Clochard

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la foto è scattata tra i murales di Cibiana di Cadore

Una volta c’era una strada lunga lunga che collegava due grandi città. E questa strada aveva visto passare sopra di lei tanta di quella gente che si riempirebbe un continente, anche di più, a volerla contare tutta. E camion, e macchine. Aveva visto anche un barbone, un vagabondo felice, un raccontastorie che girava il mondo cantando le sue filastrocche…
A Milano ci son stata una volta e quella volta lo conobbi: era un indiano, avrà avuto un quarantacinque anni circa. Era lì con la sua fisarmonica, circondato da persone che lo stavano a sentire, affascinate, affascinata lo ero anch’io…tanto che superai il cerchio di gente e mi sedetti accanto a lui, che neppure si mosse, non accennò neppure una virgola, ma con gli occhi fece si, siedi pure.
Raccontava le sue storie semplicemente, ma con un fare che ci prendeva tutti nel profondo, che ci faceva sollevare dal suolo, che c’induceva al sogno, inframezzando i suoi discorsi col suono della fisarmonica, un suono affascinante come la sua voce, due sussurri che si espandevano nell’aria circostante. Due sussurri che però riuscivamo a sentire tutti, nonostante il numero non certo esiguo di gente, nonostante fossimo in una piazza in questa grande città. So che lo ascoltavo rapita, so che a un certo punto sentii che lui parlava solo perché io lo ascoltassi…e lo ascoltai nel profondo dell’anima, i suoi discorsi toccarono il mio essere, le emozioni si susseguivano come se lui stesse dipingendo i suoi astrattismi su quella che m’appariva come tela che faceva da sfondo tutt’intorno. E parlava dei fiori, parlava delle montagne, parlava delle verdi pianure, dei fiumi, degli alberi, parlava delle creature alate, parlava delle barche, dei porti, delle sommità dei palazzi, della musica, parlava di tutto come in una poesia. Incantati stavamo a guardarlo, a sentire quei suoni che mi facevano rabbrividire, non solo a me ne son sicura, eravamo tutti a bocca aperta: letteralmente pendevamo dalle sue labbra.
E poi finì di parlare, di suonare, la folla si diradò e restammo noi due che continuando a parlare, lo sentivo simile a me, finalmente potevo liberamente discorrere come in una poesia…mi toccai persino…era tutto vero, me ne rendevo conto. Mi raccontò della sua India, della sua famiglia, di sua moglie scrittrice, le sue speranze. Gli raccontai della mia famiglia, i miei sogni. Ci raccontammo delle emozioni che ci avevano preso in quel pomeriggio. Mi disse che era felice di fare questa vita di raccontastorie, che viveva bene e nelle varie città si fermava a pensione da famiglie che sapeva avrebbero potuto dargli ospitalità, era ben vestito e curato, ispirava candore, ispirava letizia. Era il primo viandante che vedevo felice, il primo che mi spingeva a parlargli di me senza neppure conoscerlo. La sua fisarmonica era di fine fattura, aveva un intarsio particolare sulla cassa armonica.
Ricordo che mi disse che la sua presenza lì era un’eccezione quel giorno, che di solito stava su una lunga strada dove passano tutti, una strada che collegava due grandi città. Non gli chiesi nemmeno quali: due grandi città e basta.
Quanta bella gente s’incontra nella vita! Forse se ne incontrerebbe ancora di più se ci prendessimo il tempo, a volte solo la briga, di guardarci attorno, di voler vedere i nostri simili. So che quella sera mi accompagnò al treno e nel darmi la mano sentii che tremava. Non gli chiesi nemmeno il suo nome, né lui chiese il mio.
A questo pensavo ascoltando la radio che riportava la notizia che in grandi città italiane i ‚Äúclochard‚Äù , bisognosi, sono aumentati vertiginosamente e son composti anche da persone che dormono in macchina, o roulotte: pensionati, operai e impiegati separati che passano il mensile di mantenimento alla famiglia, che non hanno i soldi per pagarsi un affitto, che mangiano nelle mense dei poveri gestite da opere caritatevoli, che si lavano in bagni pubblici.

Una farfalla…cos’è una farfalla? Niente in tutto sembrerebbe, pesa meno di un grammo…è un’anima, densa di significati remoti, di significati visivi, simbolo di libertà…anche se vive un giorno…anche se prima era un verme. Quanto ti amo mia farfalla, fa’ che il mio volo sia sempre leggiadro come il tuo!

Doriana Puglisi

4 Risposte a “Clochard”

  1. Amica cara, la chiesa da due millenni si serve di questa folla di anime bisognose,in aumento come registri alla fine, per portare la buona novella che non arriva mai, se non calata dal Regno dello stato del Vaticano, che le sue casse le tiene ben chiuse ai pi√π, con le sue opere di religione. Parlo qu√¨ di fattarelli itagliani, al punto pensa…che Bagnasco afferma dal Microfono Cei: non √® pi√π tempo di galleggiare. E tu che speri sempre di volare come una farfalla…Vola Doriana, eccome vola ci√≤ che scrivi, arriva la tua proposivit√† sincera, proprio perch√® vivi e partecipi e ti fermi…con i vivi.

  2. Sai Do? Questa processione m'√® piaciuta, a parte che a me l'arte sacra piace molto, perch√® quel simbolo nella processione, quell'affare di cui non conosco il nome che tiene in mano l'uomo vestito di bianco, gli nasconde il volto…tutto un dire secondo me…in mome di…mi posso permettere di…ma la mia faccia la nascondo. Alemeno io l'ho visto cos√¨, ma se poi ha un altro significato non importa: il dipinto continua a piacermi lo stesso.

    Grazie, continuer√≤ sempre a fermarmi viva tra i vivi, fino a quando potr√≤, fino a che ci riuscir√≤. E dopo, sar√† quel che sar√†…per adesso non ci penso.

    Ciao, grazie:)

    (altra) Do

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