In alcune dichiarazioni rilasciate all'agenzia di stampa Reuters, una "fonte iraniana a conoscenza della questione" ha smentito le voci pubblicate dai media israeliani su un "attacco" all'Iran e ha assicurato che il suono delle esplosioni udite questo venerdì nel Paese persiano era dovuto all'attivazione dei sistemi di difesa antiaerea. Anche…

La politica estera di Macron scredita la Francia

L’intercettazione da parte della Francia di missili iraniani sopra la Giordania all’inizio di questo mese rappresenta l’ultimo errore di Macron che ulteriormente scredita il suo Paese sul fronte della politica estera. Nel 2018, il leader francese si attribuì il merito di aver impedito una guerra civile in Libano l’anno precedente, dopo che il suo intervento diplomatico contribuì a risolvere la crisi nata dalle dimissioni scandalose dell’ex Primo Ministro Hariri mentre si trovava in Arabia Saudita. Fu intorno a quel periodo, alla fine del 2017, che Macron iniziò anche a parlare della creazione di un’Esercito Europeo.

Questi passi hanno fatto pensare a molti che la Francia stesse cercando di rilanciare le sue tradizioni di politica estera indipendente, percezione rafforzata dalle parole di Macron a The Economist alla fine del 2019, quando dichiarò che la NATO era cerebralmente morta. Gli Stati Uniti presero poi la loro rivincita sulla Francia sottraendole un accordo da miliardi di dollari per un sottomarino nucleare con l’Australia due anni dopo, per creare AUKUS. Le divergenze di visione sulla politica estera tra questi due Paesi dal 2017 al 2021 erano chiaramente diventate una tendenza.

Questo cominciò a cambiare dopo lo scoppio della guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina all’inizio del 2022, dato che la Francia si schierò subito con gli Stati Uniti sanzionando la Russia e fornendo armi all’Ucraina. Quello è stato il primo grande errore di politica estera di Macron, poiché screditava la percezione che aveva cercato di costruire dal 2017 di una Francia che rilanciava le sue tradizioni di politica estera indipendente sotto la sua guida.

Nel frattempo, il tallone d’Achille di questa strategia rimaneva l’Africa, dove la Francia continuava a dominare i suoi ex sudditi imperiali attraverso una forma rozza di neocolonialismo che ostacolava lo sviluppo socio-economico. Non c’era molta dinamicità su questo fronte fino al 2022-2023, dopo i rispettivi colpi di Stato patriottici in Burkina Faso e Niger che liberarono il Sahel dalla “sfera di influenza” francese, prima dei quali Macron avrebbe potuto riformare questa politica per prevenire tali eventi.

Ecco il secondo grande errore di politica estera, poiché non trattare questi Paesi con il rispetto che meritano, specialmente non offrendo aiuti d’emergenza per gestire le crisi domestiche causate dalle sanzioni anti-russe dell’Occidente, ha segnato la fine della “Françafrique”. La Francia avrebbe potuto invece promuovere una politica estera veramente indipendente lì, progettata per mantenere la sua influenza storica nelle condizioni moderne, permettendole di competere meglio con la Russia.

Il panico suscitato a Parigi dall’espulsione della Francia dal Sahel spinse Macron a cercare di creare una “sfera di influenza” nel Caucaso Meridionale centrata sull’Armenia. A tal fine, il suo Paese si unì agli Stati Uniti nel tentativo di attrarre l’Armenia fuori dal CSTO, sfruttando falsi percezioni sull’inaffidabilità della Russia. Questa narrazione di guerra informativa fu promossa con aggressività all’interno della società armena dalla lobby della diaspora ultranazionalista con sede in Francia (Parigi) e negli Stati Uniti (California).

Sebbene ciò sia stato un successo nel senso che l’Armenia ha sospeso la sua partecipazione al CSTO e si è decisamente orientata verso l’Occidente, cercando ora “garanzie di sicurezza”, è stato probabilmente una vittoria di Pirro per la Francia, poiché ha rovinato le relazioni con la Turchia. Visto che quella nazione esercita un’influenza immensa nel mondo islamico, la politica filo-armena della Francia può quindi essere considerata il terzo grande errore di politica estera di Macron, poiché ha influenzato negativamente come i musulmani vedono la Francia.

Per quanto riguarda il quarto errore, riguarda la minaccia di Macron a fine febbraio di intervenire militarmente in Ucraina, specificando che ciò potrebbe avvenire attorno a Kiev e/o Odessa nel caso in cui la Russia ottenesse una vittoria. Questo può essere considerato un grande errore di politica estera perché ha immediatamente esposto le profonde divisioni all’interno della NATO su questo scenario dopo che molti leader hanno condannato la sua affermazione avventata.

