Firenze

 (…chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione dei video del #goofy12: ci sono problemi tecnico-culturali non ancora compiutamente gestiti, ma riusciremo a venirne a capo…)

Dagli insalubri effluvi della Xloaca (suona azteco, ma insomma ci siamo capiti) apprendo che secondo l’eminente economista la soluzione è semplice e a portata di mano: l’UE deve diventare uno Stato. A chi come noi segue (o meglio: precede) da anni il dibattito sull’Unione Europea, sulla sua genesi (forse il più infimo momento di subalternità dei popoli europei), sulla sua evoluzione, sulle sue prospettive, a chi si è confrontato su questi temi con studiosi come Luciano Canfora o Giandomenico Maione, con analisti come Roger Bootle o Jens Nordvig, con politici come Laszlo Andor o Frits Bolkestein, queste parole non possono che suonare ingenue, espressione di un dilettantesco “ottimismo della volontà” totalmente ignorante degli ovvi motivi che precludono la costituzione di uno Stato europeo, ma soprattutto delle evidenti ragioni logiche che ne sconfessano la razionalità.

Oggi uno Stato europeo servirebbe solo a salvare dalla propria insostenibilità l’istituzione che ci siamo dati raccontandoci che ci avrebbe condotto naturaliter allo Stato europeo: la moneta unica. Per motivi sufficientemente intuibili ex ante, e riassunti ex post in questo mio articolo (e in tanti altri, beninteso), questa istituzione ci sta allontanando dall’obiettivo politico che ci si prefiggeva adottandola. Una specie di catch-22. Dato che quell’obiettivo è intrinsecamente ademocratico (la creazione di uno Stato a prescindere da un demos non può che essere ademocratica, è un banale dato semantico) allontanarsene è in sé più un bene che un male. Ma al contempo il fatto che l’obiettivo irraggiungibile perché assurdo, e assurdo perché irraggiungibile, by definition non sarà raggiunto non deve rassicurarci più di tanto. Come ci siamo detti mille volte molto ma molto prima che certe dinamiche recenti agissero da lente d’ingrandimento, nei convulsi conati di creare a colpi di propaganda il “demos che non c’è” germina la malapianta del totalitarismo, della negazione del dibattito, della propaganda squadrista e violenta, quella che procede dalla delegittimazione, con l’accusa di “disinformazione”, di ogni voce critica. E poi, naturalmente, non dispiaccia a chi mal sopporta l’egemonia dell’economico nelle dinamiche dei corpi sociali, il perseguimento ultra vires di un disegno economicamente irrazionale non può che lasciare morti e feriti, più o meno metaforici, sul suo malfermo cammino. Ed è questo il vero dato politico. Non #liperinflazzionediWeimar, come ripetono i cretini, ma l’austerità ha condotto al nazismo, come dimostrano studi scientifici.

Si torna sempre al solito punto: l’atto di sfiducia nel mercato consistente nell’inibire l’aggiustamento degli squilibri esterni tramite i prezzi relativi implica logicamente il ricorso a un aggiustamento tramite le quantità: l’austerità è questo, il taglio (svalutazione) del salario reso inevitabile, prima o dopo una crisi, dall’assenza di un aggiustamento meno traumatico, quello attraverso la manovra del cambio nominale. Ma questo l’eminente economista fa finta di non saperlo: ci parlava in aula di irreversibilità del progetti, pensando di urticarci, e noi sorridevamo sotto i baffi pensando alla sostenibilità politica di quel progetto, e quindi al (breve) futuro politico di quell’eminente economista. Finché ci sarà l’euro, cioè l’austerità, la destra si troverà di fronte praterie sterminate: i piddini li chiamano “costi politici dell’austerità”. Strano come un costo per il PD visto dalla Lega somigli a un’opportunità! Sorridiamo di compassione a chi, contro ogni evidenza, contro i risultati di studi scientifici accurati, continua a raccontarci la fola delle grandi praterie del centro, dell’anelito degli italiani verso la moderazione. Non è questo che dicono le urne, perché non è questo che leggiamo nelle più importanti riviste scientifiche internazionali!

