Invito alla lettura: “L’uomo a una dimensione” di Herbert Marcuse

 

di Michele Blanco*

Quest’anno è il 60esimo della pubblicazione de “L’uomo a una dimensione” di Herbert Marcuse. Oggi sarebbe opportuno che lo si leggesse perché in tutti questi anni abbiamo potuto constatare la conferma di  gran parte delle tesi illuminanti dell’autore. 

Marcuse, in modo oggettivamente profetico, affermava che la “società industriale avanzata” ha creato, e continua a farlo costantemente, falsi bisogni, che hanno integrato gli individui nel sistema esistente di produzione e consumo attraverso i mass media, la pubblicità, la gestione industriale e le modalità di pensiero contemporanee.

Ciò si traduce in un universo “unidimensionale” di pensiero e comportamento, in cui l’attitudine e l’abilità per il pensiero critico e il comportamento di opposizione si allontanano constantemente (oggi tutto ciò lo chiamiamo mainstream). Contro questo clima prevalente, oggi assolutamente prevalente e totalizzante, Marcuse promuove il “grande rifiuto” (descritto a lungo nel libro) come l’unica opposizione adeguata ai metodi onnicomprensivi e totalizzanti di controllo. 

Gran parte del libro è una difesa del “pensiero negativo”, inteso come possibilità di dissenso e difesa delle forme di vita alternative, come forza dirompente contro il falso positivismo prevalente. Marcuse critica fortemente la maggiore caratteristica della società contemporanea: il consumismo e la moderna “società industriale”, allora lo era oggi un po meno diremmo del terziario, che sostiene sia, indiscutibilmente, una forma subdola di controllo sociale. 

Marcuse sostiene che mentre il sistema in cui viviamo insiste a definirsi e pretende di essere democratico, in realtà è totalitario. Una onnipresente, nascosta alla vista della stragrande maggioranza delle persone, forma di razionalità tecnologica si è imposta e manipola ogni aspetto della cultura e della vita pubblica e privata; essa è diventata totalmente egemonica. 

La nostra identificazione con questa ideologia egemonica della moderna società industriale, o post industriale, questa ideologia non rappresenta una forma di “falsa coscienza”, ma piuttosto è riuscita a imporsi fino a diventare la  realtà, almeno come tale viene percepita da quasi tutti. 

Sono su un argomento Marcuse non ha completamente fotografato le previsioni, il fatto è che lui riteneva e pensava al realizzarsi di una dittatura dolce del pensiero, dittatura ideologica, ossia che il consenso al pensiero dominante, maistream, non sarebbe stato ottenuto con la violenza e la forza; invece la attualissima moderna contemporanea società post industriale occidentale non tollera assolutamente la critica e il dissenso, democratico, e lo sopprime, o lo rende ininfluente, in tutti i modi. Basti pensare alla stampa e alle televisioni a tutti i mass media favorevoli alle guerre e al riarmo. In particolare, e in modo assoluto, nega la possibilità di dissenso a chi è contrario alle guerre, a tutte le guerre, e nega la possibilità di spiegare l’opposizione, le motivazioni e i motivi per essere contrari al riarmo assurdo e ingiustificato.

*Articolo già pubblicato su “l’eguaglianza.it“,

Portoni sezionali industriali: la tecnologia innovativa più popolare del momento

 

I portoni sezionali industriali sono tipi di portoni progettati principalmente per utilizzi business, cioè commerciali o per laboratori e siti produttivi.

Sono costituiti da sezioni orizzontali, solitamente realizzate in metallo o leghe simili, che si sollevano verticalmente quando il portone viene aperto. Questo avviene grazie a un sistema di guide e cerniere, che consentono alle sezioni di muoversi in modo coordinato e che, per tali ragioni, prende il nome di tecnologia sezionale.

In questi ultimi anni sempre più aziende hanno deciso di optare per questo tipo di soluzioni, vista anche l’evoluzione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, sia nel nostro Paese che a livello europeo. Come vedremo in questo approfondimento, infatti, sempre più aziende decidono di ricorrere al consiglio esperto di produttori specializzati di portoni industriali, come CariniSas.it, per poter adeguare l’ambiente di lavoro agli standard vigenti.

Perché scegliere un portone sezionale industriale? Tutti i vantaggi

La destinazione d’uso di porte e portoni industriali, generalmente, riguarda magazzini, stabilimenti industriali, centri logistici e altre strutture commerciali in cui è richiesto un accesso sicuro ed efficiente.

Il termine “sezionale” si riferisce alla struttura del portone stesso. Nei portoni sezionali, la superficie del portone è suddivisa in sezioni separate e disposte le une accanto alle altre: esse sono collegate tra loro tramite cerniere o snodi, in modo tale da consentire al portone di piegarsi quando viene aperto o chiuso.