Evidentemente, pensava che presentare la Francia come estremamente bellicosa verso la Russia avrebbe attirato l’elite occidentale, ma l’effetto è stato l’opposto: la Francia è sembrata un cecchino sconsiderato che rischiava di scatenare la Terza Guerra Mondiale per errore, con alcune preoccupazioni che l’ego di Macron stesse diventando pericoloso per tutti. Queste nuove percezioni hanno comprensibilmente screditato la Francia agli occhi dei suoi alleati.

Infine, il quinto e ultimo grande errore di politica estera è stato quando Macron ha ordinato ai suoi piloti in Giordania di intercettare alcuni dei missili lanciati dall’Iran contro Israele come rappresaglia per l’attacco al suo consolato a Damasco. Facendo ciò, ha inflitto un duro colpo al soft power della Francia nel mondo islamico, che aveva cercato di migliorare dopo il suo intervento diplomatico in Libano alla fine del 2017. Sostenendo apertamente Israele, Macron rischia anche di provocare l’ira dei musulmani francesi.

Questo gruppo demografico è facilmente mobilitabile e ha un precedente di turbolenze nella società con le grandi proteste organizzate dai loro leader comunitari negli anni. Sono anche un importante blocco elettorale, coloro che sono cittadini, il che potrebbe ostacolare notevolmente la sua capacità di nominare un successore una volta scaduto il suo secondo mandato nel 2027. I musulmani francesi potrebbero votare per altri candidati, riducendo così le possibilità che il candidato di Macron arrivi al secondo turno.

La serie di grandi errori di politica estera di Macron potrebbe non essere dovuta solo a lui personalmente, ma potrebbe essere attribuibile anche parzialmente a fattori sistemici. Il Valdai Club ha pubblicato lo studio “Crafting National Interests: How Diplomatic Training Impacts Sovereignty” il mese scorso, che sostiene che le riforme implementate sotto la sua amministrazione rischiano di diminuire il ruolo delle tradizioni diplomatiche nazionali. In termini pratici, i funzionari nazionali si stanno trasformando in funzionari globali, o essenzialmente in burattini degli Stati Uniti.

In fondo, sebbene Macron abbia l’ultima parola sulla politica estera, è anche consigliato da esperti diplomatici sulla migliore strategia possibile per avanzare gli interessi francesi in qualsiasi situazione. Invece di concepire questi interessi come nazionali, come hanno fatto all’inizio del suo mandato durante la crisi libanese del 2017 prima delle riforme del 2022, l’anno in cui tutto è cominciato a declinare, hanno iniziato a concepirli come inestricabili da quelli dell’Occidente collettivo. Ciò ha comportato una cessione di sovranità.

Il risultato finale è che la Francia si è entusiasticamente unita alla guerra per procura della NATO contro la Russia, ha perso la sua “sfera di influenza” nel Sahel, ha rovinato le relazioni con la Turchia (già indebolite dai precedenti errori di Macron) alleandosi con l’Armenia, ha perso la fiducia degli alleati della NATO rivelando dettagli sulle loro segrete discussioni riguardo all’intervento convenzionale in Ucraina e si è screditata agli occhi di tutti i musulmani sostenendo apertamente Israele contro l’Iran.

A questo ritmo, non c’è più alcuna credibile possibilità che la Francia rilanci le sue tradizioni di politica estera indipendente dopo i cinque grandi errori di politica estera commessi da Macron negli ultimi due anni. Ha inflitto così tanto danno alla reputazione del suo Paese che è impossibile riparare finché rimane al potere. Ancora peggio, sta risvegliando un vespaio a casa rischiando ulteriori agitazioni musulmane a causa delle sue politiche fortemente pro-israeliane, il che non promette nulla di buono per il futuro della Francia nei prossimi anni.

(Articolo pubblicato in inglese sulla newsletter di Andrew Korybko)

Maduro: “Le sanzioni non sconfiggeranno il Venezuela”

Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha respinto le sanzioni imposte dagli Stati Uniti in occasione dell’inaugurazione dell’incontro ‘I ExpoVenezuela Produce 2024’.

“Non abbiamo bisogno di una licenza per crescere, per lavorare, non siamo schiavi, non siamo diventati una colonia gringo, il Venezuela produce con le proprie mani”, ha detto il presidente che ha affermato che le sanzioni statunitensi non influiscono sugli sforzi del Paese per costruire un nuovo modello economico produttivo, come segnala teleSUR.

Maduro ha affermato che “non c’è nessuna sanzione, non c’è nessuna minaccia che oggi possa danneggiare lo sforzo di costruire un modello economico produttivo, dipendiamo solo dal nostro lavoro e dall’unione che abbiamo”. 

Ha denunciato che i settori dell’opposizione del Paese continuano con la richiesta di sanzioni da parte del Governo degli Stati Uniti contro la nazione bolivariana.

