Singolarmente “incinta”

Incinta: il tasso di natalità dice di una condizione divenuta ormai piuttosto singolare, perlomeno in certe nazioni europee. Ma non è certo questa la ragione per la quale all’aggettivo “incinta”, al singolare, capita sempre più spesso di essere combinato con nomi plurali: “In sala d’aspetto, stamattina, c’erano tre ragazze incinta…”.

A prodursi in simili exploit non è (solo) gente dallo scarso livello d’istruzione, come si potrebbe pur sospettare. Testimone chi scrive, sono invece persone di buon tenore socio-culturale: le avanguardie del mutamento linguistico vengono sempre da lì. Persone che si muovono a loro agio, per esempio, nell’ambiente accademico. Non è gente, insomma, di cui si possa sospettare abbia difficoltà con gli accordi o che li ignori. Dicono “…tre ragazze incinta” ma non direbbero mai “…tre ragazze straniera…” o “magra” o “elegante”. Direbbero giustamente “…tre ragazze straniere”, “magre”, “eleganti”.

Dove sta allora il busillis? E come mai “incinta” rischia di finire inghiottito nel gorgo? Penetrare nei segreti recessi di un cambiamento linguistico non è facile e capita spesso a chi vi si avventura di prendere fischi per fiaschi. In un caso del genere, a occhio, un’ipotesi si può però avanzare. Se è sbagliata, poco male. Ci si è provato. 

 

Chi dice “…ci sono tre ragazze incinta” ha smesso di figurarsi “incinta” come un aggettivo qualsiasi, come “straniera”, “elegante”, “magra” o “carina”. Ha invece cominciato a figurarsi “incinta” come se fosse “in cinta”. La ragione che sta sotto l’idea che “incinta” sia “in cinta” non è difficile da immaginare. Essa pare peraltro non sia estranea alla storia precedente della parola, già travagliata, verrebbe da dire. Sono faccende da specialisti, però, e qui si possono trascurare. Resta un’osservazione: spesso, nelle parole, chi parla cerca un motivato collegamento tra forma e contenuto. Quel collegamento che, ai suoi occhi, le renda plausibili e trasparenti. Soprattutto quando gli si presentano come parole di formazione oscura. Gli esseri umani sono sempre a caccia di motivi, per ciò che dicono e fanno. Se non esistono o non li capiscono, se li inventano, per avere il cuore in pace. 

 

Ma torniamo a “incinta”. Arrivati che si sia a “in cinta”, con o senza quello spazio bianco che, quando si parla, in verità non c’è, il gioco è fatto. “In cinta” non è diverso da “in ansia”, “in crisi”, “in affanno”, “in allarme”. “In cinta” è insomma entrato nella classe delle espressioni che funzionano come attributi ma hanno forma diversa da quella, semplice, degli aggettivi qualsiasi. E “…tre ragazze in ansia”, “in crisi”, “in allarme”, “in gonna”, “in bikini”, “a dieta” sono modi comuni di esprimersi, dove gli attributi del plurale “tre ragazze” sono invariabili e non hanno numero. Insomma, dalla nuova prospettiva, “tre ragazze in cinta” diventa, di colpo, la sola forma corretta. 

Ecco spiegato allora un arcano. Tempo fa, infatti, a un altrui “…tre ragazze incinta…”, chi scrive ebbe l’ardire di far seguire “Incinte, avrai voluto dire…”. Si meritò uno sguardo di compatimento: quello riservato al poveraccio cui fa irrimediabilmente difetto la giusta competenza. Non del buon italiano che c’è. Ovviamente, di quello migliore che verrà. Si tratta di “incinta”: ci sono dubbi in proposito?

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“Singolarmente “incinta”” è stato scritto da n.lafauci e pubblicato su Doppiozero.