Ciao

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L’opera qui raffigurata è di quella che reputo una grande persona, oltre che bravissimo scultore, di Franco Vergerio nato a Lentiai, Belluno, il 31 marzo 1945. E’ emigrato a Genova per molti anni, ma adesso vive di nuovo al suo paese natale. L’opera si chiama “La grande civetta” e ogni volta che la guardo m’illumino d’immenso.

Ciao a tutti, un sorriso vi prenda la mano davanti allo specchio della vita in questa che si preannuncia, dal punto di vista meteorologico, una splendida giornata.
Voglio confessarvi una cosa: mi sto un po’ rompendo di facebook, di tutte ‘ste polemiche che imperversano, di tutta questa marea di gente che guarda annozero, di questo scontento generale che non sia il guardarci prima noi. Si, lo so che in qualche modo lottiamo anche così, che in qualche modo la nostra frustrazione vien fuori anche così, e questo è importante, molto importante e so che parlandone assieme qualcosa si può risolvere. Ma…come dire…se non si è degni di libertà è giusto mettere dei paletti, cercare di metterli perlomeno: se questo si vuole questo si ha. E non ditemi che siamo innocenti, che’ in giro, mi riferisco qui alla piazza Internet, si vedono innumerevoli porcate, si leggono sproloqui, baggianate prive di fondamento quasi, come se a sparar cavolate ci si guadagnasse il paradiso. Mi piace molto giocare al pc, in facebook nella fattispecie, ricevo pensieri, trasmetto in qualche modo il mio essere: ognuno i suoi fatti, ognuno i suoi problemi. Ci sono persone sempre arrabbiate col mondo, si spara continuamente da tutte le parti, a ogni cosa il suo retro-pensiero: sembra quasi che trasmettere ‚Äúinnocentemente‚Äù un’informazione, una battuta, una propria opinione debbano scatenare una specie di bufera…che poi bufera non è se come tale non la reputi. Scavando in noi non vediamo dentro la nostra insoddisfazione personale trasmessa sulle opinioni, i fatti di vita degli altri? La polemica è feroce…guardiamoci dentro, viviamola ‘sta benedetta vita. Lo so che non è facile guardare Terzigno senza indignarsi, non bisogna, come non bisogna sorridere se a un nostro fratello meno fortunato di noi gli si toglie il diritto allo studio, alla vita, ma, voglio dire, non possiamo guardare anche i lati positivi di questo nostro pianeta e gustarci anche il piacere rilassante di scambiarci le nostre battutine da niente, quattro sorrisi d’anima in tutto, senza far galleggiare a ogni costo la cacca?
Personalmente credo talmente tanto nella sostenibilissima leggerezza dell’essere che cerco di applicarla su di me ogni momento della giornata: questo non vuol dire che sono cieca. E se poi non vengo capita poco male: così mi sento soddisfatta, così continuo e questo non vuol dire che se domani sarò diversa entrerò in conflitto con me stessa, per il semplice fatto che abbandonerò subito, o quanto prima, il campo per abbracciarne subito un altro.
Sorridiamo ragazzi, sorridiamo spesso, mangiamo nutella, cioccolata, una buona pastasciutta, la fettina, usiamo il cellulare, internet, l’auto, leggiamo, cantiamo, facciamole tutte…chè questa vita è breve, troppo breve per sciuparla in asinate. E’ vero, con le asinate ci viviamo, ma possiamo circoscriverle e isolarle…tanto pe’ campa’…che’ poi quando vivi con la leggerezza dentro fai fronte a tutto.
Ci auguro un girasole oggi, un girasole che ci riempia la vita: ciao a tutti voi che mi leggete:)

n.b. E queste mie quattro parole, bada, non vogliono essere un insegnamento, dico solo la mia, che non è una mia ricetta per gli altri, né per me, ma la mia maniera, in questo momento, per vivere meglio e cerco di comunicarla…

Doriana Puglisi

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Questa invece è una poesia di Chiara Scussel, ragazza giovanissima di appena 18 anni, classe 1992, ¬†che vive a Forno di Zoldo, Belluno.¬† A ogni sua poesia mi si apre il cuore.

