Comincia la giornata lavorativa, la mia giornata lavorativa: di essa sono soddisfatta, tanto mi dà, ricevo sempre più di quello che do’. Una giornata assieme a diverse angolature, guardate sempre dal punto di vista della persona. Una fetta: il nostro passato nella veste del presente. Un’altra fetta: il nostro presente rapportato con colleghi, doveri, diritti e compagnia. Una fetta ancora: il futuro, pensando a ciò che di me sarà, se sarà, di noi tutti. Un lavoro in mezzo alla gente quindi, come gli altri lavori svolti nella mia vita, sempre in mezzo agli altri. Un lavoro ricco di rapporti umani, la mia socialità soddisfatta, il mio senso d’altruismo soddisfatto. E non parlatemi dell’altruismo come di quel sentimento che soddisfa l’individuo per egoismo proprio…quello a cui non credo non lo faccio…alla faccia dell’altruismo…di queste storie non m’importa proprio un bel nulla: se provo piacere a compiere qualcosa accetto anche l’altra faccia della medaglia, se no puoi farmi lo scalpo ma non cedo – che caratteraccio mi ritrovo, invece che darmi una calmata con l’età peggioro. Bando alle ciance…ritorno in tema.
Qualche anno fa, dopo il mio anno sabbatico di riposo da un lavoro che mi aveva lasciato sfinita, avevo deciso di esaudire un desiderio che portavo nel cuore da infiniti anni: missionaria laica in Africa, che poi trasformai in Brasile vista la possibilità che intravidi di recarmi là tramite la conoscenza diretta di una comunità da parte di un parroco ‚Äúumano‚Äù che mi stava simpatico che lì c’era stato per vent’anni e il cui racconto del vissuto della comunità stessa m’appassionò. Ecco, tutto cominciò così e questa mia voglia sembrava dovesse andare senz’altro in porto…ormai riposata dall’anno appena trascorso che era stato praticamente d’ozio mi tornava la voglia di darmi da fare, di lavorare, di crearmi un mezzo di sostentamento. Preparai il tutto: contatti con la comunità in questione, nuovo passaporto, persino la valigia…
Quella mattina ero al computer per prenotare un volo di sola andata per Recife quando il cellulare si mise a suonare: era un uomo che avevo contattato per un lavoro, più che altro per scrupolo di coscienza verso i miei figli che probabilmente avrei rivisto, vista la lontananza che mi accingevo a porre tra di noi, per poche altre volte nella vita, responsabile delle assunzioni per una struttura residenziale per anziani. Il signore all’altro capo del telefono mi offriva un lavoro temporaneo. Il mio pensiero corse in maniera vorticosa verso un ci provo, non è lontano dal mio desiderio, se ho voglia di rendermi utile in questo senso lo potrei fare anche qui, a casa mia. Ci provo ‚Äì gli dissi subito ‚Äì grazie.
Dopo qualche giorno, espletate le pratiche burocratiche, cominciai a lavorare in una casa di riposo per un periodo, poi cambiai luogo di lavoro, ma sempre in una struttura simile e…tornai a scuola per un corso accelerato, acceleratissimo direi viste la buona quantità e altrettanto buona qualità dell’insegnamento, per un titolo di studio che mi permise di aver la possibilità di continuare a svolgere questo tipo di lavoro che mi aveva appassionato da subito e che mi permise di soddisfare quel senso di ‚Äúmissione‚Äù che dentro mi porto.
Lavoro in una casa di riposo quindi. Qui gli ospiti, utenti, chiamateli come volete, li chiamiamo affettuosamente nonni e affettuosamente li accudiamo, curiamo, li aiutiamo a vivere insomma cercando di lenire in qualche modo la lontananza dai propri cari, da casa propria, cercando di render loro serena la permanenza in un luogo che condividono con propri simili, di farli sentire a proprio agio.
A me da’ molta soddisfazione questo tipo di lavoro: coi nonni ci sto proprio bene, ho riscoperto in me una pazienza eterna, mi danno molto di più di quello che ricevono, così a me sembra. A volte penso a queste creature indifese, la maggior parte è così, che si abbandonano a noi, con fiducia, a noi che, al principio almeno, non conoscono…loro son così…si fidano, come i bambini. E come i bambini ti offrono i loro doni: chi un sorriso, chi un grazie, chi una caramella, chi la pesca che non ha mangiato a pranzo, chi un giornale che ha letto e riletto…
Son belli i nonni! A volte osservo le loro rughe di saggezza, con tono pacato mi raccontano di una volta, chiedono di casa mia, i più attenti si ricordano il mio nome, gli altri lo storpiano, ma il risultato è sempre lo stesso…la tenerezza m’invade e qualche volta resto incantata a studiare le loro reazioni, le loro discussioni che s’accendono sulle piccole azioni quotidiane della vita, l’indicarmi il nuovo fiore di carta costruito il giorno prima.
Avevo il turno di notte quella notte e una signora arrivata da poco in struttura suonò il campanello e quando arrivai al suo letto mi sentii un: – Eccola, qui arriva il sole anche di notte! Son queste per me le soddisfazioni della vita, lasciatemelo dire, queste son le cose che mi fanno toccare il cielo con un dito…la semplicità fatta parola, la parola fatta semplicità. Da quel giorno ci chiamiamo Sole tra noi: per lei sono Sole, per me è Sole.
Sai ‚Äì le dissi dopo qualche mese da quella prima volta temendo che lei prendesse male la cosa ‚Äì che il mio cane si chiama Sole? E’ una femmina ma mi è piaciuto chiamarla così. Ah si? – fece ‚Äì che bello! Me la porti che voglio conoscerla? E un pomeriggio presentai Sole all’intera comunità: nessuno dei nonni ebbe paura, nessuno! Eppure Sole non è quello che si dice un cane di taglia piccola: è un lupo italiano e ha le fattezze miste tra pastore tedesco e lupo. Quasi tutti m’invitarono ad andar vicino e accarezzando il cane le e mi sorrisero, molti mi chiesero delle sue abitudini e mi dissero di riportarla. E alcuni di loro mi domandano spesso cosa faccia il cane, se non si senta sola quando non ci sono…
Chiaramente non ci sono solo episodi solari: si vede anche la sofferenza nelle strutture di questo tipo, a giorni si può tagliarla col coltello…e mi reputo fortunata a star bene…niente è mio diritto, non parlo nel senso puramente giuridico del termine, se non ricercare la serenità che comunque devo conquistarmi, sono io che devo arrivarci, nonostante la vita, nonostante la sofferenza che attraversiamo nell’arco di questa grande momento che è la vita…e a volte costa sangue vivere, vivere per come credi sia bene il tuo vivere.
Come si fa a non essere grati all’universo per queste piccole grandi cose che ti offre? Mi chiedo come si faccia. Forse sono io che mi ‚Äúaccontento‚Äù, forse sono io che non m’interesso più di tanto alla rincorsa verso l’avere ad ogni costo…eppure c’è stato un tempo…il tempo della corsa…ed ero sempre scontenta…sempre mi mancava qualcosa. Eppure c’è sempre stato il cielo. C’è sempre stato il mare. C’è sempre stato il vento. C’è sempre stata la neve. C’è sempre stato un nonno pronto a donarti il suo sorriso: magari anche senza denti, ma ti ha sorriso…e in quell’istante ti ha donato il tuo momento felice. Anche questa è vita, anche questo è amore…