L’impresa del MES

Scusate se vi ho trascurato: ultimamente capita spesso, ma questa volta credo che, più di altre, possiate capirne e apprezzarne i motivi.

Come ricordo di avervi detto in una diretta, che cosa avrei votato io lo sapevo da dodici anni, che cosa avremmo votato noi da alcuni mesi, come avremmo coinvolto gli altri, per evitare che il nostro voto restasse uno sterile atto di testimonianza, da poche settimane, e attraverso quale percorso parlamentare  si sarebbe venuti al dunque, per evitare le imboscate di amici e nemici, da pochi giorni. Queste poche settimane e questi pochi giorni sono stati particolarmente intensi, come immaginate. Aggiungiamoci il fatto che invece di poter riposare sull’esperienza di Riccardo Molinari, per un felice accidente del destino, il 21 dicembre del 2023 ero alla mia prima esperienza di capogruppo, a causa dell’assenza di Riccardo, del suo vicario Iezzi, e del vicecapogruppo decano Bruzzone. Per questo incombeva a me comunicare la linea del partito ai colleghi, anche quelli impegnati in Commissione, cosa che agli operatori informativi è sembrata particolarmente significativa, ma era un mero accidente tecnico. La decisione era stata, come deve essere, collegiale, e non devo certo spiegarvi che le cose stanno esattamente al contrario di come gli operatori informativi le riportano (soffrirebbero troppo nel sapere di essersi fatti trollare alla stragrandissima da un loro beniamino…).

Una votazione così delicata, sotto Natale, aveva le sue incertezze, non per altro, ma perché fra impegni politici sul territorio e congedi autorizzati (fra cui quelli per malattia, perché l’influenza gira e chi è esposto al pubblico se la prende) al gruppo mancavano sedici parlamentari. Capirete che non si poteva nemmeno fare una chiamata alle armi, neanche nelle nostre chat interne! Per i motivi che vi ho esposto in una delle ultime dirette, questa:

non era da escludere, in linea di principio, che se si fosse insistito sul messaggio di essere assolutamente in aula (che comunque era già stato dato due giorni prima), magari spiegando perché, qualcuno avrebbe potuto trasferire la notizia a qualche operatore informativo. Meglio non indurre nessuno in tentazione e compattare i ranghi in segretezza e senza particolare enfasi.

Per fortuna potevo contare su due piloni della mischia come Edoardo Ziello e Simona Bordonali, i delegati d’aula. Loro mi hanno aiutato a recuperare alcune delle pecorelle smarrite, e a tenere sott’occhio il pallottoliere, almeno fino a quando la sparata di un invasato dalla voce chioccia, di cui non capivo bene che cosa volesse, ma di cui ricordo bene come ha agito (nella stanza in cui nacque la logigadibaggheddo, che è quella di Chigi angolo via del Corso, eravamo in tre e uno ero io), ci ha finalmente fatto intuire che comunque i numeri li avremmo avuti (cosa che, a dire il vero, il perfido Borghi sosteneva dal giorno precedente: uno dei tanti motivi per i quali ero inquietamente tranquillo).

Bene così.

Ora i biglietti di auguri sono stati spediti (solo 499, perché mi sono dimenticato quello per Pierre Gramegna: rimedierò il 27), i regali scartati, i mittenti ringraziati, il brodo e il ragù sono sul fuoco, la cucina è in ordine (ovviamente la moglie qualcosa di cui lamentarsi lo trova: “Stai scrivendo il post di Natale?” Ma basta passare da Gramegna a Gramuglia per comporre i dissidi), ora che tutto (o quasi) è a posto, insomma, posso tornare qui, nell’infrastruttura del Dibattito, nel blog che non c’è della community che non esiste, ma cui, per fortuna, Claudio con grande intelligenza tattica ha dato visibilità al momento giusto (perché sì, va detto e ricordato: dodici anni di lavoro non sarebbero serviti a nulla se non fossero stati resi visibili al momento giusto, a riconferma del fatto che avere ragione e sapere la “verità” non serve a nulla, di per sé…), posso tornare, dicevo, per mettere qualche puntino sulle “i”, per aiutarvi a capire che cosa troverete nell’imballo del regalo che non c’è: il MES, che qualcuno vi avrebbe voluto far trovare sotto l’albero, e che qualcun altro (credo sappiate chi, altrimenti non sareste nei paraggi) ha fatto scomparire.

