungo la linea. Inoltre, il Kirghizistan disporrà di una speciale base di scarico per il “cambio di scartamento”, dove lo “scartamento russo” utilizzato nei Paesi post-sovietici sarà cambiato con lo scartamento europeo utilizzato in Cina.

Questo progetto si ritiene possa incrementare  il commercio e la connettività non solo per la Cina, il Kirghizistan e l’Uzbekistan, ma i suoi benefici sarebbero tali da interessare l’intera regione.

La tratta CKU diventerà la parte meridionale del treno merci Cina-Europa e collegherà la Cina, il Kirghizistan e l’Uzbekistan all’Europa centrale e orientale attraverso l’Iran e la Turchia. Dall’Uzbekistan, la ferrovia CKU può collegarsi con la ferrovia Uzbekistan-Turkmenistan fino al porto di Turkmenbashi sul Mar Caspio. Al porto turkmeno, le merci possono raggiungere il porto di Baku, in Azerbaigian, e i mercati di Georgia, Turchia e Bulgaria e Romania, paesi dell’UE che si affacciano sul Mar Nero, oppure possono spostarsi a sud verso i porti iraniani del Mar Caspio, come Anzali, o il porto iraniano di Chabahar. Da lì, l’accesso marittimo conduce al Medio Oriente, all’Africa orientale e all’Asia meridionale.

In previsione di un aumento dell’attività commerciale grazie a questo collegamento ferroviario, il Kirghizistan intende svilupparsi come hub di produzione e lavorazione leggera per il commercio dell’Asia centrale. La piattaforma di commercio elettronico Wildberries della Russia ha già iniziato a operare nel paese ex sovietico. Sia la Cina che l’Uzbekistan desiderano il percorso più breve attraverso il montuoso Kirghizistan, ma Bishkek vuole un percorso CKU più lungo che attraversi i principali centri abitati per ottenere effetti di ricaduta come nuovi posti di lavoro e opportunità di esportazione per i prodotti locali. Le tariffe di transito del corridoio potrebbero contribuire a una sostanziale ripresa dell’economia del Kirghizistan.

La CKU può collegarsi al corridoio trans-afghano (Termez-Mazar-e-Sharif-Kabul-Peshawar) che conduce ai porti marittimi di Karachi e Gowadar in Pakistan, e può anche attraversare il Turkmenistan fino al Mar Caspio, l’Azerbaigian e la Turchia. Una volta avviata, la CKU potrà collegarsi anche alle linee di trasporto merci stradali, ferroviarie e aeree esistenti verso il Kazakistan. Attualmente l’Uzbekistan ha lo status di membro osservatore e si prevede che presto entrerà a far parte dell’Unione economica eurasiatica (UEEA). L’UEEA, che comprende Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Bielorussia e Armenia, ha accordi di libero scambio con diversi Paesi. La CKU può anche collegarsi all’Accordo Quadrilaterale di Transito e Commercio (QTTA) insieme a Pakistan, Cina e Kirghizistan, che rappresenta una porta d’accesso alternativa per l’Asia Centrale alle calde acque del porto di Gowadar.

Il corridoio ferroviario CKU presenta una serie di opportunità strategiche ed economiche per i Paesi membri, Cina, Uzbekistan e Kirghizistan, nonché per le organizzazioni e gli Stati regionali. Il lato cinese del CPEC inizia da Kashgar, che è il punto di partenza del CKU. Questo significa che le esportazioni uzbeke e kirghize potrebbero raggiungere i mercati pakistani. Attraverso la CKU, la Cina ha l’opportunità di diversificare le sue rotte commerciali. Nuove opportunità commerciali in Kirghizistan e Uzbekistan porterebbero prosperità e quindi potrebbero rivelarsi utiliti per scongiurare disordini sociali.

