Contenuti legati e morti e ancora vivi

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Certi fatti li conoscono in pochi, sono marginali, certi altri¬† li leggono in un numero ancora più esiguo, sopratutto se si tratta di detenuti contenuti¬† legati e morti, mai prosciolti da certa cronaca nera, che diventa sempre più buia, fino alla fine:¬† ‚Äúpericolosi per sè e per gli altri e/o se si arreca pubblico scandalo‚Äú. La mia filosofia da 4 soldi è quella di farli circolare e comunicare, non fosse altro che per darne notizia. Così iniziavo il 17 agosto 2009 per¬† denunciare la morte di Francesco Mastrogiovanni, tramite la segnalazione di un amico.¬† Ne ho avuta un’altra¬†¬† alcuni giorni fa:¬† il titolo dell’Unione Sarda il 21 ottobre ,¬† L’ambulante morto in psichiatria:accusati di sequestro sette medici redatto da Maria Francesca Chiappe. Il fatto si svolge nel Reparto psichiatria dell’ospedale Ss.Trinità di Cagliari.

“Clamoroso colpo di scena nel caso della morte dell’ambulante quartese Giuseppe Casu. Sette medici del reparto psichiatria del Santissima Trinità di Cagliari sono stati accusati di sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere. Giuseppe Casu è stato ucciso da un farmaco tossico per il cuore. Questa, almeno, è l’idea dei periti del Tribunale. Anche se sottolineano: non c’è la certezza ma un’¬´elevata probabilitପ. Il processo sul sessantenne quartese morto il 26 giugno 2006 dopo sei giorni di ricovero in Psichiatria al Santissima Trinità si giocherà tutto su quelle due parole. Però: il paziente è stato legato al letto per tutta la durata del ricovero, dal giorno del trattamento sanitario obbligatorio firmato dal sindaco di Quartu durante lo sgombero degli ambulanti da una piazza, fino a quando si è scoperto che non respirava più. E questo, dicono i periti, non si poteva fare. Di lì la nuova, clamorosa accusa contestata ieri al primario Gian Paolo Turri e agli psichiatri del suo reparto Maria Rosaria Cantone, Antonella Baita, Maria Rosa Murgia, Marco Murtas, Luciana Scamonatti, Marisa Coni: sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere. Roba da dieci anni di reclusione. La notifica dell’avviso di conclusione delle indagini firmato dal sostituto Giangiacomo Pilia ha provocato stupore, rabbia, sconcerto negli ambienti medici cagliaritani. Eppure il nuovo stralcio di indagine è sostanzialmente un atto dovuto dopo il deposito della perizia, l’11 ottobre scorso, davanti al Tribunale monocratico che processa Turri e la Cantone per omicidio colposo aggravato: durante il dibattimento il pm lo ha quasi annunciato insieme al tentativo di portare la discussione sulla contenzione fisica. La difesa dei due psichiatri è insorta poiché è stato escluso che quella circostanza abbia portato alla morte del paziente. E allora il giudice Simone Nespoli ha chiesto al pm di motivare le sue domande e Pilia a quel punto ha dichiarato che la perizia avrebbe potuto portare alla contestazione di nuovi reati. In effetti i periti parlano senza mezzi termini di sequestro di persona e lo fanno sotto un profilo strettamente giuridico. Affrontando la questione della contenzione fisica hanno escluso che Casu sia stato ucciso da una trombo-embolia polmonare legata alla lunga immobilità, come invece avevano diagnosticato i medici del Santissima Trinità subito dopo l’improvvisa morte dell’ambulante. I periti Elda Feyles, specialista in anatomia e istologia patologica, Guglielmo Occhionero, psichiatra, e Rita Celli, medico legale, hanno innanzitutto individuato le norme: gli articoli 13 e 32 della Costituzione sulla inviolabilità della libertà personale e sul consenso all’atto terapeutico, il codice deontologico di medici e infermieri sulla contenzione fisica e farmacologica come evento straordinario e motivato, il codice penale: se c’è uno stato di necessità la misura di contenzione, sempre proporzionale al pericolo attuale di un danno grave non altrimenti evitabile, non solo può ma deve essere applicata se non si vuole incorrere nel reato di abbandono di incapace. I periti sono sicuri: ¬´La contenzione fisica è ammessa solo allo scopo di tutelare la vita o la salute della persona… qualora la contenzione fosse sostenuta da motivazioni di carattere disciplinare o per sopperire a carenze organizzative o per convenienza del personale sanitario si possono configurare i reati di sequestro di persona, violenza privata, maltrattamenti¬ª. Non solo, i periti negano che la contenzione a letto sia da considerare un trattamento sanitario vero e proprio: ¬´In generale, per prestare le prime cure il medico deve intervenire e vincere la resistenza solo se il paziente si trova in vero pericolo di vita. Nei casi psichiatrici quel pericolo non c’è quasi mai perché raramente esiste un pericolo di vita rispetto a una malattia mentale. Non risulta che mai nessuno sia morto di allucinazioni o delirio¬ª. I periti valutano dunque ¬´eccessivo¬ª legare a letto un paziente anche se per impedirgli il suicidio o costringerlo a curarsi. Di lì la conclusione: ¬´La diretta coercizione non è fra le prestazioni richiedibili allo psichiatra. E visto che l’organigramma del nuovo assetto della psichiatria non prevede figure di personale di custodia (come prima della legge Basaglia che ha chiuso i manicomi), essendo venuta meno tale esigenza che caratterizzava la vecchia normativa manicomiale, il ricorso all’uso della forza fisica è esterno al rapporto terapeutico¬ª. Nell’indagine-stralcio Baita, Murgia, Murtas, Scamonatti e Coni sono accusati anche di omicidio colposo, reato per il quale Turri e la Cantone sono già sotto processo: per il 29 novembre è fissata la requisitoria del pm. La Asl 8 ha intanto annunciato che in questa fase non prenderà provvedimenti nei confronti dei medici.”