Un foglio bianco

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festa dell’Infiorada a Igne nel giorno del Corpus Domini

 

Un foglio bianco. Certo questo è un regalo interessante. Cosa ci scrivo su un bianco, candido foglio? Ci scrivo di mille emozioni? Delle mie sensazioni? Un foglio bianco è una vita, mille, diecimila. Cosa ne faccio? Potrei scriverci una favola, romanzo, poesia. Potrebbe essere un foglio lungo un’esistenza, un’immensa lunga, splendida parola: si chiama vita. Ad ognuno il suo foglio, la sua pagina.
E’ bella una pagina bianca: un bel regalo davvero, non c’è che dire.
Posso scriverci di questa mattina, del suo albeggiare. Posso dire che son felice di trovarmi nella mia vita. Posso dire che quest’orizzonte che ho davanti lo vedo positivo, lo vedo rosa, come le montagne che mi circondano, come questo rosa, in questo particolare momento, in questa che s’annuncia una splendida giornata.
Posso dire che il mio stato di benessere del momento mi auguro m’accompagni per lungo periodo, che sento di meritarmelo tutto.
Posso dire che nutro una gran fiducia, una grande gioia, in tutto ciò che mi circonda.
Posso sollevare gli occhi al cielo e ringraziarlo, benedire le azioni che qui m’hanno portato.
Posso ringraziare i vari crotali incontrati lungo il mio cammino perchè m’hanno insegnato ad evitarli, m’hanno reinsegnato la difesa.
Posso benedire tutto ciò che di bello eiste.
Posso solo pensare che di tutti ho bisogno.
Posso solo dire che ho imparato a volermi bene.
Posso solo constatare che mi sento una che della sua felicità sa che farsene.
Posso solo ammettere che il carpe diem fa parte della mia vita nei casi in cui dev’essere.


Tra le mie passioni la cucina e¬†anche se ultimamente ho un po’ mollato so che prima o poi tornerò ai fornelli. Questo che qui vi dò è il procedimento non usuale, poeticando un po’, per la preparazione degli gnocchi di zucca conditi con ricotta affumicata e burro fuso, o come volete voi.

prendo la zucca la lavo bene e nel micro cucino a dovere

sette o otto minuti può bastare oppure nell’acqua bollente

si¬†può cucinare poi¬†si tira via la scorza

quand’è fredda non esagerare c’aggiungo uovo un filo d’olio

esco dalla tradizione  di ricotta e latte ne aggiungo una porzione

pasta più buona non pare un sasso poi ci metto la farina

finchè prende consistenza di una pasta per le torte

nei nostri moderni tempi uso il robot per impastare

ma se hai voglia di mescolare con un cucchiaio di legno

ti devi aiutare

prendo quindi un cucchiaino un pochino di pastella

butto dentro il pentolone dove l’acqua col sale già bolle

tu che gli gnocchi li fai una volta prova prima con sol uno

se la pasta resta insieme vai pure sul tranquillo

e se no aggiungi all’impasto farina che se no non mangi nulla

dieci a testa può bastare dipende tutto da quanto vuoi mangiare

quando il tutto viene a galla ancora un minuto

trasferisci poi nel passino aiutandoti col mestolo

puoi condire con ricotta affumicata e friggente burro

oppure col ragù o come vuoi tu ed a posto della zucca

puoi usare biete ortiche pane vecchio di latte imbombato

oppure pangrattato

il sughetto con l’asparago selvaggio rende tutto assai gustoso

mentre col porcino ottieni un assai delicato saporino

quanti modi quanti mondi e ad ognuno sua realtà

e qua c’è questa qua

 

  Per l’impasto, le dosi sono per quattro persone:

1 kg di zucca cotta, preferibilmente, in forno o lessata

farina bianca quanto basta

50 gr. di ricotta fresca

¬Ω bicchiere di latte

1 uovo

1 cucchiaio d’olio d’oliva.

 

Per il condimento:

ricotta affumicata grattugiata

burro fuso (molto caldo)

Posso solo augurarvi una buona giornata anche se è sera e cercare di trasmettervi ciò che di bello in me sento.

