Chiamiamoli col loro nome…gli strani personaggi del pallone e della tv

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Pedro & Frank de la “Posta del Gufo” scrive, personalmente condivido e sottoscrivo: “So che quello che leggerete potrà non piacere a tutti.
Capita anche a me, qualche volta, di non essere d’accordo con ciò che leggo, ma stavolta non cercate di trovare un compromesso, quello che scrivo, giusto o sbagliato, è una convinzione che deriva da una lunghissima meditazione sull’argomento e il fatto che mi riferisca, per comodità, a personaggi recenti non deve essere preso per qualcosa di personale verso questa o quella figura, piuttosto verso un atteggiamento che sta diventando maggioritario e che, francamente, non condivido e non voglio condividere.
Ho appreso con grande gioia che l’allenatore dello Sporting Gijon ha definito José Mourinho “una canaglia” e che gli spagnoli, molto meno accondiscendenti all’esterofilia di noi italiani, lo chiamano “el traductor”, perché prima di diventare lo “Special One” era quello che ripeteva in spagnolo ai giocatori del Barcellona ciò che predicava Van Gaal in inglese.
In Spagna un personaggio come lui, che vilipende i colleghi in pubblico e poi li blandisce con gli SMS invitandoli ad assistere ai suoi allenamenti, intimidisce continuamente il quarto uomo ed il direttore di gara, se mediocri, salvo poi comportarsi in maniera quasi irreprensibile quando trova uno dei rari arbitri “con los cojones”, che esulta smodatamente e in maniera spesso provocatoria, che abbandona le conferenze stampa, che sfotte professionisti pagati la centesima parte di lui rifiutandosi di rispondere o usando il tormentone ripreso da “Colorado café” : “No è mio problema”, lo chiamano ancora così: canaglia.
Noi da tempo ( e non solo Mourinho, ma anche, in altri campi, per esempio Corona) li chiamiamo “vincenti” , dopo averli chiamati “rampanti” così come chiamavamo “yuppies”, gli stronzi.
Qua la mano amico del Gijon, grazie per aver usato la parola giusta.
Veniamo al caso Cassano.
Ognuno sull’argomento è libero di pensarla come vuole, ma nel mondo in cui vivo io uno che chiama “vecchio di m…” il proprio boss, difficilmente riscuote lo stipendio il ventisette del mese successivo, e probabilmente moltissimi di noi, quando sono in trasferta per lavoro, dormono in alberghi come (se non peggiori di) quello che Fantantonio ha definito “albergo di m…”.
Il giorno dopo però ha chiesto scusa, e, commuovendo qualcuno, si è oferto di pagare una multa di un milione di Euro (come dire: c’ho li sordi e faccio come c… mi pare).
Se lo cacceranno a calci in culo, non verserò, non dico una lacrima, ma neppure una goccia d’inchiostro: gli volevano dare un premio quei tifosi la cui passione permette a lui ed a quelli come lui di vivere una vita che loro non possono neppure sognare. Gli volevano dare un premio, mica gli chiedevano di pulire i cessi.
Basta, la misura è colma, ci vorrà più che un colpo sotto o un tiro ad effetto, per farmi ricredere, caro Cassano, spero tanto che la maglia azzurra finisca sulle spalle di qualcuno, magari meno bravo, ma che non pensa che andare una sera a ricevere un premio e soprattutto l’amore dei suoi tifosi sia una “serata di m…”.
Naturalmente la cosa non è importante, io sono solo uno che in “alberghi di m…” ci ha passato tanti giorni per guadagnarsi la pagnotta, e nonostante ciò so di essere fortunato.
Ne ho strapiene le palle di personaggi così cui tutti sono pronti a riconoscere le attenuanti generiche. d’accordo ha avuto un’infanzia difficile, ma per la miseria, a quanti altri disgraziati, molto meno fortunati di uno come lui, non si perdona “nec iota unum” ed a gente così deve essere concesso di poter insultare pesantemente il proprio datore di lavoro (provate – lo ripeto – a farlo anche voi poi vedrete…) e non solo non pagare dazio, ma sentirsi anche attorno l’affetto di tutti.
Spero che Garrone (tutt’altro che uno stinco di santo) tenga duro e che non sia una manovra per nascondere la cessione di Cassano a un grande club in difficoltà, e che una volta per tutte si insegni, non solo a Cassano, che c’è una misura in tutte le cose.
Per me il calcio è un’altra cosa, ed ho perdonato tutto solo ad uno: Diego Maradona.
E se ora qualcuno Cassano lo paragona a lui, allora è bene che cambi pusher.
Così la penso, così ve l’ho detta, non avevo intenzione né di irritarvi né di contraddirvi, ma se l’ho fatto…”no è mio problema”

Berlusconi, quando si perde si sta zitti…Juventus-Milan 2 a 1

L'Huffington Post

‘Quando si vince si parla, quando si perde si va a casa e si sta zitti’. Cosi’ uscendo da S.Siro Silvio Berlusconi replica a chi gli chiede commenti sulla sfida persa dai suoi contro la Juve. Il premier, poi, ha fatto delle foto assieme ad alcuni tifosi ma prima di abbandonare lo stadio e’ sceso negli spogliatoi a complimentarsi con la Juve e con Del Piero. Poi si e’ recato nello spogliatoio del Milan e solo dopo ha lasciato lo stadio Meazza.
Quanto sopra è il lancio stampa delle affermazioni del Premier ieri sera a S.Siro. Una pausa di riflessione penso ci possa essere consentita dal nostro dipendente Silvio Berlusconi.
Anzi, porgo¬†una domanda al nostro dipendente. Sig. Berlusconi perchè quando perde anche nella vita di tutti i giorni non coglie l’occasione per fare silenzio? Sarebbe un buon atto di umiltà. Non crede?
In attesa di sentire un qualche silenzio da parte del Presidente del Coniglio, e sempre sperando in Libertà, arrivederci al prossimo post dal Vostro affezionato Cartapazio Bortollotti.

Speciale Reset Italia “Bunga bunga” 29 Ott.2010

Tecnologie in campo a supporto degli arbitri, accordo Cnr e Figc

Goal fantasma

Rinnovata la convenzione tra Consiglio nazionale delle ricerche e Federazione italiana gioco calcio per sperimentare nuovi strumenti progettati e realizzati dall‚ÄôIstituto di studi sui sistemi intelligenti per l‚Äôautomazione. Gol fantasma, fuorigioco e rigori dubbi, espulsione di giocatori estranei all‚Äôazione di gioco: sono i casi e le difficoltà più frequenti che gli arbitri si trovano ad affrontare durante una partita. Un contributo alla soluzione delle accese discussioni del ‚Äòdopo partita‚Äô potrebbe arrivare dalla tecnologia a supporto della direzione arbitrale, messa a punto dall‚ÄôIstituto di studi sui sistemi intelligenti per l‚Äôautomazione del Consiglio nazionale delle ricerche di Bari (Issia-Cnr). A fugare ogni dubbio di arbitri, assistenti e tifosi, consentendo di stabilire con esattezza e di segnalare la posizione di pallone e giocatori, un sistema di rilevazione ‚Äòmade in Italy‚Äô, basato su immagini elaborate in tempo reale, acquisite da particolari telecamere installate lontano dal campo e trasmesse a un computer dotato di apposito software. In questa prospettiva il Cnr e la Federazione italiana gioco calcio (Figc) hanno rinnovato la convenzione per lo sviluppo e la sperimentazione di ulteriori tecnologie, secondo le direttive Fifa, in vista della loro possibile introduzione in campo.

“La sperimentazione pilota delle ‘tecnologie innovative a supporto degli arbitri nel gioco del calcio’ attiva nello stadio Friuli di Udine”, spiega Arcangelo Distante, direttore dell’Issia-Cnr,“ha confermato l’efficacia dei tre prototipi per la rilevazione di Gol fantasma, Fuorigioco e Monitoraggio eventi nell’area di rigore (Megar), costituiti da ‘macchine intelligenti di visione’: una catena hardware che parte da una telecamera digitale e arriva al server che acquisisce, memorizza, visualizza ed elabora in tempo reale le immagini di un’intera partita di calcio”.
La componente ‚Äòintelligente‚Äô è costituita dal software sviluppato dall‚ÄôIssia-Cnr (algoritmi innovativi nel campo della visione artificiale), mentre la console multimediale consente il riscontro oggettivo degli eventi, il server supervisore prende le decisioni finali e trasmette alla terna arbitrale le informazioni.
Ma quali sono le caratteristiche tecnologiche essenziali del sistema e i risultati ottenuti dalla sperimentazione? Precisione, non invasività, immediatezza, riservatezza, semplicità e trasparenza sono i principali vantaggi emersi.

‚ÄúI prototipi‚Äù, spiega Distante, ‚Äúsono provvisti di sensori di rilevamento ottico dotati di una risoluzione spaziale da 0.5 a 2 megapixel e di risoluzione temporale da 25 a 200 immagini al secondo, dunque di gran lunga superiore a quella dell‚Äôocchio umano. Inoltre, la tecnologia è assolutamente non invasiva per le strutture, per le persone presenti sul campo di gioco e a bordo campo e per gli spettatori. I sensori sono infatti posti in alto sulle tribune, senza interferire con la partita. In tempo reale, senza interruzione di gioco, i sistemi elaborano le sequenze di immagini e gli eventi di interesse vengono segnalati alla direzione arbitrale via radio. Le tecnologie dunque non si sostituiscono, ma sono di supporto alla direzione nel prendere la decisione. Inoltre, ogni evento è disponibile per un riscontro off-line come una sorta di referto elettronico, per esempio per finalità formative o per una valutazione oggettiva del processo decisionale. Infine, i sistemi sono basati su tecnologie aperte e di facile utilizzo‚Äù.
La nuova Convenzione – spiega ancora Distante – prevede ‚Äúla messa a punto (upgrade) e l‚Äôottimizzazione hardware e software (upgrade) dei prototipi sperimentali installati a Udine, in particolare del gol fantasma. Abbiamo inoltre previsto l‚Äôacquisizione di nuovi dati in differenti modalità meteo-ambientali e la sperimentazione di nuove tecnologie hardware e di particolari sensori che acquisiscono 500 immagini al secondo, cioè 2,5 volte superiori a quelli attualmente utilizzati‚Äù.
‚ÄúLa tecnologia messa a punto e brevettata dall‚ÄôIssia-Cnr‚Äù, dichiara Luciano Maiani, presidente del Cnr, ‚Äútestimonia le capacità del Consiglio nazionale delle ricerche di produrre scienza e applicazioni tecnologiche per i settori più diversi e in grado di fornire efficaci strumenti in grado di rendere competitivo il Sistema Italia a livello internazionale‚Äù.

La scheda
Chi: Istituto di studi sui sistemi intelligenti per l’automazione del Consiglio nazionale delle ricerche di Bari (Issia-Cnr) e Federazione italia gioco Calcio (Figc)
Che cosa: rinnovo convenzione Cnr-Figc e presentazione dei risultati sperimentali dei prototipi Goal fantasma, Fuori gioco, Megar-Monitoraggio eventi nell’area di rigore
Per informazioni: Arcangelo Distante, direttore dell’Issia-Cnr.

