La “cancel culture” arriva a Bruxelles: vietate le conferenze per i conservatori!

di FRANK FUREDI  Coloro che stanno cercando di cancellare la conferenza nazionale del conservatorismo (NatCon) credono che la vita pubblica abbia bisogno di una polizia che sorvegli i discorsi dei cittadini e intervenga quando li ritiene inappropriati. Questa è una cattiva notizia per tutti noi, indipendentemente dalla nostra affiliazione ideologica. Nel corso degli anni, ho…

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“La “cancel culture” arriva a Bruxelles: vietate le conferenze per i conservatori!” è stato scritto da Leonardo e pubblicato su Miglioverde.

Non rimane più nulla nella palla di fuoco. Niente!

di REDAZIONE La detonazione di un’arma termonucleare da 1 megatone inizia con un lampo di luce e calore così tremendo che è impossibile da comprendere per la mente umana. I suoi centottanta milioni di gradi Fahrenheit sono quattro o cinque volte più caldi della temperatura al centro del sole della Terra. L’esplosione surriscalda l’aria circostante…

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“Non rimane più nulla nella palla di fuoco. Niente!” è stato scritto da Leonardo e pubblicato su Miglioverde.

LIVE: Elezioni Regionali 2024 (Basilicata)

LIVE: Elezioni Regionali 2024 (Basilicata)

Il 21 e 22 aprile 2024 gli elettori della Regione Basilicata sono chiamati alle urne per rinnovare il Consiglio Regionale ed eleggere il Presidente.

Le urne saranno aperte dalle ore 7 alle ore 23 di domenica 21 e dalle ore 7 alle ore 15 del lunedì 22, con lo spoglio dei voti che inizierà subito dopo la chiusura dei seggi.

Come per la maggior parte delle elezioni regionali, vince il candidato presidente più votato. I cittadini lucani avranno la possibilità di esprimere un voto per un candidato presidente, una lista, oppure per un candidato presidente e una lista a esso collegata. Non è previsto il voto disgiunto.

Risultati (Presidente)

Candidato presidente Voti %
Vito Bardi (Centrodestra) 136.853 56,47
Piero Marrese (Centrosinistra) 102.605 42,34
Eustachio Follia (Volt) 2.902 1,20
627 / 682 sezioni scrutinate

Risultati (Liste)

Coalizioni di liste Voti %
Coalizione Bardi (Centrodestra) 134.447 57,38
Coalizione Marrese (Centrosinistra) 97.242 41,50
Coalizione Follia (Volt) 2.625 1,12
627 / 682 sezioni scrutinate

Potete seguire in diretta i dati sullo spoglio qui su Scenaripolitici.com o su Eligendo.

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“LIVE: Elezioni Regionali 2024 (Basilicata)” è stato scritto da The Watcher e pubblicato su Scenaripolitici.com.

Superpoteri all’Antitrust: quello che le norme non dicono

L’Antitrust, forte di un parere del Consiglio di Stato, tenta di acquisire nuovi poteri di intervento “rapido”, che facilmente potrebbero sconfinare in azioni di politica industriale. Dalle parti del governo ne sono consapevoli?
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“Superpoteri all’Antitrust: quello che le norme non dicono” è stato scritto da Mario Seminerio e pubblicato su Phastidio.net.

Sterilizzazione forzata: l’ultima arma contro i Nativi Americani

 

di Raffaella Milandri*

Tra il 1970 e il 1980, il 42% delle donne native americane fu sterilizzato contro il proprio consenso. Al piano governativo statunitense diede il via, il 16 marzo 1970, la firma dell’allora Presidente Richard Nixon.

Eugenetica e selezione della razza dominante

Tra i diversi strumenti usati dal Governo statunitense per risolvere il cosiddetto “problema indiano” abbiamo visto, nei miei precedenti articoli, l’istituzione delle riserve e le scuole residenziali indiane. Ma ce ne sono altri, recenti e malefici. Il più subdolo, la sterilizzazione forzata, ci fa tornare subito in mente l’eugenetica e i laboratori nazisti.

