Il terzo, il quarto, il quinto…

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Sentiamo sentiamo quale novità l’anima, la parola, oggi m’ispirano “Son depresso, non riesco a dormire, il lavoro non mi da pace, me lo sogno di notte, è uno stress continuo, non ne posso più” “Come mai? Cosa c’è che non va? Non ci credo tanto a questa faccenda del lavoro…” “E’ vero, so che con te il palco dura poco, casca assai presto…la moglie ed io…” “Già…così è. Quando ci son problemi personali si dà spesso la colpa al lavoro. E pensi che cambiando lavoro la tua infelicità si risolverebbe? Se così fosse…prova a cambiarlo” “No, mi piace il lavoro che ho” “E allora? Allora niente, dovrei trovare un’amica che stesse con me, per consolarmi, per riversare su di lei tutto il mio essere” “Ah beh…se la trovi…” “Già…ma duran poco queste storielle…” “E non ti sei mai chiesto come mai?” “E’ che si stufano…” “E te credo…impegnarsi in una storia di, chiamiamolo, amore, e sicuramente solo unilaterale, che non porta da nessuna parte, convienine, non è proprio il massimo che si possa pretendere dalla vita. A meno che non t’imbatti in una donna che è nelle tue stesse condizioni, depressa, e con marito, e vi fate compagnia, quel tanto che basta per sentirvi utili una all’altro. Fino a che dura…dura” “Ma io non la vorrei una donna così…a me piacciono le persone vitali, solari” “Cerca, cerca…chi cerca trova. E tu in cambio cosa le daresti a una donna come quelle che piacciono a te? La tua presenza quando vuoi, come puoi? E non mi disturbare….?!? Non hai mai pensato a separarti?” “No, sto bene con mia moglie…” “Ah benissimo! Stacci allora…”
Ancora devo sentire queste storielle, c’è ancora chi ha voglia di prendersi in giro e far del male a se stesso/a e ad altri. Ma che vogliono dalla vita le persone così…insicure a voler dir poco…ipocrite a voler dir tanto. A me spiace profondamente dir questo, ma è quello che penso e nulla cambierebbe se non lo dicessi, non per me, non per loro, in quanto tutto il mio essere esprime chiaramente ciò che penso…scusatemi tanto: ho tolto il bavaglio, ultimamente più che mai e quello che devo dire lo dico…pardon per le ferite, non me ne vogliate. Parlo a quelle persone che fanno il doppio gioco da sempre, da sempre insoddisfatte del loro rapporto coniugale, da sempre bugiardi…si, bugiardi…ci sono forse altre parole? Capisco il periodo dell’innamoramento con un’altra persona, devi avere anche il tempo per rendertene conto diamine e potrebbe anche andare male con quell’altra persona, in cui il doppio gioco è per forza di cose un dato di fatto…ma poi…come fai ad avere il coraggio di guardare negli occhi il marito/moglie o l’amante se da tutta una vita ti comporti così? Come si fa? I sensi di colpa probabimente esistono se qualcosa si prova verso l’altro…
Mi dicevano che i casi di analisi con persone che conducono una doppia vita aumentano…non è questione di falso moralismo…è questione di correttezza, di rispetto…le parti interessate lo sapessero sarebbe diverso…ma, almeno nella maggioranza dei casi dubito sia così…è questione che non si vive più liberi…si ha sempre paura, paura di venire scoperti e di dover affrontare il tutto e già la paura di dover affrontare il tutto mi da’ fastidio solo a pronunciarla. Ma cosa credete che gli altri non abbiano paure? Le affrontano, semplicemente le affrontano, cercando di risolvere i loro problemi in nome del viver bene, del loro vivere bene. Mi auguro che il cielo mi illumini dovessi trovarmi in situazioni del genere, ma m’illumini prima che accadano…