Ora quindi sono preoccupati.

Lo mostrano le esternazioni scombiccherate da cui siamo partiti, che se non sono (e potrebbero anche esserlo) il sintomo di una miserevole ignoranza dei fatti (inclusi i risultati di ricerche scientifiche), sono il tentativo di precostituire una narrazione autoassolutoria. Quando le cose si metteranno male, la colpa sarà stata del popolo bue che non avrà voluto, oh umana ingratitudine!, lo Statone europeone che rende sostenibile la monetona pesantona (o meglio, millantata per tale…), non di chi ha voluto condurlo verso questo obiettivo assurdo col manganello dell’euro, cioè dell’austerità.

Lo si vede dagli articoli “di colore” che fanno ironia livida e a denti stretti sull’evento di Firenze.

Ma chi ha un minimo di dimestichezza col Dibattito lo vede anche da altri segnali deboli, come il riaggallare di nani e ballerine di varia risma, scorie di un passato da cui pensavamo di esserci depurati: dagli orologiai del debito pubblico, ai guitti di “memmeta” (la MeMMT: se non sapete o non ricordate che cos’è non perdete nulla), alla vari umanità in “in”, “ini”, ma soprattutto “oni” con cui a suo tempo ci divertimmo. Se rischierano (o comunque se riappaiono) questi Kindersoldat è chiaro che si prevede turbolenza!

I sondaggi dicono che se il PPE uscisse dal centrosinistra, alle prossime elezioni il centrodestra avrebbe la maggioranza al Parlamento europeo. Questo esercizio intellettuale, tuttavia, è piuttosto futile, per almeno due ordini di motivi: primo, il Parlamento Europeo conta il giusto; secondo, le sue maggioranze sono il risultato di due ordini di considerazioni: politiche, e nazionali. Sì, per uno strano paradosso (che tale non è, come qui sappiamo) l’istituzione in cui le nazioni dovevano dissolversi le ha potenziate e ne è diventata ostaggio.

(…arrivo a Firenze…)

(…riparto da Firenze…)

Non è quindi concepibile un radicale disallineamento politico fra la guida (il Führer) della nazione più nazione delle altre, la Germania, attualmente in mano ai socialdemocratici, e la presidenza della Commissione Europea; o, se volete, di converso, per aversi un vero cambiamento in UE, bisognerà aspettare che AfD diventi maggioritaria in Germania. Non siamo poi così distanti da questo obiettivo: nei sondaggi attuali AfD è seconda in Germania, e RN (la Le Pen) prima in Francia. Dice “ma oggi l’elettorato è liquido!”. Rispondo: sarà, ma l’alveo del fiume è tracciato (dai nostri avversari), e questo fluido scorre verso destra (vedi l’articolo sui “costi politici dell’austerità” citato sopra). Così, la risalita di ID dal sesto al terzo posto nello schieramento dei gruppi parlamentari a Bruxelles, o magari al secondo, sarebbe già un passo nella direzione giusta, e un eventuale mancato rovesciamento del fronte per la non improbabilissima défaillance del PPE, che in presenza di una Germania a trazione socialdemocratica preferirebbe verosimilmente fare da stampella al PD (ai socialdemocratici), sarebbe comunque un dato positivo, un elemento di chiarezza, perché metterebbe in forte imbarazzo i vari gruppi “popolari” nazionali, i cui elettori potrebbero pensare che se avessero voluto essere guidati dal PD, avrebbero votato direttamente per lui, cioè per la carne “coltivata”, per l’eutanasia, per l’auto elettrica, ecc.

Nel sacco ci si sono messi da soli.

Identificare l’Unione Europea con l’euro, cioè con l’aggiustamento di reddito (insomma: con l’austerità), ha inevitabilmente fatto emergere e sta rendendo nitida per tutti la “contraddizione principale”, che qui e ora non è quella fra destra e sinistra, fra capitale e lavoro, ma quella fra più o meno Europa, intesa, ovviamente, come Unione Europea, cioè quella fra più o meno austerità. Dalla logica economica non si sfugge: se voti Europa, voti austerità e muori, o imponi austerità agli altri e li fai morire (cit.)!