Definizione di Goal Fantasma (da wikipedia.it)

Gol fantasma è una locuzione usata in ambito calcistico per indicare un gol non chiaro, generalmente a causa dell’indeterminabilità del passaggio della linea di porta da parte del pallone. La Regola 10 del Regolamento del Calcio afferma, infatti, che un gol è considerato valido nel momento in cui il pallone oltrepassa interamente la suddetta linea (a meno che il gioco non sia stato interrotto prima della segnatura a causa di un’infrazione commessa dalla squadra beneficiaria del gol)[1]. Il gol fantasma trae origine proprio a causa delle possibili interpretazioni della regola nei casi più controversi, quando il pallone, ad esempio, viene respinto mentre sta oltrepassando la linea di porta, oppure, dopo aver colpito la traversa o i pali, impatta sulla linea per poi fuoriuscire dalla porta. Tenuto conto che non è mai stato adottato in via definitiva alcun tipo di supporto tecnologico per risolvere episodi dubbi di questo tipo, le decisioni vengono effettuate a discrezione dell’arbitro, essendo l’unico elemento deputato alla direzione e alla gestione degli incontri calcistici. Sono state avanzate numerose proposte per cercare di arginare il fenomeno dei gol fantasma: dal “pallone intelligente”, ossia un pallone da calcio contenente all’interno un microchip (usato in via sperimentale nei Mondiali Under-17 nel settembre 2005 con il consenso del presidente della FIFA, Joseph Blatter[2], il quale però, pochi mesi dopo, bocciò il progetto[3][4], di cui era stato previsto l’impiego – mai avvenuto – addirittura nel campionato del mondo 2006[5]; venne poi reintrodotto, sempre sperimentalmente, nel Mondiale per club 2007[6]) all’utilizzo di due arbitri in area di rigore e posizionati sulla linea di porta (approvato dall’IFAB il 28 febbraio 2009, sostenuto dal presidente dell’UEFA Michel Platini[7] ed adottato in via sperimentale nella UEFA Europa League 2009-2010[8]), fino al progetto italiano realizzato da FIGC, CNR, RAI ed Udinese Calcio[9] (inizialmente approvato dalla FIFA il 4 marzo 2006[10], venne bloccato un anno dopo[11], non entrando mai in funzione). Il 6 marzo 2010 l’IFAB, al termine della riunione annuale, non ha approvato l’uso di tecnologie per la segnalazione dei gol fantasma, dimostrandosi invece favorevole all’impiego dei giudici di porta, ovvero di due arbitri supplementari posti dietro le porte[12]; il 21 luglio 2010 ne ha poi autorizzato l’introduzione (seppur ancora in via sperimentale) all’interno di diverse competizioni internazionali, tra cui la UEFA Champions League e la Supercoppa UEFA[13].

Le “tigri” a Genova: proviamo a capire perchè ?

Ivan

 

Ci prova molto bene Giulia Zonca su ‚ÄúLa Stampa‚Äù con l’articolo ‚ÄúLa rabbia nazionalista dietro gli ultimi hooligan‚Äù,

Bandiere albanesi al rogo e simboli etnici: calcio come megafono. Quando i giocatori serbi hanno provato a comunicare con la curva in fiamme hanno mostrato il segno tre, il solo che quella gente capisce. √à il simbolo nazionalista, la croce ortodossa che i nostalgici spacciano come riassunto della Grande Serbia: esiste solo nella loro testa ma la propagandano ovunque, soprattuto negli stadi. Il calcio non è nemmeno una copertura, è un dichiarato megafono e non è un caso che la guerra dei balcani sia iniziata durante una partita di pallone: Dinamo Zagabria-Stella Rossa, 13 maggio 1990.

Gli incidenti della partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa di Belgrado sono un celebre episodio di guerriglia calcistica avvenuto il 13 maggio 1990 allo stadio Maksimir di Zagabria tra gli ultras della Dinamo (BBB – Bad Bleu Boys) e quelli della Stella Rossa (Delije). I due club per anni erano stati ai vertici del campionato jugoslavo e molto spesso si contendevano il titolo. L’atteso incontro tuttavia non venne neanche giocato a causa dei disordini in atto sugli spalti. Gli scontri ebbero luogo in un momento cruciale per l’ex Jugoslavia. Il 6 maggio 1990 si era infatti tenuto il secondo turno di elezioni in Croazia, con la vittoria dell’Unione Democratica Croata (HDZ) di Tuƒëman. Con questo esito la Slovenia e la Croazia, guidate da gruppi politici nuovi, erano diventati in testa al piano di riogranizzazione della Jugoslavia in una confederazione. Tale progetto aveva i suoi oppositori più accesi in Serbia e in particolare nel cosiddetto partito socialista di Milo≈°eviƒá. I tumulti di Zagabria provocarono 60 feriti. Le due squadre (e le rispettive tifoserie) nutrivano una reciproca rivalità da sempre, ma ad essa si aggiunsero delle tensioni nazionali extracalcistiche. Prima della partita giunsero a Zagabria circa 3.000 Delije che all’epoca erano guidati da Arkan (oggi noto come criminale di guerra alla guida di gruppi paramilitari durante il conflitto jugoslavo) che si disse entusiasta di essere presente alla gara (comunque non confermato). Allo stadio erano presenti complessivamente 15.000 – 20.000 spettatori. Parecchie ore prima della partita si sono registrati numerosi scontri tra le due tifoserie. Lo scontro vero e proprio si verificò nello stadio Maksimir. I tifosi di Belgrado, isolati nel proprio settore, iniziarono a strappare cartelloni pubblicitari e a inveire contro la tifoseria zagrebese con cori offensivi (Zagabria è Serbia, Uccideremo Tuƒëman) fino ad arrivare a veri e propri aggressioni armati di coltelli e sedie. La polizia a maggioranza serba (e quindi tollerante verso i tifosi ospiti) caricò rapidamente i tifosi della Dinamo, servendosi di manganelli e di gas lacrimogeni. Questi reagirono invadendo il terreno di gioco e raggiunsero gli ultrà serbi. La situazione precipitò e la polizia ordinò l’intervento dei reparti antisommossa, delle autoblindate e dei cannoni ad acqua. Gli scontri divampati dentro lo stadio si estesero anche fuori. Un’ora dopo gli scontri ebbero termine. In mezzo a tutto il caos parecchi giocatori della Dinamo rimasero feriti sul campo, mentre i calciatori della Stella Rossa riuscirono a rifugiarsi negli spogliatoi. Zvonimir Boban, allora capitano della Dinamo e successivamente trequartista del Milan, sferrò un calcio a un agente di polizia che stava picchiando un sostenitore della Dinamo. Venne preso di mira dagli altri poliziotti, ma in suo soccorso intervennero i dirigenti della Dinamo e alcuni tifosi blu. Questo gesto ebbe una larga eco e Boban divenne per i croati una sorta di eroe nazionale, mentre i serbi lo bollarono come nazionalista. La Federcalcio jugoslava lo sospese per sei mesi e lo condannò a pagare le spese processuali. Qualche anno più tardi l’agente aggredito (che risultò essere un musulmano bosniaco) perdonò pubblicamente il gesto di Boban. Commentando la propria reazione Boban dichiarò: “(…) posso solo dire che ho reagito a una grande ingiustizia, così chiara che uno (…) semplicemente non poteva rimanere indifferente e non reagire in nessun modo. (…) Ci furono sicuramente anche da parte mia abbastanza provocazioni, prima che l’agente di polizia mi colpisse e io gli restituissi il colpo (‚Ķ)”. I disordini avvenuti il 13 maggio ’90 furono in un certo senso il preludio alla guerra croata di indipendenza nonché uno degli episodi più emblematici della fine dell’ex Jugoslavia. Poco meno di un anno prima, il 22 marzo 1989, i tifosi della Dinamo Zagabria si scontrarono contro i tifosi del Partizan Belgrado, in casa dei tifosi serbi. Anche in questo caso durante la partita vi furono scambi di insulti su temi politici. Si presume che gli scontri siano cominciati quando i tifosi della Dinamo spararono dei petardi per festeggiare la vittoria per 2-0. Ci furono lanci di sassi, autobus distrutti e cartelloni pubblicitari divelti. Alla fine si registrarono 7 feriti e 32 arrestati. (da Wikipedia.it).

Prima scintilla di un odio etnico che ancora oggi è difficile tenere a bada. I gruppi organizzati sono il covo degli estremisti, lì dentro mischiano tutto: rivendicazioni, rabbia e follia. Ci mettono la costante protesta contro il Kosovo che non riconoscono come stato indipendente, ci mettono l‚Äôodio verso l‚Äôeterno nemico, l‚ÄôAlbania e ieri lo hanno sventolato bruciando una bandiera lanciata in fiamme giù dagli spalti. In più, ci mettono anche le loro faide, di solito scontri tra sostenitori del Partizan Belgrado e quelli della Stella Rossa. Per questo hanno minacciato il portiere Vladimir Stojkovic, passato da un club all‚Äôaltro, ed escluso dal match, per precauzione, già prima che sospendessero la gara.

Sono gli stessi che hanno guastato con scontri e cariche il Gay Pride di Belgrado qualche giorno fa, gli stessi che l‚ÄôUnione Europea ha già provato a tener lontano dalle partite senza ricevere il giusto appoggio dal governo serbo, accusato anche stavolta di scarsa collaborazione. La mappa dei loro movimenti non segue la logica, si uniscono per manifestare insofferenza e fastidio verso chi, nella loro visione del mondo, gli ruba i confini. Poi però si picchiano pure tra loro, soprattutto nei derby, una specie di happening del tafferuglio che finisce sempre con fermi e feriti. Tutta gente che puntualmente circola libera nell‚Äôoccasione successiva, tutte persone straschedate che possono acquistare liberamente il biglietto per qualsiasi gara.

Lo stadio del Partizan si chiama ancora Jna, come il vecchio esercito jugoslavo, avrebbe un altro nome ufficiale ma nessuno lo usa, una delle loro frange è stata battezzata Ultra Bad Boys e se la traduzione ¬´ragazzi molto cattivi¬ª non bastasse, aggiungono un extra negli striscioni ¬´siamo un pericolo per lo sport mondiale¬ª. Non si muovono mai senza spranghe e bengala, per fregare gli avversari a volte si avvolgono nelle bandiere della squadra rivale e si infiltrano. Quando vogliono limitarsi alle botte, ma sanno far peggio: nel settembre del 2009 hanno ammazzato un tifoso del Tolosa prima di una partita di Europa League.

Il generale Arkan, comandante delle milizie nella pulizia etnica, era un capo curva e ancora oggi i suoi seguaci sventolano il lenzuolo con la scritta ¬´le tigri di Arkan¬ª. Arkan è morto nel 2000, ma il suo club di riferimento, l‚ÄôObilic è infarcito di veterani militari, irriducibili che spacciano criminali di guerra per santi.

Secondo il quotidiano serbo ¬´Blic¬ª, sono almeno 2000 i violenti che non potrebbero più entrare in uno stadio, ma in patria comandano. Sono nel consiglio di amministrazione dei club e non si occupano solo di affari, gestiscono l‚Äôufficio minacce. Usano la persuasione per fermare decisioni non gradite, acquisti mal sopportati e i tentativi di veto sulle trasferte. Nonostante gli infiniti incidenti, raramente si arriva a giocare a porte chiuse in Serbia e quasi mai si riesce a evitare che le curve ultranazionaliste, compattate, si trasferiscano all‚Äôestero. Sono gli ultimi hooligan e sono felici di sentirsi chiamare così perché si considerano combattenti e non si preoccupano certo di essere coerenti. Ieri stavano anche contro i loro stessi colori, quelli per cui in realtà sostengono di vivere. Erano indispettiti per la sconfitta subìta in casa, contro l‚ÄôEstonia, sabato scorso. Una sconfitta, l‚Äôennesima scusa per sfasciare tutto.

¬†Ultima ora: il capo della sommossa Ivan Bogdanov e ha 30 anni: arrestato, era nascosto nel vano motore di un pullman di tifosi serbi. L‚Äôuomo si trova attualmente in stato di arresto nelle camere di sicurezza della questura. “Ivan” è stato riconosciuto dai tatuaggi incisi sulle braccia e mostrati in particolar modo quando si è arrampicato sulla rete, ripreso da tutte le telecamere. Sul suo bicipite destro porta incisa la data 1389 che ricorda la battaglia della Piana dei Merli, battaglia che – nonostante la sconfitta patita dai Serbi per mano dei Turchi – è divenuta il mito fondante dello spirito ultranazionalista serbo.

Pdl e Lega Nord lottizzano Inran e Inea “Un ex calciatore diventa presidente…di un Ente di Ricerca”

Una comunicazione di Rocco Tritto, Segretario Nazionale di Usi-Rdb Ricerca, mi ha lasciato sconcertato.

Su proposta del Ministro Giancarlo Galan, oggi il governo ha avviato la procedura per la nomina del sig. Tiziano Zigiotto (dal 1979 al 1988 è stato calciatore professionista e semiprofessionista) a presidente dell’Inea e del prof. Mario Colombo a presidente dell’Inran.