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Doriana Puglisi

Cara sorella

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Cara sorella,
ho pensato di scriverti una lettera stasera, una lettera scacciapensieri. Noi già ci conosciamo per esserci guardate negli occhi per due volte, ricordi? Niente di violento per fortuna, solo ‘banalissime’ mancanze di ferro ci han costretto a quest’incontro, che non è stato, per me, traumatizzante: ero nella semincoscienza. La prima volta vidi passare la mia vita come in un film, ero caduta nella mangiatoia delle mucche, e la seconda non ricordo bene, mi pare fosse ovatta e musica dolce di sottofondo, ma non ne sono sicura, ero per strada: svenuta tutt’e due le volte.
So che eri lì che mi fissavi seria ed eri elegante, austera nel tuo vestire scuro, non nero, non come ti descrivono o ti raffigurano, no, eri vestita di un bel viola scuro, un raffinato colore. Ricordo che ad un certo punto sorridesti e te ne andasti…e io ripresi i sensi.
La prima volta, il dopo, nulla successe in me, tutto riprese come prima: lavoro, lavoro, lavoro…tanta debolezza fuori e dentro e la consapevolezza che bene non stavo. Non mi rendevo bene conto di quello che stava capitando, non avevo nessuna forza di reazione, mi sentivo annullata…debole…confusa…
La seconda volta, sempre il dopo, accadde il miracolo: mi risvegliai e con le poche forze rimaste decisi che volevo essere felice, felice davvero.
Ti avevo guardato negli occhi: due occhi profondi come pochi se ne vedono, una bellezza austera che mi aveva invogliato, però, a non chiederti nulla, contrariamente al mio carattere che vuole sapere sempre con chi ha a che fare veramente. Eri forse lì per porgermi una mano per far sì che mi rialzassi? So che nella mia confusione non te la diedi quella mano e feci molto bene. Ricordo ancora il tuo sorriso: era invitante, ma aveva qualcosa in se che mi diceva di no. Avrei potuto adagiarmici nel tuo essere tanto ero annullata, sfiancata, ma qualcosa per fortuna non funzionò a dovere.
Dopo poco tempo, praticamente dissanguata, mi scoprirono la grave mancanza di ferro e dopo tre giorni di cure venni a star meglio e¬†la tua immagine sbiadì sempre più fino a diventare solo un ricordo che inscatolai nella cartella delle mie memorie.
I meno fortunati di me ti hanno visto solo una volta, forse vestita di nero questa volta, forse con fare più deciso, forse con in mano un foglio che decreta il tutto: giudice supremo in capo al tuo regno.
Chi con una pistola, chi con una corda, chi a letto, chi in un’auto, una moto, chi cadendo, chi con una bomba, chi denutrito…i tuoi occhi, credo, calcolatori e vogliosi di quell’ebbrezza di un’ultima volta che per te avrà sempre un proseguo.
Eppure sei una certezza per noi uomini, che come certezze abbiamo te, oltre che quella della forza della nascita: tutto quello che in mezzo ci sta è solo incertezza pura, legata a un filo che si chiama vita.
Come sappiamo tutti in molti ti temono e ti vedono come una grande nemica. CՏ anche chi ti anela. CՏ chi ti disprezza. E chi di te fa mercato. So che sei una cosa seria e ti rispetto.
La tua seconda apparizione, come ti dicevo, ha segnato la mia vita in positivo e dal poi di quella volta vivo come penso, come dico, come sono: GRAZIE! ORA SONO FELICE!
Sorella morte, te ne prego, quel giorno che verrai a prendermi definitivamente fallo in maniera dolce, lo sai che sono una non violenta dentro, non farmi soffrire per niente…vieni avanti piano ma decisa. Lo so che prima o poi dovrai arrivare. Di te non ho paura, ma vorrei tu fossi lieve, vestita di piume, danzante…

 

Pensavo fosse solo soffrire

la vita

oggi godo di tutto

credevo ieri fosse tutto dovuto

ciò che davo

pensavo ieri d’arrivare

ma a cosa non sapevo

m’accorsi

che camminare va bene

per arrivare non c’arrivi mai

e quando arrivi

il prossimo passo t’appare

m’accorsi che la mia luce

era la mia

che se la voglio

son io che l’accendo

m’accorsi che la mente

m’appartiene

che niente é un diritto

il filo che mi lega

a quest’essenza di me

c’é sempre

son tre fili

tre fili d’esistenza

 

 Doriana Puglisi

Un foglio bianco

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festa dell’Infiorada a Igne nel giorno del Corpus Domini

