I tuttosubitisti e il giorno della marmotta

(…latrati, latrati ovunque…)

In fondo sono un ingenuo.

La settimana precedente iGiornali avevano detto che saremmo combusti, e io, che come sapete de iGiornali ho massima stima e rispetto, ci avevo creduto. Dovendo recarmi nel mio collegio, mi ero quindi posto il problema di come sopravvivere al settimo cerchio, o alla settima cornice. Avrei potuto trattenere il fiato per una settimana, rinunciando ad arricchire di CO2 l’atmosfera. I benefici sarebbero stati immediati (io ci credo, perché credo ne Lascienza che decide a maggioranza, a differenza di quei negazionisti neolibberisti del WSJ), ma sarei morto. Ritenendo inappropriato un simile eccesso di altruismo, mi lambiccavo il cervello alla ricerca di una ipotetica soluzione di second best… finché non mi soccorse un’illuminazione. Atteso che, per motivi di fisica dell’atmosfera a me del tutto ignoti, la temperatura di norma e in media diminuisce con la quota (mistero! Eppure l’aria fredda è più pesante…), forse sarebbe semplicemente bastato, per evitare la fine di Jeanne, trovarsi un albergo in quota. Del resto, se gli Aldobrandini decisero di costruire la loro villa a Frascati, e non, per dire, a Coccia di Morto, avranno avuto le loro ragioni. Seguendo l’antica saggezza dei mercanti fiorentini, mi sono quindi prenotato un posto in alto, molto in alto, ma rigorosamente nel mio bel collegio.

Lasciata l’autostrada a Scafa, mentre salivo da Lettomanoppello, a un tornante mi si palesa un affaccio meraviglioso sulla Val Pescara: il Gran Sasso, le montagne di Campli e dei Fiori, il Conero…

Arrivo, mi installo nella mia stanzetta vista mare:

(sì, quello azzurro in fondo è il mare, prova evidente che la Terra è piatta, come direbbe er Piccozzetta “chiudendo il dibattito”…), mangio una cosetta (mi ero svegliato alle 5, appesantirsi sarebbe stato rischioso), e scendo lungo la val di Foro a Ortona:

dove avevo un appuntamento con un amico:

un alpinista che per lavoro si occupa di porti (e aeroporti, autostrade, ferrovie…). Mi aspettavo un’atmosfera simile a quella di Venere: il mare in ebollizione, una densa caligine, l’atmosfera satura di H2O (un gas serra più presente della CO2, che monopolizza ingiustificatamente il dibattito minor)

E invece, come si vede dalla foto precedente, un orizzonte inciso nello zaffiro, sei-sette nodi di brezza tesa da grecale, insomma: un bel freschetto, tant’è che dopo il convegno risalivo in disordine e senza speranza la val di Foro che avevo disceso con tanta orgogliosa sicurezza, pensando: “Se qui è così fresco, lassù mi congelerò…”.

Ma poi, alla fine, il fresco era sostenibile (con opportuno maglione), tant’è che quando l’aere bruno toglieva gli animai che sono in terra dalle fatiche loro:

io, sol uno, uscivo dall’Overlook Hotel per regalarmi questa vista meravigliosa:

che gli abruzzesi conoscono, e che in foto non rende, ma senza coprirmi di brina…

Ora, il fatto è che gli irriverenti giovani della Lega di Casacanditella avevano proposto circa un mesetto prima al decrepito onoré Bagnai una cosa che l’onoré voleva fare da quando era più giovane di loro: l’ascensione al Monte Amaro, la seconda vetta più alta dell’Appennino, e verosimilmente l’escursione più faticosa dell’Abruzzo, almeno fra quelle che hanno un senso (volendo, c’è di peggio: puoi farla partendo da Fara San Martino, ma allora devi fermarti a dormire su).

Io non andavo in montagna dal 30 ottobre scorso, quando avevo esagerato, salendo “a secco” (cioè senza preparazione) al monte Tartaro da Barrea, con in più l’aggravante di essermi fermato verso le 14:30 in un punto un po’ aperto, con un meraviglioso affaccio sul Greco:

per rilasciare questa intervista:

Ora, la montagna, si sa, è come la politica: scendere è più difficile che salire.

