Vi(n)cente Del Bosque e l’Olanda che perde, ultime esternazioni mondiali di Pedro de La Posta del Gufo

fuß ball welt meister schaft 2006
Creative Commons License photo credit: dr. motte

“Gira l’Ulanda che l’America l’è granda.”
Questo detto popolare invitava chi non aveva né arte né parte
a servire la Spagna nella guerra contro l’Olanda (XVI secolo)
ed equivale più o meno al toscano “levati dai coglioni” che,
se non altro, è più chiaro e diretto.

____________________

La finale del Mondiale si è decisa a quattro minuti dalla fine del ‚Äúsegundo tiempo extra‚Äù.
La musa Eupalla non aveva mai impiegato così tanto tempo per decidere, forse combattuta fra premiare i migliori (e non da stasera) e punire per la terza volta altri suoi devotissimi, oggi più dimessi di un tempo, ma anche stavolta, alla fine, ha deciso bene.
Si è anche tolta lo sfizio di far segnare il gol decisivo da uno dei suoi ultimi sacerdoti: Andrés Iniesta, gran giocatore al cospetto suo, d‚ÄôIddio onnipotente e degli uomini che ancora amano questo sport.
La ‚Äúcortada‚Äù di Andrés non ha dato scampo al portiere olandese Stekelenburg, cui fino a quel momento era riuscito più di un mezzo miracolo su Sergio Ramos e soprattutto su Cesc Fabregas che aveva battuto la più nitida palla gol spagnola dell‚Äôincontro. Fabregas aveva sbagliato per egoismo, oltre che per la bravura del portiere avversario, oltre il quale, ma dietro la linea della palla, invocava il passaggio David Villa, ‚Äúpichichi in pectore‚Äù della manifestazione.
Se Cesc gli avesse passato il pallone l’Aida olandese sarebbe spirata prima e David Villa si sarebbe potuto fregiare anche del titolo di “artillero.
Anche l’Olanda, spietata nella gestione tattica della sfida, aveva avuto la palla per chiudere l’incontro e incassare il risarcimento per le altre finali nelle quali aveva giocato meglio e perso lo stesso, cosa che fa sommamente venire il nervoso.
Sneijder aveva innescato Robben con un passaggio perfetto nel centro della difesa spagnola che, evidentemente, pensava ad altro, e Robben, che non è facile da rimontare se non si dispone di una Kawasaki, si era presentato solo davanti a Iker Casillas.
Qui si consumava in pochi passi lo psicodramma: Robben anziché battere con violenza decideva di piazzare il pallone, ma aspettava la mossa del portiere che a sua volta guadagnava tempo cercando di favorire il recupero di un compagno che stava rendendo l‚Äôanima a Dio nella disperata rincorsa al centauro olandese.
Per un attimo si sono affrontati come il cobra e la mangusta nel racconto di Rudyard Kipling, poi Casillas si è allungato sulla sinistra inducendo Robben a toccare dalla parte opposta, dove la prodigiosa ciabatta destra di Iker, distesa ad arte, deviava sul fondo il pallone ed i sogni degli olandesi.
Non so se davvero sia stata la prodezza di Casillas che ha ammaliato Robben o se invece Robben abbia soltanto accusato ‚Äúil braccino‚Äù che viene ai tennisti sul match-ball. Se fosse vera questa seconda ipotesi allora Iker sarebbe stato solo un portiere fortunato, cosa che comunque non sarebbe disdicevole, quel che è certo è che l‚ÄôOlanda in quel preciso momento ha prenotato la terza sconfitta in una finale mondiale.
E certe prenotazioni non si possono disdire.
Su questi due episodi e su pochi altri, tutti o quasi favorevoli alla Spagna, è vissuta la grande finale che verrà ricordata per le botte da orbi rifilate dagli arancioni sotto lo sguardo poco attento dell‚Äôarbitro Webb apparso spesso indeciso se non irresoluto.
