Prendere la mafia per i maroni, non basta

antonio_iovineOggi sono in vena di congetture e perciò, a leggere la notizia dell’arresto di Antonio Iovine, boss della Camorra latitante da oltre 14 anni, mi viene da pensare che il capo-clan, per sfuggire alla cattura, si fosse rifugiato in un qualche cilindro magico, di quelli dai quali anche i prestigiatori alle prime armi tirano fuori fazzoletti e colombe. Sembra che Iovine possa rappresentare la colomba del cilindro di Maroni, ovviamente nel senso di simbolo della pace concessa a Saviano, dopo le polemiche scaturite dal monologo dell’ultima puntata di “Vieni via con me” dello scorso 15 novembre. E invece no, il boss latitante non era nascosto in un cilidro magico, ma in un normalissimo appartamento a Casal di Principe. Quando si dice che le i nascondigli migliori sono quelli più banali. Come il portafogli che cerchi in tutta casa senza trovarlo e poi ti accorgi di averlo in tasca.

Certo che i miei sono solo insani pensieri, viziati dal ricordo, ad esempio, di Gaspare Spatuzza, boss affiliato al clan dei fratelli Graviano, che accusò Berlusconi di aver messo il Paese nelle mani della mafia. Era il 4 dicembre 2009 ed il giorno dopo i titoli dei giornali erano concentrati sull’arresto dei boss Nicchi e Fidanzati.
Certamente sarà stata una coincidenza. Che grosso modo si è ripetuta qualche mese dopo, quando ci fu, a metà luglio 2010, la famosa maxi retata contro la ‘ndrangheta, preceduta, di pochi giorni, dalla notizia della condanna per mafia di Dell’Utri, co-fondatore di Forza Italia insieme a Sivlio Berlusconi.

Quello che è certo, invece, all’opposto delle mio spicciolo immaginario dietrologico, è un uso propagandistico di questi successi. Non c’è bisogno di riportare citazioni di membri del governo attuale, da Berlusconi a Maroni, per ricordare il solito panegirico dell’esecutivo in materia di lotta alla criminalità organizzata, troppo spesso dimenticando il lavoro, quello sì encomiabile, della magistratura e delle forze dell’ordine nel combattere le mafie.
Ma anche in questo caso, è difficile non notare come gli arresti, seppure eccellenti, si riferiscano all’ala militare delle organizzazioni mafiose. E’ ovvio che le mafie non si combattono solo su quel fronte, essendo quello mafioso un sistema di potere che si regge, come afferma il procuratore generale Roberto Scarpinato nel libro-intervista Il ritorno del Principe, su un codice culturale della corruzione. Insomma, non basta fare i duri e prendere, come si dice, il toro (la mafia in questo caso) per le palle (o per i maroni che dir si voglia).
Si capisce, quindi, come quegli arresti, seppure duri colpi all’organizzazione militare delle mafie, non bastano a sconfiggerle. E’ come catturare una lucertola dalla coda: si stacca e dopo un po’ ricresce, ma intanto il rettile scappa via e continua la sua corsa. Anche per questo non ho mai capito l’apprezzamento spropositato di Saviano nei confronti di Maroni, quando di lui disse che ¬´sul fronte antimafia è uno dei migliori ministri dell‚ÄôInterno di sempre¬ª.

Sono convinto che Guy Debord, se fosse ancora in vita e avesse avuto la possibilità di giudicare più ampiamente le attività del governo, avrebbe confermato la sua tesi, riportata nei “Commentari alla società dello spettacolo”, secondo la quale ¬´ci si sbaglia ogni volta che si vuole spiegare qualcosa opponendo la mafia allo Stato: essi non sono mai in rivalitପ.
In questo senso, che lo scudo fiscale abbia dato una bella mano alla protezione dei capitali mafiosi è ormai cosa detta da più parti. Così come è evidente che i tagli ai fondi da destinare alle forze dell’ordine vadano in senso opposto alla lotta alla criminalità organizzata. E non si può considerare un’azione di lotta dura alle mafie, la norma approvata in Parlamento con la quale si prevede che “i beni [‚Ķ] di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse ivi contemplate entro i termini previsti dall‚Äôarticolo 2-decies [180 giorni dalla confisca definitiva, ndr], sono destinati alla vendita”. Non è difficile immaginare che fine faranno i beni non destinati al pubblico interesse e perciò venduti all’asta (quando la norma fu approvata, quasi un anno fa, si parlava di ben 3500 beni all’asta!).

Ora, giorni di crisi profonda sono annunciati per il governo e c’è già chi ride amaro sulla necessità dell’esecutivo di arrestare Matteo Messina Denaro, nelle prossime settimane. Ne saremmo ovviamente tutti molto contenti, mantenendo però la speranza che a sempre meno persone la vista sarà offuscata dal fumo della propaganda politica.

[fonte: postillanea.blogspot.com]

Le savianate e la ‘ndrangheta.

audience

Scrivo questo articolo mentre apprendo che in Calabria, a Palmi un povero operaio è stato ucciso per errore, in agguato mafioso. L’obiettivo era un avvocato .
La vittima, operaio incensurato e nessun contatto con ambienti malavitosi, originaria di San Martino di Taurianova, nella Piana di Gioia Tauro, era residente a Isolabona, in provincia di Imperia.
Invece Nizzari, operato d’urgenza all’ospedale di Gioia Tauro subito dopo l’agguato, è un avvocato penalista del foro di Palmi molto conosciuto in città anche per essere il coordinatore del circolo cittadino della lista Scopelliti.
Da quello che emerge dai primi riscontri della magistratura Calabrese il vero obiettivo era proprio l’avvocato.
Quindi la ‘ndrangheta ha sbagliato mira?

Veniamo ora al dunque della mia riflessione.
Una cosa è certa.
Parlare di ‘ndrangheta, che fino a poco tempo addietro era per la legislazione esistente in tema di contrasto alle mafie inesistente, oggi giorno procura audience, interesse, curiosità.
Nelle librerie ad esempio non ho mai visto tanti libri sul fenomeno ‘ndrangheta come quelli che si possono trovare oggi giorno.
Per non parlare dei media.
Ad esempio la puntata di ieri ha registrato picchi superiori a 10.400.000 spettatori (10.430.000 alle 21.46) e al 40 per cento di share (40,61 per cento alle 23.27). I contatti sono stati circa 20 milioni (19.983.000), con una permanenza record del 45,20 per cento.

Cifre se confermate enormi per il popolo televisivo.