Questa progettazione consente al portone di sollevarsi verticalmente quando viene aperto, occupando così meno spazio rispetto ai portoni tradizionali che si aprono verso l’esterno o verso l’interno. C’è anche da considerare che le sezioni possono essere realizzate con materiali isolanti o rinforzati, in modo tale da garantire isolamento termico, isolamento acustico e durabilità nel tempo.

Inoltre i portoni industriali possono essere equipaggiati da funzionalità extra, come i sensori anti-schiacciamento, i dispositivi anti-intrusione, i codici di accesso personalizzati e molto altro ancora.

Requisiti di sicurezza: il quadro normativo in Italia

Nel nostro Paese esistono normative e regolamenti che disciplinano l’impiego di portoni industriali e commerciali, compresi quelli simili ai portoni sezionali. C’è da precisare, tuttavia, che ogni caso è specifico e prevede l’ingaggio di consulenti ad hoc per determinare quali adeguamenti sono necessari per conformare gli ambienti di lavoro alla legge.

La principale norma a cui fare riferimento è la Direttiva Macchine CE del 2006, la quale prevede che l’onere della sicurezza di un macchinario sia da ricondurre al produttore; ciò nonostante, i portoni industriali, inclusi quelli sezionali, possono essere considerati macchine ai sensi della direttiva se soddisfano determinati criteri definiti nella stessa.

“Macchina”, come sostiene la norma, è un insieme organico di parti o componenti, collegati tra loro, dei quali almeno uno è mobile e che sono uniti per un’applicazione determinata, in particolare per la trasformazione, il trattamento, il movimento di materiali o la generazione di energia, oppure per altre attività industriali o di utilità.

Lo stesso vale per il Decreto Legislativo 81/08, Testo Unico sulla Sicurezza, il quale tratta ampiamente la sicurezza sul lavoro e, pertanto, abbraccia anche l’uso di portoni industriali. Al tempo stesso definisce i criteri per la corretta analisi e valutazione dei rischi, che è fondamentale anche per l’utilizzo sicuro dei portoni industriali.

Le norme citate, in conclusione, non riguardano tanto il tipo di struttura, quanto piuttosto tutti i requisiti relativi a resistenza al fuoco, impatto ambientale e, ovviamente, sicurezza di chi presidia gli ambienti di lavoro.

 

ICJ respinge richiesta del Nicaragua contro la Germania per gli aiuti militari a Israele

 

La Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha respinto la richiesta del Nicaragua di ordinare alla Germania di sospendere gli aiuti militari e di altro tipo a Israele e di rinnovare i finanziamenti all’UNRWA.

Inoltre, l’ICJ ritiene che le condizioni legali per emettere una simile ordinanza non siano state soddisfatte e si è pronunciata contro la richiesta con un voto di 15 a 1.

“Sulla base delle informazioni fattuali e delle argomentazioni giuridiche presentate dalle parti, la corte conclude che, allo stato attuale, le circostanze non sono tali da richiedere l’esercizio del suo potere… di indicare misure provvisorie”, ha affermato Nawaf Salam, portavoce della corte.

Il presidente della Corte, il giudice Salam ha affermato che la corte è “profondamente preoccupata per le catastrofiche condizioni di vita dei  palestinesi nella Striscia di Gaza ”.

L’ICJ ha ricordato a tutte le parti che hanno l’obbligo di “rispettare e garantire il rispetto” dell’articolo 1 della Convenzione di Ginevra.

Se la sete è abbaiare la condensa

di Mariasole Ariot


Johann Sebastian Bach, Toccata in E minor (Stehlik, B.)

Appaiono nella dimensione più alta i gorgogli della casa, dicono di arrivare e dirigere il verbo del fare al passato, una parola già pronunciata, l’accalcarsi di greggi e datazioni, il gorgo avvicendato dalle forme dimenticate – e ancora si chiudono corolle in direzione contraria al nascituro, dove e quando le mandrie di madri ricordano la caduta di un’esistenza masticata fino all’osso.
È questa la buca che separa, la dannata condizione che sborda ad ogni istante, un solo secondo per il dire, una camminata lenta alla fuoriuscita del feretro e del feto: se non ho mai parlato, se la voce è compressa in una cassa, l’eco si accascia nello specchio.