L’arrivo del darwinismo esaltò le correnti razziste e sessiste che avevano preso piede all’inizio del XIX secolo. Lo studioso statunitense E. D. Cope identificò quattro gruppi inferiori nella scala evolutiva dell’uomo: i non-bianchi, le donne, i bianchi del sud Europa, inclusi Italiani ed Ebrei, e le classi sociali inferiori. Queste correnti di pensiero crearono il movimento eugenetico. Sir Francis Galton, un cugino di Darwin, decretò che la riproduzione umana doveva essere regolamentata per assicurare ai “migliori”, specialmente delle classi alte, la possibilità di dominare. Nel 1912 a Londra si tenne il primo Congresso Internazionale sulla eugenetica, cui parteciparono anche Winston Churchill e scienziati italiani ispirati dalle teorie degenerazioniste di Lombroso.

Sebbene le tendenze di Churchill siano state rimosse dalla sua biografia, oggi molte fonti citano i suoi discorsi: “Non sono d’accordo che il cane nella mangiatoia abbia il diritto finale alla mangiatoia, anche se vi è stato per un tempo molto lungo. Non ammetto quel diritto. Non ammetto, ad esempio, che un grande male sia stato fatto ai Rossi Indiani d’America o al popolo nero d’Australia. Non ammetto che un male sia stato fatto a questa gente perché una razza più forte, una razza di più alto livello, una razza più saggia nel mondo è arrivata e ha preso il loro posto” (Discorso alla Peel Commission 1937). In gran parte dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti furono applicati provvedimenti di carattere eugenetico, a partire dalla fine dell’Ottocento: sia con una legislazione volta a indirizzare le scelte riproduttive, sia attraverso la sterilizzazione forzata e la rimozione degli “elementi negativi” per la razza. In Italia la sterilizzazione forzata non fu mai approvata, grazie all’opposizione della Chiesa Cattolica.

Nel movimento eugenetico americano, in quegli anni, Carl Brigham faceva notare come l’immigrazione nel paese “scendesse” di qualità: meno sangue superiore nordico, “ariano”, e più sangue inferiore mediterraneo. Le razze inferiori furono additate come parassiti umani e “schifosi, non-Americani e pericolosi”. Il movimento eugenetico promosse a quel punto la sterilizzazione degli “inadatti” e Harry Laughlin disegnò una proposta di legge per la sterilizzazione, che fu adottata in diversi stati americani. Grazie a queste leggi, che erano espressamente rivolte a “epilettici, disabili mentali, alcolizzati, drogati e criminali”, almeno 50.000 sterilizzazioni furono eseguite negli Stati Uniti entro il 1940. Ma il peggio doveva ancora venire.

Anche se le azioni di Hitler avrebbero dovuto far impallidire e vergognare qualunque simpatizzante dell’eugenetica. In merito alla tempesta di sterilizzazioni che travolse migliaia di donne americane e migliaia di donne native americane, così dichiarava nel 1978 il Dipartimento della Salute americano: “La sterilizzazione volontaria è legale in tutti gli stati. Pur se la maggior parte degli stati non ha uno statuto che regola questa pratica, più della metà autorizza la procedura attraverso l’opinione degli avvocati, o le decisioni dei giudici, o regole del Dipartimento della Salute, o implicitamente attraverso il consenso degli interessati”. Proprio l’IHS, Indian Health Service, che avrebbe dovuto prendersi cura della salute dei Nativi Americani, ebbe una parte fondamentale nella sterilizzazione delle donne native americane; solo le ripetute grida di denuncia di genocidio poterono fermare questo abominio.