 

Un foglio bianco. Certo questo è un regalo interessante. Cosa ci scrivo su un bianco, candido foglio? Ci scrivo di mille emozioni? Delle mie sensazioni? Un foglio bianco è una vita, mille, diecimila. Cosa ne faccio? Potrei scriverci una favola, romanzo, poesia. Potrebbe essere un foglio lungo un’esistenza, un’immensa lunga, splendida parola: si chiama vita. Ad ognuno il suo foglio, la sua pagina.
E’ bella una pagina bianca: un bel regalo davvero, non c’è che dire.
Posso scriverci di questa mattina, del suo albeggiare. Posso dire che son felice di trovarmi nella mia vita. Posso dire che quest’orizzonte che ho davanti lo vedo positivo, lo vedo rosa, come le montagne che mi circondano, come questo rosa, in questo particolare momento, in questa che s’annuncia una splendida giornata.
Posso dire che il mio stato di benessere del momento mi auguro m’accompagni per lungo periodo, che sento di meritarmelo tutto.
Posso dire che nutro una gran fiducia, una grande gioia, in tutto ciò che mi circonda.
Posso sollevare gli occhi al cielo e ringraziarlo, benedire le azioni che qui m’hanno portato.
Posso ringraziare i vari crotali incontrati lungo il mio cammino perchè m’hanno insegnato ad evitarli, m’hanno reinsegnato la difesa.
Posso benedire tutto ciò che di bello eiste.
Posso solo pensare che di tutti ho bisogno.
Posso solo dire che ho imparato a volermi bene.
Posso solo constatare che mi sento una che della sua felicità sa che farsene.
Posso solo ammettere che il carpe diem fa parte della mia vita nei casi in cui dev’essere.


Tra le mie passioni la cucina e¬†anche se ultimamente ho un po’ mollato so che prima o poi tornerò ai fornelli. Questo che qui vi dò è il procedimento non usuale, poeticando un po’, per la preparazione degli gnocchi di zucca conditi con ricotta affumicata e burro fuso, o come volete voi.

prendo la zucca la lavo bene e nel micro cucino a dovere

sette o otto minuti può bastare oppure nell’acqua bollente

si¬†può cucinare poi¬†si tira via la scorza

quand’è fredda non esagerare c’aggiungo uovo un filo d’olio

esco dalla tradizione  di ricotta e latte ne aggiungo una porzione

pasta più buona non pare un sasso poi ci metto la farina

finchè prende consistenza di una pasta per le torte

nei nostri moderni tempi uso il robot per impastare

ma se hai voglia di mescolare con un cucchiaio di legno

ti devi aiutare

prendo quindi un cucchiaino un pochino di pastella

butto dentro il pentolone dove l’acqua col sale già bolle

tu che gli gnocchi li fai una volta prova prima con sol uno

se la pasta resta insieme vai pure sul tranquillo

e se no aggiungi all’impasto farina che se no non mangi nulla

dieci a testa può bastare dipende tutto da quanto vuoi mangiare

quando il tutto viene a galla ancora un minuto

trasferisci poi nel passino aiutandoti col mestolo

puoi condire con ricotta affumicata e friggente burro

oppure col ragù o come vuoi tu ed a posto della zucca

puoi usare biete ortiche pane vecchio di latte imbombato

oppure pangrattato

il sughetto con l’asparago selvaggio rende tutto assai gustoso

mentre col porcino ottieni un assai delicato saporino

quanti modi quanti mondi e ad ognuno sua realtà

e qua c’è questa qua

 

  Per l’impasto, le dosi sono per quattro persone:

1 kg di zucca cotta, preferibilmente, in forno o lessata

farina bianca quanto basta

50 gr. di ricotta fresca

¬Ω bicchiere di latte

1 uovo

1 cucchiaio d’olio d’oliva.

 

Per il condimento:

ricotta affumicata grattugiata

burro fuso (molto caldo)

Posso solo augurarvi una buona giornata anche se è sera e cercare di trasmettervi ciò che di bello in me sento.