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Queste facce in forma di persone, le mascherine degli insetti che ronzano nell’attorno di ogni androne, quando le finestre sono chiuse e appiccicate al vetro si attaccano le scimmie. Avere il tempo dilatato per condensa, la voce che si adunca a petizione, la penitenza delle colpe ripetute, se ridendo come foglie a primavera mi formicano gli interni. L’esserino non si muove e ricorda una menzogna dell’attesa a ricompensa: ma quanto vero è il vero quando il cielo non ripete. Le ossa, questo piccolo ricordo di un corpo ormai scordato, lo strumento che s’insegue, la postura di una donnola nel mentre di un amplesso.

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Il ritorno non ci affanna, s’innaffiano le cose mute e già mangiate, è questo diventare il mio passato, è questo il divenire e il suo contrario. La porta che ci è data non respira, la devozione che divina – ma il sospeso è domandato, la domanda è una bocca che ferisce.
Dare e dire cosa, il presente che sfiorisce, questo manto addormentato che sborda come un angolo del petto, ho ancora una parola: il gettito che sente la tua voce e mi sovviene: l’agito che è già verbo, verbale è ciò che agisce. Di nuovo, appesi all’infinito e a questo spazio, se l’appeso è un aspettare, il gioco è dire basta, morire nella cassa toracica del niente.

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Più delle grida è lo snodo che sorregge, la durezza tradotta per errore ci muove testa a testa con la croce, un chiodo che si pianta è questo nostro mondo, la lingua che ingenera una morte, il terreno già sospeso – e dici il puntello della rosa, si fissa a tormentare nelle mani, un manico di falce deprime la mia testa. Aprire il corpo e scoprire un territorio.
È così che cede il ventre, così si cede un panico al suo astro: immobile a sanguigna l’eremita ci passeggia le budella, e quanta pioggia serve al derivare delle rive. I defunti che servono alle tombe, lo zampillo delle pozze: il nucleare ricordo della sete.

Immagine di copertina: Josef Koudelka

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“Se la sete è abbaiare la condensa” è stato scritto da mariasole ariot e pubblicato su NAZIONE INDIANA.

Paolo, fratello di Isabella Noventa: “Il Papa perdona, io no”

Il Papa ha mostrato perdono per coloro che hanno assassinato presumibilmente, Isabella Noventa. Il fratello Paolo però non ci sta e ribadisce il dolore per la perdita e l’incapacità di riuscire a perdonare i colpevoli.

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“Paolo, fratello di Isabella Noventa: “Il Papa perdona, io no”” è stato scritto da Claudia Marcotulli e pubblicato su Notizie.it.

Primo maggio, Festa dei lavoratori: i dati provvisori di occupati e disoccupati

Il drammatico bilancio delle morti sul lavoro in Italia è seguito da un’altra preoccupazione relativa alle statistiche in merito agli occupati e disoccupati nel Paese: ecco i dati

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“Primo maggio, Festa dei lavoratori: i dati provvisori di occupati e disoccupati” è stato scritto da Lucrezia Ciotti e pubblicato su Notizie.it.

Nazicon australiani contro Musk: “Si imponga la censura a Twitter”

di PEDRO FERNÁNDEZ BARBADILLO Il governo britannico ha usato l’Australia come prigione per criminali. Tra il 1788 e il 1868, Londra inviò nella lontana colonia circa 162.000 detenuti, uomini e donne. Questa eredità emerge di tanto in tanto tra gli australiani, ma non come forma di ribellione o disobbedienza, bensì con i tratti della repressione…

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“Nazicon australiani contro Musk: “Si imponga la censura a Twitter”” è stato scritto da Leonardo e pubblicato su Miglioverde.

RILETTURE / Progresso e libertà: l’eterna lotta tra il burocrate e il produttore

SOCIALISMO ILLUSTRATOdi GUGLIELMO PIOMBINI

1) Prima dello Stato

Per un tempo lunghissimo l’umanità primitiva ha vissuto in piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori senza organizzazione statale. Dopo aver esaurito tutte le risorse naturali di una certa area, i clan si spostavano altrove. Questo sistema di vita nomade ha potuto funzionare fino a quando l’umanità era scarsa di numero e disponeva di immensi territori disabitati per le battute di caccia, ma alla lunga non era sostenibile. L’intensificazione della caccia grossa provocò una crisi ecologica in Europa, nel Medio Oriente e in America, dove si estinsero 32 specie di grandi animali.

La scomparsa della megafauna avviò quindi, intorno al 10.000 a.C., il passaggio a un modo di produzione basato sull’agricoltura. La rivoluzione neolitica fu una risposta all’esaurimento delle risorse verificatosi in seguito all’intensificazione dello sfruttamento del sistema di sussistenza basato sulla caccia e sulla raccolta. Anche se la vita dei contadini era più dura di quella dei cacciatori, perché richiedeva lunghe ore di lavoro sfiancante nei campi, la vita sedentaria di villaggio permise di sfamare un numero di bocche molto superiore. Grazie all’appropriazione e alla coltivazione della terra la popolazione umana aumentò considerevolmente di numero, e sorsero le prime civiltà [1].

