Ce la meritiamo questa premialità che si avvicina? Riprendiamo a discutere dei Ludi dipartimentali

Fabio Matarazzo riporta l’attenzione dei lettori sugli ormai noti Ludi dipartimentali di cui su ROARS si era parlato in dettaglio ancor prima che fossero consacrati in Gazzetta Ufficiale, quando questo strumento premiale fortemente voluto dal governo Renzi fece improvvisamente capolino nella bozza di legge di stabilità all’inizio dello scorso novembre, in piena temperie referendaria. Il tempo passa e (salvo milleunesime proroghe) il 31 luglio 2017 – data prevista dalla legge per la presentazione dei primi progetti dipartimentali con cui partecipare alla competizione – si fa più vicino di quanto oggi si possa percepire. E’ dunque importante riprendere il dibattito su questa misura premiale, su cui le valutazioni di fondo potranno come sempre dividersi in campi avversi, in base al grado di fede che si nutre per il mantra dell’eccellenza. I prossimi mesi ci diranno se il dispositivo lasciatoci in dote dal governo sonoramente sconfitto dalla consultazione referendaria prospetterà problemi di dettaglio burocratico in fase applicativa. Su una consapevolezza di fondo, però, a nessuno è dato dubitare già oggi. I 180 dipartimenti premiati dal tocco dell’eccellenza potranno guardare dall’alto in basso le altre centinaia di dipartimenti comuni per 5 anni. E, con le assai significative risorse percepite, potranno attrezzarsi per mantenere questa postura negli ulteriori anni a venire. Come osserva amaramente Matarazzo, il futuro ci riserva l’ampliamento “anche in questo caso, di quella forbice delle disuguaglianze che tanti guasti e tanta rabbia sta suscitando in tutti gli ambienti e in tutti i settori e che proprio nella formazione superiore e nella ricerca scientifica dovrebbe trovare un suo temperamento”.

 

La concitata approvazione definitiva della legge di stabilità per il prossimo anno, non ha consentito al Senato di soffermarsi con sufficiente attenzione e consapevolezza su una delle innovazioni più incisive, ma al tempo stesso più stravolgenti dell’attuale assetto delle università, e decidere se conformarsi pedissequamente al testo proposto dal governo e approvato in prima lettura dalla Camera, o considerate le critiche e le preoccupate reazioni suscitate dalla novità, riconsiderarne l’impianto e le modalità di realizzazione.
L’auspicio è che su di essa, ora, la nuova responsabilità ministeriale possa esercitare una più attenta valutazione, che tenga adeguato conto dei suggerimenti e delle perplessità che sono state manifestate in proposito da un’ampia platea di qualificati interlocutori. Il riferimento è ai commi 314-338 dell’art.1: “fondo per il finanziamento dei dipartimenti universitari di eccellenza” (leggine il testo in calce qui).

Dal 2018, per effetto di questa normativa, è istituita, all’interno del fondo di finanziamento ordinario per le università statali, una sezione destinata a finanziare i “dipartimenti universitari di eccellenza”. ROARS ne ha parlato per tempo, appena la misura è comparsa nell’agenda del Governo legislatore. Un finanziamento esclusivo e cospicuo, come si vedrà, erogato sulla base degli esiti della valutazione della qualità della ricerca, effettuata dall’Agenzia Nazionale di Valutazione, e dal giudizio sui progetti dipartimentali di sviluppo proposti dalle università.

271 milioni saranno messi a disposizione per incentivare, con un finanziamento quinquennale, l’attività dei dipartimenti che siano riconosciuti “eccellenti” per la qualità della ricerca e della progettualità scientifica, organizzativa e didattica.

L’eccellenza dovrà essere sancita da una commissione di sette membri nominata dal Ministro dell’Istruzione. Due, tra cui il presidente, designati autonomamente dal Ministro, altri quattro individuati, nell’ambito di 2 rose di tre nomi ciascuna. La composizione delle due rose è demandata all’ANVUR e al Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca. L’ultimo componente è indicato dal Presidente del Consiglio.

I tempi per procedere alla fase attuativa di queste disposizione sono assai stringenti. La nomina della commissione è prevista entro il 30 aprile 2017 e, con la medesima scadenza, il Ministero dovrebbe richiedere all’ANVUR, sulla base dei risultati ottenuti dai docenti di ciascun dipartimento nell’ultima valutazione della qualità della ricerca, la definizione di un apposito “Indicatore Standardizzato della Performance Dipartimentale (ISPD), un indice che ne individui la collocazione nell’ambito dei rispettivi settori scientifici e disciplinari.