Certamente emerge grande curiosità su tale fenomeno.
Beh inviterei tutti, ma proprio tutti quelli che vogliono capire cosa è la ‘ndrangheta a contattare uno dei tantissimi giornalisti minacciati quotidianamente in Calabria dalle ‘ndrine.
A parlare per esempio con Pino Masciari o Ruello testimoni di giustizia che aspettano l’esecuzione della loro sentenza a morte già scritta dalla ‘ndrangheta.
Ma inviterei tutti a vivere per qualche tempo in Calabria, per capire cosa è la ‘ndrangheta.
Radicata a livello sociale, culturale da oltre 150 anni in quella che potrebbe essere per le potenzialità che la connotano la Lombardia del Sud Italia.

Quindi, Saviano, ora si occupa da tuttologo anche di ‘ndrangheta.
Saviano, che andando oltre Gomorra ove era la Camorra la mafia più potente del mondo, ora, per ragioni tutte da comprendere sostiene che è la ‘ndrangheta la più potente organizzazione mafiosa mondiale o quasi. Cosa in verità sostenuta da circa dieci anni da vari magistrati, ma ciò poco importa nella classifica tutta italiana delle mafie che determinano la loro grandezza e potere sull’ignoranza e sulla disperazione delle persone.

No no attenzione, dico che si deve parlare di ‘ndrangheta, si deve far conoscere tale fenomeno.
Ma non venite a dirmi che le cose ascoltate in quella trasmissione sono sconvolgenti perchè non ha detto nulla di più e nulla di meno di quello che da anni emerge in tutte le inchieste condotte dai magistrati sulla ‘ndrangheta, e non solo.

A parte la questione politica che è scaturita in merito alla vicenda del presunto rapporto tra la ‘ndrangheta e la Lega nord, tutta raccontanta nelle 3000 pagine dell‚Äôinchiesta Crimine ove emergono i rapporti diretti che il consigliere regionale leghista da sempre, ebbe con l‚Äôavvocato Pino Neri, massone dichiarato e soprattutto boss di primissimo piano finito in carcere. Nella primavera del 2009 i due sono stati filmati dai carabinieri mentre si incontravano per discutere dello scambio di voti da effettuare spostandoli su un candidato gradito alle cosche,ed alle parole di Maroni che dichiara che “mi ha definito uno tra i migliori ministri nella lotta alla mafia e ora vorrei che ripetesse le accuse di ieri guardandomi negli occhi: è facile lanciare il sasso senza il contraddittorio”
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/16/news/maroni_saviano-9164864/?ref=HREA-1

beh per questioni di audience e popolarità la porta dell’opportunismo è sempre dietro l’angolo;
il Saviano, ha anche detto praticamente che Platì come Casal di Principe e Corleone sono luoghi pieni di bunker dove si nascondono uomini che vivono in condizioni terribili ma dai quali esercitano il loro potere che arriva fino a Milano. ¬´In quei bunker si decide il destino di questa parte d’Italia ‚Äì dice Saviano – nella Lombardia, regione capitale degli investimenti criminali. Altro che terroni¬ª.

Beh forse Saviano è rimasto indietro con qualche pagina d’inchiesta o non è molto aggiornato su tale punto.
Il bunker inteso da Saviano, almeno per come è passato all’immagine collettiva sembrerebbe un qualcosa di invivibile, di orribile,tremendo, un luogo sotterraneo degradante ecc.
Ma in verità…i boss della ‘ndrangheta oggi giorno proprio per manifestare il loro potere si nascondono dentro ville svolgendo vita tutt’altro che in condizione terribile….
Ad esempio la polizia ha fatto irruzione in una VILLA in località Perretti di Reggio Calabria dove Giovanni Tegano, boss della ‘ndrangheta, è stato sorpreso mentre era in compagnia di altre persone ; ma c’è anche una villa ispirata a quella del film ‘Scarface’ (interpretato da Al Pacino) tra gli immobili sequestrati dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria alla cosca Alvaro di Sinopoli….destinata all’uso del boss e suoi diretti parenti affiliati; Ma anche Salvatore Torcasio, presunto boss della ‚Äòndrangheta di Lametia Terme aveva una villa dal valore di 850 mila euro; oppure l‚Äôarresto di Antonino Gallico, quarantaduenne originario della Calabria, esponente di spicco dell‚Äôomonima famiglia alleata con quelle dei Morgante-Sgrò-Sciglitano, che da anni portano avanti una guerra di mafia con gli esponenti di altre due famiglie calabresi, quelle dei Bruzzise-Parrello. La Polizia di Latina lo ha scovato all‚Äôinterno di una VILLA lungo il litorale di San Felice Circeo.

Ciò evidenzia il reale status di avanzamento di tale organizzazione, il fatto che non hanno necessità di nascondersi sottoterra, il fatto che sono protetti dalla cultura dell’omertà, dal non vedo, non sento , non parlo.
Ad esempio quante denunce contro il racket sono state fatte in Calabria? Quante?
Quanti collaboratori di giustizia, veri , ci sono?

Ripeto, si è fatto bene in quella trasmissione a parlare di ‘ndrangheta, ma lo si è fatto in modo incredibilmente superficiale,facendo cenno a questioni conosciute da decenni, a questioni emerse in pagine e pagine d’inchiesta giudiziaria, e senza sfiorare minimamente il che cosa è veramente la ‘ndrangheta in Calabria ed oltre i confini del sud Italia. Che cosa è la ‘ndrangheta a livello umano e sociale, a livello di cultura e radicamento nel e sul territorio.
Peccato perchè si è sprecata una grande occasione che poteva essere utile per la comprensione della ‘ndrangheta.
Ma probabilmente ciò non poteva essere detto, perchè oltre riportare quanto letto in atti giudiziari forse non si conosce altro della ‘ndrangheta.
Peccato perchè visto che si voleva spiegare tale fenomeno alla società Italiana tramite un canale Rai, si è preferito spettacolarizzare tale realtà sistemica.
Ma d’altronde chi non conosce la Calabria, chi non conosce la consistenza della ‘ndrangheta credo farebbe cosa giusta a non spiegare la ‘ndrangheta a chi vuole capire, conoscere, apprendere, ma a limitarsi con umiltà, cosa mai vista da Saviano nella serata di ieri, e con rispetto di chi oggi giorno per scrivere quelle cose da lui raccontate,e ripeto raccontate, è sotto scorta, rischia veramente la vita , semplicemente a manifestare una propria opinione.
Perchè alla fine si rischia solo di mediatizzare e strumentalizzare per altri fini, quel fenomeno sociale, culturale, che devasta la Calabria ed è infiltrato da decenni in varie regioni Italiane, in Germania, in Colombia ed in tutti quei paesi ove può trarre profitto.
Ed attenzione la mediatizzazione di tali fenomeni umani e reali e storici,può avere effetto boomerang nel contrasto concreto ed effettivo alla mafia in genere.