Mentre Colombo (Lega Nord), assessore alla cultura della Provincia di Como era già stato designato il 28 ottobre 2009 dal Governo alla successione di Romualdo Coviello (Pd) alla presidenza del Cra, degnazione mai giunta in Parlamento, Zigiotto (PdL), veronese, titolare dell‚Äôagenzia della Banca Mediolanum di San Bonifacio, già consigliere regionale del Veneto, braccio destro dell‚Äôex governatore Galan, con un passato da calciatore professionista, rappresenta un novità assoluta alla guida di un ente di ricerca. La decisione del governo rappresenta l‚Äôennesima dimostrazione di nefasta politica spartitoria, che non risparmia neppure la Ricerca.

C’è solo da chiedersi che fine abbia fatto il dottor Fabrizio Mottironi che, sempre nella seduta del governo del 28 ottobre 2009 era stato designato al vertice dell’Inea.

La fine della Ricerca pubblica è, invece sotto gli occhi di tutti.

Max Biaggi e il “Mugello”

Conversazione tra Riccardo Benvenuti (Ufficio Comunicazione – Mugello Circuit S.p.A) e Max Biaggi, argomento il Circuito del Mugello.

“Ho corso ininterrottamente al Mugello dal 1992 al 2005, qui ho conquistato il mio primo podio, qui ho colto alcune fra le vittorie della mia carriera. E‚Äô un circuito davvero affascinante”. Max Biaggi, a ruota libera durante una pausa del suo test all’Autodromo Internazionale del Mugello in preparazione dell‚Äôappuntamento iridato del mondiale Sbk che si corre in Germania al Nurburgring, domenica prossima 5 settembre. Un test nel quale il campione romano ha ripreso confidenza con la sua Aprilia dopo che il campionato ha avuto una pausa di oltre un mese (l‚Äôultima gara a Silverstone si è, infatti, disputata il 1 agosto scorso).In un‚Äôintervista per il nostro sito tutta incentrata sul Mugello, Biaggi ha ‚Äòbattezzato‚Äô quelli che sono i punti più emozionanti della pista. “Direi il Correntaio, l‚ÄôArrabbiata 1 e 2, la Bucine, una curva veloce che ti immette sul rettilineo dei box dove superi tranquillamente i 300 kmh. Con i suoi saliscendi, le montagne verdi, è un tracciato misto veloce che diverte chi guida e chi assiste alle gare”. Parlare di spettatori significa anche ricordare le maree umane che, proprio con Biaggi, caratterizzarono al Mugello tante gare nella 250 e nella 500/MotoGP del Motomondiale e che videro il pilota romano grande protagonista. “Effettivamente al Mugello c‚Äôè sempre stata un‚Äôatmosfera speciale: ricordo che il sabato andavo ad incontrare i tifosi alla Casanova Savelli, c‚Äôerano sempre delle grigliate fantastiche. Erano cose molte belle che si facevano solo qui”. Max si prepara a lasciare il Mugello, ma torna indietro e lancia una proposta. “Speriamo che anche qui presto si corra la Superbike, credo che ci sarebbe una grande partecipazione perché qui gli spettatori hanno grandi visuali, grandi possibilità di assistere davvero alla gara. Sono convinto che vi assisterebbero in gran numero. Speriamo ci si arrivi alla svelta perché io non è che possa correre all‚Äôinfinito‚Ķ.”

“L’avvelenata” di Pedro & Fr@nk, della Posta del Gufo

Ma s’ io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni
credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni;
va beh, lo ammetto che mi son sbagliato e accetto il “crucifige” e così sia,
chiedo tempo, son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato…
Francesco Guccini, “L’avvelenata” – 1976

Si ricomincia, anzi si è già ricominciato.
Ricordiamoci però dove eravamo arrivati.
Ai Mondiali ci hanno suonati come zampogne, ed a Lippi hanno sciupato le ferie a forza di pernacchi.
Cesare Prandelli ne ha raccolto l’eredità ed ha esordito, oh suprema idiozia del calcio moderno, il 10 agosto a Londra affrontando, com’è naturale, la Costa d’Avorio ed ha perso più nettamente del punteggio fissato da una rete di Kolo Touré.
Prima del Mondiale l’Inter aveva fatto il “triplete” cui, secondo il più diffuso pensiero debole nerazzurro, la sconfitta azzurra ha aggiunto un altro trofeo virtuale.
Fra “triplete” e Mondiale l’Inter ha perso Mourinho che col suo comportamento ha mostrato che si può essere davvero grami anche se si è “Special” e si è stati assecondati in tutto dal proprio presidente, seguiti ciecamente dai propri campioni ed adorati dai propri tifosi.
O forse proprio per questo.
Mourinho si è accasato ad un club che, secondo le dichiarazioni dei suoi stessi nuovi datori di lavoro, “dovrà aiutare a tornare a vincere”.
Il fatto che questo club si chiami Real Madrid, per il quale vincere è la regola e perdere l’eccezione da che mondo è mondo, non ha fatto sorridere nessuno, segno che ormai la logica non è più di questo calcio.
Non ha fatto specie neppure che lo stesso Mourinho abbia cercato di portare con sé Maicon, Milito e addirittura Sneijder, appena sbolognato dallo stesso Real che se lo avesse ricomprato avrebbe avuto i titoli per entrare nelle barzellette. Anzi visto l’allenatore “i tituli”.

Si era detto che Prandelli è diventato CT della Nazionale, il suo posto alla Fiorentina è stato preso da Sinisa Mihajlovic che ha confermato di essere di tutt’altra pasta. Come prima cosa ha ringraziato dell’impegno (gratuito) dei volontari della Polisportiva San Piero a Sieve che da cinque anni si danno da fare (e si fanno un mazzo così) per ospitare la squadra viola nei propri impianti, dichiarando che “l’anno prossimo non torneremo nel Mugello, ma dopo Cortina faremo una tournée in Inghilterra”. Intanto ha fatto due amichevoli beccando a Tottenham (Inghilterra) e a Valencia (Spagna dove l’anno prossimo non ha detto di voler fare tournéé, meglio…), in compenso ha piegato la Lucchese e la Fortis Juventus, che è sempre un bel vincere. “La fortuna” – è da tempo una mia convinzione – “aiuta gli stronzi”.
Speriamo.

Intanto per come vanno le cose può essere che la Fiorentina il prossimo anno torni in Mugello e che Sinisa venga cacciato a calci in culo e ditate negli occhi prima di tornare a Cortina a spese dei Della Valle brothers.
Un altro a cui va ancora tutto bene è Pantaleo nostro che, dopo aver preso D’Agostino e Boruc, ad occhio e croce due che giocano in ruoli coperti dagli “incedibili” Montolivo e Frey, ha trattato mezzo mondo senza comprare mezzo giocatore.

Intanto qualcuno dovrebbe ricordarsi che Felipe è stato pagato nove milioni di Euri (plurale) per quanto sembri impossibile ogni volta che si ha la ventura di vederlo giocare e che Bolatti non c’è modo di darlo via.
E tutti e due (per tacere della tribù di Giuda da Mazuch a Da Costa passando per Lepillier e Semioli) non li ho comprati io, nè sono venuti volontari. Però Pantaleo Corvino è un re del mercato, guai a chi lo mette in dubbio: Andrea Della Valle s’incazza da morire.

Torniamo al calcio giocato: la Sampdoria è stata asfaltata a Brema dove Cassano ha dato ragione a Lippi e torto a Prandelli e Pazzini con un gol favoloso ha tenuto accesa la speranza.
Tutti hanno salutato l’1-3 come una benedizione, speriamo che abbiano ragione.
Se la Samp non dovesse fare l’impresa, qualcuno, forse, imparerà che il quarto posto a volte è solo un modo complicato per fare la Coppa UEFA e che le due qualificazioni di Cesare Prandelli non erano così scontate anche se ottenute con avversari meno tetragoni e, soprattutto, meno tedeschi.
In due giorni si sono viste in azione anche Inter, Roma, Milan e Juve, ovvero, per i più spiritosi, le più quotate aspiranti al titolo.
Non sono state partite indimenticabili, ma l’Inter ha mostrato che la differenza c’è ancora e si vede: Benitez potrà essere anche un grandissimo allenatore ma per far perdere lo scudetto ai nerazzurri ci vorrebbe un miracolo che ad occhio e croce non è nelle sue possibilità.
In campo giallorosso molti hanno sparato su Adriano e quando è stato fatto notare loro che lo sferoidale attaccante brasiliano era ai primi allenamenti italiani costoro hanno replicato che “aveva giocato in Brasile” segno che qualcuno non sa di cosa si parla.
La Roma comunque ha retto bene prima di fare harakiri con uno dei gol più assurdi che ricordi di aver visto in tanti anni di calcio, speriamo che questo episodio sfortunato abbia amplificato il divario.
Il giorno dopo Milan e Juve hanno tranquillizzato, se mai ce ne fosse bisogno, i tifosi nerazzurri. Gli juventini più irriducibili sperano in Krasic e Aquilani e i milanisti sognano Ibra, con la differenza che i primi li hanno già comprati il che potrebbe non essere un vantaggio.
Balotelli si è accasato al Manchester City che ha i soldi di un qualche sceicco, mentre Mourinho, che per spendere i soldi (anche non degli sceicchi) ha pochi rivali ha preteso che il Real gli comprasse, rimanendo in tema per una cifra da “Mille e una Notte”, Mesut Ozil, rivelazione degli ultimi Mondiali. Lo avrebbe chiesto – ha scritto qualcuno, apparentemente senza scherzare – “per rinforzare la rosa”.
Mi domando cosa chiederebbe mai Mourinho se un giorno arrivasse ad allenare la Fiorentina.
Ma non corriamo questo rischio, né lui, né noi.

Una storia vera di un campione vero: Vigan Mustafà, Campione del Mediterraneo IBF dei Medio-Massimi

Oggi è facile dire: io l’avevo detto (e anche Reset lo aveva detto), ma di ciò ho le prove e quintali di articoli sparsi in quotidiani, riviste e quant’altro, oltre che la ‚Äúcrescita pugilistica‚Äù testimoniata con il format televisivo ‚ÄúBoxe News‚Äù prodotto da Boxe Mugello del Team Manager Gabriele Sarti e condotto dallo scrivente. Vigan Mustafà svezzato nel finale di carriera dilettantistica dalla Boxe Mugello di Gabriele Sarti (nel 2006 7 incontri e 7 vittorie), nel 2007 il grande passaggio nei professionisti, con la Boxe Mugello e Gabriele Sarti all’angolo 13 combattimenti, con 11 vittorie e 2 sconfitte, discutibili. Poi il cambio team e un’altra avventura. Allo Stadio Locatelli di Toscolano Maderno, Vigan Mustafa (15-2, 6 K.O.) ha conquistato la vacante cintura IBF del Mediterraneo, categoria mediomassimi, e questo è decisamente il meno. Ciò che importa è che ha disputato un ottimo match risolvendo una questione di superiorità contro il piemontese Maurizio Lovaglio (7-7, 4 K.O.) dopo averlo battuto di stretta misura a Mantova nella primavera di due anni fa in occasione della Coppa Italia Professionisti 2007. Vigan Mustafa, sostenuto da un nutrito drappello al seguito dalla Toscana, ha cominciato un po’ contratto e Lovaglio ha messo in mostra un buon tempismo anticipandolo e mettendo a segno ripetutamente il gancio destro d’incontro. Nel complesso comunque le prime due riprese sono da considerarsi pari, anche confortato dal giudizio di Nino Benvenuti. Poi è iniziato il monologo del kossovaro ‚Äì fiorentino Vigan Mustafà dalla terza ripresa fino alla settima compresa. Trovata una buona mobilità sul tronco, il giusto ritmo sulle gambe, iniziando a portare colpi da varie angolazioni, preparando l’azione col jab, Mustafa non ha più concesso spazio a Lovaglio se non per qualche sporadico destro negli scambi più a viso aperto. Ottava, nona e decima Vigan Mustafà consapevole del netto vantaggio ha come si suol dire rifiatato, bilancio tre riprese alla pari anche se era evidente che il piemontese era calato vistosamente concedendosi lunghe pause (dal 6¬∞ round infastidito anche da un taglio al sopracciglio destro) meritandosi alla nona ripresa un richiamo ufficiale per colpi dietro la nuca. Il match si è un po’ riequilibrato nel finale quando anche Mustafa ha sentito la fatica e calato il ritmo. Nonostante la sfuriata di Maurizio Lovaglio alla undicesima e dodicesima ripresa il verdetto è unanime e indiscutibile per Vigan Mustafà: con 118-109 del giudice Maianti, 116-111 del giudice De Ruvo e un avaro 115-112 del giudice Lamusta. Personalmente ho condiviso il 118-109 del giudice Maianti. Arbitro il signor Rega.
Conclusioni degli addetti ai lavori estratto dai vari reportage dell’incontro: ‚ÄúVigan Mustafà è un pugile in crescita, gradino dopo gradino si è costruito un buon record, battendo anche avversari non arrendevoli tra cui diversi competitor nazionali, cosa non comune ai nostri lidi, è auspicabile che con la prossima cittadinanza arrivi anche la chance per il titolo nazionale, una cintura che comunque ha del prestigio che in tempi di sottomarche varie lascia comunque un bel segno nel palmares, anche se tutto questo movimento di sottotitoli aiuta il movimento a salvarsi dall‚Äôasfissia, sarebbe ora di adeguare i match di questo cabotaggio alle dieci riprese, più che sufficienti, per Maurizio Lovaglio l‚Äôennesima battuta d‚Äôarresto, al torinese, manca sempre qualcosa per concludere positivamente i match di buon livello, fisicamente sempre all‚Äôaltezza, anche ieri dopo un positivo inizio si è spento, non ha saputo variare tatticamente e si è sicuramente innervosito per una ferita e per un richiamo.‚Äù Niente da eccepire. Adesso Vigan Mustafà è 60mo su 784 pugili professionisti al mondo nella categoria medio-massimi. 27mo in Europa su 279 pugili attivi, in Italia sarebbe 1¬∞ assoluto con 105 punti, precedendo addirittura Antonio Bracalion fermo a 101 punti.