Cooperazione win-win

Quello appena descritto è il classico modus operandi di Pechino. La filosofia vincente della Cina di cooperazione win-win funge da principio fondamentale nel suo approccio di politica estera. Questo approccio enfatizza il reciproco vantaggio e la cooperazione per ottenere risultati positivi per tutte le parti coinvolte. Questa filosofia è profondamente radicata nella cultura e nella storia cinese, dove il concetto di armonia e prosperità reciproca è stato apprezzato per secoli. Mentre la Cina continua a crescere come potenza globale e nazione trainante del nuovo blocco multipolare, l’impegno per la cooperazione win-win è diventato sempre più evidente nei suoi sforzi diplomatici e nelle relazioni internazionali.

L’impegno della Cina per una cooperazione win-win è inoltre particolarmente evidente nelle sue partnership economiche e negli accordi commerciali. Sottolineando il reciproco vantaggio e la prosperità condivisa, la Cina è stata in grado di stabilire relazioni fruttuose con paesi in tutto il mondo. Attraverso iniziative come il corridoio ferroviario CKU che vanno sviluppandosi nell’ambito della Belt and Road Initiative, la Cina ha promosso lo sviluppo economico e la connettività anche in regioni che per svariate ragioni storiche o geopolitiche erano rimaste ai margini dello sviluppo economico. Collaborando con altre nazioni per raggiungere obiettivi economici comuni, la Cina è stata in grado di creare opportunità di crescita e sviluppo che avvantaggiano tutte le parti coinvolte.

Russia: il presidente della Duma Vyacheslav Volodin a Cuba

Un aereo con a bordo Vyacheslav Volodin, presidente della Camera bassa del Parlamento russo, la Duma di Stato, è atterrato all’aeroporto internazionale Jose Marti di Cuba, come riferisce un corrispondente della TASS.

Secondo il servizio stampa della Duma di Stato, lo speaker ha in programma un incontro con il presidente dell’Assemblea nazionale del potere popolare (parlamento) cubano Esteban Lazo.

La delegazione russa comprende il primo vicepresidente Ivan Melnikov, i vicepresidenti Alexander Babakov, Vladislav Davankov e Boris Chernyshov, e il capo della fazione del Partito liberaldemocratico, capo della commissione per gli affari internazionali Leonid Slutsky.

Sono presenti anche altri presidenti di commissione della Duma: Pavel Zavalny per l’energia, Andrey Kartapolov per la difesa, Vasily Piskarev per la sicurezza e la lotta alla corruzione e Alexander Khinshtein per la politica dell’informazione, le tecnologie dell’informazione e le comunicazioni.

Volodin è arrivato a Cuba dal Nicaragua, dove ha rappresentato la Russia agli eventi cerimoniali dedicati al 45° anniversario della Rivoluzione popolare sandinista, tenutisi il 19 luglio a Managua. Ha anche incontrato il Presidente del Paese Daniel Ortega per consegnargli un messaggio del leader russo.

Maduro: il fascismo e l’ultradestra non torneranno in Venezuela

Durante la cerimonia di chiusura della sua campagna elettorale nello Stato di Monagas, il presidente e candidato alle elezioni venezuelane, Nicolás Maduro, ha denunciato che l’ultradestra “vuole sporcare” il processo elettorale per prendere il potere politico nel Paese bolivariano nelle elezioni del 28 luglio.

“Vogliono sporcare il processo elettorale, non glielo abbiamo permesso e non glielo permetteremo. Vogliono parlare di brogli, loro conoscono la verità, la strada conosce la verità, il popolo conosce la verità […]. Stiamo vincendo e stiamo vincendo bene”, ha affermato dal palco davanti a una folla di sostenitori.

Maduro ha anche accusato l’estrema destra venezuelana di “danneggiare il Paese”, di “odiare il popolo” e di cercare il ritorno del capitalismo più brutale e dell’ideologia fascista ed estremista. Monagas dice al fascismo e all’estrema destra: “Non torneranno, non passeranno in Venezuela”, ha detto, prima di ribadire: “Non torneremo al passato e non torneranno mai al potere politico in Venezuela”.