Doriana Puglisi

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Il dramma dell’infelicità

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E cominciamo bene stamattina: siamo nella cortina di fumo dell’infelicità. Ci si abitua a questo stato d’essere che rende amorfo, vano, ogni gesto e dopo va a finire che si sta pure bene dentro i suoi vestiti. Ma che vuoi? Cosa ti manca? Tutto e niente è la risposta, quasi sempre quella, senza via di scampo. Tutti abbiamo motivi, tra i più svariati, per essere infelici, tutti, senza distinzione alcuna. La vedi negli occhi l’infelicità, la pizzichi e nemmeno ti dice ahi, la comprendi e ti fa compassione, cerchi di capirla e lei ti urla dietro che esiste quasi esclusivamente lei.
Dai, alzati, fatti una doccia, cammina, vestiti in fretta, vai a fare una passeggiata, ferma il vicino e chiedigli come va, digli che non hai dormito, digli dei soldati morti, digli del fiore sul davanzale, digli quello che vuoi, ma comunicaglielo, fagli sapere che ci sei, che con lui sei, se serve sei lì: altro che incomunicabilità, datti una mossa, vivi!
Ma come si fa a non godere di tutte le meraviglie che ci circondano, come si fa dimmi? Ma non la vedi la luna, questo sole che ci riscalda? Non lo vedi questo cosmo infelice che aspetta solo una virgola per far esplodere la sua gioia? Ma i fiori, i fiori, non ti meravigliano? E le mani, non ti chiedi quante azioni, che significato hanno le tue mani? Ma per te è un diritto sapere che ci sono e tanto possono fare? Guarda che bella giornata di sole: sei ancora qui, che aspetti a uscire? Che aspetti a svoltar l’angolo della rimossione dell’infelicità? Non è difficile se lo vuoi. T’ascolto, ma a volte le mie orecchie son stanche, vuoi restare infelice. Vorresti fare il salto, la tua abitudine sovrasta ogni altro pensiero. Comincio a pensare tu sia un masochista, tu genere umano che quasi sempre vivi nel bosco del lamento, quel bosco degli Attoniti che non ha più posto per gli gnomi, per i sogni, che si alimenta di incubi, di roghi all’anima, genere umano che più nulla apprezza se non l’infelicità, la sua, la perenne insoddisfazione.
Un, due, tre…datti una mossa: caffè, sigaretta, un bel giro a piedi, respirare aria pura e vento sulla pelle, spogliarsi dei guai e vivere, vivere alla grande.
Ecco che arriva anche l’amore: è importante lei per te, ma non hai tempo, hai posto solo per la tua infelicità e anche lei diventa un problema. In fondo con la sua gioia potrebbe farti cambiare idea, col suo ottimismo potrebbe infonderti quella fiducia e voglia di sognare che hai perso da tempo. In fondo non è poi tanto male non essere infelici. In fondo siamo piccoli uomini che vaghiamo nel buio dell’infelicità fino a che non scopriamo che le risorse son dentro di noi. In fondo non è poi così difficile sorridere… è un sistema eco sostenibile… nulla costa e fa viver meglio e di più.
E allora: ti sei mosso? Che ci fai ancora lì? Sbrigati! La stazione s’allontana se non scendi in tempo da quel treno scrostato e maleodorante. Aspetta pure la prossima fermata, ma è un rischio, potrebbe essere vuota. Ricordati di scendere, tenta alla prossima, non restar seduto ad aspettare, ché il treno della vita non aspetta te… lui continua la sua marcia, inesorabilmente avanti.
E a un certo punto non t’aspetta neanche più.


Sole rischiara la mattina

quando sente il cielo cantare

quando la poesia torna felice

quando il suo raggio

riesce a trafiggere qualsiasi nube

ritorna stornello vitale ritorna

quest’aere dolce e verso la sera

ti avvii con l’animo in pace sereno

ritorna o dolce canzone

dal tipico suono danzante

ritorna sui passi di sole

dove tutto è più dolce

 