Nonostante le cospirazioni e le minacce, il governo venezuelano si è concentrato sul lavoro e sulla semina di speranza per il futuro del Paese, ha detto il presidente. Maduro ha affermato che “mentre loro cospiravano, noi lavoravamo, seminando idee, seminando sogni, seminando speranza, seminando piani”.

Ha anche sottolineato la resistenza del popolo venezuelano di fronte alle avversità. “Né le sanzioni, né le minacce, né le cospirazioni, né i corrotti, né i traditori potranno farlo. Nessuno è stato in grado, né sarà in grado di sconfiggere il Venezuela”, ha detto. 

Il presidente venezuelano ha invitato coloro che dubitano o non credono nelle potenzialità del Paese sudamericano a visitare ExpoVenezuela Produce, ad Araure, nello Stato di Portuguesa, per assistere alla rinascita del Paese. Alcune delle aziende presenti a ExpoVenezuela Produce sono Asoportuguesa, Alimentos Doña Emilia, Brudden e Vista al Mar, tra le altre.

“L’indipendenza del Venezuela, la rivoluzione del XXI secolo è la produzione, è l’indipendenza economica”, ha dichiarato Maduro in questa occasione, sottolineando la crescita e i progressi del settore agroindustriale del Paese.

“Mi hanno rovinato i capelli”

@nikooolash mostra ai suoi follower il suo deludente nuovo taglio di capelli. Ha affrontato un calvario per provare a sistemarlo ma non glien’è andata una giusta!
A voi il parrucchiere ha mai combinato danni?

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““Mi hanno rovinato i capelli”” è stato scritto da Redazione Notizie.it e pubblicato su Notizie.it.

“L’amante del mio ragazzo mi ha detto che sono cornuta”

@diariodizineb racconta di come ha scoperto che il ragazzo con cui stava da 5 anni la tradiva da 3 con un’amica in comune.
Una storia davvero assurda: voi cosa avreste fatto al suo posto?

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““L’amante del mio ragazzo mi ha detto che sono cornuta”” è stato scritto da Redazione Notizie.it e pubblicato su Notizie.it.

“Quanto costa fare un safari a Dubai?”

@gemmalenoci spiega tutto quello che c’è da sapere prima di fare un safari nel deserto a Dubai, raccontando l’indimenticabile esperienza che ha vissuto insieme ai suoi amici.
A voi piacerebbe provare?

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““Quanto costa fare un safari a Dubai?”” è stato scritto da Redazione Notizie.it e pubblicato su Notizie.it.

Difficile come guardare dentro i sassi

di Giacomo Verri

(Proponiamo un estratto da Storie di coscienti imperfetti, la nuova raccolta di racconti di Giacomo Verri, pubblicata da Wojtek, 2024)

Perciò fu l’inserviente, entrando in camera, a farglielo nota­re. Signora, cos’è capitato?, disse ridendo. Lei non s’era accorta di nulla. A dire il vero, qualcuno aveva appoggiato sul tavolino da notte il bicchiere con le medicine da prendere a colazione; ma solo quello aveva notato Adelina Gioniso, e non sapeva se si trattasse della stessa persona che aveva fatto il resto; per lasciare le pastiglie non avevano di certo acceso la luce e, co­munque, lei dormiva ancora. Che cafonaggine, andare e venire dalla stanza di una vecchia signora assopita e inerme. Più volte s’era immaginata qualcuno del personale aprire i suoi cassetti, rovistare tra le cose che le erano rimaste – le uniche di una vita intera, per la miseria –, le foto dai colori sbiaditi di quando erano stati in Zaire a prendere Elsa, i biglietti che le aveva scritto Silvio mille anni prima, vecchi gioielli che non metteva più, il cappellino della sua dolce Mila. Maledetti! Lo diceva nella sua testa senza pronunciarlo a voce alta; ma, poniamo che di lì a qualche anno si fosse trasformata in una di quelle vecchie incapaci di tenere a freno la lingua, le sarebbe piaciuto allora togliersi il capriccio di coprire d’insulti quella gente che non faceva altro che spingere sedie a rotelle, chiederti se sei andato di corpo e, se non sei più in grado di farlo, imboccarti col cucchiaio e ripulirti la bocca e il mento.

Che le è successo ai capelli?, ripeté la ragazza. Non era di quelle che le stavano più antipatiche. Adelina si toccò la testa, sporse il labbro, chiedendosi se la stesse prendendo per il culo. Non so, disse. Dev’esserci uno di quegli specchi rotondi là dentro. Indicò un cassetto del comò di pessima qualità appoggiato sulla parete di fronte.

La ragazza frugò finché non l’ebbe trovato.

Dai qua, aggiunse Adelina facendo segno con una delle mani scarne e nodose. Ciò che vide non le piacque ma nemmeno la turbò; più di tanto brutta non poteva diventare e questa certezza le offriva un’indubbia superiorità sulla schiera di giovani donne che a turno le stavano tra i piedi. È vero quello che dicono?