Evitare che la discesa si trasformi in caduta richiede in entrambi i casi un certo sforzo fisico e un grande sforzo mentale.  Lo penso ogni volta che vedo, dal loro banco di peón, ex ministri o ex presidenti intervenire in aula nell’indifferenza generale. Lo penso anche quando osservo la mia condizione attuale. All’inizio della scorsa legislatura ero il potente (?) Presidente della Commissione Finanze del Senato (ruolo oggi rivestito dall’amico Garavaglia). Ora sono il vicepresidente della Commissione Finanza della Camera, ma va bene così. Di lavoro ne ho tanto, a quanto dicono i bene informati:

In ogni caso non mi annoio e non sto fermo, e questo è l’essenziale. Viceversa, a ottobre, scendendo dal Tartaro fermarsi e raffreddare le gambe non era stata una buona idea. Qualche giorno dopo, i normali doloretti post-escursione si concentravano in un dolore acuto al ginocchio sinistro, molto fastidioso. Non riuscivo a alzarmi dalla sedia, mi era penoso usare il pedale della frizione, ecc. Mi ero affidato al tempo, che è sempre il medico migliore, ma niente. Convinto che fosse un problema al menisco, l’avevo tirata in lungo. Lascienza mi diceva che forse era il menisco, e che operandomi avrei risolto, ma io, che riconosco Lascienza quando la incontro, in mano a un ortopedico non mi ci volevo mettere. E poi a febbraio una risonanza (la scienza) aveva riscontrato che il menisco era sempre quello di cinque anni fa! S.A.R. l’aveva detto subito “Vai dalla fisioterapista!”, ma non c’ero riuscito fino ad aprile. Non era il menisco, ma una contrattura del tibiale. A maggio stavo in piedi. A giugno correvo.

Però l’escursione più faticosa dell’Abruzzo…

Perché il dislivello da La Fàrə certo è maggiore (2400 metri), ma è meglio distribuito, come avrete visto su Wikiloc (perché voi cliccate sui link, vero?):

mentre quello dal Pomilio è la metà, ma è distribuito in modo un po’ infelice:

Parti quasi in piano, poi hai un balzo di circa 600 metri, e poi, quando hai le gambe belle cotte, ci sono tre saliscendi da poco meno di 200 metri l’uno (i tre portoni) che, se non ti resta un po’ di testa, ti sfibrano. Senza contare, ovviamente, che una salita, vista dall’alto, somiglia tanto a una discesa, cioè a una contrattura del tibiale. Per non dire, poi, che mancavo da anni dall’ambiente di alta montagna, che le mie scarpe erano rotte, ecc.

Ma agli impertinenti giovani della Lega (e non) non potevo darla vinta.

E così, con santa pazienza, due settimane prima, per ambientarmi, mi ero affacciato al versante orientale:

salendo alle 13 dal Balzolo verso la Madonna delle Sorgenti (itinerario, come saprete, sconsigliatissimo a quell’ora, a causa del caldo: ma io non sono uno snowflake: quello che non mi uccide mi rende più forte; in foto, lassù, in mezzo alle nuvole, si intuiva il sentiero che avrei poi percorso per salire in vetta…), poi ero andato a comprarmi delle scarpe nuove, ecc. Ovviamente, nei ritagli di tempo. Per esempio, al Balzolo c’era andato muovendomi da Paglieta, dove ero stato a festeggiare San Giusto, verso Bucchianico, dove andavo a festeggiare San Camillo de Lellis. Una piccola pausa di solitudine fra l’uno e l’altro impegno di presenza nel collegio:

Ritorniamo all’Overlook Hotel.

Il giorno dopo, che era il giorno prima dell’ascensione, ero indeciso se riposarmi o meno. Il saggio maître, che mi aveva diffusamente spiegato quanto l’escursione fosse faticosa, e che lui cinque anni prima, quando era allenato, ci aveva messo cinque ore, ecc., mi consigliava di muovere due passi, e io, visto che dovevo provare le scarpe, un po’ tardi, verso le 9, decidevo di dargli retta.

Vox populi, vox Dei.

Colgo l’occasione per fugare un equivoco. Io non sono cattivo. Se viene da una persona che sa di che cosa sta parlando, accetto anche un consiglio non richiesto. Fatto sta che nei social il -248% delle persone non sa di che cosa stia parlando, e questo ovviamente non mi predispone al dialogo.