Doriana Puglisi

Assieme ai Nonni

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Comincia la giornata lavorativa, la mia giornata lavorativa: di essa sono soddisfatta, tanto mi dà, ricevo sempre più di quello che do’. Una giornata assieme a diverse angolature, guardate sempre dal punto di vista della persona. Una fetta: il nostro passato nella veste del presente. Un’altra fetta: il nostro presente rapportato con colleghi, doveri, diritti e compagnia. Una fetta ancora: il futuro, pensando a ciò che di me sarà, se sarà, di noi tutti. Un lavoro in mezzo alla gente quindi, come gli altri lavori svolti nella mia vita, sempre in mezzo agli altri. Un lavoro ricco di rapporti umani, la mia socialità soddisfatta, il mio senso d’altruismo soddisfatto. E non parlatemi dell’altruismo come di quel sentimento che soddisfa l’individuo per egoismo proprio…quello a cui non credo non lo faccio…alla faccia dell’altruismo…di queste storie non m’importa proprio un bel nulla: se provo piacere a compiere qualcosa accetto anche l’altra faccia della medaglia, se no puoi farmi lo scalpo ma non cedo – che caratteraccio mi ritrovo, invece che darmi una calmata con l’età peggioro. Bando alle ciance…ritorno in tema.

Qualche anno fa, dopo il mio anno sabbatico di riposo da un lavoro che mi aveva lasciato sfinita, avevo deciso di esaudire un desiderio che portavo nel cuore da infiniti anni: missionaria laica in Africa, che poi trasformai in Brasile vista la possibilità che intravidi di recarmi là tramite la conoscenza diretta di una comunità da parte di un parroco ‚Äúumano‚Äù che mi stava simpatico che lì c’era stato per vent’anni e il cui racconto del vissuto della comunità stessa m’appassionò. Ecco, tutto cominciò così e questa mia voglia sembrava dovesse andare senz’altro in porto…ormai riposata dall’anno appena trascorso che era stato praticamente d’ozio mi tornava la voglia di darmi da fare, di lavorare, di crearmi un mezzo di sostentamento. Preparai il tutto: contatti con la comunità in questione, nuovo passaporto, persino la valigia…

Quella mattina ero al computer per prenotare un volo di sola andata per Recife quando il cellulare si mise a suonare: era un uomo che avevo contattato per un lavoro, più che altro per scrupolo di coscienza verso i miei figli che probabilmente avrei rivisto, vista la lontananza che mi accingevo a porre tra di noi, per poche altre volte nella vita, responsabile delle assunzioni per una struttura residenziale per anziani. Il signore all’altro capo del telefono mi offriva un lavoro temporaneo. Il mio pensiero corse in maniera vorticosa verso un ci provo, non è lontano dal mio desiderio, se ho voglia di rendermi utile in questo senso lo potrei fare anche qui, a casa mia. Ci provo ‚Äì gli dissi subito ‚Äì grazie.

Dopo qualche giorno, espletate le pratiche burocratiche, cominciai a lavorare in una casa di riposo per un periodo, poi cambiai luogo di lavoro, ma sempre in una struttura simile e…tornai a scuola per un corso accelerato, acceleratissimo direi viste la buona quantità e altrettanto buona qualità dell’insegnamento, per un titolo di studio che mi permise di aver la possibilità di continuare a svolgere questo tipo di lavoro che mi aveva appassionato da subito e che mi permise di soddisfare quel senso di ‚Äúmissione‚Äù che dentro mi porto.

Lavoro in una casa di riposo quindi. Qui gli ospiti, utenti, chiamateli come volete, li chiamiamo affettuosamente nonni e affettuosamente li accudiamo, curiamo, li aiutiamo a vivere insomma cercando di lenire in qualche modo la lontananza dai propri cari, da casa propria, cercando di render loro serena la permanenza in un luogo che condividono con propri simili, di farli sentire a proprio agio.

A me da’ molta soddisfazione questo tipo di lavoro: coi nonni ci sto proprio bene, ho riscoperto in me una pazienza eterna, mi danno molto di più di quello che ricevono, così a me sembra. A volte penso a queste creature indifese, la maggior parte è così, che si abbandonano a noi, con fiducia, a noi che, al principio almeno, non conoscono…loro son così…si fidano, come i bambini. E come i bambini ti offrono i loro doni: chi un sorriso, chi un grazie, chi una caramella, chi la pesca che non ha mangiato a pranzo, chi un giornale che ha letto e riletto…

Son belli i nonni! A volte osservo le loro rughe di saggezza, con tono pacato mi raccontano di una volta, chiedono di casa mia, i più attenti si ricordano il mio nome, gli altri lo storpiano, ma il risultato è sempre lo stesso…la tenerezza m’invade e qualche volta resto incantata a studiare le loro reazioni, le loro discussioni che s’accendono sulle piccole azioni quotidiane della vita, l’indicarmi il nuovo fiore di carta costruito il giorno prima.