La disfatta dei disfattisti (aka #ppdm)

Una cosa è certa: dopo il voto del 21 dicembre 2023 i disfattisti non hanno più scuse, e soprattutto non hanno dignità di interlocutori. Le cose stanno esattamente come dice l’Avicenniano:

La convergenza della narrazione zerovirgolista con quella mainstream non deve stupirci: sappiamo riconoscere un gatekeeper quando ne incontriamo uno!

Fu esattamente questo a consentirci ad esempio di intuire che i 5 Stelle non potevano costruire un’alternativa credibile al sistema (ve lo spiegai il 30 luglio del 2012, prendendomi bordate di insulti),  che fatalmente si sarebbero alleati con il PD (ve lo prefigurai il 6 settembre del 2016, nell’incredulità generale), e che questo snodo avrebbe esposto il Paese a un serio rischio: e infatti, dopo il Governo giallorosso, arrivò Draghi!

Ora, alcuni #ppdm li conosco personalmente: so quanto valgono (poco), e sarei sinceramente stupito, e anche un po’ infastidito, se apprendessi che qualcuno li ha comprati! Ma so che non è così: non funziona così (è questo che, nonostante più di un decennio di sforzi, non riesco a farvi capire). Comprare certa roba non è necessario: non lo è nell’infimo, come in questi casi, né nel meno infimo (pensiamo ad esempio a tutto il mondo degli operatori informativi). Il problema non sono quasi mai le intenzionalità soggettive, genuine o pervertite da moventi venali, delle persone. Il problema sono quasi sempre le dinamiche oggettive, come ad esempio quella che porta gli operatori informativi a diffondere informazioni di qualità scarsa perché solo chi non ha informazioni qualificate ha un incentivo a darsi importanza diffondendo il poco che sa. Quanto ai disfattisti e ai loro partituncoli insulsi, i cui manifesti sono costruiti col copia e incolla dei miei post di undici anni fa, essi sono oggettivamente dalla parte del PD, perché oggettivamente rosicchiano i voti dei più deboli o dei più opportunisti fra i nostri potenziali elettori, aprendo spazio all’elezione di parlamentari piddini. Lo abbiamo visto succedere e sì, le cose stanno come dice Samuele. Hanno molta paura e il loro giochino è chiaro: attirare verso “liste civetta” più o meno allettanti, con lo specchietto per le allodole dell’antipolitica, il maggior numero di voti per sottrarli all’unica forza politica in qualche modo rivoluzionaria, per il semplice fatto che ha coinvolto chi ha capito e vi ha fatto capire come stanno le cose: Antonio, Claudio, Marco, e naturalmente il “gestore dell’infrastruttura” (io).

Ora, fino a prima del 21 dicembre a questa linea argomentativa si poteva opporre il becero argomento del “fate solo chiacchiere, sicceroio…”!

Ma il 21 dicembre abbiamo schiantato, con le nostre “chiacchiere”, cioè col nostro lavoro di coinvolgimento culturale e quindi politico, una riforma che tutti ritenevano ormai ineluttabile, e soprattutto, al di là del merito (rilevantissimo) del provvedimento, abbiamo dato plastica evidenza a un essenziale problema di metodo: si può dire di no!

Finalmente trovavano sbocco concreto le parole che avevo sentito, tanto tempo addietro, da un funzionario di Bruxelles: “Qui c’è solo una cosa che li tenga in rispetto: un Parlamento con una maggioranza solida che gli voti contro!”

Quindi ora gli zerovirgolisti del “eh, ma loro fanno solo chiacchiere, sicceroio sì che gliela facevo vedere!” sono morti, rasi al suolo da un doppio controfattuale: al più consueto (“Dimmi, cocco di mamma, com’è che visto che sei così bravo lì non ci sei tu, ma ci sono io?”) se n’è aggiunto un secondo, tombale (“Amoruccio di papà, e come avresti raggiunto la maggioranza prescritta con i tuoi quattro parlamentari in croce?”).

Morti.

Spiace, ma la vostra unica speranza siamo noi, e chi ci ha coinvolti, ovvero l’impresentabile Salveenee. I presentabili vi avrebbero volentieri venduti: dovrete fare con quello che avete. Teneteci (stavo scrivendo “temeteci”) da conto, e sosteneteci, perché da oggi per i disfattisti c’è solo l’alzo zero.

Il tempo e le opere

Non per questo non voglio entrare nel merito delle scemenze particolarmente en vogue nella corte dei miracoli dei trombati non trombanti, degli intellettuali non pensanti, dei capipopolo senza popolo, insomma: dei #ppdm!