Ero talmente disabituato alla montagna che dal pezzo di sentiero che già avevo percorso una quindicina di anni fa, quello per il Blockhaus e Monte Cavallo, mi venivano le vertigini sia guardando verso l’alto, verso il sentiero che non avevo ancora mai percorso:

che verso il basso, verso il sentiero che avevo percorso due settimane prima:

(se ingrandite forse lo vedete). Eppure il sentiero in quota mi era noto ed era comodissimo: una traccia pulita protetta dalle fronde e dall’aroma balsamico dei pini mughi:

L’esperimento era comunque riuscito: le scarpe funzionavano. A sera, una cena digeribile:

lu rentrocele fatto in casa, col sugo di castrato, e mezzo litro di Montepulciano di Villamagna: glucidi e serotonina per affrontare con sicurezza l’ascensione.

Il giorno dopo siamo partiti sul serio. Solita sveglia alle 5:30, con alba sul mare Adriatico dalla finestra:

e poi via. Il Sole si alzava rapidamente, riflettendosi sul mare oltre la montagna d’Ugni:

noi ci fermavamo alla penultima sorgente:

prima di affrontare i 600 di dislivello, quelli che secondo tutti sono così faticosi, e che visti da lontano sembravano appesi al vuoto, mentre da vicino erano così:

Una roba sufficientemente geriatrica, insomma, e quanto alla fatica basta usare la testa per non sentirla. Se l’altezza ti chiama, il corpo segue, e quando dietro lo spigolo del Focalone trovi questo:

hai solo un desiderio: vedere cosa c’è dopo. E per vederlo, devi seguire i saliscendi della cresta a destra nella foto. In alto la cresta si appiattisce, chi sa dove sono vede il Manzini e il Pelino persi nel paesaggio lunare:

e a destra, salendo, le gigantesche colate di ghiaia che scendono verso il vallone dell’Orfento:

finché, superato un passaggio un po’ esposto (quel minimo che richiede attenzione, considerando che cadere non sarebbe fatale, ma neanche gradevole…), non ci si affaccia sull’ultimo gradone:

e qui il punto più alto è in effetti la vetta, adorna di uno di quegli orribili simboli divisivi di cui tanto si è parlato (e non so come sia andata a finire la storia):

(in cinque ore, naturalmente: come uno allenato, perché la testa è allenata).

Deposti gli zaini:

si studia geografia su una cartina vivente, sul plastico in scala 1:1 di un bel pezzo dell’Italia centromeridionale: dal Fucino alle Tremiti, dal Conero alle Mainarde, dai Pizzi al Gran Sasso, e si prova anche a mangiare qualcosa, stranamente senza grande appetito, perché il cammino è appagante. Capisci allora quanto quella fame rabbiosa che ti viene in aula alle 11:59 nulla abbia di fisiologico, sia tutta chiamata dalla tua ansia di sbranare qualcuno, che si converte, per decenza, in ansia di sbranare qualcosa. Ma dove quel qualcuno non arriverebbe mai, puoi anche camminare 11 ore senza voler sgranocchiare un cracker.

Poi ci si volge al ritorno, ed è lì che senza un minimo di fortezza i saliscendi dei Tre portoni possono essere un po’ incomodi:

Ovviamente i giovini correvano:

(mortacci loro!) ma io preferivo andare al mio passo. Di fare “il tempone” mi importava il giusto (zero), di evitare un altro semestre col ginocchio avariato molto di più. E poi, bisogna anche godersi il panorama! Vedere il Morrone dall’alto non ha prezzo:

dietro quella montagna verde c’è Sulmona, e subito sopra il mio cappello si vede il Fucino. Del resto, se dal Fucino vedi la groppa bianca della Maiella, dalla Maiella devi vedere il Fucino: funziona così (con preghiera ad Alberto49 e a quell’altro di non ricominciare a litigare sulla teoria della relatività: facciamo finta che le onde elettromagnetiche, che in fondo non sappiamo cosa siano, seguano un moto rettilineo).

Ci lasciamo dietro le spalle anche il passaggio “delicato”:

e di saliscendi in saliscendi:

torniamo in cima al Focalone, da cui inizia la lunga discesa che riporta alla cresta del monte Cavallo, prima in vista del bivacco Fusco (quello giallo) di fronte all’anfiteatro delle Murelle (quello sì un po’ esposto, e infatti non ci voglio andare):

e poi giù, per ghiaie scomposte e gradoni accidentati, molto più fastidiosi in discesa:

giù, giù fino all’agognata meta:

E credo che all’Overlook che l’onoré tornasse intero e così presto non se lo aspettassero, ma c’è onoré e onoré. L’onoré autoctono, per dire, mi ha confessato di non esserci mai stato, nemmeno con l’elicottero: non gliene faccio una colpa, ha altri interessi.