Avevo il turno di notte quella notte e una signora arrivata da poco in struttura suonò il campanello e quando arrivai al suo letto mi sentii un: – Eccola, qui arriva il sole anche di notte! Son queste per me le soddisfazioni della vita, lasciatemelo dire, queste son le cose che mi fanno toccare il cielo con un dito…la semplicità fatta parola, la parola fatta semplicità. Da quel giorno ci chiamiamo Sole tra noi: per lei sono Sole, per me è Sole.

Sai ‚Äì le dissi dopo qualche mese da quella prima volta temendo che lei prendesse male la cosa ‚Äì che il mio cane si chiama Sole? E’ una femmina ma mi è piaciuto chiamarla così. Ah si? – fece ‚Äì che bello! Me la porti che voglio conoscerla? E un pomeriggio presentai Sole all’intera comunità: nessuno dei nonni ebbe paura, nessuno! Eppure Sole non è quello che si dice un cane di taglia piccola: è un lupo italiano e ha le fattezze miste tra pastore tedesco e lupo. Quasi tutti m’invitarono ad andar vicino e accarezzando il cane le e mi sorrisero, molti mi chiesero delle sue abitudini e mi dissero di riportarla. E alcuni di loro mi domandano spesso cosa faccia il cane, se non si senta sola quando non ci sono…

Chiaramente non ci sono solo episodi solari: si vede anche la sofferenza nelle strutture di questo tipo, a giorni si può tagliarla col coltello…e mi reputo fortunata a star bene…niente è mio diritto, non parlo nel senso puramente giuridico del termine, se non ricercare la serenità che comunque devo conquistarmi, sono io che devo arrivarci, nonostante la vita, nonostante la sofferenza che attraversiamo nell’arco di questa grande momento che è la vita…e a volte costa sangue vivere, vivere per come credi sia bene il tuo vivere.

Come si fa a non essere grati all’universo per queste piccole grandi cose che ti offre? Mi chiedo come si faccia. Forse sono io che mi ‚Äúaccontento‚Äù, forse sono io che non m’interesso più di tanto alla rincorsa verso l’avere ad ogni costo…eppure c’è stato un tempo…il tempo della corsa…ed ero sempre scontenta…sempre mi mancava qualcosa. Eppure c’è sempre stato il cielo. C’è sempre stato il mare. C’è sempre stato il vento. C’è sempre stata la neve. C’è sempre stato un nonno pronto a donarti il suo sorriso: magari anche senza denti, ma ti ha sorriso…e in quell’istante ti ha donato il tuo momento felice. Anche questa è vita, anche questo è amore…