“Racconto di una storia vera”

Da una nota di Vigan Mustafà: Pristina, 4 giugno 1979. Nasce nella Repubblica Federale Jugoslava Vigan Mustafa. Madre turca, padre musicista, 3 fratelli (Ilir, Vigan e Sead). Ai profughi di guerra serbi il regime comunista, instaurato sotto la guida del Maresciallo Tito, ha vietato il ritorno alle proprie case in Kossovo, riunificato e riammesso allo Stato jugoslavo. Il vuoto lasciato dai serbi, massacrati o cacciati dal paese dai nazisti, è ormai da tempo colmato dai cittadini di etnia albanese, in parte tornati dopo l’espulsione subita tra le due guerre. Provincia autonoma della Serbia, il Kossovo aveva da tempo chiesto invano lo status di Repubblica e, mentre Vigan muove i suoi primi passi, serbi e albanesi si scaldano al grido dell’indipendenza ed il Maresciallo Tito muore lasciando il paese in balia di se stesso.
Siamo alle porte degli anni ‚Äô90. Vigan adesso ha 10 anni e l’istruzione di base nel suo paese è garantita solo ai Kossovari di etnia albanese, circa metà degli edifici scolastici è andata distrutta, funzionari ed insegnanti vengono sostituiti da serbi o fedeli alla Serbia. Manca poco al suo compleanno e l’autonomia concessa al Kossovo viene revocata. E’ l’età dei primi batticuori quando il partito LDK e gli albanesi del Kossovo iniziano una campagna armata di resistenza e indipendenza. Vigan inizia a prendere confidenza con il pugilato ed entra a far parte di una squadra che lo vede combattere e vincere con ostinazione e umiltà.
I separatisti albanesi dell’ UCK (esercito di liberazione del Kossovo) combattono contro militari e Stato; la polizia e poi i paramilitari incalzano con una sempre più dura repressione.
1995: la NATO interviene contro la Serbia, guerriglia e repressione si contrastano nel sangue e nella fame della popolazione; il mondo di Vigan deve essere un turbinio di emozioni: nello spasmo politico il sedicenne è già nella nazionale pugilistica dilettanti e vince il titolo che poi doppierà l’anno successivo.

VIGAN MUSTAFA’

Curriculum da Professionista

Country Albania – Kossovo
Global Id 390724
Hometown Florence, Toscana, Italy
Birthplace Pristina,
Division Light Heavyweight
Age 31
Born 1979-06-04
Stance Orthodox
Height 184cm

Date Opponent W-L-D Location Result

2010-08-20 Maurizio Lovaglio 7-6-0 Toscolano Maderno, IT W UD 12
vacant IBF Mediterranean Light Heavyweight Title
2010-05-28 Jiri Svacina 11-5-0 Figline Valdarno, IT W UD 6
2010-03-19 Jindrich Velecky 16-8-0 Florence, IT W PTS 6
2010-02-20 Giulian Ilie 14-2-2 Scandicci, IT W DQ 6
2009-12-04 Florin Bogdan 3-18-2 Livorno, IT W TKO 4
2009-10-31 Michal Tomko 0-5-1 Strada in Chianti, IT W TKO 3
2009-09-18 Corrado Sebastiano Tabuso 2-6-0 Borgo San Lorenzo, IT W TKO 2
2008-07-25 Roberto Cocco 8-1-0 Pre-Saint-Didier, Aosta, L SD 10
2008-04-24 Luca Tassi 11-0-0 Cecina, IT L TD 5
vacant IBF International Super Middleweight Title
2008-04-04 Maurizio Lovaglio 3-3-0 Mantova, IT W PTS 6
2008-03-14 Richard Remen 2-25-0 Livorno, IT W KO 1
2008-01-25 Lubo Hantak 1-18-0 Rome, IT W PTS 6
2007-12-22 Massimiliano Saiani 24-15-2 Vicchio, IT W PTS 8
2007-10-16 Attilio Trane 4-2-0 Motteggiana, Mantova, IT W PTS 6
2007-07-28 Szabolcs Gergely 0-18-0 Vicchio, IT W KO 3
2007-05-26 Maurizio Lovaglio 2-1-0 Borgo San Lorenzo, IT W PTS 6
2007-04-13 Daniel Tasci 0-0-0 Borgo San Lorenzo, IT W KO 5

Record to Date
Won 15 (KOs 6), Lost 2, Drawn 0
Total 17

Career Record: ©www.boxrec.com

Il Toro è impazzito e la Mucca pure

http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:r6iCKYVJwWJoqM:http://img96.imageshack.us/img96/263/58376788.jpg&t=1

Vicenda credibile quanto spaventosa, quella accaduta durante una corrida in Navarra, zona del nord della Spagna…Non si è ancora capito cosa possa essere accaduto perchè una folla paghi per entrare e godere delle Furia di un Animale, magari ferito e stimolato da urla e incitamenti e colori. “Non si è ancora capito cosa abbia scatenato la furia dell’animale, che fino a quel momento era stato tanto calmo da non soddisfare le richieste del pubblico”. E ci portano i figli, minori, a vederlo dal vero,¬† lo Spettacolo della Morte.

Verguenza che in italiano significa Vergogna.Dalla Parte del Toro e della Mucca, che surriscalda il Pianeta con il suo sterco…

Doriana Goracci


Spagna, toro impazzito sugli spalti dell’arena

Vicenda incredibile quanto spaventosa quella accaduta durante una corrida in Navarra, zona del nord della Spagna.
Un toro, durante ‘l’esibizione’ ha scavalcato le barriere di protezione degli spalti e ha iniziato una folle corsa tra il pubblico prendendo a cornate tutti quelli che trovava sul suo tragitto. Il bilancio è di 20 feriti, il più grave un bimbo di appena 10 anni.
Le altre ‘vittime’ dell’incidente per fortuna riscontrano solo escoriazioni e lievi danni.
Non si è ancora capito cosa abbia scatenato la furia dell’animale, che fino a quel momento era stato tanto calmo da non soddisfare le richieste del pubblico. Gli organizzatori infatti stavano per farlo uscire dall’arena.


http://www.allzoon.com/wp-content/uploads/2010/03/no-corrida.jpgfoto tratta da Madrid dichiara corrida ‘bene di interesse culturale!?!

La vendetta di Zigulì

Il nuovo CT della Nazionale di Calcio Francois Zahoui, che ieri sera ha battuto l’Italia di Cesare Prandelli, senza neanche troppi sforzi è stato il primo calciatore africano in Italia, al minimo dello stipendio con l’Ascoli di Costantino Rozzi. Nato a Treichville (Costa d‚ÄôAvorio) il 21/07/1961 era una mezzapunta. Non voglio entrare nel commento, sinceramente avendolo visto giocare da vicino e a stretto contatto, oggi in Italia circola decisamente di peggio. Ma è entrato nell’Enciclopedia del Calcio Bidoni. Vi allego la scheda da www.calciobidoni.it.
Cresciuto nella Stella Club di Abidjan, squadra della Capitale del suo paese, Zahoui fu scoperto dagli osservatori dell‚ÄôAscoli in occasione del Torneo di Marsiglia del 1981. E‚Äô passato alla storia per essere stato il primo calciatore africano a rompere la barriera razziale del campionato italiano. Il ‚Äúnegretto‚Äù ricevette numerosi elogi prima di sbarcare in Italia: in Africa si dimostrò un giocatore dotato di una discreta levatura tecnica, che poteva giocare sia come attaccante puro che come mezzapunta. A volerlo fu soprattutto il Presidentissimo Costantino Rozzi, che con il suo ingaggio intendeva punzecchiare i dirigenti delle squadre italiane più blasonate, che spendevano fior di quattrini per assicurarsi i migliori fuoriclasse del pianeta. ¬´Zahoui è la dimostrazione ‚Äì disse il vulcanico Patron bianconero ‚Äì di come l‚ÄôAscoli non possa permettersi gli stranieri, se non quelli da due lire¬ª. Acquistato per la misera cifra di 25 milioni di Lire, venne stipendiato con 12 milioni annui, che all‚Äôepoca rappresentavano il minimo sindacale (che oggi ammonta a 1.500 Euro al mese). C‚Äôè chi dice che il club ivoriano, invece di riscuotere denaro per il suo trasferimento, fu pagato con il controvalore in tute da gioco ed attrezzature sportive. Fu presentato come ¬´il nostro negretto dal grande futuro¬ª e i tifosi locali, con fervida fantasia, lo ribattezzarono subito ‚ÄúZigulì‚Äù in onore della famosa caramella alla frutta. Giunto in Italia però, forse anche a causa della sua giovanissima età (aveva solo 20 anni) Zahoui si perse per strada: dovette lottare anche con l‚Äôostracismo di Mazzone, che gli preferiva i giocatori italiani. Carletto gli affidò infatti l‚Äôingrato compito di farsi servire in fuorigioco per perdere tempo nei minuti finali delle trasferte. Alla fine, disputò solo 11 presenze in due anni in Serie A ‚Äì la prima fu Fiorentina-Ascoli del 28 Ottobre 1981 ‚Äì non riuscendo a trovare un posto stabile in prima squadra. Una leggenda metropolitana narra che al primo allenamento con i marchigiani si presentò sul campo a piedi nudi, come era abituato nel suo paese. Venne quindi ceduto al Nancy ‚Äì si mormora per una cifra vicina ai 100 milioni ‚Äì e in Francia terminò la sua carriera, giocando discretamente prima con il Tolone e poi con il Nevers. Nel 1993 appese i fatidici scarpini al chiodo per tornare in Costa d‚ÄôAvorio ed iniziare l‚Äôattività di allenatore, senza però ottenere grandi risultati, esattamente come nella sua carriera da giocatore. Tornò a farsi sentire nelle Marche quando nel Dicembre 1994 morì Costantino Rozzi, che fino all‚Äôultimo era rimasto alla guida dell‚ÄôAscoli; il giorno del suo funerale furono in ventimila a salutarlo calorosamente per l‚Äôultima volta. Zahoui, appresa la triste notizia dalla Francia, non aveva dimenticato chi lo aveva lanciato nel calcio che conta: ¬´Ho pianto anch‚Äôio ‚Äì confessò ‚Äì il Presidente Rozzi per me è stato come un padre¬ª.