2) L’origine violenta dello Stato

L’agricoltura insegna agli uomini usanze pacifiche, li abitua a una vita abitudinaria fatta di lunghe fatiche giornaliere. I cacciatori e i pastori invece sono abituati al pericolo e sono abili nell’uccidere. La guerra per loro è una variante della caccia, e quando i boschi cessano di dar loro abbondante selvaggina, o le greggi si riducono per il diradarsi dei pascoli, guardano con invidia i fertili campi del villaggio vicino. Inventano quindi con disinvoltura una ragione plausibile per attaccare, invadono, conquistano, rendono schiavi e dominano [2].

COREA_DEL_NORD_-_agricoltoriI primi Stati nascono quando le tribù nomadi si accorgono che lo sfruttamento sistematico dei villaggi agricoli attraverso la tassazione costituisce un sistema molto più efficace e lucroso del vecchio sistema del saccheggio e dello sterminio. Tutte le ricerche storiche e antropologiche confermano che lo Stato è nato in questo modo: «Una razza di conquistatori e di padroni, che con tutta la sua organizzazione militare e tutto il suo potere di coercizione piomba con terribili artigli su una popolazione con ogni probabilità superiore di numero, ma ancora informe … tale è l’origine dello Stato» (Nietzsche) [3]; «Lo Stato distinto dall’organizzazione tribale ha inizio con la conquista di una razza da parte di un’altra» (Ward) [4]; «La violenza è l’agente che ha creato lo Stato» (Ratzenhofer) [5]; «Lo Stato è il prodotto della forza, e si mantiene con la forza» (Sumner e Keller) [6]; «Lo Stato è il risultato della conquista, lo stabilirsi dei vincitori come casta dominante sui vinti» (Gumplowicz) [7]; «Dovunque troviamo una tribù guerriera che invade il territorio di un popolo meno guerriero; essa vi stabilisce come nobiltà, e fonda il proprio Stato» (Oppenheimer) [8].

Il concetto di Stato viene qui usato in senso sociologico, non politico. La scienza della politica intende per Stato un tipo molto specifico di organizzazione politica sorto in Europa alla fine del Medioevo: lo Stato Moderno [9]. Invece, secondo la più generica concezione usata in sociologia, si ha uno Stato quando la società è divisa in due classi: una maggioranza produttiva che vive di mezzi economici (lavoro e scambio) e un’élite governante che vive di mezzi politici (tassazione e confisca delle risorse prodotte con i mezzi economici). L’ordine statuale e la divisione in classi sociali, spiega il sociologo Franz Oppenheimer, nascono simultaneamente in quell’istante di importanza unica nella storia del mondo in cui, per la prima volta, il vincitore risparmia il vinto con il fine di sfruttarlo in modo permanente [10].

3) Comincia lo scontro tra Produttori e Burocrati

In quel momento, scrive l’antropologo Marvin Harris, i produttori precipitano in una drammatica condizione di servitù dalla quale non si sono più liberati: «Per la prima volta apparvero sulla terra re, dittatori, alti sacerdoti, imperatori, presidenti, governatori, sindaci, generali, ammiragli, capi di polizia, giudici, avvocati e carcerieri, insieme a celle, prigioni, penitenziari e campi di concentramento. Sotto la tutela dello Stato gli uomini impararono, per la prima volta, come piegare il capo, umiliarsi, genuflettersi e inchinarsi. La nascita dello Stato rappresentò, sotto molti aspetti, la caduta dal mondo della libertà a quello della schiavitù» [11].

Gli uomini hanno dovuto imparare a difendersi non solo dal micro-parassitismo degli insetti o dei batteri, ma soprattutto dal macro-parassitismo degli altri uomini [12]. Con la nascita dello Stato è sorto infatti un scontro di classe tra Produttori e Burocrati che dura, con alterne vicende, fino ai giorni nostri. I primi vogliono lavorare, produrre, scambiare; i secondi governare, amministrare, tassare. I primi desiderano tenersi per sé i frutti delle proprie fatiche, i secondi ambiscono a impossessarsene con la forza e a instaurare un sistema di dominio e sfruttamento. L’eterno conflitto storico è dunque tra gli Uomini della Libertà e gli Uomini dell’Amministrazione, tra il potere sociale e il potere statale. I ritmi di progresso o di decadenza della civiltà sono determinati dall’andamento di questa lotta.

