Il MES e l’OMS

Un paio di giorni fa, affacciandomi alla cloaca nera, mi sono imbattuto casualmente in questo tweet degli amici di RadioRadio, fra i pochi con cui parlo volentieri perché mi hanno dato voce quando non erano costretti a farlo:

Mi è venuto spontaneo commentarlo:

citando un episodio di cui ero stato protagonista, verosimilmente dimenticato da molti dei pochi che lo conobbero all’epoca. Non da tutti, però, tant’è che Sherpa810 mi rispondeva così:

facendomi trasalire: quello che vedevo era un tweet di una mia chat! Com’era possibile?

Era possibile perché il 3 dicembre 2019 Claudio era andato a Omnibus a raccontare, appunto, quello che mi era capitato il 12 giugno di quell’anno, e lo aveva fatto con dovizia di particolari, al punto da fornire alla regia un mio Whatsapp, su mia autorizzazione conferitagli alle 19:13 del giorno prima (come risulta dagli archivi), che ovviamente mi ero dimenticato di avergli dato, e che sarebbe comunque stata superflua. Dell’intuito di Claudio mi fido abbastanza!

La gravità dell’evento però non sconvolse nessuno: i migliori amici dell’uomo (che si vuole informare) non fecero titoloni né allora né dopo per evidenziare che il testo di un Trattato così importante era stato scrupolosamente sottratto al vaglio parlamentare, prima di approvarlo in sede europea, facendo strame di quanto l’ordinamento prevede sulla partecipazione del parlamentari nazionali al processo legislativo europeo, disciplinata dalla cosiddetta “Legge Moavero”, e in particolare dal suo articolo 5:

“Il Governo informa tempestivamente” non si traduce con “il Governo ti rinchiude in una stanza con un giovane e brillante consigliere parlamentare degradato al ruolo di bidello durante il tema di italiano delle scuole medie”…

Perfino i giornaletti de l’asinistra, quelli che tanto si erano commossi per le vicende del memorandum greco (approvato come poi qui è stato approvato il PNNR), o del TTIP (sottratto allo scrutinio parlamentare in modalità analoghe a quelle qui applicate alla riforma del MES), non avevano fatto nemmeno “pio” di fronte a cotanta enormità, del tutto ingiustificata. In effetti, quando Alessandro Rivera, un altro dei protagonisti di questa vicenda, in un incontro a margine di una delle mie tante visite al MEF, il primo aprile del 2019, mi aveva opposto l’obbligo di segreto professionale stabilito dall’art. 34 del Trattato, io ancora non sapevo, perché ancora non me lo aveva detto Alessandro Mangia, che me lo avrebbe detto il 7 gennaio del 2020, che per esplicita clausola della dichiarazione interpretativa stipulata in sede di ratifica:

a un parlamentare il segreto non poteva essere opposto!

Che questa cosa non la sapessi io era abbastanza grave: evidentemente non avevo studiato abbastanza. Che non la sapesse Rivera, però, era un po’ difficile, o forse no, considerando i tanti “successi” collezionati nella sua carriera di civil servant.

Ma questo è il passato.

Una legge non assistita da sanzioni tranne quelle di tipo politico e reputazionale non è, nei fatti, una legge (non se ne dispiaccia l’ottimo Prof. Moavero Milanesi): praticamente tutti i rapporti fra il nostro Parlamento e il Parlamento europeo avvengono in violazione o disapplicazione di quella legge, senza che si sappia a che santo rivolgersi (alla Corte Costituzionale?… Lasciamo stare…), e quindi possiamo dire che la prassi regna sovrana (e va bene così). La sanzione politica di questa scorrettezza abominevole c’è stata: il voto del 21 dicembre scorso contro la ratifica. Questo conta, e il resto lo lasciamo alle nostre memorie.

Fatto sta che io il passaggio televisivo del 3 dicembre 2019, che peraltro faceva seguito anche a un passaggio parlamentare in cui Claudio, sempre consultandosi con me, mi aveva chiesto (il 29 novembre) di citare l’episodio, me lo ero perso, e questo mi ha dato spunto per rivedere e mettere in sicurezza un po’ di cosette.

Ad esempio, la chat in cui quel Whatsapp era stato diffuso. 