Maduro ha anche sottolineato lo spirito combattivo del popolo bolivariano. “Credevano che con le loro sanzioni criminali, le loro minacce di invasione, la loro guerra psicologica, la loro manipolazione e le loro bugie questo popolo si sarebbe arreso e che avrebbero trasformato il Venezuela in una colonia gringa […]. Qui nessuno si è arreso, qui abbiamo resistito, abbiamo combattuto e abbiamo vinto. Nessuno potrà sporcare il nostro Paese”, ha proclamato.

D’altra parte, Maduro ha sottolineato che il Paese si sta muovendo verso la costruzione di una nuova democrazia, la “democrazia diretta”, con l’installazione di un sistema di consultazione trimestrale, in modo che i cittadini vadano alle elezioni quattro volte l’anno per scegliere con il loro voto i progetti necessari per migliorare la comunità.     

Maduro in testa nei sondaggi

Intanto il presidente bolivariano, successore del Comandante Hugo Chavez, continua a volare nei sondaggi pre-elettorali. Un nuovo sondaggio nazionale del Centro per la misurazione e l’interpretazione dei dati statistici (CMIDE) mostra il candidato Nicolás Maduro come favorito per la vittoria della presidenza venezuelana nelle elezioni del 28 luglio.

Il sondaggio indica che Nicolás Maduro vincerà le elezioni del 28 luglio con più del 53% dei voti validi. 

 Il 52% degli elettori è molto sicuro di andare a votare, il 32% afferma che non voterà, il 9% non sa se andrà a votare. Tra coloro che si dicono molto sicuri di votare, il 56,8% ha dichiarato che voterà per Nicolás Maduro.

Il rettore dell’Università Arturo Michelena, Giovanni Nani, ha riferito in un’intervista al canale televisivo venezuelano Globovision, che c’è un’alta probabilità che le elezioni e il clima politico nel Paese caraibico non siano polarizzati.

“Se solo il 5% sarà diviso tra Luis Eduardo Martínez, Benjamín Rausseo, Antonio Ecarri e Javier Bertucci, se solo si accaparrano il 5%, le elezioni non sono polarizzate”, sostiene Nani.

Il funzionario ha affrontato la questione dei sondaggi sui social media. A suo avviso, “sono fatti in modo irresponsabile, non hanno alcuna affidabilità”.

Ha avvertito che “non hanno valore statistico. Vogliono prevedere i vincitori per il 28 luglio attraverso i sondaggi sui social media o anche su TikTok”. 

 

Jean-Luc Mélenchon: “Siamo europei, non atlantisti”

In Francia, la figura di Jean-Luc Mélenchon, fondatore e leader del partito di sinistra radicale La France Insoumise (LFI), è al centro di numerosi dibattiti. Recentemente, con la vittoria della coalizione di sinistra Nuovo Fronte Popolare (NFP) alle elezioni legislative anticipate, Mélenchon ha riaffermato le sue posizioni contro la guerra e la NATO, evidenziando la necessità di promuovere la pace.

Critiche alla NATO

Mélenchon ha espresso chiaramente la sua posizione critica nei confronti della NATO. In un’intervista al quotidiano spagnolo EL PAÍS, ha dichiarato: “La NATO comporta una logica di guerra. Io scelgo una logica di disarmo e pacificazione. È una linea politica che non è una chimera. Se fossi all’Eliseo, ovviamente mi ritirerei dal comando militare unificato della NATO in modo pianificato e organizzato. Soprattutto in tempi di guerra, per non farci coinvolgere in questa storia”.

Promozione della Pace

La promozione della pace è una delle priorità di Mélenchon. Il leader francese sostiene una politica non allineata e alter-mondialista, puntando su misure massicce per limitare le conseguenze del cambiamento climatico. Riguardo all’Unione Europea, ha affermato: “Non abbandoniamo l’Unione Europea. Siamo europei, non atlantisti.” Ha sottolineato che i trattati europei prevedono una difesa collettiva contro gli aggressori, e che le misure adottate dall’UE per aiutare l’Ucraina potrebbero ricevere il suo sostegno.