Call: Racconta la tua “emozione” sportiva

Writing!
Creative Commons License photo credit: Markus Rödder

Perché non raccontare il nostro/vostro evento sportivo, l’aneddoto, l’emozione, il fatto visto da ‚Äúocchi diversi‚Äù e stilare un breve racconto/saggio (max 3 pagine A4 Verdana 10).
Le 32 storie di sport a modo nostro, a modo vostro, più idonee ad una pubblicazione saranno raccolte in un unico volume ed edite a cura dello scrivente Ezio Alessio Gensini.
Per informazioni mi trovate a: [email protected].
Condividete e ‚Äúscrivete‚Äù. I brevi racconti, saggi e quant’altro potete inviarli al solito indirizzo: [email protected]
Le 32 ‚Äúopere‚Äù in conformità con le esigenze editoriali verranno pubblicate in una unica raccolta.
Ma un passo alla volta.
Inviate, inviate, inviate.

Vi(n)cente Del Bosque e l’Olanda che perde, ultime esternazioni mondiali di Pedro de La Posta del Gufo

fuß ball welt meister schaft 2006
Creative Commons License photo credit: dr. motte

“Gira l’Ulanda che l’America l’è granda.”
Questo detto popolare invitava chi non aveva né arte né parte
a servire la Spagna nella guerra contro l’Olanda (XVI secolo)
ed equivale più o meno al toscano “levati dai coglioni” che,
se non altro, è più chiaro e diretto.

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La finale del Mondiale si è decisa a quattro minuti dalla fine del ‚Äúsegundo tiempo extra‚Äù.
La musa Eupalla non aveva mai impiegato così tanto tempo per decidere, forse combattuta fra premiare i migliori (e non da stasera) e punire per la terza volta altri suoi devotissimi, oggi più dimessi di un tempo, ma anche stavolta, alla fine, ha deciso bene.
Si è anche tolta lo sfizio di far segnare il gol decisivo da uno dei suoi ultimi sacerdoti: Andrés Iniesta, gran giocatore al cospetto suo, d‚ÄôIddio onnipotente e degli uomini che ancora amano questo sport.
La ‚Äúcortada‚Äù di Andrés non ha dato scampo al portiere olandese Stekelenburg, cui fino a quel momento era riuscito più di un mezzo miracolo su Sergio Ramos e soprattutto su Cesc Fabregas che aveva battuto la più nitida palla gol spagnola dell‚Äôincontro. Fabregas aveva sbagliato per egoismo, oltre che per la bravura del portiere avversario, oltre il quale, ma dietro la linea della palla, invocava il passaggio David Villa, ‚Äúpichichi in pectore‚Äù della manifestazione.
Se Cesc gli avesse passato il pallone l’Aida olandese sarebbe spirata prima e David Villa si sarebbe potuto fregiare anche del titolo di “artillero.
Anche l’Olanda, spietata nella gestione tattica della sfida, aveva avuto la palla per chiudere l’incontro e incassare il risarcimento per le altre finali nelle quali aveva giocato meglio e perso lo stesso, cosa che fa sommamente venire il nervoso.
Sneijder aveva innescato Robben con un passaggio perfetto nel centro della difesa spagnola che, evidentemente, pensava ad altro, e Robben, che non è facile da rimontare se non si dispone di una Kawasaki, si era presentato solo davanti a Iker Casillas.
Qui si consumava in pochi passi lo psicodramma: Robben anziché battere con violenza decideva di piazzare il pallone, ma aspettava la mossa del portiere che a sua volta guadagnava tempo cercando di favorire il recupero di un compagno che stava rendendo l‚Äôanima a Dio nella disperata rincorsa al centauro olandese.
Per un attimo si sono affrontati come il cobra e la mangusta nel racconto di Rudyard Kipling, poi Casillas si è allungato sulla sinistra inducendo Robben a toccare dalla parte opposta, dove la prodigiosa ciabatta destra di Iker, distesa ad arte, deviava sul fondo il pallone ed i sogni degli olandesi.
Non so se davvero sia stata la prodezza di Casillas che ha ammaliato Robben o se invece Robben abbia soltanto accusato ‚Äúil braccino‚Äù che viene ai tennisti sul match-ball. Se fosse vera questa seconda ipotesi allora Iker sarebbe stato solo un portiere fortunato, cosa che comunque non sarebbe disdicevole, quel che è certo è che l‚ÄôOlanda in quel preciso momento ha prenotato la terza sconfitta in una finale mondiale.
E certe prenotazioni non si possono disdire.
Su questi due episodi e su pochi altri, tutti o quasi favorevoli alla Spagna, è vissuta la grande finale che verrà ricordata per le botte da orbi rifilate dagli arancioni sotto lo sguardo poco attento dell‚Äôarbitro Webb apparso spesso indeciso se non irresoluto.
Un fallo di De Jong su Xabi Alonso sarebbe stato da rosso direttissimo, così come la determinazione di Van Bommel nel menare con equità l‚Äôintera formazione spagnola avrebbe meritato più di un cartellino giallo la cui ostensione è avvenuta sul fallo più duro, che era stato anche uno dei primi commessi dal terribile genero del CT olandese.
L‚ÄôOlanda, per la quale simpatizzavo per amore di altre olande delle quali mantengo un grande ricordo, si è dimostrata inferiore alla Spagna (l‚Äôaveva pur detto Cruyff al quale mi ostino ancora a dare più credito che al polpo Paul‚Ķ) e si è arrangiata con le armi che aveva: decisione e contropiede.
Purtroppo i suoi migliori, vale a dire Robben, Van Persie e Sneijder, avevano la luna di traverso ed hanno brillato ad intermittenza, il secondo di luce fievolissima.
Kuyt si è dannato l‚Äôanima correndo, inforcando ed impiccando, Van Bommel, invece è risultato il più positivo dei suoi con i limiti di un Benetti ammodernato, ma più maligno e tatticamente disciplinato del celebre allevatore di canarini.
Gli altri olandesi, e lo si sapeva, erano onesti professionisti per i quali una prestazione trasmessa via satellite, come quella della finale Mondiale testé disputata, giustificherebbe la meraviglia a suo tempo espressa da Scopigno per Comunardo Niccolai.
Altro discorso per la Spagna, che ha comunque sofferto molto l‚Äôorganizzazione olandese, più ordinata e tetragona di quella tedesca, ma che ha al suo arco molte frecce che, prima o poi, per forza colgono nel segno.
Una squadra che può schierare contemporaneamente Iniesta, Xavi e Xabi Alonso (o Fabregas) e contare su esterni del valore di Ramos, Capdevila, Pedro o Jesus Navas ha una carta per tutti i giochi.
Non bastasse, “Tia Espana” ha avuto anche l’aiuto della “suerte” sotto forma di un macroscopico errore della terna arbitrale che non ha concesso angolo su una punizione di Sneijder deviata da barriera e portiere.
Sull’azione successiva Fabregas (mi pare) ha trovato Iniesta e la Spagna la Coppa del Mondo.
Rallegriamoci di come è finita: ha vinto la squadra migliore, con il gol di uno dei migliori calciatori e non solo di questo torneo.
Dispiace per il gramo destino dell‚ÄôOlanda che le altre volte aveva però più ragione di recriminare come cifra tecnica.
Vince il titolo di Campione del Mondo anche Vicente Del Bosque, “una vita da mediano” e la faccia di uno qualunque.
In sette partite non mi ricordo di avergli mai visto agitare le braccia, però ricordo di averlo visto chiamare fuori Pedro, colpevole di suprema e pericolosa stronzaggine costata il gol della tranquillità contro la Germania, prima che il ragazzo potesse pentirsene.
Dio buono che bellezza veder vincere uno che sembra tuo zio, soprappeso calvo e flaccido, dopo aver sopportato due lunghi anni di Special One: bello, impossibile e … mi fermo qui.
Alla fine, come ha ricordato Bartoletti, si è anche chiuso un cerchio temporale lunghissimo: ventotto anni fa esatti, l‚Äô11 luglio anche allora, Juan Carlos di Spagna consegnava fra i guanti di Dino Zoff la Coppa del Mondo.
Ieri l’abbiamo restituita, facendo un cortocircuito spaziotemporale.
-‚ÄúIn buone mani‚Äù- approverà Sandro Pertini, sulla sua personale nuvoletta, rifornendo, con un sorriso, il fornello della pipa.

Vuvuzela la straziante voce che non abbiamo ascoltato

http://2.bp.blogspot.com/_ydjzIsIyCQI/TB6r4doMt2I/AAAAAAAABcc/MwOt8zh89VE/s1600/vuvuzela.pngDa un amico della Rete, maglia Facebook, ricevo… si parla di calcio? Forse. Anche della voce¬† delle Las tribus del valle del Omo. Troppo straziante? Forse è meglio far vedere Cristiano¬† Ronaldo che Sputa alla telecamera dopo Spagna – Portogallo?

O forse volessimo ascoltare La vita secondo Galeano-Guerre silenziose?

L’amico che osa scrivere e accostare questi suoi pensieri, conclude con un Lux Aeterna, requiem for a dream. E non mi è dolce naufragare in questo deserto dove le vuvuzela sono e rimangono una voce straziante ma passo l’Informazione, senza Ordine alcuno, come dettato dallla testa in unione col cuore.

Grazie Amico caro, che oggi scrivi di te: ” Sto facendo un viaggio alle sorgenti del mio tempo per scoprire quando sono diventato un fiume“.¬†¬† Is this love cantava Bob Marley e questo è un video mandato da un’ amica. Oh Come sono fortunata…in italiano dice : “Sono volonteroso e capace¬† Così metto le carte in tavola¬† Voglio amarti e trattarti bene¬† Voglio amarti ogni giorno e ogni notte¬† Staremo insieme con un tetto sulla testa¬† Divideremo il rifugio del mio letto singolo¬† Divideremo la stessa stanza, Jah provvederà al pane Divideremo il rifugio del mio letto singolo”. Capito Africa?

Saranno gocce, c’è sete.

Doriana Goracci

Vuvuzela la straziante voce che non abbiamo ascoltato

I mondiali sono finiti, gli Dei in mutande sono tornati a casa, nella loro casa, nell’Olimpo dove un Umanità assetata dell’effimero li ha collocati.
Io personalmente ho seguito con occhio distaccato questo evento, non per supponenza o per senso aristocratico ma semplicemente perché questi mondiali sono stati un insulto alla ragione,

Il Sud Africa é uno dei Paesi più poveri al mondo ma ha organizzato i “giochi” più ricchi di sempre. Si muore di fame nei sobborghi di Soweto, il 17% della popolazione infantile é siero positiva. ¬†

” Le donne che hanno contratto l’AIDS sono segregate nei villaggi e oggetto di violenze e discriminazioni.

il Presidente della Repubblica e colpevole di violenza sessuale.

Nel periodo precedente ai mondiali c’è stato un incremento delle operazioni di polizia nei confronti di venditori ambulanti, cittadini sudafricani senza fissa dimora, rifugiati e migranti che vivono in insediamenti informali o in quartieri poveri ad alta densità abitativa.

La polizia si è resa responsabile di irruzioni, arresti arbitrari, maltrattamenti, estorsioni e distruzioni di insediamenti informali. Queste ultime sono state effettuate senza preavviso, predisposizione di un alloggio alternativo adeguato e risarcimento, in violazione delle leggi nazionali che proibiscono gli sgomberi forzati.”

Ma a noi tutto questo non appare, o non deve apparire, a noi arriva solamente il rimbalzare gioioso di una pallone inseguito da miliardari in mutande
.
Ora il gioco è finito il pallone non c’è più, tacciono le assordanti e fastidiose vuvuzeala.

In quelle poche volte che mi sono avvicinato a questi mondiali percepiva qualcosa di stonato,
un dettaglio che era sfuggito agli abili architetti dell’inganno, un qualcosa che solo li e che in nessun altro stadio al mondo trva dimora.

Ora che tutto è finito resta solo il silenzio, e di colpo mi rendo conto che questi mondiali non erano da vedere ma semplicemente da ascoltare.

Le vuvuzela non hanno taciuto un attimo, i telecronisti, i giornalisti e miliardi di persone davanti alla TV se ne sono lamentati trovandole oltrmodo fastidiose e irritanti.

Ma se c’è qualcosa che ha reso unici questi giochi sono proprio loro, le fastidiose vuvuzela.
Il loro suono non era un coro intonato, ma piuttosto un orrenda cacofonia di voci.