La cosiddetta “pianificazione familiare” degli Stati Uniti, il Family Planning

Il programma di sterilizzazione forzata, presumibilmente, fu scoperto da membri dell’American Indian Movement durante l’occupazione del Quartier Generale del Bureau of Indian Affairs nel 1972. Nel 1974 uno studio condotto dal WARN (Women of All Red Nations) concluse che fino allora il 42% delle donne native americane in età fertile fosse stato sterilizzato senza consenso.

Il 16 marzo 1970 Nixon firmò il Family Planning Services and Population Research Act. Si intende con Family Planning (pianificazione familiare) la progettazione del controllo delle nascite, nel presupposto di aiutare una coppia ad avere bambini nel modo migliore, o a non averli se così decidono. La legge fu richiesta dalla amministrazione del governo nel luglio 1969, per siglare un impegno nazionale che provvedesse un adeguato servizio di pianificazione familiare a tutti coloro che lo richiedessero, ma non potessero permetterselo. Il Presidente Nixon dichiarò pubblicamente che però era contrario all’aborto e in questo programma non ci sarebbero stati fondi o servizi per l’aborto come soluzione al controllo delle nascite.

Dal 1970, la sterilizzazione è divenuta il più comune sistema di controllo delle nascite per donne oltre i 25 anni negli Stati Uniti. Tra il 1970 e il 1980, le sterilizzazioni triplicarono. Nel 1982, il 15% delle donne bianche, il 24% delle afro-americane, il 35% delle donne portoricane e, in vetta alla triste classifica, il 42% delle donne native americane era stato sterilizzato. Nei primi anni ’70, una stima di 100.000/ 150.000 individui, inclusi uomini a basso reddito, venivano ogni anno sterilizzati sotto i programmi finanziati dal governo statunitense. Come in passato, i pregiudizi sociali e l’ideologia di una classe prevalentemente razzista consentirono che ciò avvenisse. 

Il National Women’s Law Center (NWLC) denuncia in un report del 2022 che in oltre 30 stati americani è tuttora legale la sterilizzazione forzata. Si autorizza la procedura sulla base dell’opinione del giudice, o del Procuratore Generale, o leggi dell’Health and Welfare Department, o attraverso il consenso dell’interessato. Negli anni ’70 la sterilizzazione fu praticata attraverso scappatoie: “consensi” strappati o giocati su poca chiarezza, ricatti, bugie. Quindi sterilizzazione non consensuale. Molte donne erano classificate come “cattive ragazze”, o diagnosticate come “focose”, “maniache assatanate” o “sessualmente difficili”. La sentenza del caso Buck vs. Bell deliberò che, se lo statuto di uno stato permetteva la sterilizzazione obbligatoria sugli inabili, inclusi i “ritardati mentali”, per la protezione e la salute dello Stato, non violava il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti in difesa dei diritti civili. La “Eugenetica Negativa” intendeva migliorare la razza umana eliminando “difetti” dal patrimonio genetico. E spalancò le voragini per migliaia di persone che furono sterilizzate contro la propria volontà o perseguitate come sub-umani.

Il “trapianto di utero”

Una giovane donna indiana di ventisei anni entrò nello studio della dott.ssa Connie Pinkerton-Uri, a Los Angeles, in un giorno di novembre del 1972. E chiese un “trapianto di utero”, per poter avere dei bambini con suo marito. Un medico del Servizio Sanitario Indiano le aveva praticato un’isterectomia completa sei anni prima, quando lei aveva avuto problemi di alcolismo. E le aveva assicurato che l’isterectomia era reversibile. La dottoressa Pinkerton dovette dire alla donna piangente la verità: non esisteva nessun “trapianto di utero”.

Due giovani donne indiane entrarono nell’ospedale del Servizio Sanitario Indiano del Montana per appendicite, in un giorno di ottobre del 1970, e ricevettero un “servizio extra gratuito”: la legatura delle tube. Bertha Medicine Bull, membro della tribù dei Northern Cheyenne, riporta: “Le due ragazze sono state sterilizzate all’età di quindici anni, senza consenso e senza dir loro nulla. Né avvisare i loro genitori”.