4) Società di Burocrati

a) Imperi antichi

Fin dagli albori della storia la maggior parte delle persone ha condotto una vita miserabile in imperi tirannici (babilonese, assiro, egizio, cinese, persiano, indiano, tardo-romano, arabo, ottomano, incas, azteco) che si estendevano su aree immense. In questi antichi imperi il progresso fu così lento da passare quasi inosservato. Le ragioni di questa stagnazione sono evidenti: il potere non aveva alcuna necessità di innovazioni, che anzi combatteva nel timore che potessero perturbare il sistema; le élite burocratiche e militari dominanti si impossessavano di qualsiasi surplus di produzione, e ogni accenno di resistenza veniva brutalmente represso; ogni forza sociale autonoma veniva stroncata sul nascere, e nulla sfuggiva al controllo del despota, che era padrone assoluto di tutti i beni del regno e di tutti i suoi abitanti; la popolazione era sottoposta non solo a una tassazione da confisca, ma al lavoro forzato per la costruzione di immense opere pubbliche, come canali, muraglie, piramidi, palazzi.

Gli antichi imperi erano agglomerati di contadini analfabeti che faticavano dalla mattina alla sera solo per procurarsi cibi vegetali privi di proteine. Non stavano molto meglio dei loro buoi, ed erano completamente soggetti ai comandi di superiori che sapevano scrivere e i quali soltanto avevano il diritto di fabbricare e usare strumenti di guerra e di coercizione. Il fatto che società che fornivano ricompense così magre durassero migliaia d’anni suona come un severo monito: non vi è alcuna forza intrinseca all’attività umana che assicuri il progresso materiale e morale [13].

b) Un caso esemplare: l’impero cinese

cinesiIl millenario impero cinese fu un tipico caso di società chiusa completamente dominata da una casta di intellettuali e burocrati. Come ha spiegato il massimo storico della Cina antica, Etienne Balasz, lo Stato confuciano era decisamente totalitario: non era ammessa nessuna iniziativa privata, e nessuna espressione della vita pubblica poteva sfuggire alla regolamentazione ufficiale: l’abbigliamento, l’edilizia pubblica e privata, la musica, le feste, persino i colori che era permesso indossare, tutto era soggetto al rigido controllo statale. C’erano prescrizioni per la nascita e per la morte; lo Stato sorvegliava attentamente ogni passo dei suoi sudditi, dalla culla alla tomba. Era un regime di cartacce a perdita d’occhio e di fastidi a non finire.

La Cina dei Mandarini era un ambiente di routine, di tradizionalismo e di immobilismo, sospettoso di ogni innovazione e iniziativa, sfavorevole allo spirito di libera ricerca. L’ingegnoso spirito d’inventiva dei cinesi avrebbe senza dubbio arricchito la Cina e probabilmente l’avrebbe condotta alle soglie dell’industria moderna, se non ci fosse stato il controllo soffocante dello Stato. È lo Stato che ha impedito in Cina il progresso tecnico, schiacciando nella culla qualunque iniziativa privata che sembrasse in contrasto con i suoi interessi [14].

Non sorprende che nella storia cinese i progressi economici e tecnologici si siano avuti in coincidenza con le fasi di debolezza del potere centrale, come nel periodo dei Regni Combattenti (453-221 a.C.), probabilmente il più ricco e brillante della storia cinese, o il periodo dei Tre Regni (220-280 d.C.). Anche dopo il 907 d.c., quando crollò la dinastia Tang e cominciarono le lotte senza sosta per la supremazia nel cosiddetto periodo delle cinque dinastie e dei dieci regni, il paese sperimentò un’eclatante esplosione di invenzioni e prosperità [15].

c) Un caso moderno: l’Unione Sovietica

Nella nostra epoca i regimi comunisti hanno riportato in auge, in forma più sanguinaria, il controllo totalitario degli antichi dispotismi orientali. L’ideologia marxista, con la sua radicale ostilità alla proprietà, al commercio e all’impresa, si è rivelata la più adatta a soddisfare la volontà di dominio delle classi parassitarie. Ovunque i ceti politico-burocratici hanno mirato a distruggere i ceti produttivi, hanno adottato l’ideologia marxista.

L’estremo grado di sfruttamento delle burocrazie comuniste ai danni delle classi produttive, che nel caso dei contadini kulaki raggiunse la forma dello sterminio fisico, venne denunciato da Lev Trotzkij, Ante Ciliga, Milovan Gilas, Mihail Voslensky [10]. L’analisi più penetrante dello sfruttamento burocratico sotto il comunismo venne però da un geniale studioso autodidatta italiano, Bruno Rizzi, il quale fu il primo a comprendere che in Urss aveva preso il potere una classe burocratica parassitaria, composta da “funzionari, poliziotti, ufficiali, scrittori, mandarini sindacali e tutto il partito comunista in blocco”, che depredava le classi lavoratrici nella maniera più feroce mai vista.