Carmelo Musumeci ha invece redatto un documento che uno spazio come Macelleria Carceraria l’ha avuto. Porta una prefazione il suo “pezzo”: “Amami quando lo merito di meno, perché sarà quando ne ho più bisogno(Catullo) ” Dall‚Äôinizio dell‚Äôanno i suicidi in carcere sono 55 ‚Ķ e nessuno ne parla. Molte persone aldilà del muro di cinta si domandano perché molti detenuti si tolgano la vita. Invece molti detenuti al di qua del muro si domandano quale motivo hanno per non¬† togliersi la vita. La verità è che la morte in carcere è l‚Äôunica cosa che può portare un po‚Äô di speranza, amore sociale e felicità,¬† perché quando ti togli la vita hai il vantaggio di smettere di soffrire. Una volta il carcere era solo una discarica sociale,¬† ora è diventato anche un cimitero sociale…

E da un po‚Äô di anni a queste parte la cosa più difficile in carcere non è più morire,¬†¬† ma vivere. I detenuti in carcere vengono controllati, osservati, contati, ogni momento del giorno e della notte,¬† eppure riescono facilmente a togliersi la vita. Diciamo la verità: i detenuti non sono amati e non importa a nessuno se si tolgono la vita. Ormai le persone perbene si voltano dall‚Äôaltra parte,¬† mentre altri fanno finta di non vedere quello che vedono. Diciamoci la verità: questo accade perché la grandissima maggioranza della popolazione detenuta è costituita da individui disperati, poveri cristi, immigrati, tossicodipendenti, disoccupati e analfabeti. Persone di cui non importa a nessuno. Eppure di questa ‚Äúgentaglia‚Äù, di questa ‚Äúspazzatura umana‚Äù¬† non andrebbe buttato via nulla,¬† perché con lo slogan ‚ÄúTutti dentro‚Äù e ‚ÄúCertezza della pena‚Äù i partiti¬† più forcaioli vinceranno le prossime elezioni. Nella stragrande maggioranza dei casi la morte in carcere è la conseguenza di un¬† comportamento passivo e omissivo dello Stato, che scaraventa una persona¬† in una cella, la chiude a chiave e se ne va. Eppure l‚Äôeutanasia in Italia è proibita. Lo Stato non fa nulla per evitare la morte in carcere, non per niente l‚ÄôItalia è il Paese più condannato della Corte Europea dei Diritti Umani. Carmelo Musumeci Carcere Spoleto, ottobre 2010.”

Per concludere il mio articolo di certo non allegro e¬† leggero, che ho letto¬† su Facebook¬† tramite il gruppo Ecumenici, aggiungo Percorsi Sbarrati, un video sull’ergastolo ostativo prodotto dagli stessi ergastonali. Anche questo su Facebook, come “Urla dal silenzio“, unendomi ¬† alla voce di Ecumenici che sottoscrive cos쬆 la Macelleria Carceraria: ” Ecumenici solidarizza con gli ergastolani in Italia contro il c.d. “fine pena mai!” Non ne vogliamo sapere di partiti e politici forcaioli, di destra e di sinistra, fascisti, liberali, democratici o comunisti. -… Dovrete fare i conti anche con noi!! Digiuno della fame il prossimo primo dicembre ovunque, dentro le carceri e fuori.”