Quant’è Bella la Chat

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Che faccio oggi dopo aver fatto pulizie, letto mezza pagina di un libro che mi appassiona, oggi non è giornata adatta, bevuto il caffè, guardato la posta, visitato la pagina fb, salutato i miei vicini di casa incontrati in bottega? Ho una giornata così: di quelle di non troppa voglia di far del bene, come si sul dire. Vabbè, vado un po’ in chat: una o due volte l’anno provo ad entrare in chat a rendermi conto se qualcosa cambia nell’evoluzione dell’uomo in questo contesto… e poi qualche volta ci trovo qualcuno che mi racconta anche quella bella storiella.¬†Entro. Miriadi tra cavalieri erranti, voglia di te, uomini cortesi, gladiatori, femmene serie, radicchi di prato, verba volant, donna chic choc, fatebenefratelli e compagnie varie come nick…non so la fantasia della gente dove s’attacchi a ricercare tutti questi sostantivi, nomi, chiamiamoli come vogliamo. Personalmente non riesco a trovarmi un nick che non sia il mio nome: ci ho provato qualche volta a cambiar nome nell’iscrivermi a qualche forum o aprirmi un blog, ma già nel primo post ho spiattellato nome e compagnia bella…boh! Un attimo dopo si aprono le finestrelle di messaggi privati. I soliti convenevoli: come ti chiami, quanti anni hai, da dove dgt…io che sono una rintronata la prima volta ho dovuto chiedere spiegazioni su ‘sto dgt: che vorrà mai dire? Eh già! si abbrevia digiti: linguaggio moderno…tipo c6, che mi pareva una qualche “sigletta” tipo G8, tipo vitamina k 12…per quello che ne so tutto può essere. Torniamo a noi. Cominci a chattare con una delle finestrelle e immancabilmente arriva il: – Ma messenger ce l’hai? “Si che ce l’ho” rispondo la mia prima entrata in chat. La solita finestra mi dice: – Perchè è più comodo parlare noi due da soli. E io con la mania del magari mi racconta qualcosa di interessante così ci faccio un racconto do l’ok all’omino del messenger che faccia passare quel contatto, che poi scopro di un giovane dell’età di mia figlia maggiore, con cui ci scriviamo, parliamo, del più e del meno. E poi la webcam: – ma sai mi sento più sicuro, così so con chi parlo. Ok con la cam. Dopo un po’ di sedute di msn, mi adeguo alle abbreviazioni webbistiche, in una bella mattina di sole, ¬†questo ragazzo mi racconta un po’ di episodi della sua vita, poi mi chiede scusa chè va un attimo di la’ e mi ricompare nudo…Gli chiedo: – Cosa ti succede? Hai bisogno di fare l’esibizionista? Nessuna ha mai resistito a me – mi risponde cominciando a trastullare le sue mani ¬†sulle parti intime. A questo punto chiudo il messenger e cancello il contatto.¬†Devo dire che questa cosa mi ha fatto sorridere parecchio, mi da da pensare la solitudine e a cosa possa portare, il ricercare rapporti umani fuori dalla realtà fino al punto che per una masturbazione ci si riduca all’elemosina nel web, senza nessun¬†ritegno…tanto non mi conoscono!¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬† Sempre le finestrelle della chat ti chiedono di vederti, consumare un rapporto sessuale, e via: così, come fosse scambiamoci un saluto, senza un sorriso, senza un perchè: zac e tac! E uomini e donne, senza alcuna distinzione.¬†¬†Ma è mai possibile che siamo ridotti a questo, nella nostra insoddisfazione quotidiana? E quello che sembra un buon contatto, nel senso¬†la persona¬†che sembra un po’ più illuminata, la cui lampadina probabilmente è momentaneamente svitata, te lo chiede, magari dopo un discorso che ti coinvolge, dopo un discorso sui suoi sogni che non ha coraggio di realizzare. Il fatto è che dico sempre prima che se si tratta di sesso e compagnia non ci sto, vengo in chat per distrarmi magari durante una giornata uggiosa, stanca di questo o quel lavoro che sto in quel momento svolgendo o con la voglia di cercare qualcosa di nuovo e leggero in questo senso o per passare, appunto, dieci minuti…¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬†¬† Abbiamo appurato che l’essere umano cerca essere umano, abbiamo appurato che¬†la soddisfazione sessuale¬†appartiene alla fascia dei bisogni primari, ma non vorrei toccasse a me ridurmi in questi stati. Ma chi sono io per giudicare? Nessuno, non giudico: solo constato. Nulla di più, nulla di meno. Alla fine appartengono a chi le consuma le azioni. E noi…parliamo del più e del meno: così…semplicemente.