Domanda: a quando il primo film sulla ‘ndrangheta?

Vibo-Reggio solo andata

bocca verità

In questa breve permanenza in Calabria mi ero proposto come obiettivo umano e sociale di verificare alcune dinamiche territoriali, ed in particolar modo se il vento di cambiamento tanto annunciato sui giornali e media era veramente in corso in questa terra, che è la mia terra di nascita.
Dovevo avere un contributo a dir poco qualificato di chi combatte la ‘ndrangheta in prima linea, ma per ragioni di sicurezza, per il vento umido afoso e mafioso che soffia ultimamente in questa regione tale contributo verrà meno.
Comprendo le ragioni, comprendo la motivazione ed a tale persona, di cui non farò il nome, va tutta la mia piena solidarietà.

Vivere a perenne contatto con la scorta, annullare la propria vita privata e sociale per cercare di debellare il canco ‘ndrangheta è dura cosa da tollerare e sopportare.
Decido di recarmi in Reggio Calabria passando per Rosarno.
Il sole ha regalato da poche ore il suo calore alla nostra umana coscienza.

Entro in quella che sarà una vera odissea stradale la Salerno Reggio Calabria.
Vibo Valentia è distante da Reggio solo 100 km.

Tra deviazioni, rallentamenti e cantieri perenni, la media di velocità di percorrenza difficilmente supera i 50 km orari.
Prima di entrare dentro tale labirinto epocale, sulla mia destra sorge la prima pietra di quell’ospedale mai costruito, e sulla sinistra la cattedrale nel deserto, l’ennesima; la tangenziale est di Vibo. Enorme speculazione, devastante distruzione ambientale.
Lentamente, giungo in Rosarno.
Vedo un cartello stradale bucato a colpi di lupara, e subito dopo quello che indicava la stazione dei carabinieri bucato a colpi di pistola.

Sinceramente a ciò difficilmente riesco ad abituarmi.

Come abiturarsi a ciò?

Come?

“Quando s’inizia una simile analisi è come se ci si recasse in un bosco non sapendo se c’imbatteremo in un brigante o in un amico”.

Queste parole di Svevo tratte dalla Coscienza di Zeno ruotano nella mia mente con moto continuo.
Vedi persone ferme sul ciglio della strada a fumare le loro sigarette. Sembra che vigilino su chi entra nel loro territorio.

Già, il loro territorio recintato dal muro dell’omertà.

Tanti immigrati che camminano lungo la statale 18 intorno alla quale sorge Rosarno, ma anche altri centri abitati come Mileto ad esempio.

Motorini condotti da persone senza casco, auto che ti sorpassano con indifferenza.

Sembra di essere in una terra oltre confine ove le regole della c.d. società civile non esistono.

Vedo ancora immigrati seduti sul muretto.

Mi avvicino a loro.

Tutti in massa accorrono verso l’auto che conduco.

Pensano che sia lì per offrir loro lavoro.

Ma li deludo, non sono un mercenario del lavoro.

Gli chiedo se sono disponibili a rispondere a qualche semplice ed immediata domanda, garantendo loro l’anonimato.

” E’ cambiato qualcosa dopo la rivolta?”

Mi risponde uno dei ragazzi…

” Se vieni qui dalle sei di mattina fino alle otto trovi tante persone che cercano lavoro e lo trovano”.

” Non è cambiato nulla quindi?”chiedo ancora…
ed il ragazzo mi risponde… ” tutto come prima mi dicono”
Tutto come prima!
Per avere conferma di ciò girovagando per il paese chiedo la stessa cosa ad altri immigrati.

Spiego loro che non sono lì per dare lavoro ma per avere informazioni.

Anche loro mi dicono tutto come prima.
Che quella rivolta vera o finta che sia , strumentalizzata o meno ; è stata a realmente anomala, irregolare, non conferma alla regola di quel sistema.

In tal gennaio 2010, due giorni dopo gli scontri, il numero dei feriti era di 53 persone, divisi tra: 18 poliziotti, 14 rosarnesi e 21 immigrati, otto dei quali ricoverati in ospedale.
Son convinto che per capire se le cose sono e siano veramente mutate dopo un periodo intenso di mobilitazione mediatica, in quel posto si deve tornare quando le telecamere sono andate via, dopo che il fuoco ha finito di bruciare la rabbia.
A Rosarno è tutto come prima.
Persone in cerca di lavoro, sfruttate dai padroni e non solo, in fila la mattina per essere caricate su camioncini per andare a lavorare.

Merceficazione pura della dignità umana, della persona umana.

” In qualche modo dobbiamo vivere”, mi dice uno dei ragazzi con cui ho avuto modo di parlare.
Ognuno tragga le sue conclusioni.

Spero di esser smentito dai fatti, ma non comprendo il motivo per cui avrebbero dovuto mentirmi.

Due gruppi separati di persone , distante da loro vari km che mi confermano la stessa cosa, lo stesso dato, lo stesso modo di essere reclutate, lo stesso modo di vivere, la stessa realtà sociale in cui sono ingabbiate,imprigionate.

Dopo aver avuto conferma di quello che sospettavo da tempo, ovvero che a Rosarno la rivolta degli immigrati non era una rivolta spontanea, libera, ma condizionata e manovrata per altri scopi, decido di rietrare in quel labirinto autostradale.
Dopo varie deviazioni, gallerie senza illuminazione, strada ad una sola corsia, mi trovo all’improvviso sul ponte Carola dal quale si scorge Scilla e Cariddi.

Ovvero lo stretto di Messina, la Sicilia.

Un paesaggio a dir poco splendido, meraviglioso, suggestivo, reale, semplicemente vero.

Giungo a Reggio Calabria, in modo violento.
L’autostrada termina dentro la città.

Si entra direttamente in città, accolti da una lunga ed infinita fila di case a due piani .

E incredibile veder come vengano progettate le cose dalla mente umana.

Follia pura.

Follia mera.
Reggio Calabria.