Cosa? Cosa dicono?, domandò la ragazza, fingendo di non aver capito. Dato che ora stava aprendo la tenda per far entrare il sole, si era dovuta voltare e Adelina le notò un’ombra di paura negli occhi.

Dicono che sia scappato approfittando del viavai delle pompe funebri, aggiunse Adelina. Si riferiva a Sebastiano – come faceva di cognome? –, scomparso da due giorni, e lei continuava a pensarci, a quel vecchio testardo. A quanto pare sarebbe dovuto morire cinquant’anni prima per un tumore – sosteneva lui – ma poi la diagnosi si era rivelata scorretta e così era sopravvissuto alla moglie – una ex puttana, dicevano altri – e pure alla seconda moglie, se era una moglie, e forse anche al figlio.

Probabilmente è così, rispose la ragazza, riavvicinandosi per darle il termometro – da quando era iniziato quel casino, mi­suravano la febbre a tutti i vecchi tutti i giorni –, e forse sorrise ma Adelina ne dubitò; mezzo volto era coperto dalla masche­rina chirurgica, e come se non bastasse portava quegli occhiali grandi e spessi che facevano il resto.

La ragazza soffiò aria col naso, come se ce l’avesse un po’ chiuso o non riuscisse a respirare là sotto. Mi sembri impaurita, le disse Adelina. È così? E poi aggiunse, dato che quella non apriva bocca, Si può sapere come diavolo ti chiami?

Patrizia, rispose in tono affaticato.

Va bene, Patrizia, disse Adelina cercando di tener stretta l’a­scella attorno al termometro. Tu hai paura. Non hai bisogno di dirmelo. Fece una pausa e poi disse ancora, Ritira questo dan­nato specchio. Ormai non ci posso fare niente.

Quando Patrizia se ne fu andata, si chiese se fosse ancora pos­sibile vivere senza paura. Lei non ne aveva, alla sua età, figuria­moci – ormai sfiorava i novanta – e comunque non lo avrebbe ammesso. Ma quella donna – quanti anni avrà avuto, trentacin­que, quaranta? – doveva davvero averne.

Adelina non s’era fatta mettere la televisione in camera, perché sarebbe finita per non uscirne più; preferiva seguire i telegiornali in sala comune, accanto alla mensa, con un gruppetto di altri ospiti della casa di riposo. Nella maggior parte dei casi era gente con cui non aveva mai parlato né le interessava farlo. Ci fosse almeno un bel gattino da coccolare, pensava a volte, ma niente. Comunque i figli e i nipoti che venivano a trovarli sostenevano che in quella sala facesse terribilmente caldo. Può darsi. E lei stessa era convinta che il volume della televisione fosse tenuto a un livello demenziale tan­to era alto. Ma adesso nessuno poteva uscire dalla propria stanza, sgranchirsi le gambe, fare quattro chiacchiere con altri vecchi rot­tami come lei, figurarsi stare tutti appiccicati in sala comune. Ave­va capito che il virus colpiva soprattutto loro, la gente di una certa età, i nonni. Perciò che diavolo di paura doveva avere Patrizia?

Più tardi si appisolò e sognò se stessa giovane, diciamo più o meno all’epoca in cui avevano preso Elsa. Da qualche tempo le capitava di addormentarsi nel corso della mattina per poi ri­scuotersi di colpo per un rumore, una sedia trascinata a terra o lo zoccolo di una di quelle infermiere che urtava la gamba di metallo del letto; si trattava di risvegli volgari, come uno sbadi­glio fatto senza metterci davanti la mano.

Ora sognava di trovarsi a cavallo della sua vecchia biciclet­ta forse per portare un messaggio a qualcuno. Di sicuro c’era un’urgenza ma non sapeva quale. Però, mentre stava lì a darci dentro sui pedali, si ripeteva nella mente una cosa curiosa che aveva letto da qualche parte e che riguardava la ragione per cui si usa il punto interrogativo. Da dove diavolo saltava fuori quel fronzolo ricurvo?

Stava arrivando comunque; c’era un’ultima svolta e un pezzo di strada in salita. Quel posto non era Giave ma le suonava fa­migliare lo stesso. In fondo al sentiero una gabbia. Ecco la meta. Accanto alla gabbia – la loro gabbia di un tempo – suo marito. Silvio. Dovevano dare da mangiare alla leonessa.

Adelina aprì improvvisamente gli occhi e si leccò le labbra perché erano secche. Be’, che diamine ci fai qui? Luca Sulfo era entrato in camera, l’aveva spiata mentre dormiva e ora stava lungo disteso sotto le sue lenzuola. Siamo due vecchi, disse lei. I vecchi non dovrebbero stare così vicini. Poi c’è quel maledetto virus.

Hai paura di morire?, domandò Luca.