Ne discenderà una graduatoria decrescente compilata e resa pubblica dal ministero. La domanda per ottenere il finanziamento potrà essere presentata dalle università statali cui afferiscono i dipartimenti che siano collocati tra i primi 350 della graduatoria. Non più di 15 domande per ateneo. Qualora i dipartimenti utilmente collocati in graduatoria fossero di più, sarà la stessa università ad effettuare una selezione motivando la sua scelta in base all’indice attribuito e ad altri eventuali criteri stabiliti dallo stesso ateneo. La richiesta dovrà proporre un progetto dipartimentale di sviluppo per il quinquennio. Si potrà concorrere per una sola delle 14 aree disciplinari e nell’ipotesi in cui i dipartimenti siano composti da docenti appartenenti a più aree, si darà preminenza a quella che abbia ottenuto i migliori risultati nella più recente VQR.
Per il primo quinquennio il termine per le domande è fissato al 31 luglio 2017; 180 saranno i dipartimenti che potranno ricevere il finanziamento: non meno di 5 e non più di 20 per area disciplinare. La suddivisione del numero per aree è determinata con lo stesso decreto di nomina della commissione di valutazione, tenuto conto della numerosità dei dipartimenti di ciascuna area e di criteri relativi ad obiettivi di crescita e miglioramento di particolari settori di ricerca.
La valutazione delle domande è prevista in due tempi. In primo luogo si valutano i progetti dipartimentali presentati dalle università per il solo dipartimento collocato nella migliore posizione in graduatoria. Nell’ipotesi di giudizio positivo il dipartimento interessato otterrà il finanziamento. In un secondo momento la commissione, tenuto conto del numero dei dipartimenti già ammessi al finanziamento, procederà all’esame e al giudizio delle altre domande. Ad ognuna di esse sarà assegnato un punteggio da 1 a 100. Un massimo di 70 punti sono attribuiti in base all’indice; fino a 30 al progetto di sviluppo presentato. Il finanziamento sarà assegnato ai dipartimenti che, nel numero complessivo stabilito per ciascuna area, saranno utilmente posizionati nella graduatoria. La prima volta, dovrebbe concludersi tutto entro il 31 dicembre del 2017. Un termine sollecitatorio ma assai ottimistico per un impianto che, come si può notare, presenta aspetti complessi e spesso farraginosi. Non è l’unica perplessità che suscita la lettura di queste disposizioni.

Il finanziamento annuo di ciascun dipartimento varia in relazione alla consistenza del suo organico rapportata a quello nazionale. L’importo base, di 1.350.000 euro, è attribuito ai dipartimenti, risultati assegnatari, che si siano collocati nel terzo quintile. La cifra è ridotta del 20% per quelli del primo quintile; del 10% del secondo. E’ aumentata del 10% se collocati nel quarto e del 20% nel quinto. Per i dipartimenti delle aree scientifiche è previsto un aumento di 250.000 euro da utilizzare per infrastrutture per la ricerca.
L’importo complessivo quinquennale è soggetto ad alcuni ben precisi vincoli di utilizzo. Non più del 70% potrà essere utilizzato per il reclutamento di personale: docenti, ricercatori o tecnici e amministrativi. Nel rispetto di questo limite, il 25%, almeno, potrà essere utilizzato per chiamare professori esterni all’università nella quale è inserito il dipartimento. Un altro 25% è riservato al reclutamento dei ricercatori più strutturati. Il resto della somma erogata potrà servire per le chiamate dirette di docenti. Possono essere, in base alle diverse norme che le hanno previste: studiosi impegnati all’estero da almeno un triennio in attività di ricerca e insegnamento universitario con posizione accademica equivalente; studiosi, già chiamati nell’ambito del programma di rientro dei cervelli, che abbiano operato per almeno tre anni nelle nostre università conseguendo risultati scientifici ritenuti congrui per il posto sul quale utilizzarli; studiosi che siano risultati vincitori nei programmi di ricerca di alta qualificazione; studiosi, infine, di elevato merito scientifico.
Entro il 31 gennaio dell’ultimo anno di erogazione del finanziamento l’Università dovrà presentare alla commissione di valutazione una relazione con il rendiconto, per ciascun dipartimento, dell’uso delle risorse e dei risultati conseguiti in rapporto a quelli previsti nel progetto. Entro tre mesi si avrà il giudizio della commissione. Nell’ipotesi di giudizio negativo l’università interessata non potrà presentare, per il successivo quinquennio, domande di finanziamento per lo stesso dipartimento.