Collocata sulla punta dello “Stivale”, alle pendici dell’Aspromonte, al centro del Mediterraneo. Città dalla storia millenaria, divenne alleata di Atena ma Rhegium fu importante alleata e socia navalis di Roma.
Vieni accolto, dopo aver evitato più di una macchina parcheggiata in doppia fila, da quello che è stato definito il lungo mare più bello d’Italia.
In verità è splendido , curato, ordinato.

Infatti, la mia attenzione viene catturata da una statua dedicaca a Ciccio Franco. Si legge : ” Leader di boia chi molla, Senatore della Repubblica, giornalista, sindacalista”.
Un lungo silenzio pervade il mio essere.
Percorro qualche via interna e vengo accolto dalla musica suonata da un signore anziano.

Suona musica calabrese.

Ma viene suonata con malinconia, con tristezza d’animo.

Ecco il duomo di Reggio, ed alle sue spalle sorge la Procura Generale della Repubblica.

Accanto alla Procura si nota la chiesa degli Ottimati, con impianto architettonico bizantino databile al x secolo, ma noti soprattutto l’esercito .
Sì, l’Esercito inviato dal Governo per proteggere il palazzo di giustizia e non solo.

Non hanno armi tra le mani, sono tesi, si pongono in modo che possano essere visti, in modo che possa filtrare il messaggio l’esercitò c’è.

Lo Stato di guerra è vivo e presente.
Strana sensazione.
Provo a chiedere alla gente di Reggio cosa pensano della venuta dell’Esercito.

Non nascondo che è stato difficile strappare qualche dichiarazione.

Provo ad esempio con uno dei tanti edicolanti di corso Garibaldi, sì quel Garibaldi a cui tante vie centrali sono state dedicate in molte città italiane.

¬´Un piede è posto al fin sulle ridenti sponde di Reggio e di novella gloria ornar la fronte gli argonauti invano spesseggian folti incrociatori e invano oste nemica numerosa, il dito di Dio conduce la tirannicida falange e oste e baluardi e troni son rovesciati nella polvee e riede sulle ruine del delitto il santo dell’uom diritto e libertade, e il cielo alla redente umanità sorride.¬ª

Ecco quanto scrisse Garibaldi su Reggio Calabria.

Ma se solo la gente sapesse che la sua opera, impresa, è stata finanziata e come dire coperta, protetta dalla massoneria inglese, non credo che sarebbero contenti di vedere il corso principale delle loro città dedicato al dittatore Garibaldi…

Comunque, ritornando al discorso di prima, provo a “strappare” qualche impressione all’edicolante a cui garantisco l’anonimato.
All’inizio sembra essere disponibile, ma non appena pronuncio la parola che non si deve sentire, ascoltare, ‘ndrangheta, testualmente mi dice: ” non vi so dire, non sono addentrato in queste cose , non mi riguarda”.
Detto in poche ma chiare parole, non vedo, non sento, non parlo.

Ritorno sul lungo mare.

” L’esercito è una brutta immagine per la nostra cittadina, sembra militarizzata, anche se è messo in pochi posti, è un problema”.
Questo è quanto mi rifersice un passante disponibile. a cui domando se il problema principale è l’immagine e non altro.

” Si l’immagine della città è compromessa”.

Certo l’apparire è cosa che deve essere tutelata, ovvio.

” Ci sentiamo più protetti come cittadini”.

Questo è quanto mi riferisce una ragazza seduta su una delle tante pachine di quel particolare lungo mare di Reggio, accanto ad un ragazzo, con cui stavano discutendo di normativa, di leggi.

Il ragazzo mi dice:” Può essere utile l’esercito solo se vengono liberate le forze dell’ordine dalla vigilanza. Quello della presenza dell’esercito è un falso problema.”Però mi dice anche: ” nelle scuole le cose lentamente cambiano, si organizzano corsi, contro questa cosa particolare che c’è qui, si parla di più”.

Gli chiedo si riferisce al crimine, alla ‘ndrangheta?
” Si.”

Quanto è difficile pronunciar tale parola nella terra ove comanda e spadroneggia il crimine.

Una terra dove però esistono realtà che la combattono, dove esistono persone che vogliono altro sistema ponendo a rischio ogni giorno la propria incolumità psicofisica, la propria vita.

Il suono del mare addolcisce quel senso di gusto amaro che ha depredato il mio ottimismo in tale giornata calabrese.
Vedo l’orizzonte definito dalla terra di Sicilia, vedi sulla spiaggia ragazzi che si rincorrono spensierati, vedi persone che scambiano il loro primo bacio e vivono il loro primo e vero amore.

Vedo scorrere la vita quotidiana fatta di emozioni e sentimenti, di passioni ed amori, di dolori e reticenze.

Vibo- Reggio solo andata perchè è lì, a Reggio, che oggi è rimasta la mia mente.
Baronemarco.blogspot

Volando in Calabria

Quella che racconterò brevemente è la mia esperienza, prima in assoluto e forse anche unica, di volo.

Intendo per tale quell’ascesa, salita, slancio, svolazzamento deciso, energico e risoluto vissuto dentro una scatola di lamiera chiamata aereo.
Molte persone avranno provato tale esperienza di vita, altre sono in attesa di sperimentar la detta ebbrezza di finta libertà regalata dal progresso umano.
Il mio scritto si rivolge a tutti quelli che vorranno sperimentar il volo tra le alture del cielo ed a tutte quelle persone che hanno impresso tale straordinario elemento di vita ma che non hanno mai scritto o meditato su ciò.

Si attende nell’aeroporto, dopo aver spogliato il proprio corpo di tutte quelle cose materiali che non permettavano il superamento della linea di confine.

Mi viene in mente uno scritto di Seneca tratto dalle Epistulae Morales “Ti prego Lucillo mio carissimo, fà’ la sola ed unica cosa che può renderti felice: calpesta e distruggi questi beni che splendono solo esteriormente, che non dipendono da te ma ti sono dati da altri, dalla sorte; aspira al bene vero e godi solo di te!.

Ecco la lunga attesa.
Avanti e dietro aspettando quell’uccello meccanico che ti condurrà via in alto, li ove il cielo è sempre più blu.

Rombo di motori.

Il mondo piccolo piccolo scorge da quella finestra minuta e trasparente che si pone al tuo fianco.
Gira il mondo, gira la testa, ma nessuno resta per terra.
Stai volando.
Stai volando.
Intanto ecco il mimo di bordo che spiega come utilizzare in caso di inconvenienti gli strumenti salva vita…
Teatro di vita reale.
Ogni dieci minuti senti dire: menù colazione a poco prezzo.
Dopo altri dieci minuti si avvicina l’ora dell’aperitivo.
Menù aperitivo a poco prezzo.

