La disoccupazione in teoria e in pratica sette anni dopo

Sette anni fa, prendendo spunto da un tweet di Luigi Pecchioli, commentammo insieme i dati sulla disoccupazione, considerando, oltre alla definizione ufficiale, quella estesa, che comprende i lavoratori sottooccupati (che lavorano meno di quanto vorrebbero: in pratica, i lavoratori in part time involontario), gli scoraggiati (che vorrebbero lavorare ma hanno rinunciato a cercare un posto di lavoro), e anche chi sta cercando lavoro ma non sarebbe immediatamente disposto a lavorare se gli offrissero un posto. Insomma, avevamo analizzato la disoccupazione in teoria e in pratica. In un post successivo vi avevo spiegato che la definizione di disoccupazione più ampia è a grandi linee quella che negli Stati Uniti viene definita U6 (qui trovate una tavola con tutte le definizioni):

e corrisponde al labour market slack, il “lasco” totale fra domanda e offerta di lavoro.

Ieri mi hanno mandato al Tg a commentare la situazione economica, che è in effetti in via di miglioramento. Da domani riprenderò il mio lavoro parlamentare e potrei avere meno tempo da passare con voi. Approfitto di oggi per darvi un quadro più articolato di quanto sta succedendo nel mercato del lavoro, considerando che, sette anni dopo, il database dell’Eurostat riporta anche il labour market slack “spacchettato” nelle sue quattro componenti.

Vado molto rapidamente.

Dal 2009 a oggi il tasso di disoccupazione si è mosso così:

La conseguenza di aver dovuto scaricare sulla domanda interna l’intero peso dell’aggiustamento della bilancia dei pagamenti (cioè di aver dovuto abbattere il Pil per abbattere le importazioni) è stato un balzo verso l’alto della disoccupazione che ci ha portato dall’avere il tasso più basso fra le tre grandi economie dell’Eurozona all’inizio del 2009, ad avere il più alto nel 2013, raggiungendo e superando la Francia. Non siamo ancora ritornati al livello pre-crisi, anche se, dall’estate del 2017, la disoccupazione è scesa di quasi tre punti (dal 10.1% al 7.2%), e dal suo massimo, raggiunto all’inizio del 2014, di 4.2 punti. La tendenza comunque è negativa.

Quanto alla disoccupazione estesa, al labour market slack, a quello che gli americani chiamerebbero U6, la situazione è questa:

Qui partivamo svantaggiati, avendo già prima della crisi il valore più alto fra le tre grandi economie dell’Eurozona (il 18.6%). La brutta notizia è evidente: siamo ancora molto più in alto della Francia (che invece in termini di disoccupazione “convenzionale” abbiamo raggiunto e probabilmente supereremo presto, ovviamente verso il basso). Le notizie relativamente buone sono che siamo in una posizione migliore di prima della crisi (l’ultimo dato è pari al 17.7%) e su una traiettoria di miglioramento relativamente rapido. Dall’estate del 2017, cioè da quando Luigi attirò la nostra attenzione su questa variabile, la diminuzione è stata di 6.8 punti, di cui, come abbiamo visto, 2.9 attribuibili alla disoccupazione convenzionale, e dal massimo, raggiunto alla fine del 2014, di 9.5 punti.

La composizione della disoccupazione “allargata” la vedete qui:

Il grafico è molto decorativo, ma la lettura non è semplicissima. Si intuisce però che gli scoraggiati sono diminuiti significativamente (-3.2 punti percentuali dall’estate 2017). Le altre componenti, la più significativa delle quali è il part-time involontario, hanno mantenuto la stessa incidenza, con variazioni trascurabili.

Quindi visto che le cose sono un po’ migliorate siamo scesi nella graduatoria del Paese messo peggio?

No, purtroppo non rimaniamo terzi a nessuno, esattamente come sette anni fa:

Solo che sette anni fa il primo era la Grecia. Ora la Grecia è in quinta posizione, dopo Spagna, Italia, Svezia e Finlandia (pensa un po’?). Ma ci è arrivata come ci ha spiegato Heimberger:

Quindi stiamo meglio noi, nella nostra dignitosa seconda posizione, che loro nella quinta. Mi resta da capire, ma sicuramente un giorno lo capirò, come mai tutti vanno in sollucchero per l’attuale detentrice della medaglia d’oro della disoccupazione: la Spagna. Niente di personale, anzi! Meno male che c’è qualcuno che va peggio di noi! Ma gli operatori informativi lo sanno?

Secondo me no, ma non è questa la più importante fra le cose che ignorano.

(…domani si riparte! Abbiate pazienza se dovrò trascurarvi. Sto cercando di peggiorare il nostro piazzamento e chissà, magari con un po’ di fortuna mi riuscirà di vederci scendere dal podio…)

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“La disoccupazione in teoria e in pratica sette anni dopo” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.