Falla finita, disse Adelina.

Se li avessero scoperti sarebbe di sicuro scattato l’allarme; da giorni era più che vietato avvicinarsi gli uni agli altri, figurarsi vedere quel vecchio topo coricato nello stesso letto con lei.

Quanti ne sono morti oggi?, disse Adelina. Sapeva benissimo che erano undici dall’inizio dell’emergenza, lo chiedeva per spa­ventarlo anche se non era certa di volerlo mandare via. Comun­que sì, disse, Ho paura di morire. Che domande.

Ma guarda, disse lui. Quello che sento mi piace. Le aveva appoggiato la mano sulla pancia, una vecchia pancia molle e priva di elasticità. Aveva il buon garbo di metterla al posto giusto, la mano, né troppo sopra né – per fortuna – trop­po sotto, dove iniziava il bordo del pannolone. Gesù santo, quell’uomo era un cavaliere.

Ho sognato mio marito, aggiunse lei.

Quando?, domandò Luca.

Un attimo fa, sai. Mentre dormivo e tu ti facevi strada come un ladro nella mia camera. Toccò con la propria la mano di lui.

E?

E niente. Entravamo nella gabbia della leonessa.

Una storia che Luca Sulfo conosceva perfettamente. Adelina e suo marito l’avevano comprata a un costo irrisorio, alla fine degli anni Settanta, da un tizio dello Zaire che trafficava animali eso­tici. A quell’epoca le leggi lo consentivano, almeno così diceva Adelina. Non ci crederai, gli aveva raccontato una volta, Ma per qualche tempo se n’è stata in centro a Giave, a casa di un amico, sul terrazzo. Poi però, quando non poterono più tenerla libera, sistemarono la gabbia lungo la strada così che tutti potessero vedere Elsa passando in auto; e ce n’era di gente che si fermava, altroché se ce n’era. Mentre i vicini, quelli no, erano stati orribili, gliene avevano fatte di tutti i colori. Oddio, diceva Adelina con una certa fierezza, Negli occhi di Elsa splendeva qualcosa di vec­chio come l’Africa. Una cosa che non ho mai visto dentro a degli occhi umani. Poi Silvio, un giorno, era stato ferito, dopo la mor­te dei cuccioli. Quando lei si accorse che qualcosa non andava, si precipitò alla gabbia e trovò un disastro. Forse non avremmo mai dovuto prenderla, ripeteva spesso, Ecco tutto.

Okay, disse lui. Quindi hai sognato l’incidente?

Elsa ci fissava, raccontò Adelina, E Silvio voleva che lo seguis­si in un angolo. Vedi tu, in realtà non credo che sarebbe stato possibile farlo davanti a quella bestia.

Luca tolse la mano dalla vecchia pancia ma lei frugò sotto il lenzuolo e gliela riprese. Sei calda, disse lui. Potresti avere la febbre.

Dove credi sia finito Sebastiano?

A camminare lungo la ferrovia.

Lungo la ferrovia?

Lo facevamo, prima. Prima che fosse vietato, intendo dire. Si mise dritto, perfettamente supino, accanto alla donna. La porta era socchiusa, dalla camera di fronte proveniva il borbottio di un televisore acceso ad alto volume, ovviamente. Sei calda ma hai i piedi freddi, disse Luca. Lui indossava le calze ma la tem­peratura della pelle di Adelina oltrepassava la stoffa.

Credo di aver fatto questo pensiero, disse lei. Luca si voltò a guardarla, in attesa. Ora provo a dirtelo, ma tu non ridere, siamo intesi? Adelina Gioniso si sistemò cercando di portare le spalle e la schiena un po’ più su. Disse, Se questo fosse l’inizio di una pandemia permanente? Luca intrecciò le dita e le appoggiò sul petto. Va’ avanti, fece. E lei continuò, Potrebbero non tro­vare mai un rimedio, un… come si chiama, una terapia. Il virus potrebbe modificarsi eludendo ogni risorsa dei medici. Potreb­be essere un virus più intelligente degli altri, una canaglia, uno che ce la farà pagare e porterà tutti a… non so. Morire soffocati? Un sasso che sprofonda dentro un lago fu ciò che le venne in mente, compreso il cupo suono dell’acqua che ne inghiottisce il peso.

Luca cercò di mantenere un respiro lento e profondo. Non è mai successo, disse.

E lei disse, Può sempre succedere, può sempre accadere qual­cosa di nuovo su questa maledetta Terra. Quel virus potreb­be modificarsi molto più velocemente di quanto noi saremo in grado di porvi un argine. Adelina rise un po’, poi aggiun­se, Cribbio. E ancora, dopo aver dato un’occhiata alle mani di Luca, Santo Dio.