Restava da capire quando e come mi sarei svegliato il giorno dopo.

Alle 8, con le gambe sciolte, non doloranti, e con una grande voglia di assaggiare la crostata che avevo preferito accantonare a cena!

Inutile dire che a questo punto se la mia fisioterapista mi dicesse di indossare un tutù fucsia e sacrificare un capretto sull’altare di Baal, io eseguirei immediatamente. C’è Lascienza, c’è la scienza, e ci sono i risultati. Che bastassero 75 secondi di un certo stretching per svegliarsi a 60 anni meglio di come mi sarei svegliato a 40 non lo avrei mai creduto, ma siccome non sono grillino, e quindi mi fido, l’ho fatto, e ho constatato il risultato.

Ora tocca al Gran Sasso, ma prima, alle 15, avevo un appuntamento all’Aquila, per un dibattito.

Dopo una breve sosta in camera, a scrivere un post sull’ego-ansia, sono partito lucido, rasserenato, ossigenato, andando incontro a quello che pensavo fosse uno dei soliti dibattiti, e che invece ha avuto dei momenti di interesse, perché eravamo pochi, ed eravamo a contatto. Questo ha concesso ai convenuti maggiore agio di rivolgere domande al relatore alfa, che ero, inevitabilmente, io, non tanto per il mio ruolo parlamentare (servus servorum Dei), quanto perché creatore del Dibattito (che non c’è). Di tempo ne è passato un po’ (quasi tre settimane), non sono sicuro di ricordare esattamente le espressioni utilizzate dai miei stimolanti interlocutori, ma il senso delle domande mi era chiaro, anche perché sono domande che mi pongo quotidianamente, e che di tanto in tanto discuto con le quattro persone di cui mi fido.

Il senso della prima (e tutto sommato unica: il resto erano apostrofi, invettive, grillanza de destra, su cui ci soffermeremo, ma cui è veramente difficile aggiungere valore, come a qualsiasi materia prima scarsa) era più o meno questo: posto che noi abbiamo un obiettivo comune, che è quello dell’autodeterminazione del nostro Paese, e che di alcuni snodi tecnici di questo obiettivo oggi si preferisce non parlare, per motivi tattici, noi elettori in che modo possiamo essere certi che voi politici stiate ancora lavorando a questo obiettivo?

Purtroppo non c’era streaming né ripresa, quindi non garantisco l’esattezza letterale (aggiungiamoci il solito vizio dei “dibattiti”, che è quello di trasformare le domande – frasi brevi che finiscono con un ricciolo – in comizi), ma il senso era questo. Prima di dirvi che cosa ho risposto, due rapide considerazioni. La prima è che al fondo di domande simili c’è sempre la grillanza, il partire dal presupposto che il tuo rappresentante voglia fotterti, probabilmente perché tu ragioni così! In questo senso, confesso di essere un rappresentante poco rappresentativo: non mi sento di rappresentare i tanti somaticamente furbastri che vengono a espormi la loro pregiudiziale sfiducia nei miei confronti. Chi io ritenga e desideri rappresentare dovrebbe essere chiaro dal lavoro che qui è stato svolto ed è tutto in consultazione pubblica. La seconda considerazione si lega appunto a questo lavoro: la vostra paura che io perda la bussola, che poi è anche una mia preoccupazione, visto che, per quanto possa saperne più di altri, onnisciente non sono, è stata oggetto negli ultimi tre anni di una serie infinita di commenti e dibattiti (per trovarli basta seguire il tag community).