Le voci che noi non ascoltiamo, non vogliamo ascoltare le voci di un continente che chiede a noi soccorso ma che scacciamo con fastidio come facciamo con le mosche.

Ora il mondiale è finito, le TV ci hanno vomitato nelle case un Africa moderna, stadi super tecnologici, abbiamo ascoltato la sua musica, abbiamo spalancato la bocca davanti alle loro danze trascinanti, abbiamo visto un Africa al passo con i tempi, così ci sentiamo tutti un pò meglio perché il nostro ipocrita senso di colpa è stato un pò sopito, questo mondiale ci ha detto che in fondo non stanno poi così male.

Allora mi piace immaginare che le odiate vuvuzela diventino le ambasciatrici di una miriadi di villaggi di cui ignoriamo l’esistenza ma ne deprediamo le ricchezze.

Mi piace pensare che le vuvuzela si insedino nelle nostre case quando facciamo riunioni di famiglia sfogliand un depliant patinato per decidere dove sarà il prossimo safari.

Come vorrei che il fragoroso suono si infilasse sotto sotto le morbide lenzuola e si agitasse come una serpe che cerca di mordere alla cieca e ci si risvegliasse con l’orrore negli occhi.

Come mi piacerebbe, che per un attimo, ma solo per un attimo il loro suono squarciasse il silenzio che ci protegge dalla nostra coscienza.

Ma ora tutto tace, la festa è finita, se la vostra squadra del cuore ha vinto brindate con Stok, se ha perso consolatevi con Stok.

In fondo la morale di questi mondiale e sempre la stessa, c’è chi vince e c’è chi perde, di certo l’Africa non ha vinto.

E non solo a pallone

Vladimiro Cordone

( PS. Perdonatemi un po di retorica, ma come si dice :quando il troppo è troppo…)

 

Di Fiore nuovo campione italiano superwelter. Vince ai punti su Bottai ma un pari sarebbe stato pi√π giusto

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Creative Commons License photo credit: Paolo Lafratta
Francesco Di Fiore ieri sera nella sua Prato ha vinto ai punti contro il campione Lenny Bottai strappandogli la cintura tricolore dei superwelter, dopo dieci riprese intense, sofferte ed emozionanti, in cui i due tesserati della Boxe Cavallari, nonostante l’afa, hanno dato tutto e dimostrato entrambi di avere attributi “quadrati”.
Non condiviso né dai giudici né dai due angoli il verdetto: Di Fiore ha fatto un grande match, dimostrando preparazione e determinazione senza eguali, ma Bottai per quanto ha fatto vedere sul ring non meritava di perdere il titolo. La Boxe Cavallari non può fare altro, aldilà dell‚Äôesito finale, di fare i complimenti ai due pugili, e di provare orgoglio per averli entrambi tra i propri tesserati.
LA CRONACA. Grande cornice di pubblico al campo sportivo Chiavacci, con i pratesi accorsi in massa a tifare l’idolo di casa ed i livornesi venuti a supportare a centinaia Bottai.
La prima ripresa è di studio, senza particolari colpi portati a segno da entrambe le parti, ma si intuisce già il tema del match: più continuo e più spesso all’attacco Di Fiore, più preciso di rimessa e più efficace Bottai.
Nella seconda e nella terza ripresa il livornese, pur soffrendo nel tenere a bada l’irruenza del pratese, dà l’idea di poter prevalere alla distanza difendendosi molto bene ed andando a segno con precisi e fulminei contrattacchi; contemporaneamente il ritmo di Di Fiore è altissimo, e Bottai si ritrova in un paio di occasioni chiuso alle corde. E‚Äô un bel match, aperto, che non tradisce le aspettative della vigilia.
Nella quarta la situazione cambia all’improvviso: Bottai inizia la ripresa attaccando, ma in una fase confusa (capiremo meglio la dinamica stasera in differita su Raisport Più alle 22.30) riporta un taglio al sopracciglio destro. Interviene il medico che fa continuare, ed alla ripresa Di Fiore cerca di sfruttare il momento abbattendosi come una furia (con tanta irruenza che qualche colpo arriva anche dopo gli stop dell’arbitro) sull’avversario, in difficoltà anche per una visuale non ottimale a causa della ferita.
E’ un momento duro per Bottai, mentre Di Fiore e i pratesi si esaltano intravedendo la possibile vittoria. I livornesi intanto sostengono il loro beniamino vedendolo in sofferenza.
Sofferenza che prosegue per Bottai anche nella prima parte della quinta, con Di Fiore che tira fuori tutto il suo carattere e continua ad attaccarlo (atterrandolo anche con un paio di testate fortuite non richiamate dall‚Äôarbitro Montanini). L’intensità emotiva del match ed il tifo del pubblico salgono alle stelle.
Anche Bottai tira fuori tutto il suo carattere, ed alla fine del round riesce a mettere a segno qualche preciso contrattacco.
Dalla sesta in poi i due pugili, viste le condizioni climatiche e l‚Äôintensità del match, sono sempre più stanchi, ma danno tutto: Di Fiore continua a cercare di attaccare senza sosta, Bottai continua a difendersi ed a contrattaccare con meno intensità ma più precisione. Nella settima anche il volto del pratese si rompe, e interviene nuovamente il medico.
Ora i due contendenti sono due maschere di sangue, esausti, ma trascinati dal pubblico non arretrano di un millimetro. I due pugili si scambiano un gran numero di colpi, e si prosegue così fino al termine, con tutti gli spettatori in piedi nell’ultima entusiasmante ripresa.
Arriva il momento dell’atteso e non scontato verdetto: i giudici Di Mario e Giovanni vedono vincente Di Fiore 96 a 94, premiando la sua maggior continuità e la sua voglia di vincere, Di Cicco vede un pareggio 95-95.
Delusione e rabbia all’angolo e tra i tifosi di Bottai, tripudio tra i pratesi con Francesco Di Fiore portato in trionfo.
45 anni dopo Bruno Santini (premiato e salutato sul ring rima del match) Prato ha un nuovo campione italiano.
SOTTOCLOU. Nel primo match dilettanti, categoria superwelter III serie, vittoria (per squalifica alla terza ripresa) dell’atleta di casa della Pugilistica Pratese (società organizzatrice della manifestazione insieme alla Boxe Cavallari con il patrocinio di Provincia e Comune di Prato) Francesco Raho, al rientro sul ring dopo due anni di inattività contro lo scorbutico Antonio Casali della Tranvieri Bologna. Raho, comprensibilmente un po’ contratto, ha sofferto i continui attacchi di Casali: azioni ripetute ma scomposte che gli sono costate le tre ammonizioni da parte dell’arbitro e la conseguente squalifica.

Nel secondo incontro, tra pesi gallo I serie, bella vittoria per Rsch alla seconda ripresa di Hakim Chebakia della Tranvieri Bologna contro Gianpietro Marceddu del Centro Sport Combattimento Firenze. Il fiorentino, pur regalando non pochi chili e centimetri all’avversario, si è disimpegnato bene con velocità nel primo round. Nel secondo però è venuta fuori la maggior potenza del bolognese, che ha costretto Marceddu a due conteggi: al secondo l’arbitro ha fermato il match.

Saltato il primo ‘sottoclou’ professionistico tra i pesi massimi Gennaro Orsineri della Boxe Cavallari e il romeno Andrei Ionita, il quale non ha superato la visita medica, nell’altro derby della Boxe Cavallari tra i supermedi Matteo Rossi di Rimini e Giuseppe Loffredo di Lecce, il riminese allievo di Biagini ha vinto per abbandono dell’avversario all’inizio della quarta ripresa (sulle sei previste). Dopo i due primi round intensi e combattuti in cui Loffredo ha messo sul ring una grande aggressività e in cui Rossi ha cercato di far valere la propria maggiore padronanza tecnica, nel terzo “l’Ingegnere” di Rimini è salito in cattedra sfruttando un calo nell’intensità degli attacchi del leccese: decisivo un colpo sotto, un montante accusato da Loffredo, dopo il quale Rossi non ha avuto pietà attaccando ed andando a segno ripetutamente, e costringendo l’avversario al conteggio alla fine del round. All’inizio della quarta, l’abbandono.

In collaborazione con Francesco Ventura (Addetto Stampa – Boxe Cavallari)

I numeri mondiali di Pedro della Posta del Gufo

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Creative Commons License photo credit: vramak
“Perdemmo la finale del 1974 perché eravamo certi di vincere.
Lo erano i giornalisti, i tifosi, ma soprattutto lo eravamo noi.
Perdemmo la finale del 1978 perché l’arbitro italiano aveva l’ordine
di far vincere gli argentini.
E noi eravamo olandesi.”

Attribuita a Johan Neeskens

La finale della XIX edizione del Campionato del Mondo incoronerà l’ottava Nazione a fregiarsi del titolo di Campione del Mondo.

L’ultima ad aggiungersi all’allegra brigata era stata, nel 1998, la Francia, le altre, in ordine di apparizione, sono: Uruguay, Italia, Germania, Brasile, Inghilterra e Argentina.
Resta da stabilire se la Coppa finirà in Olanda, dove l’hanno sfiorata già due volte meritando in entrambe le occasioni di conquistarla e pagando sempre la somma sfortuna di giocare la finale contro il paese ospitante (e la seconda volta di essere arbitrata da Gonella), oppure in Spagna dove hanno già conquistato il titolo continentale (il secondo) e stanno per esordire in una finale mondiale.
Le finali sfuggono naturalmente ai pronostici, hanno sempre un favorito che spesso esce sconfitto offrendo l’estro a considerazioni che vanno dal vecchio ma sempre valido “la palla è rotonda” fino alla sempre suggestiva “ipotesi del complotto”.
Per la prima volta il titolo andrà ad una Nazionale europea in un’edizione disputata fuori dal Vecchio Continente e per al seconda volta consecutiva, la prima volta in una finale extraeuropea, non sarà della partita il Sudamerica.
Due sole finali sono state giocata fra Nazionali extraeuropee (entrambe vinte dalla “celeste”, nel 1930 contro l’Argentina, nel ’50 contro il Brasile), in nove occasioni una rappresentante europea ha sfidato una sudamericana (ed in sette occasioni l’Europa ha avuto la peggio, cinque volte ha vinto il Brasile, due l’Argentina, una ciascuno Francia e Germania) e per otto volte, compresa questa, la finale è stata un derby europeo (quattro vittorie italiane e tre tedesche, domenica vedremo).
Chiunque vinca il bilancio tornerà favorevole all’Europa (dieci a nove): non accadeva dal 1954 quando con la vittoria della Germania il Vecchio Continente si era portato sul parziale di tre a due. Da allora dopo due ¬†vittorie consecutive del Brasile, una delle quali in Svezia, c’era stata una perfetta alternanza: in Europa vinceva un’europea, in Sud-Centro-Nord America ed in Asia, una sudamericana.
A molti mancherà l’eterna sfida delle finali extra-europee con Argentina o Brasile, quel confronto di scuole calcistiche fra il pragmatismo europeo e la fantasia sudamericana.
Se non ci si ferma però ad un’analisi puramente geografica, questo leit-motiv del calcio mondiale si perpetuerà lo stesso anche nella finale di Johannesburg: difficile trovare una Nazionale più “europea” dell’Olanda di Van Marwijk e una più “sudamericana” della Spagna di Del Bosque.
La bilancia del pronostico, viste le semifinali, pende per la Spagna che ha sconfitto la temibilissima Germania con l’arma del palleggio e della tecnica ancor prima¬†che con il gol di Puyol.
I tedeschi, esaltati dalle sfide con Inghilterra e Argentina, si sono spenti, toreati dalla fantasia e dal fraseggio stretto di Iniesta, di Xavi, di Xabi Alonso, di Pedro, di Villa.
La potenza espressa fino a questo punto del torneo da Schweinsteiger e da Klose, la caparbietà di Lahm e Khedira, la sicurezza di Ozil e Podolski si sono dissolte allo svolazzo delle trine disegnate dai campioni spagnoli sul terreno di gioco.
“Tia Espana” con i suoi passi di flamenco ha incantato i rudi teutonici costringendoli a ballare al suono di nacchere ostiche all’orecchio germanico che si aspettava un’altra cavalcata delle Walkirie come contro l’Inghilterra e l’Argentina.
I tedeschi, cui il polpo Paul aveva già mostrato il …tentacolo verso, non ci hanno capito quasi nulla. Hanno corso a destra e sinistra, ma il pallone non l’hanno visto quasi mai.
La beffa più grossa si è materializzata proprio al momento del gol, preso di testa su calcio da fermo con i colossi tedeschi beffati dal mediterraneo Puyol che arriva con i riccioli si e no alla scapola di Mertensacker (o come si chiama lui…).
Finale dunque inedita, si diceva.
Qualcuno rimpiangendo l’assenza dalle semifinali dei giganti sudamericani ha parlato di Mondiale sottotono, e condizionato pesantemente dagli arbitri.
Io, forse per andare controcorrente, dico che si è visto di peggio.
Inoltre, sul piano del gioco e dell’equità sportiva un passo avanti si è fatto: fra ottavi, quarti e semifinali ad eliminazione diretta, ovvero quattordici gare solo due sono finite alla lotteria dei calci di rigore (Paraguay-Giappone e Uruguay-Ghana). Nel 1990, per esempio erano state il doppio (fra cui entrambe le semifinali), nel 1986 tre quarti di finale su quattro si erano decisi dal dischetto.
Ma che finale sarà ?
Sulle diciotto fin qui disputate, due soltanto sono finite ai calci di rigore (sempre con l’Italia protagonista), ed una sola è finita senza reti dopo i tempi supplementari.
Ci sono volute quattordici edizioni per sfatare la regola secondo la quale entrambe le finaliste segnavano almeno un gol: Italia ’90, Germania-Argentina 1-0 che¬†resta finora anche l’unica finale decisa da un calcio di rigore, oltretutto farlocco.
Questa consuetudine resta valida per le finali tutte europee che risultano le più equilibrate: le squadre vincenti hanno segnato meno del doppio dei gol delle perdenti( in quelle miste il triplo)
A proposito di rigori: il primo fu concesso solo al primo minuto della decima finale, mentre per il vedere il primo (e per adesso unico)¬†rigore sbagliato è stato necessario attendere la dodicesima.
In totale sono stati concessi cinque tiri dagli undici metri, tutti in favore di Nazionali europee (Germania 2, Olanda 1, Italia 1, Francia 1).
Germania, Olanda e Italia hanno avuto lo stesso numero di rigori sia a favore che contro.
La finale con il maggior numero di reti resta Brasile-Svezia 5-2 del 1958 e¬†sette delle prime otto finali videro uscire sconfitta la squadra che era andata in vantaggio per prima. Negli ultimi anni la tradizione si è rovesciata: in sette delle otto ultime edizioni ha vinto chi è passato per primo in vantaggio.
Per quanto possa sembrare incredibile, il risultato più comune accanto al “normale” 2-1 è il decisamente più inconsueto 4-2: entrambi si sono verificati tre volte.
In cinque occasioni sono stati necessari i tempi supplementari, in due non sono bastati.
L’ultima finalista debuttante è stata la Francia, nel 1998, prima di lei l’Argentina nel 1978: entrambe hanno vinto.
La seconda contro l’Olanda che farebbe bene a toccare ferro anche perché è stata l’ultima debuttante ad uscire sconfitta da una finale ¬†mondiale.
La parola ora va al campo, i numeri contano fino ad un certo punto.
Quello che conta – per fortuna – sono ancora i gol.