Doriana Puglisi

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Fantasticando

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Buttare all’aria tutto

rinascere

moltiplicare le proprie energie

raccogliendo le ultime forze

sventagliare l’anima al vento

esser moribondi e poi rialzarsi

aprire il proprio intelletto

a chi lo vuole ascoltare

a chi vuol vedere l’anima tua

esultare

a chi mostra la sua in tutta la pienezza

questo è l’uomo

questo sono io

essenza dell’essenza

e vagare

da un polo all’altro

fino a riscoprir me stessa

fino a trovare i miei desideri

il resto è pochezza

il resto ve lo lascio

illumina le tue giornate

di una luce che mai possedesti

e il tuo mattino luminoso

sorgerà a porgerti la mano

Capita che perdi il senso della misura, della quantità, del concreto. E fantasticando ti trovi su un tram che ti porta, che ne so, nei castelli di Ludwig il pazzo, o dal Conte Dracula o chissà dove, nel castello di Cenerentola, nella casa di Hansel e Gretel. Sei lì, in uno di quei posti e ti comporti come il gatto dagli stivali, anche se sei in Transilvania, e sei Eolo che va a scavar diamanti nella grotta di Polifemo, Ulisse dentro il cavallo di Troia.
Ma guarda tu che pensieri, il massimo della fantasia, della pazza lucidità, dell‚Äôassurda incoerenza, la mia, quella di stasera, quella di sempre.
Fantasticando sono un fiore: un‚Äôarnica, gialla, nella sua essenza guarisco i mali, fuori e dentro, i semi volando attecchiscono un po‚Äô più in la, dove altre arniche nasceranno, è il ciclo, il ciclo della vita, l‚Äôimmenso ed unico, Madre Natura ha pensato, ha fatto. Fantasticando sono un fiume, con la sua acqua che scorre, ricevo acqua dalle cime,
la porto alla vita, al mare, i sassi costa fatica passarli, bisogna dividersi, piegarsi, muoversi, strisciare, vegliare la crescita delle trote, nutrirle. Ognuno ha un suo perché, un suo senso, ogni cosa ha la sua ragione.
Fantasticando devo dire che ogni miseria può venir sconfitta, ogni guerra abolita, fabbriche di armi rivedute in cibo, rarità divenire usualità.
Fantasticando galoppo Efeso, lassù nel suo cielo ambrato di un meriggio di primavera, verso una nuova visione, una ragione che dica ci sono, una realtà che sa di miraggio, che non sia pulviscolo negli occhi, che non sia lo sciorinamento di un rosario a cui bisogna sempre dire hora pro nobis. Fantasticando siamo noi, come siamo, perché siamo e perché ci siamo.
Fantasticando questa nostra vita la possiamo rendere novella o favola o tragedia, come vogliamo. Fantasticando ci vogliamo bene, ama il prossimo tuo come te stesso.

Ringrazio Arturo Caltabiano per la sua opera qui raffigurata

Doriana Puglisi

Asini si nasce… O si diventa

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foto da La Fabrica Teatro

Ero talmente contenta all’uscita del primo libro che, dopo un anno di pensamenti e ripensamenti – mi pareva che con la sua pubblicazione tutti sarebbero riusciti a leggermi dentro e quindi di essere più vulnerabile – ero talmente contenta di avercela fatta che mi sembrava doveroso regalare alcune copie ai miei ideali, diciamo così, o almeno all’idea che avevo, o mi ero fatta, di loro.

Una bella mattina presi contatto, quindi, con un negozio equo e solidale: una bottega di quelle tutte carine, dove ci sono esposti i cesti, i foulards, maglioncini e golf vari, candele, bigiotteria di tanti tipi e tutto il resto che rappresenta la scelta che quel dato gestore, associazione per quel che risulta nel mio vivere nella realtà locale, sceglie o ha la possibilità di scegliere. Questo negozio, nel nostro capoluogo, non aveva, attualmente non ho notizia, orario di negozio tradizionali, ma determinate ore in determinate fasce della giornata: ciò non era compatibile col lavoro che svolgevo che mi vedeva impegnata soprattutto in quei momenti d’apertura del negozio equo e solidale. Dopo vari tentativi riuscii a parlare al telefono con una donna che mi spiegò per filo e per segno orari di apertura e quant’altro e, vista la mia difficoltà a raggiungere il negozio nelle ore di apertura, m’indicò un bar lì vicino dove poter lasciare i libri. Tra noi mai parlammo di prezzo, di percentuale e tutto il resto che concerne una vendita di libri o di qualsiasi altro prodotto. Metteremo subito i libri sul banco per la vendita‚ mi disse la signora al telefono.

Mi direte: ma questa va in giro a raccontare gli affari suoi – che pettegola! – Rispondo subito che non è raccontare gli affari miei che m’interessa, nel senso che non li racconto tanto per farli sapere, ma perché credo fermamente che la storia la facciamo anche noi e non sempre bisogna guardare gli altri, anche se, lo ammetto, è molto più comodo farlo, dall’alto del nostro pulpito. Perché, che noi lo vogliamo o no, il nostro pulpito ce l’abbiamo tutti: spero solo che il mio, in scala, sia posto nel gradino più basso.