Ma si può anche giocare alla lotteria, si possono comprare profumi, bambole, orologi, senza pagar l’iva a prezzi super scontati.

Sembra di essere nel paese delle meraviglie consumistiche.

Sudo.

Sono teso.

Decido di comprare le sigarette senza fumo.
Fumo non fumando.
Altro che follia immaginaria, è tutto vero, è tutto reale.
Nuvole, quante nuvole.
Filamenti di nuvole stratificate.
Il cielo lavora con lentezza.
Nell’essenza di tal lentezza, ora le nuvole hanno disteso il corpus nell’infinità incompresa di quell’orizzonte che si cerca di catturare.
Ma come si può catturare ciò che non si vede?
Ancora nuvole che ora divengono zucchero filato.
Penso che verrebbe la voglia di scender da quell’aereo per un solo attimo e sfiorare con le proprie dita quel meraviglioso splendido regalo offerto a tutti noi da madre natura.
Le nuvole.
Con impeto dolce, vieni rapito dalla profondità del mare.
Mare che si congiunge nel cielo.
Cielo smarrito nel perdutamente baciare il mare nostrum.
Le onde del dio Nettuno che mutano in nuvole assorte in un non definito movimento catartico.

La Calabria è lì

Sembra di vivere l’intensità dell’emozione con cui Venere andava alla ricerca di Psiche.
” Uno stormo di passeri e di altri uccelli canterini faceva mille giri volteggiando attorno al carro e seguendolo da vicino con allegri cinguettiii per festeggiare l’avvento della dea .Ed ecco che le nubi si ritirano, il cielo si apre davanti alla sua figlia e la dea viene accolta gioiosamente nelle più alte regioni dell’atmosfera…”( Tratto da Apuleio la favola di Amore e Psiche).
Ed è proprio quello che è accaduto in quell’ immortale frangente di tempo.
Ecco la dea Calabria.
Quanto sei bella Calabria.Neanche il tempo di comprendere che ti trovi in terra di Calabria, ed ecco che vieni accolto da quella che un tempo era Hipponion, Vibona, attuale Vibo Valentia.
Vento caldo, vento del sud, vento di mare scivola via per la tua pelle.
Aria di mafia devasta lo splendore di tale madre terra.
Un cartello collocato dal Comune dice ” vietato abbandonare rifiuti”.
Sotto quel cartello vengono abbandonati, come sfida alle regole dello Stato, lavatrici, bidoni di ferro, nefandezze umane.
Senti dire in dialetto calabrese dall’operatore ecologico ” dove li metto questi? Il mio dovere è pulire il centro, non qui”.
Già il senso del dovere.
Quanto eri bella Calabria.
Ma esistono uomini di Stato, sì, quello vero, quello non colluso con il crimine, uomini e donne, liberi pensatori, giovani menti che giorno dopo giorno vivono e respirano questa torrida aria.

Quanto diverrai bella Calabria.
Un tremendo colpo al cuore colpisce quel palpito di vita che pulsa nelle mie vene, nel mio sangue di uomo del sud.
Ma emerge anche la voce della speranza, la speranza non utopica, ma viva, vera e concreta di debellare il cancro maledetto della ‘ndrangheta.

La lotta alla ‘ndrangheta e le divisioni nella magistratura.

Nel mese di settembre 2010 si è svolta l’audizione sia del Procuratore Distrettuale Antimafia di Catanzaro dott. Lombardo, che del Procuratore Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria dott. Pignatone.
L’attenzione dei media è stata catturata in via prevalente dalla nuova strutturazione della ‘ndrangheta, dal nuovo assetto unitario definito provincia o crimine.

Ma leggendo il resoconto stenografico n° 51 e 52 emergono delle questioni a dir poco sconvolgenti, a cui i media hanno dato poco risalto.

In primo luogo occorre ricordare che nel corso delle precedenti legislature sono state istituite, per legge, otto Commissioni parlamentari antimafia.

La Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia fu istituita per la prima volta dalla legge 20 dicembre 1962, n. 1720, nel corso della III legislatura, con Presidente l’onorevole Paolo ROSSI.

La Commissione attuale, è stata istituita con la legge 4 agosto 2008, n. 132; composta da venticinque senatori e venticinque deputati. Il Presidente è PISANU Beppe, PdL, i vicepresidenti sono DE SENA Luigi, PD, Senatore; GRANATA Benedetto Fabio, FLI, Deputato, i segretari VALLARDI Gianpaolo, LNP, Senatore GENOVESE Francantonio, PD, Deputato.
Dal 29 aprile 2008 ad oggi vi sono state 54 sedute con 52 rapporti stenografici , l’approvazione di un solo documento quale la “Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, in materia di formazione delle liste dei candidati per le elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali “.

Tale Commissione quindi è a dir poco politicizzata, salvo la presenza di qualche illustro uomo di Stato, e viene a conoscenza di eventi ed elementi che a parer mio dovrebbero essere secretati non solo all’opinione pubblica ma anche alla stessa Commissione, proprio per l’elevato contenuto di politicizzazione che la caratterizza; ciò perchè si rischia seriamente di compromettere il buon esito delle indagini e non solo.

Detto ciò veniamo al contenuto delle citate audizioni.

La prima audizione che inizia alle 12.45 del 21 settembre 2010, segue il noto evento del 26 agosto 2010, ovvero l’esplosione di una bomba confezionata con tritolo avvenuta all’ingresso del palazzo ove abita il procuratore generale Salvatore Di Landro, il quale ha così collezionato in quella data il terzo attentato.

Il dott. Lombardo evidenzia che in Calabria le minacce ci sono sempre state, ma probabilmente fatte in maniera diversa.

Il procuratore evidenzia in particolar modo la carenza di organico sottolineando che la procura di Catanzaro dispone da anni, di 12 magistrati su 18, cioè sei in meno rispetto all’oragnico previsto, che è in ogni caso insufficiente se si vuole lavorare anche sul settore della Pubblica Amministrazione ad esempio…
Ma sottolinea anche che non è possibile mettere un poliziotto davanti ogni cittadino, e dico io ci mancherebbe altro, rilevando che la militarizzazione che si è realizzata in passato durante l’operazione Riace non ha risolto tutti i problemi.

Altra questione che viene rimarcata è il problema infiltrati o collusi.

