Essere John Bagnai (il Dibattito e i dibattiti)

 (…davanti al caminetto…)

Questa mattina mi sono svegliato tardi, intorpidito, stordito da una sensazione opprimente. Col progressivo dissolversi delle nebbie si faceva più nitida la coscienza angosciosa di questa impressione spiacevole: avvertivo un suono sordo, continuo, così avvolgente da essere impercettibile, come lo sono certi rumori di fondo che percepisci solo dal sollievo che ti procurano quando finalmente si interrompono, perché sei totalmente immerso in essi da filtrarli inconsciamente. Ma anche lo sforzo di separare il segnale dal rumore, per quanto il nostro corpo sia una macchina perfetta, e lo operi in automatico, un po’ lo si patisce. Tendendo l’orecchio cercavo di capire da dove provenisse, quale ne fosse la natura… E improvvisamente sono stato traversato da una inquietante, dolorosa consapevolezza: quel suono sordamente assordante era un frinire di grilli. A dicembre? A inverno iniziato (bene) da cinque giorni? Ma allora… ma allora ha ragione (e certo che ce l’ha!) chi dice che le temperature stanno crescendo!

Del resto, chi si occupa di vino lo sa: la stagione della vendemmia progressivamente si è anticipata, ormai in Abruzzo si comincia ad agosto, e mi ricordo di quando invitammo a questo convegno di a/simmetrie uno di passaggio che ci raccontò un paio di secoli di vendemmie nella valle del Reno, come mi ricordo i racconti di mio padre su quando a Montepulciano nevicava ogni inverno, come ho letto i diari di guerra dei soldati della Wehrmacht di stanza alla Stazione di Palena ottanta anni fa, memtre oggi a Pizzoferrato, nelle mie montagne, la temperatura è a due cifre…

Nulla di strano quindi che a dicembre friniscano i grilli:

ma siccome, a differenza de Lascienza, la scienza i suoi progressi li fa, capita che arrivi il para-diclorodifeniltricloroetano sub specie di cortese osservazione del Cavaliere Nero:

Sgamato, colpito e affondato. D’altra parte, non era esattamente la HMS Valiant!

A tutela della mia reputazione (perché desidero sappiate che in realtà il cattivo è Borghi: io sono quello buono) segnalo, incidentalmente, che prima di raderti al suolo io un colpo di avvertimento lo sparo sempre. Non è neanche un fatto di indole: è semplicemente che per dodici mesi della mia vita ho dovuto organizzare, da sottotenente, i turni di guardia, e quindi so come funziona. Avevo fatto presente che qualcosa non mi convinceva, che andava bene ma non benissimo, e che per avere effettiva capacità di coinvolgimento, nonché per fornire a chi come me o Claudio è al fronte delle cartucce non bagnate, c’era un’operazione da fare:

citare le fottute fonti!

Il suggerimento, costruttivo, non era stato raccolto, e ora capisco perché: un comune interesse non esisteva, non poteva esistere, perché con l’azoto dell’antipolitica, con gli ortotteri, qui abbiamo già dato. Essi sono il soffocante Male, punto. Poi su tutto il resto con tutti gli altri si può e si deve serenamente discutere. Ma non si può discutere con chi ha fatto della delegittimazione della mediazione e della rappresentanza, cioè, in definitiva, del dialogo politico, la propria bandiera. Se non ti interessa mediare, se il compromesso è corruzione, la dialettica si semplifica: se vinci tu, mi metti al rogo tu, ma se vinco io (e il popolo, piaccia o dispiaccia, non è così cojone da farti vincere per sempre)…

Il Bagnai del climatismo dobbiamo ancora trovarlo, come dobbiamo trovare il Bagnai del vaccinismo. Circolano esilaranti wannabe:

(adoro! Mi raccomando, follouatelo tutti, e mi raccomando seriamente: date un’occhiata al suo sito, quello citato dal suo profilo Twitter, perché è interessante…), ma alla fine il problema è quello evidenziato da un infiltrato ai nostri convegni:

ed è un problema che vorrei veramente aiutarvi a risolvere: vorrei aiutarvi a essere Bagnai, perché ce ne sarebbe tanto bisogno, di Bagnai, su tanti altri fronti, e del resto a/simmetrie voleva essere anche un modo per spersonalizzare il Dibattito, prima che cominciassero a pullulare altri dibattiti, e creare un incubatore di Bagnai.

Del resto, una delle difficoltà maggiori che ho trovato, nel cercare di difendere la vostra libertà in ambito sanitario, è stata proprio questa: la mancanza di un Bagnai sanitario, cioè di una voce critica credibile nell’affascinante tenzone fra ipocondriaci e complottisti (non devo entrare nel come e nel perché poche fra le tante voci disponibili fossero credibili, e abbiamo visto gli scivoloni cui ci si espone non selezionando con attenzione le voci critiche). Questa è una difficoltà generalizzata: mancano terribilmente voci terze, non politicamente esposte, da spendere in modo credibile nei vari dibattiti. Gli altri ne hanno abbondanza, e il problema non può essere banalizzato al “kittipaka” di grillina memoria. Non è un problema di soldi, di coinvolgimento venale. È un problema sociologico, culturale, ma è anche un problema di metodo.