Chiaramente su tutto quello che riguarda vendite/donazioni esiste una piccola carta che si chiama bolla d’accompagnamento che deve, appunto, viaggiare insieme alle merci una volta che le sposti dal tuo, chiamiamolo così, deposito a un altro, o che comunque le consegni al destinatario. E io questa bolla la compilai e la consegnai, come d’accordo, al signore del bar insieme ai libri.

Dopo un bel po’ di mesi, cinque o sei – non ricordo bene, approfittando del periodo di ferie dal lavoro, trovai il tempo per andare a sentire circa i libri, comperare, questa erano le mie intenzioni oltre che quella di associarmi al gruppo che gestiva il locale, un maglione nel negozio equo e solidale. La commessa, un membro dell’associazione suppongo, mi salutò con fare piuttosto sbrigativo e quasi seccato, per quello che ne sapeva lei rappresentavo un potenziale qualunque cliente, e le chiesi subito dei libri. Scocciatissima prese subito una busta di plastica da sotto il banco (ma non eravamo in uno di quei negozi dove si usano solo buste di carta?) e mi ridiede indietro libri e bolla assalendomi con malagrazia, gridando quasi, con fare concitato, dicendomi che lei non vendeva libri di non associati, che lei voleva solo libri di un certo tipo, con temi sulla pace, sulla guerra, sugli esili…Mi permisi di dire qualcosa come: ma secondo te l’amore universale, la natura, che narro in questi libri non sono argomenti validi? Silenzio dall’altra parte.  – E poi non vendo roba dei non associati – continuò alzando ancora di più il suo tono di voce.  Bene‚ risposi prendendo il sacchetto coi libri ‚ Ero venuta a vedere se avete venduto qualche libro‚ – Ti ho già detto che non voglio libri senza un tema ben preciso e poi ti ripeto che non posso vendere prodotti che non siano dei nostri associati! Ora la sua voce aveva uno stridore che i miei timpani non gradivano affatto. Mi avviai verso la porta d’ingresso, sempre con la mia busta in mano e con l’altra sulla maniglia; non so come feci a mantenermi calma. Le dissi: – Veramente era mia intenzione regalarvi questi libri e l’incasso sarebbe stato per l’associazione‚ Diventò pallida come un cencio, poi rossa come un peperone, smorzò subito il tono di voce e meno aggressivamente mi rispose: – Questo cambia tutto. Ma la mia mano non si fermò su quella maniglia: andai fuori a respirare un po’ d’aria pura…

Equo e solidale??? Mi trovavo molto meglio a trattare con i responsabili dei supermercati: davvero!

Sarà stato l’episodio di una persona aggressiva non lo metto in dubbio, ma ogni tanto affiora alla mente quando vedo un negozio del genere.

Per non parlare poi del caffè equo solidale…altra storia…altro regalo…

Una mia vicina di casa era la mia interlocutrice preferita sugli usi e costumi di una volta, sono un’appassionata in questo senso, e un pomeriggio in cui andai a trovarla uno dei suoi fratelli mi mostrò qualche copia dell’Asino‚ da sfogliare. Mi raccontò che durante il periodo fascista nascondeva questi giornali in una feritoia nascosta ricavata in un muro portante della casa, dietro a un mobile… Ne rimasi sconvolta, per quanto riguarda l’azione del nascosto, meravigliata per i contenuti del giornale che sebben di così tanti anni prima fossero attuali come non mai…

Dei miei vecchi vicini di casa adesso non è rimasto più nessuno, qualche nipote arriva saltuariamente ad occupare la vecchia casa, io non ho più vent’anni, ho traslocato e quella famiglia di anarchici di una volta non c’è più.

No, non sono una nostalgica che pensa al tempo che fu: sto sto solo scavando nella mia memoria per fissarla su carta pensando al futuro, pensando al presente. Poi, tra un attimo, richiuderò la cartella per aprirla la prossima volta.

Chi mai avrebbe potuto dirlo che un giorno sarei stata in grado di scrivere qualcosa quasi sdraiata a letto, collegata da un piccolo pc e una lucetta blu a una scatoletta bianca che è collegata a una spina e potenzialmente in grado di trasmettere in un battibaleno le mie quattro righe a tutto il mondo? Che bello! Queste cose mi procurano sempre meraviglia…sempre!