Mi auguro che quanto ho scritto sia segnalato e non solo da quelle persone che quotidianamente ritengono corretto farlo al Team di Facebook, qualunque cosa io¬† comunichi sulla mia pagina, anche privatamente e¬† chiedendone la rimozione, me compresa, ovviamente:¬† non le ringrazio affatto, nè a nome mio, nè di nessuno e mi spiace ma non ci fermeranno, possono contarci.¬† Lo scrivo pubblicamente.

‚ÄúAlcuni dicono che la pioggia sia brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alta con il viso coperto dalle lacrime‚Äù: è parte di un dialogo tra due diavoli all’inferno e un’amica loro che gli scrive.

Doriana Goracci

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Foto tratta da Urla dal silenzio

Il Mondo è Fuori ed è stata una bella giornata di sole

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Il 4 agosto 2010, è un anno che è stato ammazzato con un Trattamento Sanitario Obbligatorio, Francesco Mastrogiovanni, della serie Detenuti Contenuti Legati e Morti.

Un anno fa appresi cosa significa TSO, Trattamento Sanitario Obbligatorio, scrivendo di Francesco, Franco per gli amici.Estate… Non lo conoscevo…La Dimora del Tempo Sospeso di Francesco Marotta ospita ancora oggi commenti arrivati a poco meno di 500. Così scrivevo Passione e morte di un innocente sulla mia pagina di Face Book e Vladimiro Cordone raccoglie…: “Vorrei portare a quanto detto da Doriana una mia esperienza sui TSO, che oggi si chiamano così, ma un po’ di tempo fa non si chiamavano nemmeno, c’erano i manicomi e basta, che però nella sostanza nulla cambia.” Ho chiesto all’amico il permesso di pubblicarla, di tirarla  fuori  la sua storia, da un limite di contenimento, quale può essere il mondo virtuale, perchè altre e altri possano sapere.

Tuttavia nella testa, continua a girarmi  un motivetto “U’ Munnu è fora” e le parole che l’accompagnano, ve le scrivo tutte, in una giornata di agosto 2010, come il racconto vero di uno qualunque tra noi. La canzone e il testo me l’aveva inviati Maria Leone su FB, così:” U MUNNU è FORA, il mondo è fuori… Il mondo è fuori, davanti la porta in mezzo alla strada, …sopra uno scoglio, sotto la luna. Il mondo suona una chitarra o una bomba, mangia carne arrostita o pane e acqua. Il mondo è fuori, fuori di testa, è fuori fuori. Si danna e spera, ride e balla e si consola c’è un mondo fuori che senza soldi non funziona, rumore che rende attoniti, rumore di macchine e motori. Il mondo è vergine di natura, ma senza soldi non funziona. Mi dà la forza di acchiappare senza una lira cielo e mare. e quando negli occhi vedo il mondo mi dà la pace come il sonno…. il mondo è fuori… Traduzione imperfetta perché alcune parole siciliane non possono assolutamente essere tradotte. Hanno una forza tutta loro che non trova  un corrispettivo in italiano. Una lingua che viene dalla pancia e che spesso nella pancia rimane.”

Vladimiro, è la stessa persona che ricordava certe voci inascoltate delle vuvuzela, e scriveva:” Sto facendo un viaggio alle sorgenti del mio tempo per scoprire quando sono diventato un fiume“. Quello che scriviamo, almeno quello, rimane. Ed è stata una bella giornata di sole.