Lo Stato sovietico, notava Rizzi, si era gonfiato in modo spaventoso. I burocrati con le loro famiglie formavano una massa di 15 milioni di persone che si erano appiccicate al tronco statale e ne succhiavano la linfa, arraffando una fetta enorme della produzione nazionale. Nelle aziende agricole statali, i kolchoz, solo il 37 per cento della produzione restava in mano ai lavoratori, mentre il rimanente andava allo Stato che lo girava alla burocrazia. I funzionari facevano inoltre enormi affari a danno dei ceti produttivi fissando i salari e i prezzi dei prodotti, che subivano maggiorazioni enormi sui prezzi di vendita. La burocrazia trattava gli operai come suoi “clienti obbligati”, e li costringeva ad acquistare nei negozi statali i prodotti con un ricarico anche del 120 per cento.

I funzionari statali inoltre ottenevano notevoli vantaggi destinando i capitali accantonati per le opere “pubbliche” in progetti utili soprattutto alla loro classe, come la faraonica Casa dei Soviet alta 360 metri, sede della burocrazia, mentre agli operai era riservata una media di cinque metri quadrati d’abitazione. Avendo tutte le leve economiche nelle mani, salvaguardate da uno Stato poliziesco espressamente eretto, la burocrazia era onnipotente e ogni sua azione era finalizzata al mantenimento del predominio politico e dei privilegi economici raggiunti [17].

5) Società di produttori

a) I fenici e i greci

GRECIAIntorno al 1200 a.C. gli imperi dell’età del bronzo (egizio, minoico, miceneo, ittita, assiro) erano sprofondati in una stagnazione causata dal progressivo soffocamento delle iniziative produttive e mercantili. La crisi dei poteri centralizzati diede libertà d’azione ad alcuni popoli commerciali del Medio Oriente, provenienti soprattutto dall’attuale Libano, che con le loro navi cominciarono a solcare i mari trasportando ogni genere di prodotti. Per la prima volta si realizzò un sistema “catallattico” di scambi commerciali e divisione del lavoro nel bacino del Mediterraneo, dove i mercati e i porti crebbero fino a diventare città. Il commercio divenne il volano dell’innovazione: i filistei inventarono il ferro; i cananei l’alfabeto; i fenici migliorarono notevolmente le imbarcazioni, la scienza della navigazione, le scritture contabili.

In tutta onestà, scrive Matt Ridley, è mai esistito un popolo più ammirevole dei fenici? Quegli antichi mercanti collegarono insieme non solo l’intero Mediterraneo, ma anche le coste accessibili dell’Atlantico, il Mar Rosso e le vie carovaniere dell’Asia; eppure non ebbero mai un imperatore e non parteciparono mai a nessuna battaglia memorabile. Per prosperare, le città fenicie di Tiro, Biblo, Sidone, Cartagine e Gadir non avevano bisogno di unirsi in una singola entità politica, e non andarono mai oltre una blanda federazione: «La diaspora fenicia è uno dei grandi episodi taciuti dalla storia, taciuti perché Tiro e i suoi libri furono distrutti da criminali come Nabucodonosor, Ciro e Alessandro Magno, mentre Cartagine lo fu dagli Scipioni, per cui la loro storia ci è giunta attraverso i frammentari resoconti composti dai loro invidiosi e altezzosi contemporanei» [18].

Anche il “miracolo greco” conferma l’importante lezione formulata per la prima volta da David Hume, secondo cui la frammentazione politica è alleata del progresso economico perché pone un freno al potere. La straordinaria diffusione della prosperità e della cultura greca tra il 600 e il 300 a.C. presenta infatti uno sviluppo simile a quello delle città della Fenicia.

Mileto, Atene e altre centinaia di piccole città indipendenti della Magna Grecia si arricchirono commerciando tra loro senza far parte di un impero. Fu la circolazione di idee legata all’espansione dei commerci che portò alle grandiose scoperte dell’epoca. È sempre il mercante, infatti, che apre la via al filosofo, arricchendo la città e aprendola tramite il commercio estero ad altre idee. Tristemente questo faro di potenzialità umana vene spento dall’ascesa di nuovi imperi: prima quello ateniese, poi quello macedone, infine quello romano.

b) I Comuni medievali

Il crollo dell’impero romano d’Occidente, che nei suoi ultimi secoli aveva assunto tutte le caratteristiche dispotiche degli imperi orientali, rappresentò probabilmente l’evento più fortunato della storia del vecchio continente. Grazie a circostanze che hanno quasi del miracoloso, in Europa non si riformò più un potere politico centralizzato, perché fallirono tutti i tentativi di Carlo Magno e degli imperatori germanici di ricostituire un impero come quello romano. La mancanza di unità consentì un’estesa sperimentazione sociale su piccola scala e scatenò una creativa competizione tra migliaia di unità politiche indipendenti, che produsse un rapido e profondo progresso [19].

