Segare il ramo, un anno dopo

Ci eravamo lasciati circa un annetto fa con questa sintesi: dopo aver distrutto i propri mercato di sbocco nell’Eurozona, e essersi preclusa i mercati di sbocco extraeuropei con la sua arroganza, cioè dopo aver segato il ramo su cui era seduta, l’economia tedesca si trovava in una situazione delicata. Una “reflazione controllata”, realizzata spingendo sulla domanda interna (con investimenti o altra spesa pubblica, o con tagli di imposte) avrebbe sostenuto la crescita, ma, alimentando il processo inflattivo già in atto, avrebbe fatto perdere competitività, e quindi domanda estera:

Da anni i più illustri commentatori (e anche i meno illustri, come chi vi scrive) auspicano che la Germania realizzi una simile politica di sostituzione della domanda estera (esportazioni) con quella interna (investimenti), nell’interesse proprio e di chi le sta intorno. Per motivi sufficientemente ovvi, chiedergliela è però inutile. D’altra parte, questo sarebbe uno dei peggiori momenti per metterla in pratica, sotto molteplici profili. In particolare, il contesto inflazionistico crea alla Germania non solo un problema economico, ma anche un problema politico, considerando lo sforzo fatto lungo gli anni per portare la stabilità dei prezzi al centro dell’attenzione.

Le previsioni macro di un anno fa dicevano che nel 2023 la Germania non sarebbe cresciuta:

Possiamo fare un rapido tagliando di queste previsioni e della nostra analisi, alla luce di quanto segnalano alcuni commentatori:

La cosa ci riguarda perché seduti sotto la Germania ci siamo noi: intendo dire ovviamente che un crollo dell’economia tedesca sarebbe un problema per la nostra economia, che dopo la cura dell’austerità è decisamente “estroflessa”, molto dipendente dalla domanda estera (e quindi in particolare da quella tedesca), come abbiamo visto qui:

Intanto, le previsioni OCSE per il 2023 erano azzeccate. Un anno dopo si constata che in effetti noi siamo cresciuti e loro no:

Altro dettaglio: il processo inflattivo continua a procedere più spedito nel Nord che nel Mediterraneo:

L’austerità serviva a farci recuperare competitività, riducendo la pressione della domanda interna sui prezzi, e sotto questo profilo ha funzionato: sparando alla tempia del paziente siamo riusciti a ridurgli la febbre! Nel grafico il Nord è la media di Germania, Austria e Olanda, e il Mediterraneo la media di Francia, Italia e Spagna. Si vede bene che prima della Grandi crisi finanziaria l’inflazione correva più da noi, ma ora corre più da loro. Risultato: le economie del Nord stanno perdendo competitività, il loro tasso di cambio reale, cioè il prezzo dei loro beni in termini di beni degli altri Paesi, sta crescendo (e quindi i loro beni diventano più cari, cioè meno competitivi, dei beni degli altri Paesi):

L’entità del fenomeno è abbastanza rilevante. I rapporti di scambio sono tornati a quelli vigenti a inizio millennio, quando la Germania era il malato di Europa, come è tornata ad essere, ma con una differenza:

Dal 2021 il contributo dell’industria (escluse costruzioni) alla crescita del Pil trimestrale è diventato, in media, negativo, mentre è aumentato quello dei servizi. 

La perdita di competitività comincia a riflettersi sul saldo estero (anche se a noi non è che vada molto meglio).

Se torniamo al dilemma che vi illustravo un anno fa:

sembra di poter concludere che da un lato le illuminate élite tedesche abbiano seguito i saggi consigli dei banchieri filantropi, accordando incrementi salariali:

ma che dall’altro ciò abbia effettivamente alimentato l’inflazione senza però spingere efficacemente sulla crescita.

Questo spiega perché le elezioni europee preoccupano tanto chi è al governo, perché i cittadini protestano, e perché anche da noi le cose vanno bene ma non benissimo. La politica del nostro Governo, volta a sostenere la domanda interna, è certamente appropriata alle circostanze, ma la politica monetaria della Bce è tarata sul processo inflattivo tedesco, più vigoroso del nostro, e quindi cercando di riportare al 2% l’inflazione tedesca la Bce spinge verso lo 0% la crescita italiana. Siamo di nuovo in un contesto in cui la stabilità monetaria (bassa inflazione) rischia di generare instabilità finanziaria (accumulazione di sofferenze bancarie), un po’ come quando questo blog prese le mosse.

Questo problema, com’è noto, una soluzione ce l’avrebbe, anzi, più di una: ma per un verso o per un altro le condizioni politiche per metterle in pratica non sussistono, e quindi aspettiamoci un 2024 interessante.

(…dovrei dirvi un’altra cosa, ma ve la dico un’altra volta: non siete solo pochi, siete pure…)

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“Segare il ramo, un anno dopo” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.