Un fallo di De Jong su Xabi Alonso sarebbe stato da rosso direttissimo, così come la determinazione di Van Bommel nel menare con equità l‚Äôintera formazione spagnola avrebbe meritato più di un cartellino giallo la cui ostensione è avvenuta sul fallo più duro, che era stato anche uno dei primi commessi dal terribile genero del CT olandese.
L‚ÄôOlanda, per la quale simpatizzavo per amore di altre olande delle quali mantengo un grande ricordo, si è dimostrata inferiore alla Spagna (l‚Äôaveva pur detto Cruyff al quale mi ostino ancora a dare più credito che al polpo Paul‚Ķ) e si è arrangiata con le armi che aveva: decisione e contropiede.
Purtroppo i suoi migliori, vale a dire Robben, Van Persie e Sneijder, avevano la luna di traverso ed hanno brillato ad intermittenza, il secondo di luce fievolissima.
Kuyt si è dannato l‚Äôanima correndo, inforcando ed impiccando, Van Bommel, invece è risultato il più positivo dei suoi con i limiti di un Benetti ammodernato, ma più maligno e tatticamente disciplinato del celebre allevatore di canarini.
Gli altri olandesi, e lo si sapeva, erano onesti professionisti per i quali una prestazione trasmessa via satellite, come quella della finale Mondiale testé disputata, giustificherebbe la meraviglia a suo tempo espressa da Scopigno per Comunardo Niccolai.
Altro discorso per la Spagna, che ha comunque sofferto molto l‚Äôorganizzazione olandese, più ordinata e tetragona di quella tedesca, ma che ha al suo arco molte frecce che, prima o poi, per forza colgono nel segno.
Una squadra che può schierare contemporaneamente Iniesta, Xavi e Xabi Alonso (o Fabregas) e contare su esterni del valore di Ramos, Capdevila, Pedro o Jesus Navas ha una carta per tutti i giochi.
Non bastasse, “Tia Espana” ha avuto anche l’aiuto della “suerte” sotto forma di un macroscopico errore della terna arbitrale che non ha concesso angolo su una punizione di Sneijder deviata da barriera e portiere.
Sull’azione successiva Fabregas (mi pare) ha trovato Iniesta e la Spagna la Coppa del Mondo.
Rallegriamoci di come è finita: ha vinto la squadra migliore, con il gol di uno dei migliori calciatori e non solo di questo torneo.
Dispiace per il gramo destino dell‚ÄôOlanda che le altre volte aveva però più ragione di recriminare come cifra tecnica.
Vince il titolo di Campione del Mondo anche Vicente Del Bosque, “una vita da mediano” e la faccia di uno qualunque.
In sette partite non mi ricordo di avergli mai visto agitare le braccia, però ricordo di averlo visto chiamare fuori Pedro, colpevole di suprema e pericolosa stronzaggine costata il gol della tranquillità contro la Germania, prima che il ragazzo potesse pentirsene.
Dio buono che bellezza veder vincere uno che sembra tuo zio, soprappeso calvo e flaccido, dopo aver sopportato due lunghi anni di Special One: bello, impossibile e … mi fermo qui.
Alla fine, come ha ricordato Bartoletti, si è anche chiuso un cerchio temporale lunghissimo: ventotto anni fa esatti, l‚Äô11 luglio anche allora, Juan Carlos di Spagna consegnava fra i guanti di Dino Zoff la Coppa del Mondo.
Ieri l’abbiamo restituita, facendo un cortocircuito spaziotemporale.
-‚ÄúIn buone mani‚Äù- approverà Sandro Pertini, sulla sua personale nuvoletta, rifornendo, con un sorriso, il fornello della pipa.

Una risposta a “Vi(n)cente Del Bosque e l’Olanda che perde, ultime esternazioni mondiali di Pedro de La Posta del Gufo”

I commenti sono chiusi.