Trattasi di uno dei 64 gruppi in comune con Claudio, cui se ne aggiungono almeno altri 37 cui Claudio non partecipa (come lui ne avrà cui non partecipo io), tutti creati per il coordinamento delle attività parlamentari a vario livello (con membri di Governo, senza membri di Governo, con gli alleati, senza gli alleati, circoscritte o non circoscritte agli uffici di Presidenza, circoscritte o non circoscritte a un ramo del Parlamento, congiunte con più Commissioni, dedicate a un particolare provvedimento – ad esempio la legge di bilancio – o a una particolare area tematica, ecc.). E qui sto parlando, ovviamente, della legislatura precedente, dalla quale non tutti i gruppi sono stati ereditati (alcuni sono stati rifatti tenendo conto dei nuovi ruoli e della nuova composizione dei gruppi, altri sono caduti in desuetudine, ecc.). Per dire, e per far capire che cosa fa un “capo dipartimento economia”, dei 64 gruppi in comune con Claudio 35 li ho messi su io, 3 lui, e 26 sono stati tirati su da una ventina di altri soggetti vari (otto sono stati creati da membri di Governo, quattro da collaboratori, altri da colleghi parlamentari…). Quando qualcuno rimarca che c’è tanto lavoro che non si vede, ha ragione! E la parte più ingrata ma essenziale del lavoro è coordinare il lavoro degli altri, cosa che si fa prevalentemente per messaggio: il modo più pratico di tenere tutti allineati, di commentare la rassegna stampa, di condividere bozze di documenti, di darsi appuntamenti volanti nei ritagli del tempo di aula, ecc. Sono le tre ore al giorno che passo su Whatsapp di media, a “giocare” col telefonino (secondo i fascisti delle statistiche), spesso per alzare le palle che altri schiacciano: l’uomo macchina vive nell’ombra, e va bene così. Questo, del resto, è uno dei tanti motivi per cui la retorica del “proporzionale puro” con cui “erbobolobuonogiustoesando” eleggerebbe “erijorerappresentanteviscinoarderidorio” non mi convince particolarmente. Un simile meccanismo crea un sistema di incentivi che spinge a fare casino inutile (per avere visibilità sul “deridorio”), non lavoro utile.

Ma di questo parleremo in altre occasioni.

Ho così ripercorso la storia di quel gruppo ristrettissimo (quello che era finito sullo schermo di Omnibus):

scoprendo una cosa che avevo dimenticato: quel gruppo lì, che è ancora oggi il più attivo, era stato creato nel pomeriggio del 12 giugno 2019 in risposta a una condizione di emergenza: sapevamo che Conte si accingeva a approvare una riforma di cui non conoscevamo i contenuti e dovevamo gestire questa situazione incresciosa. Ricordo l’angoscia di quei giorni, la rabbia con cui sperimentavamo l’impossibilità di indirizzare il “nostro” Governo, di assicurare la fedeltà di Conte nelle sedi europee (difficoltà ampiamente esemplificata da questo episodio), l’imbarazzo dei funzionari, lo sforzo per mantenere freddezza di fronte a un dissimulatore pericoloso…

Ecco, nel pensare a quei momenti, alle riunioni nel salottino giallo di Chigi, ai sussurri scambiati in anticamera, allo sconcerto degli alleati, a tante concitate emozioni, al fatto che su quella roba lì, cinque anni fa, avevamo fatto cadere Conte (perché quello che i coglioni chiamano il Papeete in realtà era stato il discorso di Pescara, e dietro quel discorso c’era anche questo episodio, che aveva convinto alla fine, buoni ultimi, anche me e Claudio che si dovesse passare con gli “staccaspinisti”, che erano la stragrandissima maggioranza, e direi la totalità dei membri di Governo…), nel pensare a tutto questo mi veniva da fare qualche riflessione sul tempo, sui frutti che porta, e sull’usura che procura.

Partiamo da qui.

Quando, il 21 dicembre dell’anno scorso, intervenni in aula:

restituendo a tanti piccoli Efialte quanto gli dovevo, quando schiacciai la testa del serpente premendo il tasto rosso, non provai quella gioia, quel sentimento di liberazione, che cinque anni prima, se mi fossi potuto immaginare quel momento, avrei pensato di provare. La sensazione era quella nota a chi legge Proust:

Mais tandis que, une heure après son réveil, il donnait des indications au coiffeur pour que sa brosse ne se dérangeât pas en wagon, il repensa à son rêve, il revit, comme il les avait sentis tout près de lui, le teint pâle d’Odette, les joues trop maigres, les traits tirés, les yeux battus, tout ce que – au cours des tendresses successives qui avaient fait de son durable amour pour Odette un long oubli de l’image première qu’il avait reçue d’elle – il avait cessé de remarquer depuis les premiers temps de leur liaison dans lesquels sans doute, pendant qu’il dormait, sa mémoire en avait été chercher la sensation exacte. Et avec cette muflerie intermittente qui reparaissait chez lui dès qu’il n’était plus malheureux et que baissait du même coup le niveau de sa moralité, il s’écria en lui-même : « Dire que j’ai gâché des années de ma vie, que j’ai voulu mourir, que j’ai eu mon plus grand amour, pour une femme qui ne me plaisait pas, qui n’était pas mon genre ! »

Sì, va bene, avevo, avevamo vinto, ma poi? Tante passioni, tanti sforzi, a quale pro?