Visto che “Bagnai logora chi non lo è”, vi dico, dall’interno, come si fa a essere Bagnai, così qualcuno si logorerà di meno, e magari, con calma, si riequilibreranno gli schieramenti in campo. Il successo di questo esperimento è dovuto a tre ingredienti:

  1. competenza;
  2. prudenza;
  3. pazienza.

Se ne potrebbe parlare per ore, ma intanto vi fornisco una sintesi:

  1. competenza: parlare solo di ciò che si conosce;
  2. prudenza: scegliere il terreno dello scontro;
  3. pazienza: non inseguire il consenso immediato.
“Esplodiamo” questi punti.

La competenza, nonostante la scadente qualità dei dibattiti e degli interlocutori, serve, e competenza è, in primo luogo, parlare di ciò di cui si sa. Prendete come esempio il famoso tweet di Borghi: il fatto è che nessuno (cioè nessuno) è stato in grado di confutarne un singolo punto. Evidentemente chi lo ha scritto sapeva di che cosa stesse parlando, ed altrettanto evidentemente questo ha aiutato.

La competenza ha un’altra sfaccettatura, che nel dibattito oggettivamente aiuta, visto che la mens piddina è particolarmente vulnerabile al principio di autorità: avere un ruolo accademico, o almeno essere in grado di reperire e utilizzare fonti autorevoli. Qui partivo avvantaggiato: da docente universitario con una lunga esperienza di ricerca sui meccanismi delle crisi nei Paesi in via di sviluppo (quelli privi di sovranità monetaria e quindi esposti al peccato originale, cioè alla necessità di finanziarsi in valuta estera) non mi era stato difficile orientarmi in quantonstava accadendo in un Paese che deve indebitarsi in una valuta che non controlla, né coinvolgere nelle mie iniziative scientifiche colleghi di un certo profilo. Anche in questo momento Twitter pullula di cretini che cercano di sminuire il mio profilo accademico: fatto sta che basta poco per dimostrare che quelli che loro considerano “economisti” spesso tecnicamente non lo sono, e quando lo sono hanno una produzione scientifica di qualità e quantità inferiore alla mia. Scopus e Scholar sono lì per quello.

Avere un minimo di standing accademico e un’esperienza scientifica specifica nella materia su cui avevo scelto di espormi ovviamente aiutava. Se i giornalisti, anche quelli che mi denigrano e non ho ancora querelato, mi temono, un motivo c’è: sanno che ne so più di loro e che so dirlo meglio di loro. In qualsiasi dibattito saranno soccombenti.

E fino a qui mi ha aiutato il caso: se fossi andato alla Normale o mi fossi diplomato a Santa Cecilia non capirei un accidenti di quanto sta succedendo. Poi però ho cominciato ad aiutarmi io, in almeno due modi.

Innanzitutto, fin dall’inizio, ho sempre, sistematicamente, messo a disposizione dei miei lettori le fonti dei miei dati e dei miei argomenti, per tre precisi motivi: evitare che certe posizioni potessero essere derubricate a vaneggiamenti di uno sciroccato (il massimo che certi imbecilli potevano arrivare a dire, come ricorderete, era: “Sì, va bene, questa cosa l’ha detta un Nobel, ma non l’ha detta in un articolo con peer review!” Dopo di che fornivo anche l’articolo con peer review, e l’imbecille morto…), consentirvi di contestarmele (per capire quali fossero i punti dialetticamente fragili o comunque più difficili da assimilare dei diversi argomenti), e infine darvi modo di argomentare in modo resistente nei vostri dibattiti più o meno pubblici.

Le fonti, le fottute fonti: senza di loro non c’è discorso scientifico. Chi non le cita non capisce che sui social esiste un a.G. e un d.G. Nel 12 d.G. (che ovviamente vuol dire “dopo Goofynomics”) chi parla ex cathedra senza sostenere con dati o fonti scientifiche le proprie esternazioni (come fanno, del resto, molti operatori informativi) potrà anche strappare un like, ma ha una capacità di persuasione e coinvolgimento limitata.

