Il reddito di Giavazzanza e la scoperta della partita doppia

(…il titolo è parzialmente da attribuire a uno dei più simpatici di voi…)

“La posizione del mainstream è in rapida evoluzione”, è scritto nel nostro Dizionario.

Non è del tutto corretto.

Nonostante quanto si dice sull’accelerazione dei processi storici, la nostra personale Guerra dei trent’anni sta durando i canonici trent’anni: la posizione del mainstream evolve, ma in modo talmente lento che si rischia di essere vittime di change blindness, il fenomeno neuropsichiatrico che un nostro amico ci descrisse in un post di nove anni fa che vale la pena di rileggere, individuandolo come fondamento neurologico del metodo Juncker (descritto qui).

La change blindness, così, ci affligge due volte: quando ci nasconde le avanzate del nemico, e quando ci nasconde le sue ritirate. Nel secondo caso è forse anche più insidiosa, perché ci impedisce di occupare, rivendicandolo, il terreno abbandonato dal nemico. Succede ogni volta che loro dicono, come fosse chissà quale scoperta, chissà quale parto della loro fertile mente (senz’altro ben concimata), cose che dicevamo da sempre, semplicemente per averle lette nei libri su cui tutti abbiamo studiato. Ma appunto, se da un lato la lentezza del cambiamento ci impedisce di percepirlo, dall’altro questo non significa che esso non sia in corso. Sottolinearlo, prenderne atto, esserne coscienti, ci aiuta a dare un senso e una direzione alla nostra lotta. Aiuta anche a sfuggire alla trappola di portare avanti un discorso meramente notarile (la registrazione degli interminabili QED), che rischia di essere stucchevolmente autocelebrativo e mortalmente noioso (per chi scrive prima che per chi legge), e quindi, in definitiva, escludente, più che esclusivo (si può essere includenti ed esclusivi, ed è molto meglio che essere escludenti ed inclusivi…).

Vi ho ricordato più volte, e vi sarà anche venuto a noia, l’8 settembre di Giavazzi, che poi fu un 7 settembre, quello del 2015:

quello in cui il Prof. Ing. Giavazzi venne a dirci una cosa che qui sapevamo fin dall’inizio e avevamo messo nero su bianco cinque anni prima nel famoso articolo rifiutato dal blog della Bocconi:

cioè che la crisi in cui eravamo impantanati non dipendeva dal debito pubblico, ma dal debito privato contratto con creditori esteri, cioè da squilibri di bilancia dei pagamenti.

Mi sono andato a rileggere i post di settembre 2015: aprii quel mese in uno stato di prostrazione, che curai andando a trovare per la prima volta Scarpetta di Venere, mi ricreai andando alla scoperta di Libberopoly, cercai di spiegare, inascoltato, perché le donne non fanno più figli, mi rallegrai con voi per la nostra vittoria ai Macchia Nera Awards, assegnammo il Big Beaver Award, feci un bel concerto, e chiusi il mese con la soddisfazione di veder citato il mio lavoro da un nostro recente amico, ma non mi sembra che dedicai, né che dedicassimo, sufficiente attenzione a questo significativo arretramento del Prof. Ing., a parte per un po’ di cagnara su Twitter:

(un po’ effimera, se non condotta con il dovuto piglio), e per una impercettibile allusione nel post del 7 settembre:

Forse non occorreva dire molto di più, o forse sì, forse un minimo di approfondimento andava fatto, perché quando i Bocconi boys, sommi sacerdoti del controintuitivo, accondiscendono a registrare l’ovvio, dietro un motivo c’è, e non è detto che sia un motivo banale!

Oggi ci risiamo.

Non su VoxEU, dove un minimo standard di decenza devono mantenerlo, perché è letto anche da colleghi meno conformisti e subalterni di quelli nostrani, ma sul Corriere della Sera (che è un diverso genere letterario, come qui ben sappiamo), l’ineffabile ingegnere ci delizia con la profondità delle sue analisi, aggrovigliandosi in un coacervo di contraddizioni tenute insieme dal tenace mastice di un radicale disprezzo per la democrazia, che è poi disprezzo per il demos, cioè per voi. Accecato dall’odio verso gli sdentati, verso i redneck, verso i fascioleghisti, verso chi non la pensa come lui, cioè verso gli italiani (in Italia), il nostro migliore alleato, in questa battaglia in cui, essendo in inferiorità numerica, dobbiamo contare sulle forze dell’avversario, commette un errore clamoroso, questo:

Senza farsi né in qua, né in là, il nostro ineffabile ci dice quello che qui tutti abbiamo sempre detto e saputo, cioè che la retorica del debito pubblico “onere sulle generazioni future” non tiene. Il debito oggi può rendere migliore la vita dei cittadini di domani, semplicemente perché a fronte di questo debito, di queste passività, c’è necessariamente un credito, ci sono delle attività tangibili o intangibili di cui le generazioni future beneficiano (migliori infrastrutture, una migliore istruzione, ecc.). A differenza della volta precedente, però, in cui il generale Giavazzi si era semplicemente arreso all’evidenza, ammettendo che la crisi non poteva essere stata causata da un debito, quello pubblico, che era stabile o in diminuzione pressoché ovunque, questa volta le sue esternazioni necessitano di una lettura attenta. Motivazioni e intenzioni del cambio di orientamento non sono difficili da leggere e ci porteranno, come vedrete, a scenari che da tempo qui ci aspettiamo di dover affrontare.

