Napoli, il rione geniale: qui è nato il racconto di Elena Ferrante

Pubblichiamo un pezzo uscito su Repubblica, che ringraziamo.

di Livia De Paoli

A due chilometri dalla stazione di Napoli Centrale e vicino alla fermata metro Gianturco si trova il rione Luzzatti. Ci si arriva percorrendo una strada ad alto scorrimento che collega il centro alla zona industriale, in direzione est. Qui la rete di vie e viuzze che caratterizzano la città si disperde in una geografia urbana rada, dove agglomerati di palazzine lasciano il posto a distese di terra incolta e a vecchie discariche.

Anna e Raffaele sono residenti storici del rione; lui è nato qui negli anni Cinquanta, ricorda quando nelle case non c’erano le docce e la gente andava a lavarsi gratis ai bagni pubblici. Lei è arrivata dopo, appena sposati, da un paesino della provincia campana. Questo posto per Anna è stata una conquista. «Un tempo lo chiamavano la piccola Parigi, perché c’era un bel viale alberato e per farti assegnare un appartamento dall’Istituto delle case popolari dovevi avere la fedina penale pulita. Ci vivevano solo persone per bene». Le finestre del loro salotto affacciano sulla piazza Francesco Coppola, in pieno rione, dove comitive di ragazzi scorrazzano in motorino mentre “Peppe dal 1986”, un furgoncino ambulante, sforna pizzelle e frittatine per un euro al pezzo.

Da quando sono finite le riprese di L’amica geniale, la serie tratta dall’omonima quadrilogia di Elena Ferrante e diretta da Saverio Costanzo, sulle facciate di diverse palazzine sono state affisse le fotografie delle due protagoniste Lila e Lenù e di alcuni dei personaggi principali. Francesco, ventitré anni, abita a un isolato da casa di Anna e Raffaele, non ha visto la serie ma conosce a memoria tutti i murales e cammina indicandoli. Davanti alla scuola elementare del rione, dove nel racconto ferrantiano studiavano le due protagoniste, alcune foto sono state sostituite con installazioni in alluminio. «All’inizio le avevano strappate, più per scherzo che per sfregio, perché la gente non sapeva chi fossero. Sono venuti qua e le hanno messe, ma non hanno fatto nulla. Non c’è stata un’inaugurazione o qualsiasi cosa che potesse creare aggregazione» dice Francesco. Un’installazione all’entrate del rione, sotto il ponte della metro Gianturco, è durata un giorno e poi è sparita. Rubata.

Secondo Titta Fiore, presidente della Film CommissionCampania – che ha curato la mostra L’amica geniale. Visioni dal setcon la direzione del museo Madre di Napoli– c’è una forte corrispondenza tra le foto di scena e il quartiere. «Eduardo Castaldo, nelle sue installazioni di street art al rione Luzzatti, unisce la fascinazione di una storia ai luoghi che l’hanno accolta. Il progetto espositivo sottolinea momenti e passaggi cruciali delle riprese, valorizza gli aspetti culturali e la vocazione turistica del territorio regionale».

Prima della pandemia l’invito ai turisti aveva funzionato: gruppi spontanei e organizzati passeggiavano per strade di solito frequentate solo da residenti, scattavano foto e tracciavano somiglianze tra i luoghi reali e le descrizioni dei libri. «Una volta mia figlia era sull’autobus per casa e un signore inglese le ha chiesto se conoscesse il rione Luzzatti, e lei: certo, ci sono nata!» dice Raffaele. Per lui che tiene in mano le redini cronologiche del quartiere questa è stata una vera novità. «La descrizione del rione è fedele alla realtà: ci sono il bar, la pasticceria, la salumeria. Per quanto riguarda le persone non so, se sono così come li descrive la serie, e prima il libro. Forse con la riassegnazione delle case popolari, negli anni Sessanta, e la costruzione di nuovi edifici, c’è stato una sorta di riequilibrio nel quartiere. È arrivata più povertà». Secondo Anna «è vero quello che succede a Lila nella serie: che le femmine non ce le mandavano a scuola, perché era meglio che stavano a casa e imparavano a cucire, a cucinare».