Il polpo non sbaglia un colpo. Paul l’aveva prevista, la Spagna finalista

Il polpo oracolo
Paul, il polpo oracolo

No, questo è Reset Italia, non siamo mica Studio AhCerto, né la sua filiale – come-si-chiama-quello? – KG1. Non pretenderemo mai di ambire a distrarvi parlando di pony dal pelo cangiante, civette che bevono Coca Cola o gechi ballerini, tra un cicchitto e un cicchetto. Siamo seri, ci sono alcune case da ricostruire e molte cose da abbattere, laggiù in terra italiota.

Ai bestioni scimmiottanti in costose autoblu, che non costano come un’autobianchi e servono per tanti, peraltro¬†puzzolenti, soprattutto alle alte temperature di letti e procure (in verità ultimamente si preferisce il grigio fumo – grigio per fare pendant con la coscienza degli occupanti e fumo per gli occhi dei votanti) preferiamo gli oracoli che fan miracoli, magari anche in apnea.

Paul aveva previsto la vittoria degli spagnoli e per i tedeschi sono stati dolori. Dall’acquario tedesco di Oberhausen, nei pressi di Duesserdorf, il polpo continua a pronosticare bene. Per la cronaca, la Spagna ha sconfitto la Germania per 1-0 nella seconda semifinale dei mondiali di calcio Sudafrica 2010, e si giocherà la finalissima contro l’Olanda, altra previsione azzeccata di Paul.

Nella vasca del polpo sono due contenitori di cibo con la bandiera dei Paesi che giocano il match e Paul dopo aver pensato un po’ sceglie quello giusto.

L’ultima profezia, trasmessa in diretta nazionale in Germania, aveva fatto sprofondare nello sconforto molti tifosi. Alcuni di essi avevano inveito contro il ‘polpo del malaugurio’ scambiandosi ricette su come cucinarlo. Dalla Spagna, un supporter locale ha informato gli internauti tedeschi che il polpo è alquanto delizioso con la paella.

Siamo certi che la cucina Made in Italy sia risultata poco gradita a Paul. Meglio la cucina paraguayana, neozelandese o slovacca.

E ora torniamo alle cose serie.

(pm)

Quando “calienta el sol”: Uruguay, Spagna, Germania, Olanda. Roulette mondiale

Sorry my English friends, but this ball was no goal :-)

L’amico Pedro de “La Posta del Gufo” scrive: “Il Mondiale ha le sue semifinaliste: Spagna, Germania, Olanda e Uruguay”.

Delle quattro più quotate alla vigilia, c’è solo la Spagna, le altre, vale a dire Inghilterra, Brasile e Argentina, sono già tornate a casa, accolte con reazioni che sono andate dalla stizzosa indifferenza della Football Association nei confronti di Capello, alle lacrime pubbliche di Julio Cesar che hanno commosso tutti (me escluso), all’incredibile festeggiamento a Maradona & C.
Tecnicamente parlando questi Mondiali africani hanno riportato al centro il collettivo decretando il fallimento completo dei campioni più attesi: Kakà inconsistente e discontinuo, Messi spento e contratto, Cristiano Ronaldo insopportabile e inconcludente, oltre che maleducato, Rooney irriconoscibile.I nomi “caldi” sono quelli che non ti aspetti: Wesley Sneijder, Bastian Schweinsteiger (che se avesse un nome più facile godrebbe forse anche di maggiore considerazione), Mesut Ozil, Thomas Muller, David Villa, Diego Forlan.A questi, se il calcio non ci avesse regalato uno dei momenti più diabolici della sua storia, andrebbe aggiunto Asamoah Gyan, centravanti del Ghana che ha vissuto la più drammatica esperienza che ad un calciatore possa capitare, passando dal sogno (anche mio e non solo mio) della prima semifinalista africana della storia dei Mondiali, all’incubo di un rigore fallito all’ultimo minuto dei supplementari della gara più importante della sua carriera.
Delle quattro semifinaliste una è senz’altro una sorpresa, anzi un salto indietro nel tempo: l’Uruguay.
I più giovani non l’hanno mai visto a questi livelli e l’anagrafe ha avuto la meglio sulla maggioranza di chi li ricorda addirittura Campioni del Mondo.
L’Uruguay ha meno abitanti della sola Roma e da quarant’anni non approdava ai quarti di finale.
La tradizione uruguagia nel calcio è però solidissima: due titoli olimpici (1924 e 28 quando le Olimpiadi erano il vero Mondiale di calcio), due titoli Mondiali (1930 e 1950), squadre di club con grandi tradizioni (Penarol, Nacional), campioni famosi approdati anche in Italia.
L’ultimo lampo quarant’anni fa: Mondiali del Messico, quelli di Italia-Germania 4-3…
La “celeste” – nessuno chiama Uruguay la nazionale… dell’Uruguay – disputa un quarto di finale ritenuto proibitivo contro l’URSS.
La partita si strascica sullo 0-0 fino all’ultimo minuto dei “tiempos extra” quando Luis Cubilla, attaccante in eterno sovrappeso ma dotato di gran mestiere, opportunismo e senso pratico, ruba un pallone ad un difensore sovietico che lo sta difendendo col corpo per farlo uscire sul fondo. E’ l’ultima azione prima del lancio della monetina, extrema ratio¬†(all’epoca i rigori non c’erano)¬†per dirimere la questione di una partita equilibratissima in tutto .
La palla, lo dimostreranno le riprese al “ralenti” (anzi il “repeticion/replay” come riportava la velina sul video), era uscita, ma Luis Cubilla, detto “el negro” per i capelli corvini e la carnagione olivastra, l’arpiona lo stesso e crossa fulmineo verso il compagno Esparrago che, “cabeceando”, devia in rete a pochi metri dalla porta.
Con poco “fair play”, poi, Luis esulta.
Nella semifinale di Guadalajara, poi, la “celeste” affronta il Brasile ed un gol rapinoso di Luis fa passare un bruttissimo quarto d’ora ai verde-oro che poi rimontano e vanno in finale.
La tradizione della “celeste”, infatti, è da sempre quella di sovvertire i pronostici, di far brillare “el sol uruguayo” anche contro avversari sulla carta nettamente superiori. Magari poi cede le armi, ma di sicuro fa soffrire qualsiasi avversario (l’Argentina di Maradona nel 1986, l’Italia delle “notti magiche” nel 1990…). E’ la “garra charrua”, quel misto di cattiveria e “orgullo”, talvolta anche con ¬†una spolverata di provocazione (“dejame la pelota cabron negro !”) che rende “la celeste” un osso maledettamente duro per tutti, capace di ribaltare anche il pronostico più avverso.
Il caso più clamoroso è il famosissimo “maracanazo”, quando gli undici della “celeste” fecero indossare le gramaglie all’intero Brasile vincendo la quarta edizione della Coppa Rimet grazie alla vittoria conquistata nell’ultima partita in programma, proprio contro il Brasile che giocava in casa e pregustava la festa.
Non fu una vera finale, la Coppa veniva assegnata, in quell’unica occasione, con la classifica di un girone di quattro squadre (le altre due erano la Svezia e la Spagna), ed ai carioca, fin lì dominatori a suon di gol del torneo che organizzavano, sarebbe stato sufficiente un pareggio. Erano andati, i brasiliani, addirittura in vantaggio nei primi minuti della ripresa e Rio de Janeiro stava dando il via ad una festa che sarebbe stata interminabile.
Juan Alberto “esCiaffino” e Alcide Ghiggia mandarono tutto a monte e la leggenda vuole che quella sera “el capitan” Obdulio Varela passasse ore a bere cerveza con gli inconsolabili tifosi brasiliani indossando sopra la¬†“camiseta celeste” un vecchio impermeabile.
Anni dopo, “el capitan” – nessuno chiamava Varela…Obdulio Varela – che non si era mai vantato di “el maracanazo” avrebbe dichiarato:– “Se dovessi giocare di nuovo quella partita, mi segnerei un gol contro. L’unica cosa che abbiamo ottenuto vincendo il titolo è stato di far felici i dirigenti della Federazione uruguaiana che si fecero consegnare le medaglie d’oro e a noi giocatori ne diedero altre d’argento. Questo è stato il riconoscimento”-.
Quattro anni dopo (in Svizzera nel ’54) “la celeste”, maestra di tattica, elimina la favorita Inghilterra, poi in semifinale va ad un soffio da fare lo stesso con la “Grande Ungheria”. Sotto di due gol, pareggia con una doppietta di Hohberg, e nei supplementari, con lo stesso Hohberg avrebbe la palla del clamoroso sorpasso. Il portiere magiaro respinge il tiro a colpo sicuro, ma sul piede di Pepe “esCiaffino” solo davanti alla porta sguarnita.
E’ un gol facile facile ma “esCiaffino”, forse ingannato dal terreno pesante, stampa il pallone sul palo.
Scampato il pericolo l’Ungheria fa suo l’incontro con una doppietta di Kocsis.
Ora, quarant’anni dopo l’ultima semifinale, sessanta dopo “el maracanazo” la “celeste” si trova a dover affrontare un’Olanda nettamente favorita dal pronostico e dalla logica, ma che farà bene a non fidarsi perché “cuando calienta el sol uruguayo…”, quando la “celeste” mette in campo la “garra oriental”, quella vis agonistica che mette una pietra sopra al fair play, non è mai facile per nessuno anche se il pronostico sembra essere a senso unico.
Porque Uruguay es “el padre del futbol” ?
Porque todos saben que la madre es la Inglaterra !
riportata da Gianni Brera

Boxe: Lenny Bottai, il pugile di “Boxe Mugello”, difende il titolo italiano superwelter

Box - Holger Keifel

Torna sul ring Lenny Bottai, che in passato ha scelto la ‚ÄúBoxe Mugello‚Äù e il M¬∞ Gabriele Sarti per la sua ‚Äúricostruzione‚Äù agonistica e sportiva. Il pugile ha già regalato ai fans mugellani incontri di altissimo valore tra i dilettanti e nella fase iniziale professionistica.