Il presupposto è che oggi come ieri Giavazzi è saldamente dalla parte di politiche redistributive a favore del capitale, dalla parte dell’abbattimento dei salari reali a favore di profitti e rendite. Per un po’ lo strumento di questo obiettivo è stato l’euro, con la deflazione salariale cui esso necessariamente conduceva. Ora che l’euro ha esaurito il suo potenziale distruttivo, perché la deflazione salariale ci ha riportato in equilibrio con l’estero, per proseguire sulla strada delle politiche Hood Robin occorre altro, e questo altro, come ci siamo detti, è il green, il proseguimento della lotta di classe al contrario realizzato sussidiando le imprese per gonfiarne i profitti, e abbattendo i salari reali tramite un innalzamento dei prezzi dei prodotti.

Politiche simili generalmente conducono a una crisi di domanda, ma di questo Giavazzi, che è offertista, non si cruccia, verosimilmente perché nemmeno se ne rende conto. La preoccupazione di Giavazzi è un’altra: che gli elettori europei votino contro politiche che li impoveriscono. L’indignazione di Draghi, pardon: di Giavazzi, di fronte a una simile mancanza di riguardo è palpabile, ma siccome entrambi desiderano (per il momento) mantenere un’apparenza di democrazia, un rimedio occorre trovarlo. La risposta è semplice: ai sussidi alle imprese vanno aggiunti sussidi ai lavoratori, un reddito di Giavazzanza finanziato con debito (rigorosamente europeo) che tenga tranquilli i lavoratori vicino al livello di sussistenza, e che “le generazioni future” ripagheranno perché in cambio avranno avuto un mondo più pulito.

Per bocca del suo pupazzo il ventriloquo Draghi ci fa finalmente sapere quale sia il debito buono: quello contratto per erogare sussidi, e per finanziare il riarmo! La logica sottostante è piuttosto chiara, e poco importa che i sussidi non siano di per sé un paradigma di spesa produttiva, e gli armamenti siano invece per definizione spesa distruttiva. Siamo ormai arruolati: un esito che non dovrebbe stupire chi mi segue da un po’, perché non ho fatto molto per nasconderlo:

C’è ovviamente da preoccuparsi, per tanti motivi. L’assurdità dell’esercito unico europeo in un contesto in cui non si riescono a gestire con sufficiente tempestività e con obiettivi condivisi neanche quel minimo di strumenti economici che si sono messi in comune dovrebbe balzare agli occhi di tutti, e comunque l’abbiamo ampiamente sviscerata in altre sedi, analizzando la Security and Defense Union. Una declinazione del “più Europa” particolarmente inquietante. Dobbiamo però restare freddi e infilarci in questa crepa dialettica del mainstream, allargandola a nostro vantaggio. Del ragionamento tendenzioso e grossolano di Giavazzi dobbiamo tenere solo un pezzo: fare debito pubblico non necessariamente danneggia chi viene dopo. E a questa verità lapalissiana dobbiamo aggiungere un risoluto: anzi!

Anzi!

Non è danneggiando i genitori, abbassando il loro livello di reddito, di istruzione, di salute, che potrai salvare i figli! Non è abbattendo gli investimenti che si incrementa la produttività, e noi, come ricordai in aula al ventriloquo di cotanto pensatore, siamo stati l’unico fra i grandi Paesi europei ad avere investimento netto negativo, cioè distruzione di capitale fisico:

ovviamente in coincidenza con il massiccio taglio di investimenti pubblici di cui nessuno si ricorda:

Non è corretto dire che il debito pubblico “non è necessariamente” un “onere scaricato sui giovani di domani” che “dovranno ripagare il debito che oggi si emette”. Non è vero perché i giovani domani non dovranno ripagare nessun debito: sarà il mercato a rinnovarlo, se domani ci sarà sufficiente crescita, e quindi sufficiente gettito fiscale, per pagare gli interessi, ma la crescita ci sarà se ci saranno sufficienti lavoratori e sufficiente capitale fisico. Ne consegue che le politiche di austerità non aprono, ma chiudono spazi fiscali nella misura in cui distruggendo capitale umano e fisico prendono il Paese meno produttivo, intaccano la sua capacità di creare valore, e nella misura in cui distruggendo reddito fanno crescere, anziché calare, il rapporto debito/Pil.

Lo abbiamo preannunziato, è successo, ora tutti possono vederlo coi loro occhi.

E quindi il debito non va contratto per tenere buone, sussidiandole, le vittime di politiche regressive, le vittime dell’austerità: va contratto per fare politiche progressive, di investimento e non di sussidio.

A loro fa paura che voi lo capiate e vi regoliate di conseguenza a giugno. Ve lo dicono pure! Più di questo che cosa volete?

Restiamo saldi e non cediamo alle provocazioni.

Buona serata e buona settimana!

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“Il reddito di Giavazzanza e la scoperta della partita doppia” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.