Nelle parole di Elena Ferrante e nelle immagini che sono poi state andate in onda il rione appare come un luogo di povertà e miseria, dove criminalità, mancanza di mezzi e di risorse sfilacciano il tessuto sociale e lo corrodono. Oggi questo posto assomiglia a una periferia urbana, una zona tranquilla ma priva di servizi e opportunità per le persone che ciabitano. Francesco studia cinema all’Università Federico II e lavora in centro, al rione torna solo di sera perché «tanto che ci stai a fare, non c’è nulla». Anna, che fa parte del comitato di quartiere, racconta che è stato presentato un esposto al comune per verificare l’assegnazione di un terreno a un’associazione che avrebbe dovuto realizzare dei progetti per i residenti, tra cui degli orti urbani. A un anno dalla consegna dell’esposto, lo spazio rimane una discarica e il comune non ha inviato risposte.

Con l’arrivo dei turisti, che è probabile ritornino finita la pandemia – rimangono altre due stagioni della serie e, intanto, i libri continuano a essere letti in tutto il mondo –, il rione avrebbe potuto beneficiare di una riqualifica. Al momento non sono previste nuove iniziative, la mostra è rimasta un evento a sé nato soprattutto per creare un raccordo tra la serie e il territorio.Nel panel di presentazione del progetto si celebra soprattuttoil ruolo del cinema come portavoce e immagine  della cultura campana.

Negli ultimi anni, i set e le riprese sono stati una presenza imponente in Campania: dai dati pubblicati dalla Film Commission regionale emerge che nel 2019 più di sessanta produzioni sono state attive sul territorio. Secondo Alex Marano, che si occupa di produzione e ha lavorato negli ultimi film di Mario Martone e di Paolo Sorrentino, «da tre quattro anni a questa parte Napoli è la capitale del cinema italiano». Lui, come altri giovani, ha trovato lavoro grazie all’enorme indotto che le produzioni cinematografiche creano sul territorio. In altre periferie, come Scampia, ci sono stati degli effetti più evidenti che a Luzzatti. Maurizio Braucci, scrittore e sceneggiatore di Gomorra e Martin Eden, sostiene che il cinema crea sempre una relazione con il territorio, anche se è spesso difficile. «In aree dove la disoccupazione raggiunge il settanta percento, un set cinematografico offre possibilità concrete di lavoro, a partire da occupazioni più saltuarie: comparse, macchinisti, affittacamere. A volte si rischia di creare delle illusioni, perché c’è chi vuole fare l’attore chi il regista. Altre vai a smuovere degli equilibri precari, che esistono nei luoghi. Dove ci sono delle produzioni che vengono con un certo spirito e rimangono per un bel po’ di tempo si vedono degli effetti positivi, ma è assurdo che questo ruolo venga affidato al cinema, come si dice a Napoli è mettere una pezza a colori».

Se da un lato, quindi, è impossibile chiedere al cinema di arrivare lì dove mancano le istituzioni, dall’altro a volte il cinema riesce a dar voce a quei territori che le istituzioni lasciano in ombra, li illumina. In alcuni casi questo non basta, in altri dove c’è una luce si riescono anche a vedere le ombre, a nominarle.

Ed è anche questo l’input da cui inizia il racconto in L’amica geniale: Elena, la voce narrante, quando non sa più come rintracciare Lila, si siede alla scrivania della sua casa a Torino e inizia a scrivere della vita dell’amica, ricostruisce la sua e la loro storia.

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Didascalia foto:

foto 1: rione Luzzatti (visto da fuori)

foto 2: una delle installazioni della mostra di Eduardo Castaldo, Visioni dal set

foto 3: gigantografia delle due protagoniste, Lila e Lenù, fuori dalla metro Gianturco

foto 4: edicola votiva al centro del rione Luzzatti

foto 5: fuori dal rione, in direzione nord

foto 6: fuori dal rione Luzzatti-Ascarelli, in direzione sud

foto 7: rione Luzzatti (visto da dentro)

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