Il primo, francamente, è ridicolo: l’idea che “eh, ma poi dopo le elezioni europee ce lo ripresenteranno e allora lo voterete!” Di tutti i modi per dimostrare che non si capisce di cosa si stia parlando questo è il più degradante per chi vi indulge. Dopo le elezioni europee ci saranno intanto da costituire i gruppi parlamentari, operazione non scontata i cui dettagli sono esposti qui (almeno 25 parlamentari eletti in almeno un quarto degli Stati membri, ecc.: insomma, un bel sudoku). Poi bisognerà votare per il Presidente della Commissione, e ci sarà quindi da vedere chi voterà per la fallimentare von der Leyen, e che strada seguirà per giustificarlo ai propri elettori. Poi ci saranno da scegliere i Commissari Europei, che dovranno avere il gradimento delle Commissioni. Poi ci sarà da votare la fiducia alla nuova Commissione. Poi arriverà l’estate, e poi la legge di bilancio. E voi credete veramente che una Commissione neoeletta si metta a insistere, quand’anche fosse tecnicamente possibile, su un tema su cui una Commissione così autorevole (come ci viene raccontata) sta ancora raccogliendo i denti da terra, dopo lo sberlone che ha preso? Suvvia, cari: significa non capire come va il mondo, e significa anche non leggere Goofynomics. Il MES, fra tanti difetti, ha almeno il pregio dell’inutilità. Per questo i mercati non ne piangono la mancata riforma e non ne piangeranno la liquidazione: perché la gente di mercato è gente pratica, gente che sa come stanno le cose. Ove scoppi una vera crisi, l’unico meccanismo di stabilità è quello dotato di potenza di fuoco illimitata, quello che esiste in ogni Paese civile, e quello che quando le cose si mettono male siamo costretti a usare anche qui: la Banca Centrale (vi ho spiegato qui, al punto 3, che questa consapevolezza è chiaramente espressa anche dalle istituzioni europee). Il MES era solo uno strumento per imporre condizioni alle politiche economiche nazionali, ma anche in quello è superato: ora c’è il PNRR. Quindi, sinceramente, anche basta scemenze, no!?

Poi c’è l’altra linea argomentativa dei “sicceroi”, gli eroi del “sicceroio”: “Eh, ma avete venduto il Paese accettando una riforma del Patto di stabilità molto penalizzante, sarebbe stato meglio barattare la riforma del MES in cambio di regole di bilancio meno penalizzanti! Sicceroio…”. Meglio mi sento! Partirei dal presupposto che qualsiasi regola, che l’esistenza stessa della nozione di regola, è di per sé disturbante, è un fallimento della ragione e della politica. Un fallimento della ragione, perché il dibattito scientifico su “rules vs. discretion” è un dibattito antico, molto anni Settanta, un dibattito che oggi fa un po’ sorridere, come farebbero sorridere, fuori da un cosplay, i pantaloni a zampa d’elefante, e che comunque non ha raggiunto conclusioni definitive. Un fallimento della politica, perché tutta la solfa sulle regole si riconduce sostanzialmente a un punto: la diffidenza degli elettorati del Nord verso gli altri popoli europei. Sulla base di questa pretesa differenza ontologica, che ha radici culturali lunghe e risalenti, è naturalmente impossibile costruire alcunché di solido. Finché qualcuno chiederà regole, per il fatto stesso che le starà chiedendo, avremo quindi la certezza che il progetto europeo sia di corto respiro, e questo in modo assolutamente indipendente e preliminare rispetto alla qualità delle stesse regole (cui aggiungerei per completezza anche l’altra parola totem: le riforme), e quand’anche la regola propugnata fosse “fate come vi pare!” e la riforma auspicata “siate voi stessi!”