Poi (e questo è il secondo modo in cui mi sono aiutato), mi sono ferocemente, accanitamente attenuto all’ambito delle mie competenze. È stata una scelta tattica, prima che professionale: ho deciso di scegliere io il terreno dello scontro, sia in termini di argomenti che in termini di piattaforme (e infatti l’infrastruttura del Dibattito resta questa). Questa scelta, rigorosa al punto di essere castrante, è però servita a consolidare la mia credibilità, rendendomi spendibile. Ripeto: è stata una scelta che in alcune circostanze si è rivelata miope. Io, da economista, capivo l’euro. Quindi, quando all’inizio di questa lunga storia mi cercò Stefano D’Andrea per coinvolgermi nella sua critica all’Unione Europea io fui piuttosto freddo. Non avevo competenze giuridiche e non mi sembrava opportuno né aprire un fronte troppo ampio, né affrontare un avversario rispetto al quale ero disarmato. Eppure, aveva ragione Stefano: dopo tredici anni, di cui cinque passati in Parlamento, posso dire che il nostro Paese può sopravvivere (male) perfino all’euro, ma avrà sempre enormi e crescenti difficoltà all’interno di un progetto goffamente disfunzionale come quello europeo: basta pensare al tempo infinito che va perso nel monitoraggio di quanto arriva da Bruxelles e nel prendere parte alle varie sterili pantomime che la partecipazione fittizia dei Parlamenti nazionali al processo legislativo europeo richiede. Stefano aveva ragione, ma io non avevo torto: concentrandomi su un solo obiettivo, quello più attimente alle mie competenze professionali, ed evitando le lusinghe del “famoerpartitismo”, sono riuscito a ottenere qualche risultato…

E poi la pazienza, che forse è solo il risvolto del disinteresse, come l’impazienza di altri è il risvolto della loro ambizione, del loro sgomitare, del loro s’offrire. Per ottenere risultati ci vuole tempo, soprattutto se si opera in condizioni di inferiorità numerica e tattica, se nei dibattiti mediatici ci si trova schiacciati sulla difensiva, sulla dimensione “no” (noeuro, novax, ecc.). E i falli di reazione vanno evitati, perché sono dialetticamente perdenti. E le querele si fanno, non si annunciano: il passaparola incute maggior timore al mondo dei vermi di quanto ne incutano le minacce.

E sopra a tutto, l’adesione alla religione civile che predico perché pratico: l’appostismo!

Mentre viaggiavo verso il caminetto pensavo a perché mai siamo così a corto di persone spendibili, perché non riusciamo ad avviare ai palinsesti che ce le chiedono persone in grado di argomentare una visione diversa del mondo, e la risposta che mi sono dato è in quanto ho cercato di condividere oggi qui con voi.

Esempio: sei un docente universitario di materia medica, sai comunicare, hai un track record decente, mi aiuti a capire svariate cose che non tornano in quanto sta succedendo… ma chi te lo fa fare di intervenire su temi geopolitici o economici? Posso anche essere d’accordo con quello che dici, ma il tema è un altro: un discorso, così come un contrappunto, credibile si costruisce attenendosi a dei vincoli, in particolare il vincolo delle proprie competenze. Intervenendo in materia altrui mi impedisci di coinvolgerti nella tua materia: ma questa rientra nel novero delle cose che se potessero essere capite non andrebbero spiegate, questa è vera umiltà, questa è vera consapevolezza che siamo in guerra, distinta dalla fatua retorica bellicista di cui tutti si gonfiano le guance anche per dispensarsi dal fastidioso esercizio di un minimo di vera intelligenza tattica.

Esempio: sei uno che ha seguito il percorso dall’inizio, che ha seduto alla mia mensa, e io alla tua, che ha avuto modo di apprezzare le mie motivazioni e che è in grado di esporre in modo convincente una visione alternativa del mondo. Ora saresti prezioso, in posizione di indipendenza, per recarti in trasmissione ad argomentare, ma sei finito nei frantumi di qualche partituncolo perché avevi fretta, perché non ti fidavi, perché non sai che la mia prima legge è “no man left behind”… Valeva la pena di non stare al posto tuo, come io per anni sono stato e tuttora sto al mio, per condannarsi all’irrilevanza, per essere messo nell’impossibilità di fare qualcosa dopo aver berciato per anni “fate qualcosa”?

Ecco: diciamo che se Bagnai logora chi non lo è, anche essere Bagnai può essere logorante per chi non ha un minimo di autodisciplina e di umiltà. Studiare, stare al posto proprio, lasciare che il nemico si avvicini senza rivelare la propria posizione… Perché quello che a me sembra così ovvio non si riesce a ottenere? Un pezzo credo siano anche le dinamiche dei social. Il loro uso, congiunto a una scarsa dimestichezza coi numeri, credo crei dei pericolosi abbagli. La nostra community ha ottenuto grandi risultati (ad esempio oggi ha mandato in tendenza #borghidimettiti e #bagnaiarrogante!), ma dobbiamo essere consapevoli di essere minoritari. Quante volte ho insistito su questo punto?

Bene.

Collocarsi è un’arte difficile. Ho provato ad aiutarvi, ma ora mi aspettano a cena…

Ci sentiamo presto!

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“Essere John Bagnai (il Dibattito e i dibattiti)” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.