Il fatto che il tema fosse stato ampiamente discusso, ovviamente, non rendeva la domanda superflua, e la risposta è stata più o meno questa: dobbiamo partire dal presupposto che quella del 2018 è stata una battaglia che ci ha visto sconfitti, come ha detto con appassionata eloquenza Nello Preterossi al goofy10 (dal minuto 7, ad esempio, ma ascoltate anche il minuto 12, insomma: rivedetevelo tutto). Siamo quindi di fronte a un bivio: prendere atto di questa sconfitta, analizzarne le ragioni, e adeguare il nostro comportamento, o rifiutarci di farlo. Le motivazioni della sconfitta sono piuttosto chiare ex post e, devo dire, grazie all’aiuto di tanti amici (primo fra tutti Luciano), a me erano abbastanza chiare anche ex ante: la confusione fra cattura del consenso e esercizio del potere. Una confusione, va detto, che sa tanto di grillanza: parte cioè dal presupposto che #aaaaabolidiga sia un blob indistinto, in cui i ruoli e le prerogative si confondono, una legione di fannulloni onnipotenti che se solo volesse potrebbe con un tocco di bacchetta magica cambiare il mondo, e che il presupposto necessario e sufficiente perché ciò avvenga è avere la maggioranza dell’organo legislativo (dimenticando che i poteri sono tre e che oltre al legislativo c’è anche l’esecutivo e il giudiziario, che, per inciso, è l’unico che può mettere in gabbia gli esponenti degli altri due…). La prima lezione da trarre, quindi, è che forse per cambiare le cose bisogna investire meno nella conquista del consenso e più nell’esercizio del potere, ovvero nel conquistare la lealtà e nel tutelare la competenza della macchina amministrativa (braccio del potere esecutivo) e nell’assicurarsi che le magistrature restino nell’alveo che la Costituzione traccia per loro (un alveo che, ricordo a me stesso, ovviamente a mero titolo di paradosso esemplificativo, non prevede l’uso della polizia giudiziaria a scopo di indirizzo politico). Ma non sono solo queste le istituzioni su cui una maggioranza deve appoggiarsi se vuole cambiare indirizzo al Paese: c’è anche tutto il mondo delle partecipate statali, che vanno dall’informazione (Rai) all’energia (Eni) alle infrastrutture (Fs) – ovviamente limito gli esempi per non tirarla troppo in là – e ci sono anche istituzioni informali, come il rutilante mondo dei media, e quello della cultura, che vanno coltivati, infiltrati, egemonizzati.

Come è possibile, amici cari, che in un Paese in cui l’uomo colto di sinistra è letteralmente un imbecille che non sa come si calcola una percentuale (ricordate il -248%, vero?), una persona digiuna dell’aritmetica elementare, una persona che ha letto il -248% dei testi che cita, sia così profondamente radicato il pregiudizio che la cultura sia “di sinistra”!?

Ecco: una cosa come questa devi superarla se vuoi vincere la guerra, perché se non la superi combatterai per sempre col pregiudizio che essere di sinistra sia fico, e che essere di destra sia segno di inferiorità culturale e quindi morale, e conseguentemente non riuscirai ad attrarre (se non coi soldi) le persone di valore necessarie per porre in essere un progetto politico. Ma da una palude simile non si esce a botte di maggioranza, e non si esce con la bacchetta magica. Se ne esce col tempo e col lavoro, un lavoro che ovviamente non puoi raccontare, proprio perché ti trovi in condizioni di inferiorità tattica strutturale: essere di destra è infamante, il che, fra le tante conseguenze, comporta anche che nessuno di quelli che vorrebbero essere con te ha il coraggio di dichiararsi per te o anche semplicemente di palesarsi a te, temendo per la propria vita professionale (il mobbing sinistro è qualcosa di inimmaginabile: so che qui pensate che sia nato con la punturina, ma chi c’era prima sa che non è così e ricorda quante ne abbiamo passate…). Anche solo sapere chi siano le persone competenti ma non nemiche del Paese è un’impresa non da poco, e non solo per un ovvio problema preliminare (ognuno ha diritto alla propria idea di Paese, ci mancherebbe altro: è assolutamente ovvio, ad esempio, che per una parte consistente della classe dirigente che abbiamo ereditato dal PD l’interesse del Paese lo si fa svendendolo a potenze estere), ma soprattutto per la difficoltà pratica di stringere relazioni e cercare in quelle relazioni la verità e la fiducia dell’altro, anche al di là dell’orientamento partitico.

Questo lavoro, piaccia o no, si fa da dentro, si fa occupando i palazzi. Da fuori non si può fare, semplicemente perché non ci sono occasioni per stringere relazioni con la macchina.

Da qui, la mia semplice risposta all’amico: “Posto che l’obiettivo strategico è chiaro e resta il solito, in termini tattici gli obiettivi politici sono tre: sopravvivere, non farsi rompere i coglioni dai media internazionali, e occupare il più a lungo possibile le posizioni conquistate. Solo in questo modo è possibile organizzare una resistenza efficace”.

I piddini non sanno l’aritmetica, non sanno la musica, non sanno niente: per questo mi dà molto fastidio quando qualche sciocco li chiama “comunisti”: i comunisti studiavano! Una cosa però sanno farla: sanno occupare il potere e sanno “investire in capitale relazionale” (modo elegante per dire: sviluppare una rete paramafiosa di fedeltà incrociate). Ci hanno fatto anche uno slogan, ricordate? #Facciamorete!