In un caso di molestie sessuali in Oklahoma, nella struttura di Claremont, a una donna nativa fu detto da assistenti sociali e da altro personale dell’ospedale che era una cattiva madre, e che le avrebbero portato via i suoi bambini. Avrebbero dato in affidamento i suoi bambini se non avesse accettato di sottoporsi alla sterilizzazione. Ho avuto modo pochi anni fa di raccogliere dal vivo testimonianze di native vittime della sterilizzazione forzata, giovanissime negli anni Ottanta (per approfondire: “La mia Tribù. Storie autentiche di Indiani d’America”, Raffaella Milandri, Mauna Kea Edizioni).

Mentre, sull’onda dei movimenti pacifisti del ’68 e post-vietnam degli anni ’70, il cinema americano iniziava a “riscattare” gli indiani con pellicole come Soldato Blu e Un uomo chiamato cavallo, rendendo finalmente giustizia laddove i ”pellirosse” erano sempre stati “i cattivi”, veniva attuato il Family Planning Act del 1970. Un piano di efferata sterilizzazione forzata e contro la volontà delle donne native americane, e non solo, tra i 15 e i 44 anni. Dopo ripetute proteste e segnalazioni, nel 1976 il Government Accounting Office condusse un’inchiesta che sfociò nel GAO Report. Il GAO Report non verificò se fossero state praticate sterilizzazioni forzate, ma attestò che vi erano stati difetti procedurali, che i moduli di consenso non erano a norma, e che i medici non avevano “compreso” le disposizioni. Diversi moduli di consenso, inoltre, erano stati firmati il giorno dopo la sterilizzazione. Nessuna nativa americana fu chiamata a testimoniare.

Perché avvennero queste sterilizzazioni in tempi non sospetti, a cavallo tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80? Non solo su donne indiane, ma in gran misura anche su afro-americane e di razza ispanica. Le ragioni del Governo degli Stati Uniti furono sociali ed economiche. Limitare le nascite in famiglie povere e appartenenti alle minoranze razziali era un “bene” per la società e un aiuto per le famiglie povere, che potevano sopravvivere meglio senza troppi bambini. E si limitavano le spese del Medicaid, il programma di assistenza sanitaria statunitense per i meno abbienti. Vari studi, tra cui quello della dott.ssa Choctaw-Cherokee Connie Pinkerton-Uri rivelano che l’Indian Health Service tra il 1970 e il 1976 sterilizzò dal 25 al 50% di donne native americane, di età compresa fra i 15 e i 44 anni. Prediligendo le donne di puro sangue indiano. E usando spesso minacce e ricatti, o facendo firmare moduli durante il dolore del travaglio. Il giudice tribale Marie Sanchez interrogò 50 donne Cheyenne e scoprì che 26 di esse erano state sottoposte a sterilizzazione forzata dai medici dell’IHS. L’abuso di sterilizzazioni non consensuali afflisse l’intera comunità degli Indiani d’America: un’epidemia di divorzi, alcolismo, abuso di droghe, depressione mise i Nativi Americani per l’ennesima volta in ginocchio, oltre a metterne a rischio la sopravvivenza.

Emily Moore nei suoi studi mette in risalto come, tra i Nativi Americani, i figli siano vitali per la famiglia, ma anche per la sopravvivenza del gruppo e dell’identità tribale. La politica di “controllo delle nascite” dell’IHS produsse una serie di effetti che non sono certo secondari: le comunità tribali, diminuendo di popolazione, ebbero assistenza e servizi ridotti, numero di votanti per le elezioni limitato e un numero minore di rappresentanti che potessero tutelarli. Quindi potere politico minore sia ai consigli tribali e sia al governo. Torna sempre, di fronte a tutto ciò, lo spettro della prima ragione per gli stermini di Nativi Americani: la terra e il denaro. Farli fuori una volta per tutte, tagliare i costi assistenziali e prendere le risorse naturali delle riserve. Un crimine perpetrato con lucidità e determinazione, per “stemperare” il sangue indiano in una tonalità sempre più “bianca.”

