Il “green” e la lotta di classe

Non vi intratterrò a lungo e preferirei non intrattenervi per nulla. Purtroppo però da un lato non posso dare per scontato che l’ovvio sia tale per tutti, e dall’altro mi infastidisco quando qualche tardivo enunciatore dell’ovvio viene portato sugli scudi come un novello Keynes (o Marx, o Smith). Mi corre quindi l’obbligo questa sera di repertarvi succintamente l’ovvio.

Una proposta di policy che preveda da un lato massicci sussidi pubblici alle imprese per sostenerne i profitti, e dall’altro un’erosione del salario reale, realizzata inducendo coattivamente i lavoratori ad acquistare beni più costosi, determina in re ipsa una redistribuzione del reddito dal lavoro al capitale, ed è quindi la cara vecchia lotta di classe al contrario che avevamo imparato a riconoscere, in diverso contesto, nel post genetico di questo blog.

Il green è questo: sussidiare, nel nome di un fine superiore, aziende che non hanno mercato, e comprimere, nel nome di un fine superiore, i salari reali dei lavoratori dirottandone la spesa su prodotti più cari (vuoi a causa delle innovazioni tecnologiche – fuori mercato – che incorporano, vuoi a causa della tensione inflattiva che l’eccesso di domanda di alcune materie prime necessariamente determina e determinerà).

Si può argomentare che ciò conduca a un mondo migliore, in particolare che nel lungo periodo, quando sarete tutti morti, questo condurrà a un mondo di energia facile e a buon mercato, al Paradiso Terrestre. Qualcuno potrebbe essere interessato ad argomentarlo ma a me qui e ora non interessa discuterlo. A me qui interessa solo evidenziare il fatto che la proposta green come oggi è articolata si traduce in una politica redistributiva fortemente regressiva, che danneggia i ceti deboli e avvantaggia il grande capitale. Questo è il motivo per cui piace tanto al WEF, non certo la devozione al Grande Capro o altre baggianate da bollicina di metano social.

Per chi sta qui queste dovrebbero essere #lebbasi, i ferri del mestiere!

Nel diciannovesimo post di questo blog avevamo messo bene in evidenza il legame fra ecologismo e austerità, e quello che scrivemmo in quel post che all’epoca fece molto discutere resta tutto valido. Tout se tient: i gatekeeper salvatori di Ursula erano anche quelli della decrescita e della biowashball. L’invito a comprimere i consumi nel nome di un fine superiore era strettamente connesso alla necessità di rendere socialmente accettabili (in nome di un fine superiore) politiche di compressione dei consumi, cioè, appunto, l’austerità, la distruzione di domanda interna necessaria a riequilibrare la nostra posizione netta (meno reddito, meno consumi, meno importazioni, meno deficit estero).

Il green è solo una versione esasperata e per certi versi caricaturale (dall’austerità dei Savonarola decrescisti alle treccine della bimba climatista) della stessa storia.

Con questo non si vuole negare alcunché. Semplicemente, si vuole far notare che, come già fu con l’euro, i saccenti coglioni soloni “progressisti” sono gli utili idioti di un progetto regressivo che colpisce per prime le classi sociali che la “sinistra” nasceva in qualche modo per proteggere, un progetto che presenta rilevanti margini di irrazionalità all’interno della propria stessa metrica (se il problema è la CO2, allora facciamo i conti su quanta ne produce un’auto elettrica nel suo ciclo di vita), un progetto che avrebbe alternative che nessuno vuole considerare, e che poi sono quelle di cui vi parlavo nel Tramonto dell’euro:

Il secondo punto di questa lista è quello che oggi si chiama “mitigazione”, una strada che nessuno vuole intraprendere perché è fatta di investimenti pubblici diffusi sul territorio e che generano occupazione: ma alle grandi imprese i sussidi (che hanno una ricaduta concentrata e diretta nei loro profitti) fanno molto più comodo degli investimenti (che hanno una ricaduta diffusa sul territorio), e quindi il discorso prevalente è orientato nel modo che sappiamo: quello di una nuova economia di comando green e ESG il cui scopo è riproporre, in altre e più nobili vesti verdi, quello che detto da Warren Buffet agli utili idioti verdi sembrerebbe inaccettabile (ma sono loro i primi a contribuire alla sua concreta realizzazione)! Una volta che il discorso è orientato così, la politica ha difficoltà a imprimere un corso diverso, quand’anche lo volesse, e comunque non può agevolmente farlo, non in una colonia governata a botte di direttive e regolamenti decisi altrove (un altrove dove i cittadini si sono ampiamente rotti i coglioni e lo stanno dimostrando, peraltro…).

Come Carlo Cipolla ci ha spiegato, si può essere stupidi in una infinità di modi, e quindi, come dire: accomodatevi, l’ospitalità è sacra! Vi esorto però a evitare un particolare modo di essere stupidi: venirmi a dire che sono un negazionista. Io qui non sto parlando del problema, ma delle soluzioni, anzi, dell’unica soluzione che viene proposta, e vi sto dicendo che questa proposta redistribuisce soldi dalle vostre tasche a quelle di chi le ha già piene (e vi sto anche dicendo che non sarebbe l’unica proposta, e che ce ne sarebbero di meno regressive in termini di distribuzione del reddito).

Chi nega questo semplice dato economico non è un negazionista: è un coglione. E come diceva la mia nonna, pe’ malati c’è la china, pe’ verdi non c’è medicina!

E ora dite la vostra, che io la mia l’ho messa a verbale.

P.s. del giorno dopo: sto mandando in spam tutti i commenti che mi suggeriscono l’imperdibile video del prof. Shapiro della Chattanooga University il quale dimostrerebbe che ecc. (fregnaccia naturalistica a piacere). Qui il tema è un altro e sono grato a chi si atterrà ad esso.

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“Il “green” e la lotta di classe” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.