Il procuratore sottolinea che , in relazione al fatto di Reggio Calabria ove si è verificata la manomissione dolosa della vettura del dottor Di Landro avvenuta all’interno del palazzo, nel Cedir, vuol dire che lì qualcosa non funziona.
” All’interno vi è un servizio di sorveglianza dei carabinieri notte e giorno. Questo è veramente grave perchè la sicurezza non è evidentemente assicurata e deve anche esserci qualche collusione interna”.

Ma su tale vicenda emergono anche le conflittualità con la Procura di Reggio Calabria.

” La manomissione dell’autovettura risale a giugno ma che il fatto sia doloso è notizia che segue alla perizia e agli accertamenti preliminari svolti dalla Procura di Reggio Calabria e dei quali siamo stati messi a conoscenza verso la metà di agosto, se non sbaglio il giorno 16″.

Sulla stessa vicenda, all’audizione pomeridiana sempre del 21 settembre 2010, il dott. Pignatone, procuratore distrettuale antimafia di Reggio, sottolinea che :” tuttavia una nota ANSA ha riferito ( spero sbagliando) un’affermazione del procuratore di Catanzaro secondo cui egli sarebbe stato informato soltanto ad agosto dell’episodio relativo alla manomissione dei bulloni della macchina del dott. Di Landro. Se il procuratore di Catanzaro ha detto questo, i suoi uffici avranno commesso un errore nel preparargli il materiale, perchè il fascicolo relativo all’incidente occorso alla macchina del dottor Di Landro è stato iscritto dalla procura della Repubblica di RC il 9 giugno scorso ( omissis)”.

Ma non finisce qui la polemica e la divisione tra le due procure…

il dott. Lombardo evidenzia che ” Per quanto riguarda la questione della videosorveglianza e della protezione sotto casa, il procuratore della Repubblica di Catanzaro, è competente solo a svolgere le indagini dopo i fatti, non a prevenirli. La Videosorveglianza, eventualmente, doveva farla il comitato di sicurezza; se non l’ha fatta risponde, secondo me il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria”.

Od ancora, sempre Lombardo afferma che :” La procura della Repubblica però può fare le indagini, il resto dipende da Reggio Calabria, dai rapporti che si creano lì, dai livelli di sicurezza che si riescono a garantire lì, dal livello di aggressione che la procura di RC decide di destinare a tutte quegli apparati. La competenza di Catanzaro non può essere di tipo generale”.

Voglio augurarmi che tali conflittualità anche di competenze siano dovute unicamente alla tensione derivata dall’incremento dell’aggressione posta in essere dalle ‘ndrine negli ultimi tempi.

La ‘ndrangheta come ricordato da Pignatone, vanta un numero di affilitati intorno ai 10.000, ma tale numero è sottostimato. Per esempio a Rosarno, cittadina di 15.000 abitanti vi sono 250 affiliati formali alle cosche locali, con una media di affiliazione di due/tre persone alla settimana.Se a questi si aggiungono parenti,e conoscenti si arriva circa a 2000 affiliati nella sola Rosarno.

Pignatone per fare meglio comprendere di cosa si stia parlando paragona il fenomeno ‘ndrangheta a quello mafia.
“per fare un paragone con la Sicilia, considerate che oggi non ci sono tanti affiliati neanche in tutta la città di Palermo,e che a Bagheria, nel momento di massimo fulgore di Provenzano, dalle indagini risultavano 50 affiliati a cosa nostra”.

Altro elemento importante che emerge nella recente evoluzione della ‘ndrangheta è la questione della c.d. zona grigia. In Italia sono stati tratti in arresto numerosissimi imprenditori che sono la c.d. faccia pulita con cui la ‘ndrangheta come cosa nostra, si interfaccia con il resto della società.

Per non parlare della colonizzazione in particolar modo della Lombardia dove è stato nominato un mastro generale con un mandato di un anno; “mutuando il linguaggio di altri settori della società, lo si potrebbe definire una sorta di commissario straordinario”.

Ma anche i contatti con la politica lombarda sono al vaglio della magistratura. E’ solo questione di tempo, le indagini sono in corso, i contatti tra esponenti politici ed organizzazioni mafiose sono in fase di valutazione, la pentola prima o poi esploderà e credo che le sorprese non mancheranno.

Anche Pignatone comunque ha messo in rilievo un fattore importante ovvero quello relativo all’infiltrazione e collusione. In merito per esempio alla fuga di notizie, il procuratore afferma che ” la pubblicazione sulla stampa ripeto non è un problema della stampa ma di chi ha rivelato queste notizie, cioè ufficiali di polizia giudiziaria infedeli secondo me, ciò ha gravemente danneggiato le indagini…”.

Ma sicuramente il fatto più emblematico è rappresentato dal caso Zumbo.

“Zumbo è un dottore commercialista, stimato a RC, a tal punto che , negli anni passati, gli è stata affidata anche l’amministrazione di beni sequestrati. Egli godeva quindi anche della fiducia dei magistrati. Del resto, non c’era motivo di dubitarne,in passato.
Infatti, è stato accertato che il dott. Zumbo è stato confidente-anzi fiduciario, in termine tecnico- del SISMI, che nel 2004, ha girato al ROS un’informazione che ha consentito il ritrovamento di armi. Inoltre, è stato confidente-sebbene con esiti molto meno brillanti e positivi- della Guardia di Finanza e di alcuni marescialli del ROS, poi passati al SISDE”.

” Zumbo ha assicurato a Pelle di essere in grado di portargli l’elenco degli arrestandi alcune ore prima della data fissata per l’esecuzione della misura cautelare”.

Questo voleva dire che Pelle avrebbe avvisato i suoi amici i quali avrebbero potuto rendersi latitanti.
Cosa che nel caso di specie non si è appurata perchè Pelle e Ficara vengono fermati prima.

Questo per fare capire in via esemplificativa ma in modo chiaro il grado e la capacità di penetrazione della ‘ndrangheta negli apparati dello Stato.

Ciò evidenzia il legame che emerge tra apparati infedeli di polizia o di sicurezza e la ‘ndrangheta.

Ci troviamo quindi, innanzi ad una organizzazione criminale che, secondo l’Eurispes ha un giro di affari di circa 43 miliardi di euro,innanzi ad una organizzazione che tramite alleanze sempre più strette tra le varie famiglie ha dato luogo ad un sistema unitario di azione, e forse anche di organizzazione,innanzi ad una organizzazione ove Aldo Miccichè nello spiegare ad un giovane ‘ndranghetista che doveva andare a chiedere favori ad un esponente politico, che la ‘ndrangheta è il passato, presente e futuro, ovvero innazi ad un sistema di Stato nello Stato.