 

*Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.

Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi.

Paolo Maddalena – Escludere Scurati dalla Rai tradisce in pieno la Costituzione: un evento gravissimo

 

La comunicazione giornalistica e radiotelevisiva, secondo i noti canoni della deontologia professionale, deve essere “vera”, “utile” e “interessante”. Tutte qualità fortemente presenti nel “monologo” di Antonio Scurati (riguardante la “liberazione” dai crimini e dalle stragi del nazifascismo: l’assassinio di Matteotti, le Fosse ardeatine, Marzabotto, ecc,), che Raitre avrebbe dovuto trasmettere nella ricorrenza della “Liberazione”, ma che è stato improvvisamente eliminato dal programma con una decisione che, nella sua essenza, è stata contro “la verità storica”, contro la “utilità” di far conoscere, specie alle nuove generazioni, ciò che è realmente avvenuto, e contro l’ “interesse” che tutti hanno di conoscere la storia del Popolo di cui fanno parte.

Ed è gravissimo che ciò sia avvenuto in Rai, cioè in una sede radiotelevisiva che appartiene a tutti i cittadini, i quali, peraltro, proprio ai fini appena detti, pagano di tasca propria un non indifferente “canone” annuo.

Non mi occupo di politica, ma di Costituzione. E pertanto ritengo inutile ricercare gli autori di questo misfatto radiotelevisivo. Desidero solo rilevare che si tratta di una operazione che tradisce in pieno l’articolo 21 della nostra Carta costituzionale, secondo il quale le comunicazioni di questo genere “non possono essere soggette ad autorizzazioni o censure”. Ripeto “censure”, perché di proprio questo si tratta. E si badi bene che la libertà di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, è il principale strumento di cui si serve la democrazia, per quell’enorme salto di civiltà che consiste nel sostituire alla “forza e alla violenza”, la “dialettica e la persuasione”.

Dunque dobbiamo purtroppo registrare un evento gravissimo, che può facilmente essere inteso come il “preannuncio”, insieme a molti altri recenti eventi diretti a evitare il “dissenso” giornalistico, della fine del nostro “Stato democratico”, nella prospettiva di “un uomo solo al comando”: un “premier” eletto direttamente dal Popolo, il quale, inconsapevolmente, si spoglia così del diritto fondamentale della propria “partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 Cost.).

 

The Guardian – La spesa militare mondiale ha raggiunto livelli senza precedenti

Il volume totale delle spese militari dei Paesi del mondo ha rinnovato un record, raggiungendo un totale di 2440 miliardi di dollari entro la fine del 2023, come riporta The Guardian in riferimento a un nuovo rapporto dell’Istituto di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (SIPRI). 
 
Secondo la pubblicazione britannica, ciò è stato possibile grazie alla crescita estremamente rapida che le spese per la difesa del mondo hanno mostrato nel 2023: rispetto al 2022, sono aumentate del 6,8%, il livello più alto dal 2009. 
 
Come si legge nel materiale pubblicato da The Guardian, gli analisti del SIPRI nel 2023 hanno registrato per la prima volta nell’intero periodo di osservazione un aumento delle spese militari in tutte e cinque le regioni geografiche da loro studiate – in Africa, Europa, Asia e Oceania, Americhe e Medio Oriente. 
 
Nan Tian, ricercatore senior del Programma di spesa militare e produzione di armi del SIPRI, ha affermato che il desiderio dei Paesi di armarsi il prima possibile comporta il rischio di conflitti involontari.
 
“L’aumento senza precedenti della spesa militare è una risposta diretta al degrado in termini di pace e sicurezza in tutto il pianeta”, scrive il Guardian. “Gli Stati ora danno priorità al potere militare, ma in un panorama geopolitico e di sicurezza sempre più imprevedibile, rischiano di essere risucchiati in una spirale di azione e reazione”.