Doriana Goracci

“Vorrei portare a quanto detto da Doriana una mia esperienza sui TSO, che oggi si chiamano così, ma un po’ di tempo fa non si chiamavano nemmeno, c’erano i manicomi e basta che però nella sostanza nulla cambia. L’esperienza tragica e dolorosa di cui vorrei parlare è quella di mio padre, Giampiero, morto suicida all’età di 49 anni. Dai miei ricordi fin dalla tenera età, la presenza di mio padre è sempre stata accompagnata da un insieme di violenze di assenze e di povertà. Operaio iscritto al PCI sempre in prima linea e con una grossa dipendenza da alcol oltre che a un grande senso di inadeguatezza alla vita stessa. Gli anni 60 furono anche gli anni del boom economico ma quelli che li precedettero, quelli in cui io ho vissuto la mia infanzia, furono anni duri, quelli del dopo guerra tanto per capirci. Per rendere più completo il quadro del contesto in cui si muove la storia di mio padre, e la mia, devo aggiungere che il tutto si svolge nella cattolicissima Lecco ieri roccaforte DC oggi avamposto ciellino oltre che legaiolo. ( non dimenticate che Formigoni si è fatto le ossa nei GS di don Giussani, con cui ebbi “rapporti ravvicinati”, proprio qui a Lecco. Per la cronaca La vicenda emblematica di Eluana Englaro non poteva trovare miglior palcoscenico proprio qui).
Questi sono gli ingredienti e adesso la storia.
Ciclicamente mio padre aveva delle esplosioni di violenza prima contro gli altri per poi rivoltarsela contro se stesso con tentativi di suicidio, non ne ricordo quanti , da molti che furono. Fatto sta che ogni volta che ciò accadeva finiva con un ricovero al manicomio di Como dove la cura era una buona dose di scariche elettriche come sedativo, il che funzionava per circa sei mesi per poi ritornare tutto come prima. Un routine fatta di sbronze più che quotidiane, che erano il suo personale sedativo al suo male di vivere. Poi accadde una sera, mi ricordo che era maggio e io tornavo, come ormai accadeva da cinque anni, dalla scuola serale dove studiavo come perito, era tardi, e stranamente tutte le luci di casa erano accese, cosa insolita che mi insospettì. E ne avevo ben donde. Per farla breve mio padre aveva radunato tutta la famiglia , mia madre e tre fratelli e sorelle in un angolo della casa mentre lui “tranquillamente si tagliuzzava la vene, la casa era un delirio di sangue e terrore, con uno stratagemma riuscii a tramortire mio padre e chiamai l’ambulanza. Risultato fu l’ennesimo ricovero al manicomio di Como, altre scariche e il ritorno a casa. Questa fu l’ultima volta che ebbi parte attiva in una situazione famigliare, poco tempo dopo, era il ’70, decisi di trasferirmi a Milano per inseguire il mio sogno di rivoluzione. Nel 76, era ancora maggio e mio padre finalmente,¬† per lui decise che il suo tempo era arrivato. Aveva solo 49 anni.
Racconto questa storia per far capire come in Italia, ieri come oggi, vengano trattati i cosidetti “matti”, cioè quelli che non riescono a vivere dentro le anguste e poco democratiche regole di questa società incivile. I TSO di oggi che fanno uso di potenti farmaci sedanti non sono per niente diversi dagli elettroscock di ieri e i letti di contenimento puzzano di urina e feci oggi come nei manicomi di ieri. Nulla è cambiato, se non il mezzo, per non curare questo disagio. A mio padre mai che abbiano chiesto il motivo dei suoi gesti auto/distruttivi, l’importante era ” fermarli”, affinchè non” apparissero”, non scalfissero l’immagine di una società proiettata al futuro in cui la catena di montaggio era diventata il nuovo totem, attorno a cui facevano saltellare tutti nella tragica danza del progresso. Tutte le battaglie di Basaglia sono finite nel cesso non solo per volere di una classe dirigente stupida e bigotta, ma anche per una società “civile” che non mai voluto accettare al suo interno ” elementi” portatori di disagio.
Quante famiglie tengono nascoste, per ” vergogna”,  situazioni in cui uno dei componenti viene travolto da questa “malattia”? Per mia esperienza vi posso dire : tante, ma proprio tante, il sistema sanitario poi non è in grado di affrontare queste tematiche per mancanza di una cultura di accettazione del ” diverso”. Si fa tanto parlare, giustamente, del razzismo imperante nei confronti dei migranti, e si fanno giuste battaglie. Ma quasi nessuno viene in mente di lottare contro quel razzismo che noi abbiamo anche con nostri parenti, quando proviamo vergogna di loro, per loro non ci sono CIE, vergogna di un paese civile, non esiste niente.
Non esiste niente perchè niente ci deve essere, altrimenti sarebbe il riconoscimento che una società non è perfetta, non per niente i “matti” sono trattati in egual misura sia in una società capitalista o” comunista”. Nessuno deve turbare l’avanzata della società verso gli obiettivi prefissati. Non c’è spazio per i diversi in mondo di “uguali” di qualsiasi appartenenza essi siano. Dunque TSO o manicomi sono le facce di una stessa medaglia, quelle dell’emarginazione. E dico che nessuno può chiamarsi fuori.
Mi ricordo che quando mio padre si suicidò, la maggior preoccupazione di mio zio, il fratello di mio padre, fu quella che i giornali non ne parlassero. Dopo i funerali io feci un comizio “volante” davanti alla fabbrica dove entrambi avevamo lavorato, per gridare con tutta la mia rabbia la storia di Giampiero, Pierino per gli amici, operaio comunista matto e alcolista.
E mi ricordo anche una domanda che un “matto”  fece a Basaglia. Dottore si è matti perchè si sente dolore o si sente il dolore perchè si è matti? Basaglia non ebbe la risposta.
Sarebbe ora che noi ci ponessimo quella domanda.
Ciao a tutti.

Vladimiro Cordone

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