Si è presenti innanzi ad una mafia mista tra violenza e politica ed impresa, e per combatterla non ci si può dividere.

No, questo non deve succedere, non dobbiamo permetterlo, e son certo che i magistrati calabresi hanno tutta la volontà di superare eventuali elementi di incomprensione, affinchè si possa continuare a rispondere ai mafiosi con la repressione ma specialmente con una inversione culturale e spirito unitario che deve essere esemplare.

Ciò perchè il primo esempio di unità nel combattere lo Stato nello Stato deve essere dato proprio da chi è in trincea, ed i magistrati calabresi lo sono.

Marco Barone

Fonte Citazioni :
Seduta n. 53 (antimeridiana) (Stenografico n. 51). – Martedì 21 Settembre 2010 (File in formato PDF ).
Audizione del procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, dottor Antonio Vincenzo Lombardo

Seduta n. 54 (notturna) (Stenografico n. 52). – Martedì 21 Settembre 2010 (File in formato PDF ). Audizione del procuratore distrettuale antimafia di Reggio Calabria, dottor Giuseppe Pignatone

http://www.parlamento.it/bicamerali/43775/48736/48737/48742/48751/sommariostenograficibicamerali.htm

‘Ndrangheta e pentitismo

E’ notizia recente che il c.d. boss Lo Giudice ha ammesso di aver collocato la bomba alla Dda di Reggio Calabria.

Per dare conferma della sua volontà di collaborare con la giustizia di Stato e di essere quindi, pentito, ecco che vengono scoperte, su sue indicazioni, in un’armeria reggina, undici armi da fuoco.

Secondo il pentito Antonino Lo Giudice farebbero parte della ¬´Santabarbara¬ª della cosca di cui lui era esponente di primo piano. Da quello che è dato comprendere le armi erano regolarmente detenute ed al titolare dell’armeria non viene addebitata alcuna violazione di legge.
Il pentito Lo Giudice, si è anche addebitato la responsabilità dell‚Äôorganizzazione degli attentati alla Procura generale e al procuratore Salvatore Di Landro, nonchè del ritrovamento del bazooka annunciato da una telefonata anonima, e quelle armi sono riconducibili al suo clan. Sulle rivelazioni, la polizia sta effettuando dei riscontri al fine di valutare la posizione del titolare dell‚Äôarmeria e di chi avrebbe ceduto i fucili e le pistole messi in vendita.( fonte il quotidano della calabria)

Antonino Lo Giudice dopo una sola settimana nel carcere romano di Rebibbia, si pente.

Prima di lui, lo aveva fatto il fratello Maurizio, nel 1999.

Particolare da non poco conto è che lunedi a Reggio Calabria arriverà l’esercito per garantire la vigilanza fissa in particolar modo negli uffici della Procura generale e della Dda, alla Corte d‚Äôappello.

Come riconosciuto dai più la ‘ndrangheta ha pochi, pochissimi pentiti.

Ha una strutturazione cosi familiare, così stretta da rendere sia per ragioni di onore che di fedeltà quasi impossibile il fenomeno del pentitismo.
Le pene previste per i traditori sono pesanti.
Si può entrare nel rango della c.d. essere carogna ovvero macchiarsi di un
tradimento così grave da permettere che il colpevole sia, appunto,
assimilabile ad una carogna.

La pena sarà la morte tramite asfissia con sassi, o con una fucilata alla schiena. Tale morte può essere riservata e quindi applicata nei confronti dei familiari stretti e dei parenti del collaboratore.

Quindi, dopo neanche una settimana di carcere il boss si pente. Permette di far ritrovare armi in armeria,ed erano anche regolarmente detenute, e si “prende” le colpe della strategia della tensione nei confronti dello Stato in Calabria.
Perchè tutto ciò?
Come ricordato a Reggio arriva l’esercito.
L’esercito presidierà solo edifici istituzionali. Ma è pur sempre esercito ed in Calabria nel territorio controllato dalla mafia.

Pentirsi, allentare la tensione, deviare le indagini.
La ‘ndrangheta non ha fretta.
Attende, e colpisce e colpirà.
Il controllo del territorio è una “brutta” cosa per i mafiosi e per chi li sostiene, politici ivi inclusi.

Il boss , che io credo sia falso pentito, si sacrificherà in nome di un qualcosa di più importante, ovvero nel nome dell’onore di una terra che non deve avere l’esercito, nel nome di un territorio che deve essere libero dai controlli di Stato, nel nome del potere gestito dalle loro marionette istituzionali.

Invito la magistratura ad essere cauta per questo eventuale nuovo caso di pentitismo.
Ovviamente sono il primo ad augurarmi di sbagliare in tale analisi, e di credere che dopo una settimana di carcere anche duro il boss abbia ceduto alle pressioni.
Ma sarà per i tempismi, sarà per le coincidenze,io, in tale anomala situazione calabrese e da calabrese, un certo grado di diffidenza tendo a maturarlo in merito alla reale collaborazione di quell’essere mafioso quale Antonino Lo Giudice .

http://baronemarco.blogspot.com/

Presa Diretta e la n’drangheta “Noi calabresi non siamo tutti mafiosi”

Domenica 5 settembre 2010 su rai tre Riccardo Iacona e i giornalisti di Presa Diretta sono andati laddove si combatte in prima linea la guerra contro la n’drangheta .
In Calabria, ma non solo.
Hanno dedicato la loro trasmissione alla n’drangheta. Quanto è forte e potente la n’drangheta? Cosa stiamo facendo per contrastarla? Questi alcuni dei quesiti sorti durante tale trasmissione.

Io di norma,non guardo mai la televisione, anche perchè non sono in possesso di televisione. Quella sera mi sono soffermato in un bar di una periferia in Bologna che aveva la televisione in funzione ed il canale selezionato era rai tre.

Chiedo cortesemente al barista di non cambiare canale, e così mi immergo in quella trasmissione.

La seguo in totale silenzio. Fumo una sigaretta , ed ancora una seconda e così via sino alla conclusione di quel programma dedicato alla n’drangheta, a come è infiltrata nel nord italia, alla faida di Monasterace, alla strage in Germania, all’omertà ecc.

Ma sinceramente l’impressione che ho maturato è stata la seguente: ma i calabresi sono tutti mafiosi?
Che idea può maturare la persona comune, dopo aver visto quel programma, del calabrese?