Amo la vita

Amo la mia solitudine
quel minuscolo centimetro
che mi ritaglio nel tempo
come amo il frastuono dei simili miei
quel fantastico mondo
che da sempre mi circonda
amo gl’immensi spazi
come gli angusti boschi
in cui procedo a stento
nella mia vita vera
quella del mio cuore
lasciate sia io a scegliere
lasciate che il cuore parli
e parli forte urli infine
perché di vita si tratta
di questo ruscello che nasce filo d’acqua
e poi diventa mare
 
03/03/07 h. 08,53

La foto è scattata tra i murales¬†di Cibiana di Cadore

Doriana Puglisi

 

 

La vita oltre la morte

Vita e morte
Creative Commons License photo credit: Roby Ferrari

Un giorno, durante la mia permanenza per lavoro in Arabia Saudita, chiesi ad un sudanese che lavorava con me in ufficio cosa ne pensasse della vita nell‚Äôaldilà.
Il sudanese, un ragazzo meraviglioso (non fraintendetemi!) e molto lavoratore, cominciò ad enumerarmi tutto quanto si aspettasse dalla vita oltre la morte.
Prati verdi giardini lussureggianti, acqua a volontà e uno stuolo di bellissime ragazze tutte per lui.
Io lo ascoltavo a bocca aperta e mi scappava da ridere, ma non potevo ovviamente darlo a vedere.
Fingendo di essere assorto nel suo ragionamento lo ascoltavo e dentro di me ragionavo sulla creduloneria di certa gente.
Ad un certo momento pensai di tendergli un trabocchetto e gli dissi:
Bene bene tu hai detto che Allah ti avrebbe detto che se ti fossi comportato da bravo mussulmano avresti avuti tutti questi premi nel Giardino dell‚ÄôEden ( così lo chiamava lui). Ma sai che fregatura se invece non ci fosse niente!
Lui mi guardò assorto, e per un attimo temetti che si fosse offeso.
Ma subito dopo, con un sorriso di grande pazienza, mi rispose deciso e sicuro: Impossibile lo ha detto Allah!
Ora io penso che se i cristiani credono nell’inferno e nel paradiso anche i mussulmani hanno diritto di credere in quello che sperano!
Solo delle due una, o è vero il dio dei mussulmani o è vero il dio dei cristiani, non possono coesistere entrambi gli dei, aggiungiamoci pure quello ebraico, altrimenti verrebbe a crearsi un vero caos divino, dunque ammettendo che esistano questi dei, potrebbe rivelarsi un dio in varie espressioni.

Ma se ammettiamo per un momento che sia ridicolo che un mussulmano creda di trovarsi circondato da belle ragazze nel giardino dell‚Äôeden, devo implicitamente considerare ridicolo che qualcuno pensi ad una vita nell‚Äôaldilà di stampo cristiano.
Dunque se esiste l‚Äôinferno e il paradiso deve per forza esistere il giardino dell‚Äôeden, e accidenti, se è vero che è pieno di belle ragazze mi faccio mussulmano!

Non ci credete eh! Ridete eh! E allora perché credete che esista l‚Äôinferno e il paradiso?
Allora vi faccio un’altra domanda
Sai che fregatura se non esistesse niente né inferno né paradiso, e voi probabilmente senza nemmeno pensare mi rispondereste: Impossibile l‚Äôha detto gesù.
Magari la stessa frase che mi disse il sudanese.

Ora io dico, quale differenza c‚Äôè allora tra pensare mussulmano e pensare cristiano?

Ma poiché io non penso che esista nessun dio non penso che esista un inferno e un paradiso e tanto meno un sacco di ragazze che aspettano solo me!

Ora tornando al discorso da cui è partita questa riflessione, io ritengo che chi non crede non possa vivere disperato in quanto non credendo non può avere rimpianti e tanto meno speranze.
Altrimenti è un ipocrita!
Dunque se da un lato chi crede, vivendo una vita in prestito, passa tutti i suoi anni a vivere pensando a quello che gli succederà nell‚Äôaldilà,‚Ķ.. sperando che non sia una fregatura‚Ķ. Io penso che chi non crede, io ad esempio, pensa che siamo venuti al mondo per un caso, e viviamo questa vita come fanno gli animali gli insetti e le piante. Finita questa vita organica tutto scompare. Resta solo il ricordo nei parenti se vorranno ricordarci altrimenti nemmeno quello.
Noi siamo acqua e quel poco di residuo organico che resta si tramuterà in polvere.
E‚Äô il ricordo in quelli che ci sono vicini l‚Äôunico legame che resterà per sempre qui sulla terra.

Pensa uomo, perché vivi. Vivi uomo e pensa.