Nel suo staff tecnico Lenny Bottai ha voluto ancora il M¬∞ Gabriele Sarti (team manager e tecnico della ‚ÄúBoxe Mugello‚Äù) e i suoi preziosi consigli. Conquistato il titolo italiano vacante lo scorso 26 marzo 2010 a Livorno contro Adriano Nicchi lo difenderà contro Francesco Di Fiore in quel di Prato.

Venerdì prossimo (9 luglio 2010) torna la grande boxe a Prato dopo ben 45 anni, da quando nel 1965 ai giardini di via Medaglie d‚ÄôOro l‚Äôidolo di casa Bruno Santini conquistò il titolo italiano dei pesi medi. Questa volta, in diretta Rai, in palio ci sarà la cintura dei superwelter: a contendersela sulle dieci riprese il campione Lenny Bottai (11+ 4ko), di Livorno, e lo sfidante Francesco Di Fiore (10+ 4ko 1= 5- 1ko), pratese doc. Si preannuncia una battaglia d‚Äôaltri tempi, tra due atleti che hanno molto in comune: entrambi toscani, entrambi tesserati per la Boxe Cavallari (società organizzatrice dell‚Äôevento in collaborazione con la Pugilistica Pratese e con il patrocinio di Comune e Provincia di Prato), entrambi classe 1977, entrambi grandi ammiratori del compianto Giovanni Parisi, e due pugili dalle caratteristiche molto simili: due fighter dal grande cuore e dal grande carattere, che sul ring non si risparmiano, e che per di più si conoscono essendosi allenati insieme in diverse occasioni.

Il manager Sergio Cavallari, in vista del derby, si dichiara ‚Äúfelice ed orgoglioso di avere in società questi due ragazzi straordinari, e di organizzare questo incontro: che vinca il migliore‚Äù. La manifestazione si terrà al campo sportivo Chiavacci di via del Purgatorio (in caso di maltempo al palazzetto dello sport Palaconsiag di via Maliseti), e si preannuncia una grande cornice di pubblico, degna dell‚Äôevento: i numerosissimi tifosi di Bottai stanno organizzando dei pullman da Livorno, mentre i pratesi non faranno mancare il loro supporto a Di Fiore. Il primo colpo di gong sarà alle ore 20 circa. In apertura sono previsti cinque incontri dilettantistici con impegnati i migliori atleti della Pugilistica Pratese, prima dei due match professionistici di ‚Äòsottoclou‚Äô, entrambi sulla misura delle sei riprese: per i pesi supermedi andrà in scena un altro derby della Boxe Cavallari tra Matteo Rossi (1+ 1ko) e Giuseppe Loffredo (3+ 1ko 1= 3- 1ko), mentre il massimo leggero Gennaro Orsineri (1+ 1ko, sempre della Boxe Cavallari) sarà impegnato contro un avversario ancora in via di definizione. Dopo le ore 22 scatterà la diretta su Raisport Più per l‚Äôattesissimo match per il titolo italiano dei superwelter.

  • Intervista al campione italiano dei superwelter Lenny Bottai in vista della prima difesa ufficiale del titolo

Il 9 luglio 2010 a Prato in casa dello sfidante Francesco Di Fiore, in un attesissimo derby toscano tra due portacolori della Boxe Cavallari, raccolta da Francesco Ventura e fornita a Reset-Italia.

Lenny, sei pronto?
¬´La preparazione è andata abbastanza bene, afa permettendo‚Ķ Partendo dal presupposto che avrò di fronte un combattente valido e motivato, ho svolto un lavoro importante, come sempre con il mio team largo ma compatto, con Massimo Rizzoli ad orchestrare il lavoro tecnico e tattico. Ripongo molta fiducia in lui, perché va oltre il modo prestampato e accademico di vedere il combattimento: questo ci lega e mi stimola sempre ad imparare e a vedere le cose da diverse angolazioni. Logicamente ogni match ha la sua storia e la sua inquadratura tattica, tecnica e di preparazione fisica, poi come sempre l’ultima parola spetterà al ring, e non si possono fare troppi piani senza tener conto della sua “magia”¬ª.

Avrai di fronte il pratese Francesco Di Fiore: toscano, tuo coetaneo, anche lui tesserato con la Boxe Cavallari, un fighter dal grande cuore le cui caratteristiche pugilistiche possono essere in qualche modo accostate alle tue. Che match ti aspetti?
¬´Conosco Francesco e la sua società, la Pugilistica Pratese: essendo toscani abbiamo sempre avuto collaborazioni. Li rispetto e sono contento di questo rapporto, che dovrebbe costituire la normalità nel nostro sport e quella marcia in più che lo contraddistingue da altre discipline. Aldilà di questo poi sul ring sarà una battaglia: vogliamo entrambi la stessa cosa, io la devo confermare, lui conquistare. Che sia un bel match!¬ª.

Dici che questo rapporto di collaborazione e rispetto tra pugili e rispettive palestre nella boxe ‚Äúdovrebbe‚Äù essere la normalità: usando il condizionale, ti riferisci alle polemiche sorte dopo la tua conquista del titolo lo scorso marzo a spese di Adriano Nicchi?
¬´Sì, si è trasceso, e non a causa mia. Il dopo Nicchi mi ha dato il voltastomaco, nonostante il match abbia raccolto un buon giudizio. Qualcun ha fatto le bizze. L’omologazione del risultato è arrivata in ritardo per un ricorso che solo a raccontarlo mi viene da ridere (per un presunto disturbo a Nicchi durante il match con un laser da parte del pubblico livornese, ndr), e proprio in seguito a questo è stato imposto lui dalla Federazione come successivo contendente del vincitore tra me e Di Fiore, come se quello del 9 luglio fosse un titolo italiano ad interim, in barba ad ogni regolamento. Forse non tutti lo sanno. Il bello è che dopo il match nella sala antidoping con Nicchi e il suo team ci siamo salutati, chiariti, scambiati i complimenti e detti che sarebbe stata bella un’altra battaglia in futuro… Dopo qualche giorno però si è scatenata una vera e propria fanfara¬ª.

E‚Äô ormai noto il rapporto che ti lega al pubblico di Livorno e alla tua città. Stavolta non combatterai al Palamacchia, il cui calore ha sicuramente rivestito un ruolo importante nelle tue ultime vittorie contro Uzun per l‚ÄôInternazionale Ibo e contro Nicchi per l‚ÄôItaliano, alle quali hanno assistito migliaia di spettatori. Sicuramente i livornesi ti seguiranno in massa anche a Prato, ma pensi che potresti perdere qualcosa combattendo in trasferta?
¬´Per me il pubblico è imprescindibile, mi ha accompagnato sempre e con grande calore: so che si stanno organizzando in massa e spero che anche in trasferta, per di più in un momento difficile e dispersivo come quello di luglio, saranno lì a sostenermi. Loro per me sono fondamentali, lo saranno sempre aldilà di ogni risultato, perché sono loro il vero spettacolo. Quando salgo sul ring, li vedo e li sento, ho l‚Äôunica preoccupazione di ricambiarli per quello che fanno per me tra un problema e l’altro di una vita per nulla facile. Penso che il clima che hanno regalato nei miei due ultimi incontri abbia realmente stupito e scosso l’ambiente. Ritengo che le chiavi per far rinascere la passione verso la boxe siano queste: la partecipazione del pubblico e match veri, insieme alle logiche promozionali necessarie per i grandi eventi ed a prezzi accessibili per tutti. Il calcio, benchè nel nostro paese rappresenti un totem, è decaduto quando ha sostituito questa partecipazione e i sentimenti popolari con i diritti tv e i tifosi ibridi. Forse del calcio in Italia abbiamo sviluppato gli aspetti più inutili, come l‚Äôabitudine alle faide, all’individualismo e alla coscienza non collettiva, i circoli di intenditori e i critici a prescindere, il clientelismo. La boxe è e deve essere altro¬ª.

Tu non sei solo un pugile professionista (imbattuto, campione italiano e campione internazionale Ibo, tra l‚Äôaltro), ma operi nella boxe anche sotto altre vesti: come procede la tua esperienza con la società dilettantistica Spes Fortitude? Quali valori cerchi di trasmettere ai giovani?
¬´Dal punto di vista dell’attività va benissimo: attraverso i miei eventi e la mia figura sono riuscito a convogliare molti ragazzi in palestra, attuando logiche sociali importanti di partecipazione e abbattimento di barriere economiche e di ogni altro tipo. Attualmente ho 14 agonisti e ben altri 4 in via di tesseramento, anche confluiti da altre società. Questo mi lusinga e mi rende orgoglioso: sono arrivati risultati importanti e si è creata una vera e propria famiglia sportiva. Tuttavia ci sono alcune difficoltà: il nostro tecnico titolare sta passando un momento difficile e non può essere sempre presente, ed il Comitato Regionale Toscano, facendo fede ad una regola federale non specifica e molto interpretativa, mi tessera da pugile professionista e non da insegnante, non ostante abbia superato bene l’esame per Aspirante Tecnico, pagando tra l‚Äôaltro il corso. Quindi non mi viene riconosciuto il diritto a stare all’angolo dei ragazzi. E’ una tragedia perché la nostra attività è bloccata. Anche perché i ragazzi non intendono, fortunatamente, sostituire né me né la nostra società. E‚Äô una questione che andrebbe risolta, visto che non sono l’unico caso. Spesso mi sono confrontato con colleghi che, nella mia analoga situazione, altrove, oltre a non aver mai avuto questo problema, non se lo sono nemmeno o non glielo hanno posto. Come professionista non ho nessuna interferenza nell’attività di un dilettante, non rientra nelle incompatibilità, sono abilitato dalla stessa Fpi. E se si trattasse di motivi strutturali come il doppio voto nelle assemblee basterebbe una rinuncia del diritto ad esso per la seconda posizione. Servirebbe una deroga? Credo e spero nel buonsenso. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, sui valori, ciò che cerco di trasmettere è quello che questo sport mi ha insegnato, con la durezza e la schiettezza di un fratello più grande: la volontà, l’umiltà, la capacità di mettersi in discussione, di imparare da chiunque, il rispetto, il sacrificio e lo spirito di gruppo, concetto che anche se parliamo di uno sport individuale è imprescindibile. Usare la boxe per abbattere ogni barriera, economica, sociale, sessista e razziale. Il coinvolgimento e la partecipazione della gente, oltre alla capacità e alla competenza; l’idea che uno sport sia scienza e soggettività, non esclusivamente tramandare le proprie esperienze come fossero dogmi¬ª.

Vuoi aggiungere qualcosa?
¬´Sì. E’ consuetudine che i pugili, un po‚Äô per ruffianeria un po‚Äô per dovere, ringrazino il proprio manager. Non ho mai nascosto che da spontaneo e coriaceo toscano ho passato anche momenti di discussione con Sergio Cavallari, ma credo faccia parte del confronto vero e paritario che amiamo entrambi, e mi sento di doverlo ringraziare e stimare per il rapporto non banale che mi lega a lui, e per il fatto che lo reputo autenticamente intenzionato a rinnovare e migliorare l’ambiente. Con lui, come con la mia gente e il mio team, abbiamo condiviso delle belle soddisfazioni e spero ne avremmo tante altre. Questa volta vincerà comunque, ma al 50 percento¬ª.