Bene!

Allora invece di lamentarci che “i comunisti, signora mia!, so tanto tanto cattivi!”, invece di confinarci in questa dimensione di chiacchiere da comare, impariamo da loro! I nostri avversari hanno messo su in settant’anni un carrarmato (sì, perché nel PD ci sono pezzi di una roba che governa l’Italia dagli anni ’50, laddove non ve ne foste accorti). Noi abbiamo diecimila cerbottane. Possiamo decidere di combatterli ora, scagliando sulle corazze avversarie le nostre palline di stucco, o possiamo in silenzio costruire il nostro carrarmato. C’è un’immagine qua sopra che non è un panorama e che dovrebbe farvi capire che questo non è solo un discorso teorico, che ci si sta lavorando.

L’elettore non lo capisce?

Beh, il grillismo è stato messo su apposta perché non capisca. Quindi capiamo, noi, e perdoniamo, perché tutto comprendere è tutto perdonare, che l’elettore non capisca, ma ci faremo bastare quello che abbiamo capito noi. Se per avere la òla sui social o il consenso di qualche sciroccato il prezzo da pagare è il bombardamento a palle incatenate da parte dei vari Rutters, Blumberg, Fainanscial taim ecc., lo spread, il ricatto dei mercati, ecc., anche no, grazie! Abbiamo già dato nel 2018. Vi ricorderete forse (non so se l’ho condivisa con voi) la mia icastica risposta a un ex studente (che fa l’olio buono) incontrato in campagna elettorale: “Professore, la stimo sempre come insegnante ma non la stimo più come politico!” E io: “Aiutame a ddì e sti cazzi! Ah! Me ne dolgo! E come mai?” E lui: “Perché lei non dice più così così e così!” E io: “Ma amico caro: se pensi che lo scopo del gioco sia prenderlo in quel posto, ti segnalo che quel posto ce l’hai anche tu!”

Invece lo scopo del gioco è un altro: tirarlo in tasca agli altri. E questo richiede metodo, pazienza, e silenzio (infatti ne parlo qui, nel blog che non c’è: non lo farei mai in pubblico)!

Interviene allora un altro fiero partecipante al dibattito, con una domanda che era una concione il cui senso, in definitiva, potrebbe essere riassunto così: “Voi siete andati al potere con slogan rivoluzionari e poi vi siete rimangiati tutto per restare attaccati alla poltrona [NdCN: poltrona lo ha detto: il fetido marker del grillismo si palesò!]. Ora venite anche a dirci che volete restarci attaccati il più a lungo possibile! Allora, visto che avete tradito [NdCN: ha detto anche questo!], tanto vale che noi elettori votiamo per partiti che ci promettono di restare fedeli ai loro ideali: la vostra ironia sugli zerovirgolisti è fuori luogo!”

Sì, non era esattamente un genio della politica, siamo d’accordo, e non ricordo come gliel’ho fatto capire, ma qui penso sia evidente a tutti: ci sarebbe intanto da ragionare su quali garanzie il partito dei puri dia di non “tradire”. Per carità, non metto assolutamente in dubbio l’integrità morale der sor Perepè o di quell’altro che fa i filmetti divertenti, ci mancherebbe! Gli abbiamo dato tante volte uno strapuntino ai nostri convegni, dove hanno imparato in ritardo le cose che ora vi ripetono fuori contesto e fuori tempo, attirando il consenso degli sciroccati, sono senz’altro persone per bene e in buona fede, ma la loro buona fede mi interessa quanto quella di Prodi. Provo affetto per loro, gli sono vicino nel loro immedicabile dolore, che è quello di voler essere me, senza essere me, riuscendo ad essere al massimo una caricatura di me, e però mi chiedo: come può uno che non è se stesso restare fedele a ciò che non vuole essere (cioè se stesso)? Capisco tuttavia che questa può sembrare un’osservazione personale, quindi la accantono. Resta però il tema politico. Perché un elettore dovrebbe buttare un voto al cesso?  Per dare un segnale che non arriva per l’inadeguatezza di chi dovrebbe trasmetterlo? L’inadeguatezza c’è, perché altrimenti al posto mio ci sarebbe un altro, no? Solo che così gli sbarramenti non si superano! E se anche si superassero, fra tre legislature arriverebbero a Roma dalla Montagna del Sapone dieci parlamentari che si troverebbero immediatamente di fronte a un bivio: o condannarsi all’irrilevanza aderendo al fritto misto, o perpetrare un tradimento rinunciando a parte della propria piattaforma per allearsi con altre forze nel tentativo di incidere.