La debolezza del potere imperiale favorì le città, che si resero protagoniste di una rivoluzione politica e commerciale. In lotte durate anche centinaia d’anni, gli abitanti delle città si sottrassero al dominio signorile e imperiale, e iniziarono la ricostruzione della società partendo dal basso, governandosi da sé. Gli abitanti dei Comuni si orientarono verso l’economia e non verso la politica perché, a differenza degli abitanti delle città-stato antiche, non avevano a disposizione una massa di schiavi da utilizzare quali strumenti di lavoro, né terre da coltivare, dato che queste erano in gran parte proprietà dei signori; furono quindi obbligati a guadagnarsi da vivere con l’attività manifatturiera e con il commercio.

In questo modo i borghesi medievali estesero l’economia di mercato oltre i ristretti limiti del mondo feudale. Nel Duecento l’Europa era diventata una regione pullulante di gente operosa, agricoltori, imprenditori, artigiani e mercanti che si scambiavano nelle fiere e nei mercati il frutto del loro lavoro: uno spettacolo ben diverso rispetto alle altre aree civilizzate del mondo, dove le masse continuavano ad essere soggiogate da onnipotenti burocrazie imperiali.

c) Tre casi moderni: Olanda, Inghilterra e Stati Uniti

USA1Nel Seicento l’incredibile successo della piccola Olanda e il disastro rovinoso del colosso imperiale spagnolo rappresentarono, agli occhi dei contemporanei, la dimostrazione più evidente della superiorità della società commerciale sulla società burocratica. In Spagna si era affermata tra le élites un’ideologia anti-borghese che guardava con il massimo disprezzo la ricchezza ottenuta con il lavoro. Lo Stato burocratico spagnolo era diretto da uomini completamente estranei al mondo dell’economia che adottarono una politica di asfissia del commercio e dell’industria.

Nelle Province Olandesi, invece, il laissez-faire era una prassi consolidata e pienamente legittimata, ed era la causa del successo che tanta ammirazione, stupore e invidia suscitava in tutta Europa. Nel 1670 gli olandesi dominavano il commercio internazionale al punto che la loro marina mercantile era più grande di quella di Francia, Scozia, Germania, Spagna e Portogallo messi assieme [20]. L’Olanda del Seicento era un laboratorio in cui era possibile osservare e studiare, quasi allo stato puro, la società capitalistico-borghese. Il suo esempio mostrava la via dello sviluppo autopropulsivo, della crescita economica che si autogenerava. Non imitarla equivaleva a condannarsi alla stagnazione [21].

Gli inglesi compresero benissimo che la prosperità degli olandesi era strettamente legata alla totale libertà di cui godevano gli operatori economici, e imitandoli posero le basi della loro supremazia mondiale nei secoli successivi. Nel XIX secolo l’Inghilterra adottò unilateralmente una serie di misure per aprire i propri mercati al commercio internazionale a un livello senza precedenti, che provocarono una riduzione delle tariffe doganali in tutti i paesi del mondo. Finalmente l’umanità vide la nascita di un autentico commercio mondiale libero: un esperimento fenicio su scala planetaria [22]. Tutti i paesi ne beneficiarono. L’economia mondiale crebbe di tre volte, ma nei due paesi più liberali, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, la crescita economica sorpassò di gran lunga quella del resto del mondo. Dal 1820 al 1913 il prodotto interno lordo inglese aumentò di sei volte, quello americano di quarantun volte [23].

Decisiva per il successo dell’Inghilterra vittoriana e degli Stati Uniti, secondo Deirdre McCloskey, fu l’affermazione a livello sociale di una mentalità borghese che onorava l’uomo comune fattosi da sé attraverso il lavoro, l’impegno, la fatica, l’ingegno. Niente simboleggia meglio la vittoria culturale dei ceti produttivi della statua in onore di James Watt, l’inventore della macchina a vapore, posta nell’Abbazia di Westminster nel 1825 [24].

6) Per una storiografia libertaria

libertaLe grandi creazioni intellettuali e materiali che hanno elevato la civiltà umana non sono opera di Burocrati, ma di Produttori spesso ignoti, oscuri, sfruttati, bistrattati. I veri protagonisti della civiltà umana non sono gli imperatori, i re, i presidenti, i ministri o i generali che solitamente riempiono le pagine dei libri di storia, ma i contadini, gli artigiani, gli imprenditori o i mercanti che hanno migliorato le arti, le tecniche e i mestieri. I più coraggiosi tra questi produttori hanno difeso la libertà e la civiltà con le armi in pugno, rifiutando di sottomettersi ai poteri del loro tempo.