Ma capisco che questa sembra filosofia, e quindi vado sul concreto. Non dovete spiegare a noi che queste regole sono penalizzanti per l’Italia (e per altri Paesi), o almeno tali sembrano a questo stadio del negoziato (ci deve ancora essere un trilogo, ecc. ecc.: se volete fare gli informati, informatevi!). C’è però un dettaglio che mi pare sfugga a molti. L’alternativa era scegliere fra una minaccia concreta e immediata e una minaccia eventuale e differita. La riforma del MES dava elementi per un attacco immediato al debito pubblico italiano, come sapete (i dettagli sono qui, ma in sintesi: nel nuovo MES la ristrutturazione del debito pubblico italiano era più agevole, i mercati lo sapevano e avrebbero cominciato a scaricare i nostri titoli, ci sarebbe voluto molto poco a innescare un attacco). Le nuove regole vedremo cosa saranno quando entreranno in vigore. La nostra manovra 2024 è a prova di regole vecchie e nuove (non capisco chi parla di manovrina estiva, sinceramente: ma sbaglierò certamente io…), poi ci saranno le elezioni, poi vedremo. Sono stati i francesi a chiedere un periodo di “grazia” di quattro anni, in un disperato tentativo di Macron di non farsi radere al suolo a scadenza, considerando che la situazione dei loro fondamentali è pessima e quindi anche a loro dovrebbero applicarsi misure restrittive. A scadenza naturale Macron sarà raso al suolo ugualmente, ma intanto noi possiamo tirare avanti. Sicceravate voi, lo so, avremmo traslocato tutti in cima al Paradiso terrestre. Siccome c’eravamo noi, abbiamo fatto quello che si poteva, e credo che per il momento sarà abbastanza.

Le inqualificabili scemenze sul fatto che ora le trattative sarebbero più difficili non vorrei nemmeno commentarle: è solo facendosi rispettare che si ottiene il rispetto. La naturale inclinazione del PD verso la flessione a novanta gradi non ha portato alcun beneficio tangibile al Paese, che io ricordi. Se avete ricordi diversi, potete correggermi nei commenti.

Import-export

Come ho chiarito a Radio Cusano:

non è su questi controfattuali insulsi che bisogna soffermare l’attenzione, ma sull’interazione fra la geografia politica del Parlamento europeo e di quello italiano. Il Governo Draghi era stato un tentativo di importare in Italia lo schema Ursula. Quello che il PD voleva (e io lo so perché uno di loro venne mandato a dirmelo, sì, mandato da me, dall’irrilevante parlamentare che nessuno considera… ma di cui non solo i giornalisti hanno timore!) era che noi ci astenessimo sulla fiducia e restassimo fuori. In questo modo FI avrebbe potuto saldarsi senza troppe remore alla sinistra, con un’operazione à la Nazareno, e il PD sarebbe affondato nelle vostre libertà e nei vostri portafogli come una lama calda nel burro. Noi questo lo abbiamo impedito: il tentativo di importazione è fallito quando l’ingresso della Lega ha creato una dialettica fra centrodestra e centrosinistra “di Governo”. Ci è costato molto. Alcuni, più avvezzi a misurare il consenso dalla lettura dei quotidiani, questo costo esorbitante non se lo aspettavano. Io sì, con pochi altri in segreteria politica (Siri e Ceccardi, fra quelli che si espressero).  Proprio perché me ne aspettavo i costi prima, sono in grado di vedere con precisione dopo i vantaggi di questa esperienza, perché ci sono stati anche vantaggi. Con FI in maggioranza e noi all’opposizione la riforma del catasto sarebbe passata, e questa non è fantasia né ideologia: sono numeri.

Ora lo schema si è completamente ribaltato: fallito grazie a noi il tentativo di importare la maggioranza Ursula in Italia, vediamo se riuscirà grazie a noi il tentativo di esportare la maggioranza di centrodestra (a tre partiti) in Europa. Non dipenderà solo da quanto succederà qui in Italia, dove è ovvio che le migliori speranze di cambiamento le dà solo chi ha dimostrato di avere, oltre a una ultradecennale capacità di analisi, anche un minimo di capacità politica. Dipenderà anche da quanto succederà negli altri Paesi, dove i nostri alleati all’interno del gruppo ID stanno crescendo nel consenso, mentre altre frange del centrodestra si trovano in maggiore difficoltà. Sappiamo bene che al Governo in Germania c’è un socialdemocratico che un domani passerà alla storia come quello che avrà sbriciolato il proprio partito (segnatevelo, così se non succede potrete rinfacciarmelo). Certo però che fintantoché questo non succede, resta il problema, cui vi ho più volte accennato, dell’estrema difficoltà di un disallineamento fra il colore del Governo nella potenza egemone e quello della Commissione. Un problema che, in quanto emerga con evidenza, avrà almeno il merito di chiarire ai tanti ignari in che mondo siamo: in un mondo in cui tutti gli elettori sono uguali, ma alcuni elettori (quelli tedeschi) sono più uguali degli altri, anche se nel frattempo hanno cambiato idea e oggi voterebbero maggioritariamente AfD!