Nei 1653 giorni passati da quel 12 giugno 2019 avevamo lasciato per strada tanti amici che avrebbero voluto assistere a quel momento: da Antonio a Emanuele (e Marco ce l’ha fatta per un soffio), ma oltre a questi assenti giustificati avevamo perso per strada tanti… non so come definirli: grillini? Imbecilli? Vigliacchi? Sicuramente tanti deboli (di intelletto e di tempra) incapaci di capire che per schiacciare quel tasto il 21 dicembre, al 21 dicembre bisognava arrivarci, e che tante scelte da loro non capite una sola logica avevano: quella di resistere, di tenere la posizione.

Sì, per schiantare il MES (e Draghi) bisognava cuccarsi Draghi: un altro percorso non c’era, e se chi non lo capiva ex ante era giustificato, perché ex ante anche noi abbiamo avuto tanti dubbi e tante esitazioni, chi non vuole capirlo ex post è solo uno spregevole elminto. E la tristezza, in questo caso, non è tanto nell’aver perso per strada una simile viscida zavorra, quanto nel non essersi accorti di averla caricata a bordo, nell’essersi illusi di aver aggregato, parlando con razionalità e sincerità fin da quando avevo tutto da perdere nel farlo, persone ugualmente razionali e sincere. Non era così. Le contumelie degli sciocchi una certa usura l’avevano provocata. Era, più che altro, il dispiacere di non poter condividere il raggiungimento di un obiettivo anche con chi apparentemente lo aveva condiviso, ma non era arrivato, con la sua testa, a condividere i mezzi per conseguirlo. Questi mezzi non li avevamo scelti noi! Con una Lega al 40% le cose sarebbero andate in modo diverso, ovviamente. Questi mezzi li avevate largamente scelti voi, e c’era qualcosa di ingiusto, e anche di logorante, nel fatto che veniste a rinfacciarceli. Tanto per essere chiari, se avessimo lasciato libera di operare in Italia la maggioranza Ursula, anche la riforma del MES sarebbe passata subito in carrozza.

Usura, quindi, e incapacità di godersi, sia pure per un attimo, a livello emotivo, l’obiettivo raggiunto.

Certo.

Ma intento l’obiettivo era raggiunto, e questo ci diceva che 1653 giorni dopo non eravamo nella stessa condizione di 1653 giorni prima: avevamo portato a casa, scegliendo l’unico percorso che la SStoria ci aveva reso praticabile, un obiettivo che voi ci avevate chiesto di portare a casa. Vi avevamo dimostrato che votare, e aspettare, serve. Anche perché, per dirla tutta, quella storia non era iniziata il 12 giugno del 2019, ma molto prima. La storia della riforma del MES per noi era iniziata con questo scambio di messaggi in un’altra chat di coordinamento con Bruxelles:

(ovviamente messa su dal solito noto), ma la nostra attenzione era molto risalente, risaliva a quella telefonata dal 2012 (“Professòòòòòòre!”), e insomma un po’ di lavoro fatto lo trovate qui.

Dodici anni di lavoro per una vittoria di cui non ho potuto gioire quanto avrei immaginato, ma che indica pur sempre un progresso, il che, detto fra noi, mi rende incomprensibile l’atteggiamento di molti che vogliono negare che delle vittorie siano state conseguite, e che si abbandonano allo sconforto e al disfattismo.

Mi veniva anche da fare un’altra riflessione.

Il famoso tweet di Claudio sul MES, pubblicato il 28 giugno del 2023, il 19 luglio, cioè 21 giorni dopo, aveva fatto un milione di visualizzazioni. Il tweet sull’OMS, pubblicato l’11 febbraio di quest’anno, è ancora a un milione oggi, cioè 56 giorni dopo (nella giornata mondiale della salute, peraltro). Insomma, il tema OMS viaggia a metà della velocità. Eppure, ad affacciarsi nella cloaca nera, per un po’ sembrava che a nulla teneste più che a difendervi dall’OMS e dalla sua gestione della sanità globale!