Il filo conduttore della storia umana è l’incessante conflitto di classe tra i pagatori di tasse e i consumatori di tasse. Gli storici libertari devono quindi raccontare i fatti dal punto di vista degli Uomini della Libertà, non degli Uomini del Potere. La società infatti vive e progredisce grazie al lavoro e alla libertà, non grazie al potere. La civiltà è stata edificata da chi ha resistito al potere, non da chi l’ha esercitato.

NOTE

[1] Marvin Harris, Cannibali e re. Le origini delle culture, Feltrinelli, 1979 (1977).

[2] Will Durant, L’Oriente. Storia della civiltà, Mondadori, 1956, p. 30.

[3] Nietzsche, Genealogia della morale, Mondadori, 1979 (1887), p. 69.

[4] Lester Ward, Evolution of Social Structures, “American Journal of Sociology”, Vol. 10, n. 5, University of Chicago Press, 1905.

[5] Gustav Ratzenhofer, Wesen und Zweck der Politik, Brockhaus, 1893.

[6] W.G. Sumner, A.G. Keller, Science of Society, Yale University Press, 1928, p. 709.

[7] Emil Gumplowicz, Il concetto sociologico dello Stato, Edizioni di Ar, 2007 (1892).

[8] Franz Oppenheimer, The State, Fox & Wilkes, 1997 (1908), p. 9.

[9] Luigi Marco Bassani, Alberto Mingardi, Dalla polis allo Stato, Giappichelli, 2015.

[10] Franz Oppenheimer, The State, p. 15, 32.

[11] Marvin Harris, Cannibali e re, p. 81.

[12] William H. McNeill, Uomini e parassiti. Una storia ecologica, Il saggiatore, 1979.

[13] Marvin Harris, Cannibali e re, p. 171.

[14] Etienne Balasz, La burocrazia celeste, Il Saggiatore, 1971 (1968), p. 9-10.

[15] Jean Baechler, Le origini del capitalismo, IBL Libri, 2015 (1971), p. 119, con prefazione di Luigi Marco Bassani e Alberto Mingardi.

[16] Lev Trotzkij, La rivoluzione tradita, A.C. Editoriale, 2007 (1937); Ante Ciliga, Nel paese della grande menzogna. Urss 1926-1935, Jaca Book, 2007 (1938); Milovan Gilas, La nuova classe, Il Mulino, 1957; Mihail Voslensky, Nomenklatura. La classe dominante in Unione Sovietica, Longanesi, 1980.

[17] Bruno Rizzi, La burocratizzazione del mondo, 2002 (1939), con introduzione di Paolo Sensini.

[18] Matt Ridley, Un ottimista razionale. Come evolve la prosperità, 2013 (2010), p. 183-187.

[19] Rodney Stark, La vittoria dell’Occidente. La negretta storia del trionfo della modernità, Lindau, 2014, p. 111.

[20] Timothy Blanning, L’età della gloria: storia dell’Europa dal 1648 al 1815, Laterza, 2011 (2007).

[21] Luciano Pellicani, Le genesi del capitalismo e le origini della modernità, Rubbettino, 2013 (1988), p. 485.

[22] Matt Ridley, Un ottimista razionale, p. 203.

[23] Angus Maddison, L’economia mondiale. Una prospettiva millenaria, Giuffrè, 2005 (2001).

[24] Deirdre N. McCloskey, Bourgeois Equality: How Ideas, Not Capital or Institutions, Enriched the World, University of Chicago Press, 2016.

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“RILETTURE / Progresso e libertà: l’eterna lotta tra il burocrate e il produttore” è stato scritto da Leonardo e pubblicato su Miglioverde.

Sondaggio SWG (22 aprile 2024): Europee 2024

Sondaggio SWG (22 aprile 2024): Europee 2024

SWG ha pubblicato nell’edizione serale del TG La7 (La7) del 22 aprile 2024 un nuovo sondaggio elettorale sulle prossime elezioni europee.

Le intenzioni di voto

Sondaggio SWG (22 aprile 2024): Europee 2024
Sondaggio SWG (22 aprile 2024): Europee 2024

Per consultare l’elenco dei sondaggi SWG ripubblicati su Scenaripolitici.com potete andare nella sezione “Gli altri istituti”, oppure cliccare qui.

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“Sondaggio SWG (22 aprile 2024): Europee 2024” è stato scritto da The Watcher e pubblicato su Scenaripolitici.com.