Questo, dunque, il quadro della novità. Complessa, come si è detto, ma anche potenzialmente foriera di una deriva in grado di sovvertire l’immagine e la funzione dell’università intesa quale “universitas studiorum”; il luogo, cioè dove studiosi e culture si incontrano, si integrano, si arricchiscono reciprocamente per trasmettere poi ai giovani i risultati di un patrimonio corale che travalica impegni e risultati di singoli, ancorché eminenti studiosi, o di particolari settori. Tanto più oggi, nell’epoca della ricerca scientifica trasversale e senza confini; della rete che offre possibilità di apertura e di interconnessione tra scuole, discipline, settori scientifici, in ambiti globali. E’ difficile misurare all’interno di strutture definite da statuti e specifiche opportunità accademiche, risultati e meriti, senza tener conto di questi aspetti e delle possibilità che ne potenziano o umiliano le capacità di azione e di realizzazione.

Al di là di questo, è prevedibile il rischio che scindere da un corpo unitario alcune parti privilegiate, incoraggiandole, con incentivi e risorse, a distinguersi e distaccarsi da una istituzione, non più in grado di offrire utilità e benefici, può indurre la propensione ad istituire rapporti più duraturi e fecondi con altre strutture del medesimo livello e orientamento, con le quali interloquire e progettare congiuntamente. Potremmo assistere, in altri termini, alla nascita di tanti poli di ricerca avanzati e specializzati ma destinati a perdere ben presto caratteristiche e funzioni tipiche delle nostre università. Naturalmente, l’ulteriore conseguenza sarebbe la “pioggia sul bagnato” e il progressivo, deprimente tramonto delle università inserite in contesti economici, sociali e culturali più periferici e disagiati. Si amplierebbe, anche in questo caso, quella forbice delle disuguaglianze che tanti guasti e tanta rabbia sta suscitando in tutti gli ambienti e in tutti i settori e che proprio nella formazione superiore e nella ricerca scientifica dovrebbe trovare un suo temperamento.
E’ questo che si vuole consapevolmente? Non saprei dire perché non so se sulla visione strategica delle possibili evoluzioni di certe iniziative e degli eventuali rischi che potrebbero produrre, prevalgano parole e concetti in grado di suscitare attenzione e consenso immediati. Eccellenza, merito, valutazione, competizione, ‘performance’ sono concetti ripetuti, astratti spesso da ragionamenti che meriterebbero ben diverso e approfondito spessore.

A maggior ragione è dunque da condividere anche il giudizio del Consiglio Universitario Nazionale:

“[….] Osserva innanzitutto che la selezione dei dipartimenti […. ] è fatta utilizzando un indicatore calcolato sulla base dei risultati della VQR. Attribuire un peso eccessivo a questo indicatore rischia di non tenere in adeguata considerazione l’articolazione complessiva degli elementi che costituiscono la produttività scientifica, la qualità e la potenzialità di ricerca e didattica di una struttura dipartimentale. Il CUN segnala inoltre che qualunque strumento puramente statistico che porti a formulare una graduatoria generale di merito tra tutti i dipartimenti italiani in base a parametri sintetici non riesce a rappresentare correttamente la multiformità delle situazioni e dei saperi e non è considerato nella letteratura internazionale di settore né stabile né affidabile per l’assegnazione diretta di finanziamenti pubblici. Questo Consesso ritiene pertanto opportuno che, almeno per quanto riguarda la seconda fase di valutazione, il punteggio attribuito in base all’indicatore standardizzato di performance dipartimentale (ISPD) venga significativamente ridotto in modo da dare maggior peso alla capacità progettuale del dipartimento”.

Tanti argomenti, dunque, per non ritenere esaurita la riflessione su una innovazione di rilievo ma sulla quale sarebbe utile tornare a discutere; anzi avviare una discussione che finora si è data in un contesto nel quale il tema referendario assorbiva le preoccupazioni dei più!

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“Ce la meritiamo questa premialità che si avvicina? Riprendiamo a discutere dei Ludi dipartimentali” è stato scritto da Fabio Matarazzo e pubblicato su ROARS.