Coerenza Politica

Mélenchon insiste sulla necessità di coerenza tra le promesse politiche e le azioni reali. Ha dichiarato: “La politica francese soffre di politici che dicono una cosa e poi ne fanno un’altra. Questa menzogna costante deve finire”. Questo impegno per la coerenza è alla base delle sue critiche alla leadership attuale e alla sua visione di un cambiamento radicale.

Critiche e Accuse

Nel corso dell’intervista, Mélenchon ha anche risposto alle accuse mosse contro di lui, tra cui quelle di antisemitismo. Ha dichiarato: “È una vergogna. Perché dovrei diventare antisemita a più di 70 anni, considerando la mia vita e la mia storia familiare?” Queste accuse, secondo Mélenchon, sono state fatte per danneggiare la sua reputazione e negare la sua vita.

Politica e Crisi Sociale

Mélenchon ha affrontato anche la questione della crisi sociale in Francia, criticando le politiche neoliberali del presidente Emmanuel Macron: “Macron ha esaurito tutta la sua capacità di rappresentanza politica continuando ad applicare politiche neoliberali che hanno fallito. Ora nega il risultato, e più lo fa, più ci avviciniamo a una crisi violenta”. Ha inoltre sottolineato l’urgenza di affrontare le disuguaglianze crescenti nel paese: “La Francia è il paese dove la povertà è aumentata di più, dove i milionari sono diventati i più ricchi d’Europa, creando disuguaglianze mai viste e distruggendo i servizi pubblici fino a un grado senza precedenti”.

CrowdStrike: l’Occidente vacilla, Cina e Russia restano stabili

Venerdì mattina, un aggiornamento software difettoso della società di cybersecurity CrowdStrike ha causato gravi interruzioni nei computer che utilizzano Microsoft Windows in tutto il mondo. Questo problema ha colpito in modo particolare le nazioni occidentali, causando blackout informatici significativi in banche, compagnie aeree e altre aziende.

Negli Stati Uniti, le autorità federali dello spazio aereo hanno annunciato un fermo a livello nazionale del traffico aereo a causa delle interruzioni. Le compagnie aeree e gli aeroporti in Germania, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Australia, Giappone, India e Singapore hanno segnalato problemi con i sistemi di check-in e biglietteria, causando ritardi nei voli e disagi ai passeggeri. Ad esempio, l’aeroporto internazionale di Berlino Brandeburgo ha sospeso le operazioni, e anche gli aeroporti di Heathrow, Schiphol e Edimburgo hanno registrato ritardi significativi.

Anche il settore bancario e commerciale occidentale è stato gravemente colpito. Numerose banche e aziende in Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito hanno segnalato malfunzionamenti, con problemi nei servizi bancari online e nei pagamenti elettronici. In Giappone, circa il 30% dei ristoranti della catena McDonald’s ha sospeso le attività a causa di problemi con le casse. Anche i sistemi informatici dei servizi sanitari in Israele e le infrastrutture critiche del Comitato Organizzatore delle Olimpiadi 2024 a Parigi sono stati colpiti.

In netto contrasto, paesi come Cina e Russia sono rimasti largamente indenni dall’incidente. In Cina, nonostante molti uffici di aziende straniere abbiano riscontrato problemi, le infrastrutture chiave come aeroporti e banche hanno continuato a funzionare senza intoppi. Gli aeroporti internazionali di Pechino e Shanghai, ad esempio, hanno operato normalmente. Questo risultato è dovuto alla ridotta dipendenza della Cina dai fornitori di servizi stranieri come Microsoft e CrowdStrike, grazie a una campagna nazionale per sostituire l’hardware e i sistemi esteri con quelli domestici.

Anche in Russia, le infrastrutture critiche sono rimaste stabili. Il Ministero per la Tecnologia Digitale, la Comunicazione e i Media di Russia ha riferito che non ci sono state segnalazioni di malfunzionamenti nei sistemi degli aeroporti russi. Inoltre, le centrali nucleari e le ferrovie russe hanno continuato a funzionare normalmente.