Ringrazio vivamente chi mi fa avere musiche, video e quant’altro per far sì che il cervello si stimoli:)

Doriana Puglisi

Assieme ai Nonni

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Comincia la giornata lavorativa, la mia giornata lavorativa: di essa sono soddisfatta, tanto mi dà, ricevo sempre più di quello che do’. Una giornata assieme a diverse angolature, guardate sempre dal punto di vista della persona. Una fetta: il nostro passato nella veste del presente. Un’altra fetta: il nostro presente rapportato con colleghi, doveri, diritti e compagnia. Una fetta ancora: il futuro, pensando a ciò che di me sarà, se sarà, di noi tutti. Un lavoro in mezzo alla gente quindi, come gli altri lavori svolti nella mia vita, sempre in mezzo agli altri. Un lavoro ricco di rapporti umani, la mia socialità soddisfatta, il mio senso d’altruismo soddisfatto. E non parlatemi dell’altruismo come di quel sentimento che soddisfa l’individuo per egoismo proprio…quello a cui non credo non lo faccio…alla faccia dell’altruismo…di queste storie non m’importa proprio un bel nulla: se provo piacere a compiere qualcosa accetto anche l’altra faccia della medaglia, se no puoi farmi lo scalpo ma non cedo – che caratteraccio mi ritrovo, invece che darmi una calmata con l’età peggioro. Bando alle ciance…ritorno in tema.

Qualche anno fa, dopo il mio anno sabbatico di riposo da un lavoro che mi aveva lasciato sfinita, avevo deciso di esaudire un desiderio che portavo nel cuore da infiniti anni: missionaria laica in Africa, che poi trasformai in Brasile vista la possibilità che intravidi di recarmi là tramite la conoscenza diretta di una comunità da parte di un parroco ‚Äúumano‚Äù che mi stava simpatico che lì c’era stato per vent’anni e il cui racconto del vissuto della comunità stessa m’appassionò. Ecco, tutto cominciò così e questa mia voglia sembrava dovesse andare senz’altro in porto…ormai riposata dall’anno appena trascorso che era stato praticamente d’ozio mi tornava la voglia di darmi da fare, di lavorare, di crearmi un mezzo di sostentamento. Preparai il tutto: contatti con la comunità in questione, nuovo passaporto, persino la valigia…

Quella mattina ero al computer per prenotare un volo di sola andata per Recife quando il cellulare si mise a suonare: era un uomo che avevo contattato per un lavoro, più che altro per scrupolo di coscienza verso i miei figli che probabilmente avrei rivisto, vista la lontananza che mi accingevo a porre tra di noi, per poche altre volte nella vita, responsabile delle assunzioni per una struttura residenziale per anziani. Il signore all’altro capo del telefono mi offriva un lavoro temporaneo. Il mio pensiero corse in maniera vorticosa verso un ci provo, non è lontano dal mio desiderio, se ho voglia di rendermi utile in questo senso lo potrei fare anche qui, a casa mia. Ci provo ‚Äì gli dissi subito ‚Äì grazie.

Dopo qualche giorno, espletate le pratiche burocratiche, cominciai a lavorare in una casa di riposo per un periodo, poi cambiai luogo di lavoro, ma sempre in una struttura simile e…tornai a scuola per un corso accelerato, acceleratissimo direi viste la buona quantità e altrettanto buona qualità dell’insegnamento, per un titolo di studio che mi permise di aver la possibilità di continuare a svolgere questo tipo di lavoro che mi aveva appassionato da subito e che mi permise di soddisfare quel senso di ‚Äúmissione‚Äù che dentro mi porto.

Lavoro in una casa di riposo quindi. Qui gli ospiti, utenti, chiamateli come volete, li chiamiamo affettuosamente nonni e affettuosamente li accudiamo, curiamo, li aiutiamo a vivere insomma cercando di lenire in qualche modo la lontananza dai propri cari, da casa propria, cercando di render loro serena la permanenza in un luogo che condividono con propri simili, di farli sentire a proprio agio.

A me da’ molta soddisfazione questo tipo di lavoro: coi nonni ci sto proprio bene, ho riscoperto in me una pazienza eterna, mi danno molto di più di quello che ricevono, così a me sembra. A volte penso a queste creature indifese, la maggior parte è così, che si abbandonano a noi, con fiducia, a noi che, al principio almeno, non conoscono…loro son così…si fidano, come i bambini. E come i bambini ti offrono i loro doni: chi un sorriso, chi un grazie, chi una caramella, chi la pesca che non ha mangiato a pranzo, chi un giornale che ha letto e riletto…

Son belli i nonni! A volte osservo le loro rughe di saggezza, con tono pacato mi raccontano di una volta, chiedono di casa mia, i più attenti si ricordano il mio nome, gli altri lo storpiano, ma il risultato è sempre lo stesso…la tenerezza m’invade e qualche volta resto incantata a studiare le loro reazioni, le loro discussioni che s’accendono sulle piccole azioni quotidiane della vita, l’indicarmi il nuovo fiore di carta costruito il giorno prima.