Le venne da starnutire ma non starnutì. Si sentiva strana, aveva ragione Luca. Quella cavolo di Patrizia le aveva detto se aveva la febbre? Non lo ricordava. Ma se l’avessi avuta me l’a­vrebbe detto, diamine. Mi avrebbe chiusa qui dentro a chiave. Sorrise. Lui aveva lasciato nel letto un ovale di calore che durò qualche attimo, poi si confuse col suo. Adelina provò ad alzarsi, con fatica appoggiò i piedi a terra e li infilò nelle ciabatte di stoffa da signora anziana con la suola di gomma e la chiusura in velcro. Le trovava orribili ma comodissime. Perché diavolo non mi hai chiesto di aiutarti?, avrebbe detto lui se fosse stato ancora nei paraggi.

Con l’ausilio del bastone a quattro piedi andò in bagno, ap­poggiandosi con una mano alle pareti, poi con l’intero avam­braccio cacciò il pollice nell’elastico del pigiama e trascinò giù le braghe, quindi slacciò quel maledetto pannolone e lo lasciò cadere a terra. Era gonfio e pesante. Dunque ti sei ridotta così, signora Gioniso, pensò dandosi un’occhiata allo specchio. Infi­ne sedette sul water e fece qualche goccia di pipì, poca roba, a dire il vero. Quindi strappò un po’ di carta igienica e la tenne in mano, senza usarla.

Mentre stava lì ferma, ripensò a Patrizia. Certo non avrebbe mai saputo come faceva di cognome perché in quella stupida casa di riposo bisognava fare finta di essere amici e darsi del tu. Una cosa idiota, no? Senza parlare di quell’urlarci nelle orecchie come fossimo tutti sordi. Io non lo sono, perlomeno. Le tornò in mente un episodio. L’anno prima erano venuti i ragazzi del liceo di Giave a presentare i loro esperimenti scien­tifici; c’era stata una ragazza tutta vestita di rosa – mio Dio – che aveva colpito col martello un diapason, e poi un altro diapason, accanto al primo, aveva iniziato a vibrare; l’esperi­mento consisteva proprio nel percepire il suono del secondo diapason. Adelina c’era riuscita, eccome, ma molti altri no. Rimasero intontiti coi loro bastoni, le ciglia spettinate, chie­dendo che l’esperimento fosse ripetuto perché non avevano capito un accidenti; dunque la ragazza tutta rosa lo rifece ma quelli avevano continuato a non sentire nulla di nulla, e la stupida stava per mettersi a piangere, che ebete. Quanto a Pa­trizia, okay, lei non è male, ma è una donna scialba. Sì, credo sia una donna poco interessante, pensò, mentre finalmente infilava la carta igienica tra le gambe per darsi un’asciugata.

Eppure loro comandano e noi zitti. Non si fa questo, non si fa quello, il pranzo è all’ora tale e alle nove a letto. Per non parlare di quando si poteva ancora uscire: ti toccava snocciolare per filo e per segno un sacco di informazioni, dove saresti anda­to, con chi, per quanto tempo. Oddio, disse Adelina Gioniso, mentre cercava di tirarsi su dal water.

Prima di spegnere la luce diede un’occhiata al pannolone get­tato a terra e poi chiuse la porta. Se l’era già tolto in passato e l’aveva lasciato lì, senza buttarlo. Che storia era quella?, le ave­vano detto; e dopo i rimproveri lei aveva promesso di non farlo più. Ma aveva aggiunto, In cambio vorrei poter dormire con un’altra persona qualche volta. L’infermiera aveva sorriso, Vuole qualcuno in camera con lei? E Adelina aveva scosso la testa, No, diamine, Desidero solo coricarmi nello stesso letto con un uomo, stringergli la mano e addormentarmi.

Ovviamente non si poteva fare. Da bambina aveva doman­dato a sua madre perché lei dovesse stare da sola, mentre loro, i genitori, erano in due nel lettone. Dormirai per il resto della vita con qualcuno, le aveva risposto, Quindi accontentati. Non era vero. S’era messa sotto le coperte con suo marito sì e no per trent’anni, qualcuno di più, poi basta.

D’accordo, disse dopo qualche secondo, Diamo un’altra oc­chiata. Fece perno sul bastone, allungò il viso nello specchio so­pra il comò, girò la testa a destra e a sinistra piegandola in basso per vedere meglio. Qualcuno le aveva tagliato i capelli, quella notte, e non è che il lavoro fosse venuto un granché.

Credi che la tua vita valga di più di quella che sta vivendo quella donna, vero? Luca Sulfo era riuscito a tornare da lei, nel pomeriggio. Stava in piedi, accanto alla porta chiusa, tenendo vicine con la mano le ali del cardigan sbottonato.