La storia come luogo delle possibilità

di Alessandro Zaccuri

Quella che segue è la postfazione di Alessandro Zaccuri al nuovo romanzo di Roberto Plevano “Di spada e di croce”, pubblicato di recente da Edizioni Biblioteca dell’Immagine

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Prosecuzione e compimento di un lavoro narrativo e di ricerca storica avviato da anni, Di spada e di croce di Roberto Plevano è un libro che in un colpo solo mette a tacere almeno due pregiudizi. Il primo – e più evidente – è quello che riguarda la natura del romanzo storico. Che non si basa sulla separazione delle carriere tra storia e invenzione, la prima delegata a servire da fondale più o meno accurato e la seconda incaricata di predisporre un adeguato armamentario di personaggi e passioni e colpi di scena. No, il romanzo storico è veramente romanzo quando è storico in tutto e per tutto, come accade appunto nell’opera di Plevano. Certo, il protagonista di questa piccola saga è l’immaginario Amalrico della Provincia, trovatore e filosofo che dal Sud della Francia elegge dimora nel Nordest d’Italia, diventando sodale del principe Ezzelino da Romano e perdutamente innamorandosi della sorella di lui, Cunizza. Il punto però non è questo, la verosimiglianza di una narrazione non può essere demandata alla mera presenza di un nome in un regesto diplomatico.

Di Amalrico, al lettore, interessa la perfetta adesione rispetto alla mentalità e perfino alla lingua dell’epoca che Plevano, medievista di provata esperienza, ha scelto per la sua cantafavola. In Di spada e di croce il fiore del romanzo germina direttamente dal terreno della storia, ne assorbe i succhi e i veleni, applica con ferrea coerenza il rifiuto di ogni anacronismo: culturale, psicologico, lessicale. Anche la passione impossibile tra Amalrico e Cunizza non ha nulla di artefatto, semmai può essere interpretata come rappresentazione estrema dell’amor cortese. Non potendo vivere insieme, gli amanti preferiscono attenersi alla norma di una lontananza che non rende meno acceso il reciproco desiderio. E poco importa se a stabilire le regole del gioco sia la sola Cunizza. Per quanto ignaro, Amalrico sa che questo può accadere. In un certo senso, è un bene che questo, e non altro, accada proprio a lui e alla sua diletta.

Per essere veramente romanzesco, insomma, il romanzo storico non ha alcun bisogno di tradire la storia. Se poi la storia è quella del Medioevo, ecco che un altro pregiudizio si presta a essere abbattuto. Tutt’altro che uniforme, il panorama dell’Età di Mezzo si rivela meravigliosamente accidentato e complesso. Per esempio, in Di spada e di croce eresia e ortodossia stanno a un’incollatura l’una dall’altra e a fare la differenza non è tanto la fedeltà all’Evangelo quanto la compiacenza verso un ordine di potere che spregiudicatamente confonde il sacro con il profano. Plevano sa bene che non esiste un solo Medioevo, e non soltanto perché nel millennio che dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente arriva fino alla scoperta dell’America (la periodizzazione è grossolana, ma proviamo ad accontentarci) si susseguono stragi e rinascite, albe luminose e notti all’apparenza interminabili. Il Medioevo è epoca di cambiamenti, non di immobilità. Si rinnovano tecnologie e conoscenze, il latino assume i connotati di una lingua franca vivacemente instabile, i confini si ridisegnano di continuo, sorgono imperi e si estinguono regni. Nei romanzi di Plevano, questo processo magmatico è colto nella sua manifestazione definitiva. Siamo in Italia, nel cuore del XIII secolo, mentre la corte mobile di Federico II si sposta tra la Sicilia e la Marca veneta, portando con sé un’irripetibile mescolanza di saperi e consuetudini. È in quegli accampamenti che si verifica il prodigioso contagio tra la poesia provenzale e la nascente lirica in volgare italiano: è per effetto di quella contaminazione che il notaro Giacomo da Lentini escogita il dispositivo del sonetto, che nei secoli successivi sarà per l’Europa una sorta di linguaggio comune, pressoché indifferente alla dislocazione da un idioma all’altro.