Avevo il turno di notte quella notte e una signora arrivata da poco in struttura suonò il campanello e quando arrivai al suo letto mi sentii un: – Eccola, qui arriva il sole anche di notte! Son queste per me le soddisfazioni della vita, lasciatemelo dire, queste son le cose che mi fanno toccare il cielo con un dito…la semplicità fatta parola, la parola fatta semplicità. Da quel giorno ci chiamiamo Sole tra noi: per lei sono Sole, per me è Sole.

Sai ‚Äì le dissi dopo qualche mese da quella prima volta temendo che lei prendesse male la cosa ‚Äì che il mio cane si chiama Sole? E’ una femmina ma mi è piaciuto chiamarla così. Ah si? – fece ‚Äì che bello! Me la porti che voglio conoscerla? E un pomeriggio presentai Sole all’intera comunità: nessuno dei nonni ebbe paura, nessuno! Eppure Sole non è quello che si dice un cane di taglia piccola: è un lupo italiano e ha le fattezze miste tra pastore tedesco e lupo. Quasi tutti m’invitarono ad andar vicino e accarezzando il cane le e mi sorrisero, molti mi chiesero delle sue abitudini e mi dissero di riportarla. E alcuni di loro mi domandano spesso cosa faccia il cane, se non si senta sola quando non ci sono…

Chiaramente non ci sono solo episodi solari: si vede anche la sofferenza nelle strutture di questo tipo, a giorni si può tagliarla col coltello…e mi reputo fortunata a star bene…niente è mio diritto, non parlo nel senso puramente giuridico del termine, se non ricercare la serenità che comunque devo conquistarmi, sono io che devo arrivarci, nonostante la vita, nonostante la sofferenza che attraversiamo nell’arco di questa grande momento che è la vita…e a volte costa sangue vivere, vivere per come credi sia bene il tuo vivere.

Come si fa a non essere grati all’universo per queste piccole grandi cose che ti offre? Mi chiedo come si faccia. Forse sono io che mi ‚Äúaccontento‚Äù, forse sono io che non m’interesso più di tanto alla rincorsa verso l’avere ad ogni costo…eppure c’è stato un tempo…il tempo della corsa…ed ero sempre scontenta…sempre mi mancava qualcosa. Eppure c’è sempre stato il cielo. C’è sempre stato il mare. C’è sempre stato il vento. C’è sempre stata la neve. C’è sempre stato un nonno pronto a donarti il suo sorriso: magari anche senza denti, ma ti ha sorriso…e in quell’istante ti ha donato il tuo momento felice. Anche questa è vita, anche questo è amore…