Chi non vorrebbe vivere in un mondo così?

Sempre meno persone, ritengo.

Sta a noi aiutarle.

Mi avvio a concludere…

Il voto del 21 dicembre 2023 è stato un voto storico. Non si ricordano altri casi di un “no” pronunciato dal Parlamento italiano su materia di simile importanza, né, a dire il vero, su materia di importanza minore, fatti salvi alcuni voti in Commissione XIV, cui le sedi europee rispondono abitualmente con uno sberleffo. Ma di una mancata ratifica non si può non prendere atto.

“MES” è il ventunesimo tag per importanza nel nostro tagcloud, dopo “elezioni” e prima di “ortotteri”: tutti i post con tag MES li trovate qui.

Il più vecchio è del 19 dicembre 2015, ed era stato originato da un’intervista di una persona che non voglio nemmeno nominare, avendo ricordato in aula lo spessore della sua etica professionale, a Lars Feld. In quell’intervista Feld affermava che per risolvere la crisi del sistema bancario italiano innescata dalle decisioni della Vestager su Tercas, decisioni poi reputate illegali dai tribunali della UE in due gradi di giudizio, l’Italia avrebbe dovuto attingere al MES (che allora esisteva solo nella versione attuale, non riformata). Vi suggerirei proprio di rileggerlo, quel post.

Ma è da prima, dal 2012, a seguito della fatidica telefonata di Lidia Undiemi (“Professòòòòòòòòre!”) che qui ce ne occupiamo, per interrogarci sulla sua funzione nell’architettura dell’Eurozona, come fece Sandro il 12 agosto 2012, per delineare il suo ruolo nel porre le decisioni politiche “al riparo del processo elettorale”, come fece Cesare Dal Frate il 24 settembre 2012, per evidenziarne la funzione redistributiva dalla periferia al centro dell’Eurozona, come mi capitò di fare il 27 dicembre del 2012.

Il risultato che abbiamo conseguito abbattendo la sua riforma, sottoponendo al “processo elettorale” un’istituzione che se ne credeva schermata e che nasceva, in fondo, per inibirlo, ha dell’incredibile, se visto con gli occhi di allora. Ieri sera l’algoritmo mi ha portato qui, e, si parva licet, ho visto una logica, o forse un’analogica, in questa casualità. Ma la lezione più importante che traiamo da questo successo è che perché le cose avvengano bisogna crederci.

Qui ci abbiamo creduto, ed è soprattutto per questo che, per una volta, sento di dovervi ringraziare: è un dato oggettivo che senza il vostro sostegno, sul blog, nei social, nelle strette di mano ai nostri convegni, o semplicemente in mezzo alla strada, io per primo non avrei avuto la forza di crederci, di sostenere lo sforzo estenuante che Goofynomics mi è costato, uno sforzo di cui mi rendo conto solo ora, quando constato che per scrivere poche righe leggibili devo profondere un tempo e una concentrazione che mi stupisco di aver avuto in passato (e non mi soffermo sullo sforzo per organizzare la nostra vita in comune, a partire dai #goofy). Certo, nella mia vita precedente scrivere mi procurava piacere, ed è forse per questo che leggermi ne procurava a voi. Me ne procuravano, del resto, anche suonare, o andare in barca a vela. Sono una persona curiosa, e ho, o almeno avevo da meno anziano, un certo talento nell’affrontare nuove sfide. Ma come ho abbandonato la carriera musicale (quella che più mi avvicinava alle verità cui tengo), o quella filosofica (quella che più mi avrebbe avvicinato alla piddinitas), sostanzialmente per aver avuto più curiosità di nuovi orizzonti che fiducia in me stesso, così, se la vostra risposta al grido di dolore lanciato con Goofynomics non fosse stata così immediata e corale, non avrei mai avuto la forza di persistere. Quello che mi ha consentito di andare avanti, di espormi, di mettermi contro la mia professione, di mettermi contro il mio ambiente, maggioritariamente composto di secredenti intellettuali “de sinistra”, quello che mi ha consegnato all’imperativo morale di difendere questa trincea, è stato leggere le vostre parole, capire che questa battaglia non era solo mia, e trarne le dovute conseguenze.

Nostra è stata la battaglia, nostra è la vittoria. E ora riposiamoci, perché la guerra non è finita.

Tanti auguri di buon Natale a tutti, e di buone vacanze a chi può farne.

Se Dio vorrà, ci rivedremo per il post di fine anno.

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“L’impresa del MES” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.