La modernità del Medioevo (che è, per inciso, il momento in cui l’aggettivo modernus assume il suo significato attuale) sta in questa commistione inestricabile di codici espressivi e di istanze concettuali. La stessa contrapposizione tra guelfi e ghibellini, spesso tristemente ridotta a una cruenta forma di campanilismo, trova la sua ragion d’essere nello scontro fra due diverse visioni della realtà. Per restare alla trama dei romanzi di Plevano, Amalrico non sceglie di schierarsi con lo Stupor Mundi per questioni di opportunismo, ma perché in “Friderico” ritrova la sua stessa febbre di conoscenza, lo stesso desiderio di libertà intellettuale che per primo l’imperatore persegue e sostiene. Allo stesso modo, Di spada e di croce – come e più del precedente romanzo di Plevano – non è, a rigore, il romanzo di Ezzelino e della sua corte, ma non si può fare a meno di notare come l’impresa di Plevano sottragga il nome del principe di Romano all’ambiguo fascino da cui è contornato fin dai primi anni del Trecento, quando Albertino da Mussato compone la sua Ecerinis. Una tragedia nello stile di Seneca, autore prediletto nel circolo del cosiddetto preumanesimo padovano. Prima di attecchire a Firenze, dunque, l’imitazione dei classici si annuncia in Veneto, con Albertino che costruisce il suo capolavoro attorno al mito recentissimo del tiranno della Marca.

A differenza di quanto cercano di fare gli storici, Plevano non pretende di fornire una ricostruzione incontrovertibile o, se non altro, a prova di smentita, Per lui, come per ogni romanziere, la storia è il luogo della possibilità. Una battaglia vinta anziché persa, un dispaccio arrivato per tempo, un inquisitore meno feroce degli altri: sarebbe bastato un nonnulla perché gli avvenimenti prendessero una piega differente. La vicenda di Amalrico si colloca proprio qui, sul crinale tra quello che è stato e quello che avrebbe potuto essere. Un terreno misterioso e sorprendente, nel quale solo la letteratura riesce ad avventurarsi.

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“La storia come luogo delle possibilità” è stato scritto da giacomo sartori e pubblicato su NAZIONE INDIANA.

Chi parla di “antisemitismo” non sa cosa sia l’Università

Le rassegna stampa delle scorse settimane pongono una questione non marginale: anche al netto della propaganda e della malafede di non pochi giornalisti, ciò che colpisce è la pressoché universale ignoranza circa la natura stessa dell’università. Intendiamoci, la colpa di questa eclissi è in gran parte dei professori stessi, che si sono piegati ad accettare la condizione tanto lucidamente descritta da Filippomaria Pontani: l’università ha così spesso e così tanto rinunciato a difendere la propria libertà, che quando oggi timidamente la rivendica quasi nessuno capisce di cosa si stia parlando.

Prendiamo il caso della Scuola Normale di Pisa, che è stata per giorni crocifissa da editoriali dei più grandi giornali italiani, e dal coro pressoché unanime della politica e addirittura dall’associazione dei suoi (begli) amici, perché avrebbe “chiuso i rapporti con Israele” (così un titolo di Repubblica). Ebbene, nessuno di coloro che hanno commentato in questo senso sembra aver letto ciò che stava commentando: la mozione del Senato accademico della Scuola, che non chiudeva nessun rapporto, ma chiedeva al Maeci di “rivalutare”, alla luce dell’articolo 11 della Costituzione, che ripudia la guerra, il bando “per la raccolta di progetti congiunti di ricerca per l’anno 2024, sulla base dell’Accordo di Cooperazione Industriale, Scientifica e Tecnologica tra Italia e Israele”.