CrowdStrike ha confermato che il problema era legato al suo servizio di sicurezza basato su cloud “Falcon Sensor”. Il CEO di CrowdStrike, George Kurtz, ha dichiarato che un difetto in un aggiornamento di contenuto per i sistemi Windows ha causato l’interruzione. La società ha identificato e isolato il problema, implementando una soluzione. Ha inoltre raccomandato ai clienti di comunicare tramite i canali ufficiali di CrowdStrike per ottenere aggiornamenti continui.

Microsoft ha riconosciuto che la situazione stava gradualmente migliorando e ha attivato azioni di mitigazione. La società ha notato che il problema era causato da un errore fatale nell’aggiornamento dei dispositivi basati su Windows, noto come “Blue Screen of Death” (BSOD), che ha bloccato i PC e i server in un loop di avvio di recupero.
Considerazioni Finali

L’incidente ha sollevato preoccupazioni sulla necessità di affidabilità e sicurezza nei prodotti di cybersecurity, data la loro importanza critica e la costante esposizione agli attacchi. Le azioni di CrowdStrike sono diminuite di circa il 18% nelle negoziazioni pre-market venerdì, con un impatto significativo sulla sua capitalizzazione di mercato.

In conclusione, l’aggiornamento difettoso di CrowdStrike ha avuto un impatto significativo su scala globale, colpendo duramente le nazioni occidentali mentre paesi come Cina e Russia sono riusciti a mantenere una maggiore stabilità grazie alla loro indipendenza tecnologica

Yemen, pesante attacco aereo di Israele, USA e Gran Bretagna

 

La città yemenita di Hodeida è stata bersaglio di un attacco aereo che ha provocato un grande incendio in un deposito di carburante in un’area portuale.

Al Arabiya riferisce, citando fonti anonime, che l’attacco è stato lanciato congiuntamente dalle forze israeliane, statunitensi e britanniche, coinvolgendo una dozzina di aerei israeliani, inclusi caccia F-35.

Immagini e video che circolano sui social mostrano come enormi fiamme coprano le infrastrutture di quella zona della città.

 

Il Ministero della Sanità dello Yemen ha comunicato che diverse persone sono state uccise in seguito all’attacco, che ha causato anche feriti.

L’operazione avviene un giorno dopo l’attacco di droni lanciato dagli Houthi contro la città di Tel Aviv, scatenando minacce di ritorsioni da parte di Israele.

Il portavoce del governo yemenita, Mohammed Abdulsalam all’emittente Al Masirah ha dichiarato che con questi attacchi “il nemico cerca di fare pressione sullo Yemen affinché smetta di sostenere Gaza, ma è un sogno che non si avvererà.”

Inoltre, ha aggiunto che “questa brutale aggressione non farà che accrescere la determinazione del popolo yemenita, la fermezza delle sue forze armate e il crescente sostegno a Gaza”, ricordando che “il popolo yemenita è in grado di affrontare tutte le sfide con l’aiuto di Allah e nel perseguimento della vittoria per il popolo oppresso della Palestina.”

Il Ministro del Petrolio e dei Minerali yemenita ha confermato ad Al Masirah, nonostante il brutale attacco, che “la situazione dell’approvvigionamento è stabile e disponiamo di scorte adeguate di derivati ??del petrolio.”

Secondo il portale Axios, che ha citato funzionari statunitensi e israeliani, l’attacco è stato lanciato da Tel Aviv  in coordinamento con Washington e la coalizione internazionale anti-Houthi.

L’episodio è stato preceduto dal colloquio tenutosi ieri tra il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, e il suo omologo, Lloyd Austin, nonché da successive consultazioni tra funzionari militari dei due paesi.

Oggi, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è incontrato con il suo gabinetto di sicurezza per dare il via libera agli attacchi.