Quindi per noi è solo questione di tempo. La rabbiosa reazione identitaria delle sinistre piueuropeiste sul verde, sull’immigrazione, sui diritti cosmetici, ci aiuta, perché aiuta tutti gli elettori a vedere l’UE per quello che è: una minaccia.

Una minaccia per i cittadini, e una minaccia per l’Europa.

Come è stato bello e confortante constatare che in tutti i discorsi ascoltati a Firenze si distingueva accuratamente fra Europa e Unione Europea, fra un dato culturale e di civiltà e la più incivile e destabilizzante delle istituzioni concepibili! Quanta speranza ci ha dato vedere che così tanti leader europei distinguono accuratamente e motivatamente due concetti che qui da noi i cialtroni confondono con intenzione maliziosa!

Magari la von der Leyen avrà una maggioranza nel prossimo Parlamento (evitarlo sta a noi), ma chi gliela dovesse garantire non potrà sfuggire allo stigma di aver tenuto in vita il simbolo di tutto quello che di più assurdo e odioso l’UE ha prodotto nella sua non lunga storia: dalla fuga in avanti sui temi ambientali, reazione disperata e scomposta di un capitalismo tedesco sconvolto per essere stato chiamato dagli Usa a pagare il prezzo della propria arroganza, agli SMS scomparsi fra Ursula e Pfizer, un caso di scuola di cattura del regolatore, che tante nefaste conseguenze ha avuto sulla vita di tante persone.

E se anche fosse, se anche Ursula la spuntasse, se anche questa volta trovasse nove voti DECISIVI, beh, meglio così!

Come diceva Céline?

Pour que dans le cerveau d’un couillon la pensée fasse un tour, il faut qu’il lui arrive beaucoup de choses et de bien cruelles.

Un perfetto allineamento degli astri, che veda un Parlamento Europeo a maggioranza patriottica e governi nazionali patriottici in ogni Paese membro (e quindi una Commissione Europea composta da patrioti) non è imminente, forse non è possibile, e probabilmente nemmeno necessario.

Certo, esiste una contraddizione intrinseca in una coalizione di partiti che in nome dell’interesse nazionale si uniscono per accedere alle istituzioni unionali. All’opposizione questa contraddizione è meno visibile, in maggioranza diventerebbe probabilmente più evidente: l’interesse del Sud, si può sostenere, diverge da quello del Nord, e un conto è rivendicare l’interesse nazionale quando tanto non puoi farlo, un conto quando puoi farlo, ma contro quello dei tuoi alleati. Tuttavia, questa contraddizione è più apparente che reale, e certamente chi da noi la enfatizza è piuttosto disinformato. Intanto, Nord e Sud in questa fase di fallimento del globalismo un interesse in comune ce l’hanno, ed è riprendere il controllo di quanto avviene in casa propria. Poi, che lo si sappia, lo si capisca, lo si ammetta o meno, noi siamo molto più Nord di tanti altri, semplicemente perché siamo contribuenti netti, e perché le nostre riforme le abbiamo fatte (Germania e Francia sono due esempi di Paesi che devono ancora farle, al costo, laddove non se ne rendano conto, di inciampare sulla montagna di polvere nascosta sotto il tappeto). Quindi, come dire: sarebbe azzardato assumere che un confronto coi nostri alleati ci veda necessariamente in una posizione di svantaggio.

L’UE non diventerà mai uno Stato. Come abbiamo visto oggi a Firenze, a ognuno (inclusi quelli che ne sono stati pesantemente sussidiati) puzza questo barbaro dominio. La soluzione delle sue contraddizioni non potrà quindi essere l’ennesima fuga in avanti. La storia dei prossimi anni deve ancora essere scritta: la matita con cui scriverla ve la presteranno il 9 giugno prossimo.

Fatene buon uso.

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“Firenze” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.