Dov’è dunque la chiusura di rapporti con le università israeliane? Non c’è la chiusura, perché si chiede al nostro Ministero degli Esteri di rivalutare un certo protocollo: e non ci sono nemmeno le università. Perché, e questo è il punto cruciale, qua non si tratta di convenzioni e accordi tra liberi atenei, ma tra due governi: quello Meloni e quello Netanyahu. E in un momento in cui il Consiglio per i diritti umani dell’Onu chiede che Israele sia condannato per crimini di guerra a Gaza, come sarebbe possibile collaborare acriticamente non con le libere università di quel Paese, ma proprio con il governo responsabile di quei crimini? Come condannare l’Università di Torino che a quel bando ha deciso di non aderire?

Per questo trovo profondamente sbagliato l’appello a Tajani dell’Associazione degli Accademici e Scienziati di origine italiana in Israele, che chiede la realizzazione di una fondazione partecipata dagli stati italiano e israeliano che finanzi progetti scientifici, “in tutte le discipline, non solo scientifiche ma anche umanistiche, perché è noto che la maggior parte dei boicottatori contro l’Accademia Israeliana provengono da Facoltà Umanistiche, pertanto, mai come in questo momento, sarebbe vitale la creazione di tale Fondazione”. Immaginiamo quale sarebbe stata la reazione se gli studiosi italiani in Russia avessero chiesto al nostro governo di creare, con quello di Putin, una simile fondazione per aggirare il boicottaggio delle università russe.

Ora, personalmente sono profondamente in disaccordo con qualunque boicottaggio di una università contro un’altra: ma lo sono proprio perché le università non dipendono dai governi dei loro paesi, e non li rappresentano. Le università sono, fin dal Medioevo, il luogo in cui si coltiva un internazionalismo, un pensiero critico e un dissenso sistematico che sono il miglior antidoto ai nazionalismi e alle guerre: per questo ogni tentativo di far passare la ricerca attraverso accordi tra governi smentisce e nega quella libertà accademica che è la vera ragione per non boicottare le università. La richiesta degli studiosi italiani in Israele ha poi una motivazione che non è degna di chi dovrebbe coltivare il pensiero critico: “Il boicottaggio come l’anti-israelismo sono figli di un antisemitismo che si sta risvegliando anche in Italia”. Questo è un giudizio non solo sommario e fattualmente sbagliato, ma anche disonesto sul piano intellettuale. Ripeto: sono contrario ad ogni boicottaggio accademico, ma se una università italiana liberamente decidesse di annullare ogni suo accordo con università israeliane (o russe, o cinesi, o turche, o… americane) farebbe una scelta legittima, che nessuno potrebbe accusare di razzismo. E questo vale, deve valere, anche per Israele.

Questo uso estensivo, improprio e strumentale della categoria dell’antisemitismo (un uso che le stesse università hanno purtroppo implicitamente condiviso, quando la Conferenza dei rettori fece propria l’inaccettabile definizione di antisemitismo dell’IHRA, che considera antisemita perfino chi dica che in Israele si pratica una forma di apartheid: il che è un dato di fatto) mira ad impedire un dibattito libero, ed è irresponsabile perché rischia di banalizzare il vero antisemitismo, che esiste ed è assai pericoloso.

L’università fa il suo mestiere quando alimenta dubbi, distingue, discute, argomenta: non quando maledice, o interdice. E soprattutto non quando obbedisce ai governi, o peggio quando ne diventa un docile strumento. Diciamo di voler difendere ad ogni costo i valori occidentali: una università davvero libera è uno di essi.

(Pubblicato su Il Fatto Quotidiano) 

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“Chi parla di “antisemitismo” non sa cosa sia l’Università” è stato scritto da Tomaso Montanari e pubblicato su ROARS.