Anche da qui, secondo me, ci sono un paio di lezioni da trarre, e sono contrastanti.

La prima è che non bisogna darvi retta: gli strepitanti sono una minoranza, per lo più nella stragrande maggioranza dei casi animata dall’unico desiderio di sottrarci voti, non di risolvere problemi, e quindi meglio non curarsene e non darle guazza. Tanto, se i numeri non ci sono, poi non si vedono: esattamente come non si stanno vedendo sotto al tweet dell’OMS (per carità, un milione è un milione, ma se hai molti follower e tieni fissato un post prima o poi ci arrivi:

Il punto è in quanto tempo ci arrivi: se ci sono numeri ci arrivi in fretta, come nel caso del MES, se invece i numeri sembra che ci siano, ma non ci sono, perché gli strepitanti sono i soliti quattro gatti per di più nemici, non ci arrivi in fretta).

La seconda è che bisogna darvi retta, bisogna dedicarvi tempo. La riforma MES riguarda il vostro portafogli, ed è una cosa abbastanza esoterica (single limb CACS, maggioranze qualificate, capitale sottoscritto e versato, SRF backstop: siete sicuri di sapere tutti di che cosa stiamo parlando?). L’OMS riguarda la vostra pelle ed è una cosa abbastanza esplicita: “al prossimo starnuto vi chiudiamo in casa e buttiamo la chiave” (banalizzo, ma insomma ci siamo capiti: lockdown è parola più intelligibile di backstop). Ci siamo spesso chiesti perché la riforma del MES catalizzasse tanta attenzione. Non ci siamo ancora chiesti, forse lo faremo domani dopo aver letto questo post, perché l’OMS, che in fondo è un pericolo più grave ma anche più arginabile (dato che non riscontra a livello mondiale l’unanimità che il MES aveva riscontrato a livello europeo) non riesce a mobilitare altrettanta attenzione, per di più in un pubblico che dovrebbe essere galvanizzato dal fatto di aver appena conseguito una vittoria importante, quella sul MES (ma galvanizzato non è: lo dimostrano i numeri del #midterm e quelli del tweet OMS). Credo che la risposta sia, appunto, che bisogna darvi retta, che bisogna dedicarvi tempo. Dietro al tweet sul MES c’erano oltre dieci anni di lavoro, fatto in particolare qui, in tante discussioni, poi in tutti gli incontri organizzati da a/simmetrie, in infiniti nostri incontri pubblici in giro per l’Italia. Il tema OMS nasce su Twitter, un Goofynomics sanitario non c’è (ci sono tanti bravi ragazzi, ma…), il lavoro sottostante in termini divulgativi è quindi relativamente inferiore, al di là degli strepiti di qualche Erinni strepitante spesso sul nulla… sul nulla e dal nulla nasce il nulla, o almeno il poco. E questa forse è un’altra spiegazione del perché certi temi appassionino più di altri: perché hanno radici più lunghe.

Ma forse ce n’è un’altra ancora: quello che ci ha riuniti qui è stata la coscienza di quanto fossero pericolose, oltre che odiose, le istituzioni europee, e il MES appartiene al loro infausto novero. Non è stato semplice, ahimè, forse perché ci si è investito poco (io ci ho scritto un libro e qualche post, ma evidentemente il core business era un altro) trasmettere la consapevolezza che il problema è un pochino più ampio, che le istituzioni che esercitano un potere invasivo sulle nostre vite, tanto più difficilmente arginabile quanto più indiretto e sottile, sono tutte quelle della globalizzazione, e quindi l’OMS, ma anche l’OCSE (che tanto ha da dire e consigliare ad esempio sui nostri figli o sulle nostre pensioni), l’IEA (che tanto ha da dire sul nuovo feticcio della sinistra, il clima), ecc.

Per ritornare a essere arbitri del nostro destino è tanto necessario liberarsi dal cappio europeo quanto dalla rete di questo soft power. Senz’altro un vaste programme, non lo discuto. Ma se siamo riusciti a liberarci del MES, potremmo anche liberarci dall’OMS. Le condizioni sono due: crederci, ed essere presenti.

Per questo motivo, chi ancora non l’ha fatto vada a sostenere il tweet di Claudio, e si ricordi che al #midterm c’è ancora posto: sta a voi dare il segnale, e il primo errore da non fare è pensare che “tanto lo darà un altro”.

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“Il MES e l’OMS” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.