Quant’è Bella la Chat

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Che faccio oggi dopo aver fatto pulizie, letto mezza pagina di un libro che mi appassiona, oggi non è giornata adatta, bevuto il caffè, guardato la posta, visitato la pagina fb, salutato i miei vicini di casa incontrati in bottega? Ho una giornata così: di quelle di non troppa voglia di far del bene, come si sul dire. Vabbè, vado un po’ in chat: una o due volte l’anno provo ad entrare in chat a rendermi conto se qualcosa cambia nell’evoluzione dell’uomo in questo contesto… e poi qualche volta ci trovo qualcuno che mi racconta anche quella bella storiella.¬†Entro. Miriadi tra cavalieri erranti, voglia di te, uomini cortesi, gladiatori, femmene serie, radicchi di prato, verba volant, donna chic choc, fatebenefratelli e compagnie varie come nick…non so la fantasia della gente dove s’attacchi a ricercare tutti questi sostantivi, nomi, chiamiamoli come vogliamo. Personalmente non riesco a trovarmi un nick che non sia il mio nome: ci ho provato qualche volta a cambiar nome nell’iscrivermi a qualche forum o aprirmi un blog, ma già nel primo post ho spiattellato nome e compagnia bella…boh! Un attimo dopo si aprono le finestrelle di messaggi privati. I soliti convenevoli: come ti chiami, quanti anni hai, da dove dgt…io che sono una rintronata la prima volta ho dovuto chiedere spiegazioni su ‘sto dgt: che vorrà mai dire? Eh già! si abbrevia digiti: linguaggio moderno…tipo c6, che mi pareva una qualche “sigletta” tipo G8, tipo vitamina k 12…per quello che ne so tutto può essere. Torniamo a noi. Cominci a chattare con una delle finestrelle e immancabilmente arriva il: – Ma messenger ce l’hai? “Si che ce l’ho” rispondo la mia prima entrata in chat. La solita finestra mi dice: – Perchè è più comodo parlare noi due da soli. E io con la mania del magari mi racconta qualcosa di interessante così ci faccio un racconto do l’ok all’omino del messenger che faccia passare quel contatto, che poi scopro di un giovane dell’età di mia figlia maggiore, con cui ci scriviamo, parliamo, del più e del meno. E poi la webcam: – ma sai mi sento più sicuro, così so con chi parlo. Ok con la cam. Dopo un po’ di sedute di msn, mi adeguo alle abbreviazioni webbistiche, in una bella mattina di sole, ¬†questo ragazzo mi racconta un po’ di episodi della sua vita, poi mi chiede scusa chè va un attimo di la’ e mi ricompare nudo…Gli chiedo: – Cosa ti succede? Hai bisogno di fare l’esibizionista? Nessuna ha mai resistito a me – mi risponde cominciando a trastullare le sue mani ¬†sulle parti intime. A questo punto chiudo il messenger e cancello il contatto.¬†Devo dire che questa cosa mi ha fatto sorridere parecchio, mi da da pensare la solitudine e a cosa possa portare, il ricercare rapporti umani fuori dalla realtà fino al punto che per una masturbazione ci si riduca all’elemosina nel web, senza nessun¬†ritegno…tanto non mi conoscono!¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬† Sempre le finestrelle della chat ti chiedono di vederti, consumare un rapporto sessuale, e via: così, come fosse scambiamoci un saluto, senza un sorriso, senza un perchè: zac e tac! E uomini e donne, senza alcuna distinzione.¬†¬†Ma è mai possibile che siamo ridotti a questo, nella nostra insoddisfazione quotidiana? E quello che sembra un buon contatto, nel senso¬†la persona¬†che sembra un po’ più illuminata, la cui lampadina probabilmente è momentaneamente svitata, te lo chiede, magari dopo un discorso che ti coinvolge, dopo un discorso sui suoi sogni che non ha coraggio di realizzare. Il fatto è che dico sempre prima che se si tratta di sesso e compagnia non ci sto, vengo in chat per distrarmi magari durante una giornata uggiosa, stanca di questo o quel lavoro che sto in quel momento svolgendo o con la voglia di cercare qualcosa di nuovo e leggero in questo senso o per passare, appunto, dieci minuti…¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬† Abbiamo appurato che l’essere umano cerca essere umano, abbiamo appurato che¬†la soddisfazione sessuale¬†appartiene alla fascia dei bisogni primari, ma non vorrei toccasse a me ridurmi in questi stati. Ma chi sono io per giudicare? Nessuno, non giudico: solo constato. Nulla di più, nulla di meno. Alla fine appartengono a chi le consuma le azioni. E noi…parliamo del più e del meno: così…semplicemente.

Amo la vita

Amo la mia solitudine
quel minuscolo centimetro
che mi ritaglio nel tempo
come amo il frastuono dei simili miei
quel fantastico mondo
che da sempre mi circonda
amo gl’immensi spazi
come gli angusti boschi
in cui procedo a stento
nella mia vita vera
quella del mio cuore
lasciate sia io a scegliere
lasciate che il cuore parli
e parli forte urli infine
perché di vita si tratta
di questo ruscello che nasce filo d’acqua
e poi diventa mare
 
03/03/07 h. 08,53

La foto è scattata tra i murales¬†di Cibiana di Cadore

Doriana Puglisi

 

 