E saremmo da capo a dodici: una nuova schiera di haitraditisti rimprovererebbe ai poveri puri e duri (de coccia) la colpa di aver tentato di non essere irrilevanti (oggettivamente, senza alcun successo).

Perché va ricordato che quando la Lega ha fatto il 17% dietro non c’era solo un messaggio rivoluzionario. Intanto, il messaggio non era uno solo. E poi, c’era una organizzazione a sostenerlo. Qui stiamo parlando di gente che non sa nemmeno quante firme raccogliere per presentare una lista, tanto per capirci, che non ha un’organizzazione territoriale, che litiga su qualsiasi minuzia: insomma, il bello spettacolo che vedete tutti i giorni sui social! E questo che garanzie dovrebbe dare a un elettore che non sia un imbecille (e che in quanto imbecille ha comunque diritto di votare, direi anzi il dovere, proprio per rassicurarci sul fatto che gli imbecilli sono una esigua minoranza)!?

Per carità, mi costituisco! Sono colpevole anch’io! Anch’io ho detto mille volte che preferivo perdere da solo piuttosto che vincere in compagnia. Ma io potevo permetterlo. I miei pallidi e sconclusionati epigoni no.

Per inciso, ricorderete che gli ortotteri insistevano molto sul fatto di non volersi alleare con nessuno (ovviamente, se lo ricordano quelli nati nel 10 a.P.), e non era così strano. Un partito nato per sterilizzare la politica non poteva che rinnegare lo strumento con cui la politica ottiene i propri risultati: la mediazione, il compromesso, l’alleanza. E gli elettori? Contenti e cojonati.

Insomma: l’idea del tuttosubitista è che siccome non si può avere tutto subito, allora ogni volta bisogna ricominciare da capo: ripetere lo stesso errore (quello di pensare che la Veritah porti il consenso e che il consenso sia sufficiente), senza considerare che si è subita una sconfitta, che il consenso non c’è più, e che anche se ci fosse porterebbe a Roma persone impreparate, incapaci di trovare risposte e appigli nella macchina dello Stato, una macchina che è fatta di migliaia di pezzi, che non rispondono sic et simpliciter a #aaaaabolidiga, ma che vanno conosciuti e coinvolti. E questo prende tempo!

Noi forse avremo anche tradito, ma chi non capisce questo prende in giro voi, e se stesso. Tanto per darvi un’idea, fatevi un giro su questa pagina di Wikimm… Ci sarebbero mille e una considerazioni da fare. Un lettore compulsivo di Saint Simon (non il socialista) ovviamente penserà subito a:

À mon retour de la Trappe où je n’allois que clandestinement pour dérober ces voyages aux discours du monde à mon âge, je tombai dans une affaire qui fit grand bruit et qui eut pour moi bien des suites.

M. de Luxembourg, fier de ses succès et de l’applaudissement du monde à ses victoires, se crut assez fort pour se porter du dix-huitième rang d’ancienneté qu’il tenoit parmi les pairs au second, et immédiatement après M. d’Uzès.

con tutto quel che ne consegue, e in effetti questo ci porta verso un pezzo del ragionamento: da sempre la macchina dello Stato è complicata, è fatta di tanti pezzi, e un pezzo di questa complicazione è capire quale pezzo debba venire prima degli altri. Ma il ragionamento che volevo farvi è diverso, e so che ad alcuni di voi, obnubilati dalla grillanza, non piacerà. Partiamo da questa foto. Nel 2018 io non conoscevo nessuno degli omologhi di queste alte cariche: né Napolitano, né Alberti Casellati, né Fico, né Conte, né Lattanzi. Nel 2022 ne conoscevo il -60% (visto che ai piddini piacciono le percentuali negative): uno di loro ha regalato un certo libro a Salvini, uno è stato mio collega senatore, e un’altra è stata ospite ai nostri convegni. Me ne sto al posto mio ma il rapporto c’è ed è di fiducia – anche perché, lo ripeto, l’appostismo che vi predico lo pratico e non abuso della confidenza che pure ho acquistato nel tempo. Ovviamente er sor Perepè  o er videomaker dovrebbero cominciare da capo (capito il giorno della marmotta?). Mi sono divertito a estendere questo ragionamento, scendendo per li rami fino alle cariche di terzo livello, paragonando quante ne conoscevo nel 2018 e quante ne conosco nel 2023, in base semplicemente alla mia rubrica telefonica. Nel 2018 dei primi 223 ne avevo in rubrica cinque: il vicepremier e Ministro dell’Interno, il Ministro della famiglia, il Ministro degli Affari Europei, e un paio di sottosegretari. Oggi il 48%, e mediamente mi rispettano per come mi comporto. Ho fatto rete. Quello che vale per le persone, vale per le procedure, per le norme, ecc.