Può darsi, disse lei. E grossomodo le pareva di non avere altro da aggiungere, ma si sforzò di farsi venire in mente il viso di Patrizia – se doveva formulare un giudizio tanto severo, era giusto che almeno l’aspetto di lei ce l’avesse presente – sen­za riuscire però a immaginarselo, tranne che per una leggera asimmetria che le dominava gli occhi, dietro le lenti. Credo che abbia paura di qualcosa, fece Adelina, poi rettificò, O for­se è solo triste.

Luca sorrise, ponderò per un attimo le parole della vecchia amica, e infine disse, Cara mia, tu sai osservarla, la gente.

La responsabile dell’area assistenziale riunì gli inservienti, compreso il personale delle cucine, nella sala comune, tutti ri­gorosamente a un metro di distanza gli uni dagli altri con le ma­scherine e i guanti, e disse loro che c’erano notizie del fuggiasco. Delle brutte notizie. Il cadavere di Sebastiano era stato trovato quel pomeriggio alla stazione di Giave. Patrizia Chitti avvicinò, fino a farle incontrare, le punte degli zoccoli che indossava ai piedi. E bravo Sebastiano, pensò, immaginando il silenzio della stazione, i binari invasi dalle erbacce perché a Giave il treno non arrivava più da almeno… quanti anni?

Non credo sia il caso di andare a spifferarlo a tutti gli ospi­ti della casa, aggiunse la responsabile. Ne abbiamo abbastanza, qua dentro, di morti.

Alcuni annuirono e molti pretesero informazioni aggiunti­ve. C’era da biasimarli, dopo tutto? Un po’ di morbosa curio­sità era quello che ci voleva, pensò Patrizia. Per sopravvivere tra quelle mura. A lei, poi, da giorni capitava di essere terroriz­zata non da quanto le accadeva attorno ma da ciò che succe­deva dentro la sua testa. Per un sacco di tempo – troppo tem­po, maledizione – non aveva fatto altro che vivere tra quelle persone anziane con crudele leggerezza, come se non avessero niente da dirle, niente da insegnarle. A volte alzava la voce con qualcuno di loro – mai con Adelina, che probabilmente ci aveva visto giusto –, insofferente per i tempi rallentati con cui sembravano vivere.

Si sentiva in colpa, ecco. Adesso che morivano uno dopo l’al­tro – come i cattivi di un film –, si sentiva tremendamente in colpa ed era atterrita, perdio.

Nei giorni successivi i controlli divennero più serrati ed era impossibile uscire dalla propria camera e, tanto più, recarsi in quelle altrui. Be’, è una cosa triste, ripeteva Adelina ogni tanto. Non stava per niente bene, le mancava il fiato e si sentiva debole. Se le cose fossero continuate così, l’avrebbero spostata nell’ala dei non autosufficienti. Una seccatura che voleva proprio evitare.

Luca le mandò un messaggio sul telefonino. Non lo usava quasi mai, tranne che per chiamare sua figlia. C’era scritto, Ciao. Lei rispose, Ciao, e lui continuò con, Non ci vedremo per un pezzo, e la frase era accompagnata da una faccina sorridente, vagamente idiota.

Lei scrisse, Non sto bene, senza aggiungere altro. Poi attese qualche minuto senza che arrivasse una risposta. Alla fine Luca replicò, Hai informato i tuoi?

I tuoi chi?, scrisse con rabbia Adelina.

I tuoi cari. Altra faccina sorridente.

Lei si risistemò la dentiera in bocca. I tuoi cari, suonava come un annuncio funebre. I tuoi cari, un corno. Pensava a come for­mulare la risposta, una cosa del tipo, Tanto non possono venire a trovarmi, loro sono in un mondo, io – noi – in un altro, non ci vediamo da settimane – era vero, cribbio –, non so neppure se mi pensano. Sì che la pensavano! Adesso, con quello che stava accadendo, certo che la pensavano. Più di prima, probabilmen­te. Le mancava Roberta, ma dopo cena le avrebbe sicuramente telefonato, come faceva ogni giorno. I nipoti invece… loro dav­vero non si facevano mai sentire.

Fissò ancora un attimo lo schermo del telefonino, quindi scrisse, Tutto è difficile come guardare dentro i sassi, ma poi cancellò la frase perché sarebbe stato troppo complicato spie­garla, dirgli che quando era piccola scendeva con lo zio lungo il fiume Sesia a scagliare sassi contro altre pietre finché non si spezzavano, e dentro sembravano più belli e più preziosi rispet­to a come apparivano da fuori. Voleva dire che, se oggi i loro figli avessero potuto fare una visita, li avrebbero trovati anch’essi più preziosi, e infinitamente più fragili.

Alla fine scrisse solo che sì, li aveva informati. Mise un punto e aggiunse, Non so ancora chi mi abbia tagliato i capelli.