Come è noto viviamo in una società qualunquista e populista.
In America il siciliano era conosciuto automaticamente come il mafioso, se non l’italiano, ed ora il calabrese?

Perchè dedicare spazio solo alle forze dell’ordine o all’imprenditore che ha denunciato i suoi strozzini e cha da otto anni vive chiuso nel suo cantiere?
Perchè dedicare spazio solo a come la n’drangheta è infiltrata nel nord italia e radicata in calabria?

Parlo da calabrese, da persona che insieme a molti compagni e molte compagne in calabria e nel vibonese ha conosciuto la n’drangheta. Ci siamo ribellati, con tutte le conseguenze del caso. Non dimenticherò mai quella manifestazione, effettuata nei primi anni del 2000, la prima organizzata in Vibo Valentia, contro la n’drangheta.

Abbiamo coinvolto le scuole. Abbiamo organizzato corteo per le vie principali della città. Sapete cosa è accaduto?

La sera prima nella scuola dove era stato ospitato incontro sulla legalità e contro la mafia è stata fatta devastazione. Sono stati distribuiti volantini per le vie della città che denigravano un nostro ospite…un testimone di giustizia, detto in poche parole ritorsione, avvertimento.

Ma non è finita qui.

Chiediamo al Sindaco della città, di centro-sinistra,di voler “aprire” sul balcone del comune di Vibo striscione con scritto NO ALLA MAFIA.

Il sindaco ci riceve, ma dice che sul balcone del comune non si può, occorre avere permessi ecc. Tutte balle.
Era un modo per dire sono con voi…ma non posso,la mafia non vuole.

Allora quel famoso striscione lo stendiamo dal ponte della città, il giorno del 31 dicembre perchè volevamo inaugurare il nuovo anno con un bel messaggio, no alla mafia.

Ma non dimenicherò neanche il fatto che quel giorno quando abbiamo de facto svolto la manifestazione il comune di Vibo non ha “liberato” la piazza dalla macchine parcheggiate. Bastava una piccola ordinanza, così come avviene per ogni evento che si organizza in quella piazza,davanti al comune.

No, nulla.

Ecco arrivare il corteo, piccolo, con i negozianti che entrono dentro i negozi, con i poliziotti con i mitra in mano che scortano i testimoni di giustizia e noi ingenui ad applaudire.

Il giorno dopo troviamo scritte sui muri del centro a sostegno della famiglia Mancuso…una delle più potenti n’drine della Calabria operanti nel Vibonese.

Bene dico questo perchè non tutti i calabresi sono mafiosi.

Io non lo sono, la mafia mi fa schifo e mi fanno schifo i mafiosi ed i loro complici.

La mafia non è combattuta solo dallo Stato o meglio da quella parte dello Stato libero ed incondizionato, dalle forze dell’ordine, dalla repressione,ma in verità anche dalla c.d. società acculturata, da studenti e studentesse.

Non è con la sola repressione che si può sconfiggere la mafia. E’ pura illusione ciò.

Esistono vari movimenti, non solo l’ammazzateci tutti che è stato oggetto di grandi strumentalizzazioni e mediatizzazioni ovvero il miglior modo per uccidere il movimento. Esistono tante piccole iniziative tante piccole realtà che si muovono in silenzio senza cercare gloria sui giornali o nelle televisioni o nelle fiction .

E’ a queste persone cha va il mio pensiero. Ed in particolare a tutti quei giornalisti che ogni giorno in calabria cercano di evidenziare come la n’drangheta è praticamente lo Stato nello Stato, a discapito della loro vita.

Noi calabresi non siamo tutti mafiosi. E quella trasmissione, che ripeto valida per molti aspetti, ha fatto passare un brutto messaggio. Bisogna parlare di cosa è la n’drangheta, la malasanità, la cattiva politica , ma si deve parlare anche delle cose positive. Perchè chi è uscito rinforzato da quella trasmssione è sicuramente la n’drangheta e non chi la combatte e crede in altra società.

Io sono convinto del fatto che è possibile contrastare tenacemente il sistema politico mafioso esistente, semplicemente sostenendo le ragioni dei lavoratori, dei deboli, degli illusi, di chi ha smarrito ogni fiducia verso la classe dirigente politica presente e quella che oggi prova a fare(?) opposizione, non compromettendosi e non adeguandosi all‚Äôattuale modo di concepire la politica, il senso di amministrare,e specialmente non per meri e ipocriti opportunismi.

Ciò perchè la n’drangheta corre sullo stesso binario della politica, è difficile che chi amministri in Calabria o nelle realtà ove la mafia è presente, non sia anche indirettamente dentro questo sistema marcio. Mi vengono in mentele le parole di Domenico Crea rilasciate alla trasmissione ‚Äúanno zero‚Äù di Santoro di qualche tempo addietro, ( Crea, ha ottenuto 8212 voti alle consultazioni elettorali 2005 della provincia reggina nella lista della Margherita ed è subentrato in Consiglio regionale, in quanto primo dei non eletti, a Francesco Fortugno) sostenendo in pratica di essere stato aiutato da strane persone, chiamatele se volete mafiose, del posto per lo svolgimento della sua campagna elettorale, definendoli come poveri disgraziati‚Ķche non sapeva chi fossero‚Ķ
Siamo nel ridicolo!

In quella trasmissione, parlo di presa diretta, doveva essere anche evidenziato meglio un determinato aspetto ovvero che le n’drine se sono inserite in questo modo così pressante nel tessuto economico e sociale della lombarida, dell’emilia, del veneto e friuli anche, è perchè qualche appoggio politico devono averlo.

Un personaggio intervistato in un paese della lombardia diceva che il problema nel paese dove viveva non è dato dagli usurai…ma dagli stranieri. Ciò, vi ricorda nulla?
Questo modo di comunicare ricorda qualche realtà politica ben affermata nel nord?

Riflettere, ancora una volta, è dovuto.

La n’drangheta è fenomeno culturale e sociale. Con la crisi economica e con il danaro a loro disposizione incrementeranno ancora di più il loro potere ma ciò non è possibile se non si ha qualche alleato nella politica.

E loro lo hanno.

La n’drangheta è destinata a finire prima o poi, l’accelerazione della sua fine è data solo da una questione ovvero dall’educazione, dalla cultura e non dalla sola repressione.

Troncare i fondi alle scuole pubbliche non aiuta certamente questa battaglia, che non è una battaglia di noi soli calabresi, ma di tutti noi abitanti in questa repubblica italiana.