Conosco benissimo l’argomento: “Eh! Ma se questa rete ti serve a fare quello che farebbe il PD, a noi che ce ne viene?” Torno ad attirare la vostra attenzione sul fatto che le querimonie del PD sulle nomine in Rai (solo per fare un esempio) indicano che qualcosa ve ne sta venendo. Se a qualcuno interessa, c’è la riforma fiscale. Se a qualcuno interessa, c’è l’abbattimento del cuneo fiscale. Siamo qui per confrontarci su altri temi, ma io ora devo occuparmi anche di quelli che a voi sembrano dettagli o divagazioni, e che invece a certe persone migliorano la vita. Ci sarebbe anche il fatto che non solo gli sciroccati votano: ricordo a me stesso che gli utenti Twitter sono il 17% della popolazione italiana, e circa il 20% sono finti, il che ci porta attorno al 13%. Fuori c’è un mondo, fatto dell’87% di persone che hanno una vita, il che giustifica lo spiacevole paternalismo con cui ho liquidato il problema di non essere capito da una frazione di quel 13%. Perdonatemi: il problema non è che io non capisca che voi esistete: il problema spesso è che voi non volete ammettere che esistono altri, che hanno altre priorità, di cui comunque va tenuto conto.

Conosco anche l’altro argomento: “Eh! Ma se bisogna essere subalterni alla dittatura dello spread, allora bastava il PD, invece sicceroio mi riappropriavo della Banca centrale e emettevo moneta ecc. ecc.” [NdCN: tutte cose che non ho mai posto in questi termini, come ricorderà chi c’era, ma lasciamo stare]. Sì, infatti funziona proprio così! Me lo immagino! Dice, fa, dice: “Toc toc!” E Ignazio: “Chi è?” E Perepè: “Sò io!” E Ignazio: “E cche vvòi?” E Perepè: “Voglio stampà moneta sovrana, aprime!”

Il resto ve lo immaginate…

Fa ridere, no?

No.

In fondo è un po’ triste che tutto quanto certa gente ha cavato da un progetto didattico così accurato e approfondito sia una visione così caricaturale dei processi politici, dove tutto si regola in base alla conquista della maggioranza del 51% da parte del Partito della Verità, privo di classe dirigente, di interlocuzioni con le magistrature, di nozioni elementari sul funzionamento della macchina amministrativa, di competenze legislative, di rudimenti di diritto parlamentare, ecc. Il lato umoristico, eventualmente, consiste nel fatto che certi sempliciotti vengano da me a spiegarmi come funziona er monno. Non che io creda di saperlo. Un’intuizione però penso di averla avuta: magari, prima di immaginare gesti politicamente eclatanti, bisogna assicurarsi, con le opportune riforme e con il lavoro di cui vi parlavo sopra, un minimo di retrovia, per evitare che il generoso slancio verso la trincea nemica diventi un massacro in cui il plotone di trombettieri si trova preso fra i due fuochi.

O no?

In altre parole: ve l’immaginate la gestione di una seria crisi valutaria, cioè di un evento che la logica economica continua a indicarci come possibile, con questa Banca d’Italia, con questa magistratura, ecc.? Io sì, e preferisco evitare.

Ma per trarre una morale corta da una favola lunga, la risposta è come al solito dentro di voi: dovete scegliere se fidarvi di chi vi ha spiegato come stanno le cose e come lottare per cambiarle, o vivere un eterno giorno della marmotta. Perché, per i motivi che credo di avervi illustrato in modo convincente (ma siamo qui per discutere insieme) quelli del 14 luglio, alla prova dei fatti, e al di là delle loro indubbie qualità personali, per motivi meramente oggettivi si riveleranno essere quelli del 2 febbraio. La scelta quindi è fra scommettere su un cavallo che potrebbe non arrivare al traguardo, o avere la certezza di entrare in loop.

Non credo che sia una vera scelta.

Tutto qua.

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“I tuttosubitisti e il giorno della marmotta” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.