Così arrivò la domenica e nella notte era cambiata l’ora, da quella solare a quella legale. Si era dormito di meno ma Ade­lina non se ne accorse neppure; in questo posto non ti accorgi di nulla, di quale temperatura c’è fuori, se fa bello o brutto, se l’aria è umida; figuriamoci se cambia l’ora. È tutto uguale, fa sempre terribilmente caldo, che sia inverno o estate. Pensò che una volta terminato il virus – se non ci fosse stata quella tremenda pandemia permanente di cui aveva fantasticato – le cose non sarebbero poi cambiate tanto. Le pareva che un dopo, per lei, non ci fosse comunque; non sarebbe uscita da lì, non avrebbe avuto nuovi amici, né nuovi impegni che l’emergenza aveva congelato per qualche settimana o mese.

Fu invasa da una nostalgia violenta e si sentì soffocare quan­do vide Patrizia. Toccò il petto e cercò di inghiottire un po’ di ossigeno per poterle parlare. Disse, Guarda un po’ quell’aggeg­gio, e indicò la sveglia elettronica sul comodino da notte. C’è da sistemare l’ora, è rimasta indietro. Dopodiché lasciò andare la testa sul cuscino.

La donna diede un’occhiata fuori dalla finestra – lungo la strada c’era una vecchia lattina di birra schiacciata – poi si voltò e raggiunse il letto di Adelina. Prese in mano la sveglia e sistemò l’ora. Infine toccò Adelina su una spalla e Adelina riconobbe una dolcezza infinita dentro quel gesto. Una cosa che non sen­tiva da anni, dai tempi dei grossi abbracci di Elsa, da quando aveva sepolto Mila, la sua tenera scimmietta – oh, cara Mila –, o da quando Silvio se n’era andato per sempre. Quella era malin­conia pura, signori miei, unita però a un senso di riconoscenza per quanto la sorte le aveva serbato, nonostante tutto. Diamine, la vita non è stata poi così male, pensò, e fu grata di ascoltare la solita voce di Patrizia – una voce fastidiosa, di sicuro poco interessante – che diceva, guardandole i capelli, Dovresti dargli una bella sistemata, non credi?

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“Difficile come guardare dentro i sassi” è stato scritto da davide orecchio e pubblicato su NAZIONE INDIANA.

Gli incontrollati fantasy su Norma Cossetto, 4a parte | Miti e bugie intorno a una laurea

Tutte le puntate dell’inchiesta sul caso Norma Cossetto sono qui. di Nicoletta Bourbaki (*) INDICE 0. Antefatto 1. La versione di Canfora: problemi di metodo 2. La versione di Sessi: quando «problemi di metodo» è un eufemismo 3. Allargando l’inquadratura tutto cambia 4. L’origine della leggenda (1983) 5. L’uovo di Colombo: leggere i documenti 6. […]

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“Gli incontrollati fantasy su Norma Cossetto, 4a parte | Miti e bugie intorno a una laurea” è stato scritto da Nicoletta Bourbaki e pubblicato su Giap.

Sapienza, scontri tra Polizia e studenti: 32 denunciati tra i quali 2 minorenni

Più di 30 le persone identificate dalla Polizia di Stato e denunciate alla magistratura per i disordini avvenuti alla Sapienza nei giorni scorsi

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“Sapienza, scontri tra Polizia e studenti: 32 denunciati tra i quali 2 minorenni” è stato scritto da Lucrezia Ciotti e pubblicato su Notizie.it.

Gaza, sopravvissuto ad un attacco aereo muore durante la consegna di aiuti alimentari

Un giovane palestinese di appena 13 anni è morto schiacciato mentre cercava di raggiungere un carico di aiuti umanitari

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“Gaza, sopravvissuto ad un attacco aereo muore durante la consegna di aiuti alimentari” è stato scritto da Francesca Santi e pubblicato su Notizie.it.

Blues brothers e l’eterno conflitto tra libertà e statalisti

di SERGIO RICOSSA I due protagonisti del film, i fratelli Jake ed Elwood Blues, non sono stinchi di santo (il primo è appena uscito di galera); ma sono personaggi veri perché in loro il male e il bene si mescolano formando un cocktail tutto sommato accettabile. L’uomo esclusivamente buono è rarissimo, ammesso che esista, e…

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“Blues brothers e l’eterno conflitto tra libertà e statalisti” è stato scritto da Leonardo e pubblicato su Miglioverde.

Il socialismo è il male, è il diavolo che “divide et impera”

di FRANCO CAGLIANI Quella del creare divisioni per incrementare la litigiosità dei sudditi, di chi è sottoposto al potere, non è certamente un’arte innovativa, ma conta su migliaia di anni di esperienza. Come ha scritto Paolo Zanotto nel libro “Cattolicesimo, protestantesimo e capitalismo. Dottrina cristiana ed etica del lavoro”, pubblicato da Leonardo Facco Editore, Divisioni…

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“Il socialismo è il male, è il diavolo che “divide et impera”” è stato scritto da Leonardo e pubblicato su Miglioverde.