Fiera dell’Italia, Nostra Bella Italia

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Sento parlare di Facebook, apro una pagina. Qui cominciano ad arrivare inviti d’amicizia, si dice così, inviti e inviti, e ne mando anch’io. Vengo contattata dalla gente più svariata, persone che non vedevo e sentivo da anni ricomparsi per merito di questa incredibile cosa, attraverso questa scatola che è il computer.
Non ho religione, non ho politica, non ho tv, non ho giornali, la mia informazione è attraverso la radio, non ascolto tanto nemmeno quella, stanca di tutte le stupidaggini sentite, del dio soldo sovrano di tutti e tutto, abbandono i mezzi d’informazione schifata da questa marea di giornalismo di basso bordo, che mi propina e cerca d’inculcarmi la sua senza mai ascoltare la mia, se non per darmi addosso se vado contro la sua corrente. Non che la mia attività nei confronti dei giornali fosse assidua, attiva, ma ogni tanto mandavo qualche lettera che veniva regolarmente cestinata, a parte qualche eccezione da parte di qualche quotidiano locale, e a cui non ho mai ricevuto risposta.
Nella pagina di facebook ricomincia, in qualche modo, l’informazione e qui mi piace, ricevo varie cose e leggo ciò che voglio, ricominciando, con l’occasione a rileggere qualche stralcio di giornale.
Un bel giorno, non tanto tempo fa invero, mi chiede l’amicizia una omonima, di nome, con la quale ho scambiato qualche battuta, non chiedetemi in che occasione chè non lo ricordo…ed eccomi qua!
Amo l’Italia, l’ho molto girata, l’ho molto vissuta, ho scoperto degli angolini che mi hanno illuminato lo spazio di quel momento e il ricordo che ne ho di loro resta limpido, impresso nella mia mente come acqua di ruscello che scorre nel suo alveo, fresca.
Nella vita ho fatto un grande salto di quasi 1500 km, dal sud dell’Italia al nord, dalla Sicilia al Veneto, mi sono resa conto che tutto il mondo, questo piccolo universo, è paese e non, come mi raccontavano da piccola, che al nord ci fosse chissà che cuccagna, ecco, forse il lavoro in altri tempi, ma ora non più, i tempi son cambiati e noi con essi, da una parte all’altra di questa nostra Italia che, nel frattempo, è diventata multicolore, che è diventata laica, che è diventata così com’è.
Vivo bene in Italia, ne sono fiera di questa mia bella nazione. Un paesaggio stupendo, vario, da sogno a volte e da catastrofe altre: il pino, la foresta di larici, la città d’arte, la centrale termoelettrica, nitidi saldi silenzi, il posto di lavoro, la cattedrale, la macchina, la tazzina di caffè, gli spaghetti…tutto mi parla di casa, di questa casa ch’è la mia Italia.
Gente che vive con mille euro al mese, tristezze acchiappate al volo che con 400 deve farci tutto, bellezza del suono d’organo che si spande per aria passando davanti alla chiesa: c’è tutto, c’è un po’ di tutto.
Eppure non la lascerei questa bella Italia, per nessun oro al mondo. Qui posso dire tutto ciò che mi pare, una volta che decido di tirar giù il mio bavaglio, che io sia ascoltata o no è un altro paio di maniche. Qui posso sperare che i miei figli vadano dappertutto, una volta che non ho più paura che li violentino per strada o li uccidano. Qui posso agire come più mi piace una volta che ho imparato cos’è il rispetto. Qui posso votare se lo voglio, salvo avere la certezza che non saprei a chi dare il mio voto. Qui le gobbe sono ancora importanti. E qui c’è anche che la gatta della vicina ha avuto i gattini e non li ha abbandonati: la mia vicina è piuttosto una sedentaria, non frequenta le autostrade, soprattutto di notte. E il pane non mi manca. E per strada vedo gente di tutte le razze: ognuno la sua storia trattata come un libro, ognuno col suo libro trattato come la propria storia. Ascolto tutti quelli che hanno qualcosa da dirmi, sono in tanti, hanno un messaggio a portata di mano, alcuni te lo porgono e altri te lo impongono. Qui c’è amore, dove c’è.
Eppure io la amo la mia bella Italia, con i suoi 400 euro al mese, con tutte le sue paranoie. La amo e ve lo dico.
Amo le sue ginestre, le sue Dolomiti, le catacombe di S. Cecilia, Assisi, Monterosso, Stromboli, Milano, no Milano no, Il Maschio Angioino, Tindari, la mimosa, Sibari, Sulmona…amo quasi tutto dell’Italia. Qui siamo tutti fratelli se non ci azzuffiamo come nelle osterie per cercare il metodo migliore perchè un bambino nasca: chi se ne importa se madre e figlio ne pagheranno le conseguenze! Qui non c’importa della facciata: cosa vuoi che sia se chi ci rappresenta fa gesti inconsulti dietro ai presidenti delle altrui nazioni! Qui l’organizzazione nella scuola è uno spasso, va tutto bene, tutto perfetto: la parola precariato è solo parola priva di significato, un giochino da ragazzi, un divertimento da seguire, come andare al cinema, i miei figli godono del privilegio di ottimi educatori, quando ci e lo sono! Qui assistiamo ai vari balletti di potere come se fossero solo uno. Il potere non ha colore…tutto uguale: grigio. Ma il grigio non vorrei offendere: in fondo si abbina con tutto.

Doriana Puglisi

p.s. nella foto Fabrizio Pra Mio precario della scuola da 26 anni