L’Irlanda davanti alla legge

the-trial-kafkaGiorgio Mascitelli

Uno degli avvenimenti culturalmente più interessanti del 2016 è l’ordinanza della Commissione Europea che impone all’Irlanda di esigere dalla Apple 13 miliardi di tasse arretrate, in quanto il regime fiscale applicato si configurerebbe come un trattamento ad hoc. Questo provvedimento, contro il quale Dublino ha fatto ricorso contestando alcuni aspetti tecnici e ritenendolo un’intromissione indebita negli affari interni, anzi un tentativo di riscrittura del proprio diritto fiscale, assume curiosamente la forma di un dispositivo di condanna per il paese, anche se i suoi effetti sono benefici e il condannato giuridicamente è la compagnia statunitense. Non bisogna però pensare a una riedizione del teatro dell’assurdo: è chiaro infatti che l’atteggiamento delle autorità irlandesi ha una spiegazione molto concreta nella loro convinzione che i vantaggi economici dell’attirare multinazionali nell’isola per l’inconsistenza della pressione fiscale superino qualsiasi altro tipo di considerazione. Che poi il cittadino irlandese medio si trovi a pagare proporzionalmente imposte molto più alte di quelle di ricchissime multinazionali è evidentemente una questione che non ha alcun peso presso il governo della Repubblica Irlandese, che con questo ricorso rivendica il diritto alla disuguaglianza davanti alla legge e, a quanto pare, non interessa molto agli stessi irlandesi.

Se il riferimento al teatro dell’assurdo non è dunque utile qui, lo è forse quello alla celebre parabola-racconto di Kafka Davanti alla Legge. Come è noto, in essa si narra di un contadino che si presenta davanti alla porta della Legge, ma il guardiano gli dice che per il momento non può entrare, ma se vuole può aspettare lì. Il contadino, vedendo che la porta è aperta, sbircia dentro e il guardiano gli spiega che se vuole, può tentare di entrare a suo rischio e pericolo, perché all’interno vi sono altri guardiani ben più potenti di lui. Il contadino allora rinuncia ad agire senza permesso e trascorre la vita ad attendere l’autorizzazione, che peraltro non arriverà mai. Sul punto di morte il contadino chiede al guardiano come mai in tanti anni nessun altro ha cercato di passare dalla porta e il guardiano gli spiega che quell’accesso era riservato solo a lui e dopo la sua morte verrà chiuso.

Se questo contadino è troppo rispettoso dell’autorità della legga così da scoprire a proprio spese che per accedervi bisogna infrangerne le disposizioni, immaginiamoci ora un uomo d’affari al posto del contadino, quindi un uomo di una pasta completamente diversa. Costui non vuole assolutamente rivolgersi alla Legge, che non crede esista universalmente ed è perciò consapevole che quell’accesso è riservato a lui solo, anche perché è intimamente convinto che esista una legge che vale solo per lui. Pertanto si tiene alla larga dalla porta, ma quando il guardiano, ormai convinto che non verrà più, si appresta a chiudere quell’accesso, l’uomo d’affari lo prega di tenerlo aperto. Il guardiano gli chiede perché, visto che lui non crede nella Legge e non è interessato a entrare, e l’uomo d’affari gli risponde che in realtà il fatto che da qualche parte ci sia la Legge gli torna utile: infatti la Legge in sé non è vantaggiosa per lui, ma lui ha bisogno dello spettacolo della Legge; il vantaggio di non credere alla Legge è tale solo se gli altri vi credono. L’uomo d’affari ammette di non volere accedere alla Legge, ma di avere bisogno del suo fantasma.

Se ci si riflette un attimo (nella speranza che Kafka non si rivolti nella tomba per aver piegato questo suo monumento perenne alle esigenze del frangente storico), l’atteggiamento dell’Irlanda e degli altri paradisi fiscali interni all’Unione Europea è analogo a quello dell’uomo d’affari: chiedono cioè di poter aggirare le leggi e nel contempo che queste leggi continuino a esistere, in quanto i vantaggi che traggono dall’aggirarle esistono solo nella misura in cui esistono le leggi aggirate. Infatti le leggi fiscali irlandesi risultano attraenti per le multinazionali solo se sono all’interno del contesto legale europeo, cioè se creano uno spazio esente dalla Legge sotto la sua protezione.

La questione diventa così una minaccia per la civiltà europea, o meglio per quel che ne resta, non solo per i suoi effetti pratici, ma anche perché mette in discussione il concetto stesso di coesistenza basata sull’uguaglianza del diritto, che è in definitiva l’idea su cui è sorta l’Europa moderna. L’Unione Europea, a differenza del guardiano, come Giano Bifronte da un lato promuove la Legge, dall’altro promuove comportamenti e valori che la vanificano. Annuncia la sua presenza, e in alcuni luoghi e momenti la fa avvertire effettivamente, e brilla per la sua assenza in altri momenti. Nel caso delle tasse irlandesi che coinvolgevano una multinazionale statunitense, dopo che oltre Oceano multinazionali tedesche hanno avuto disavventure giudiziarie, la presenza è stata effettiva, altre volte no.

In questo universo postkafkiano ( ma che per i poveri torna a essere perfettamente kafkiano, come hanno provato i greci sulla loro pelle) l’uomo d’affari deve capire che c’è bisogno dell’assenza dell’Unione Europea ossia del suo simulacro lontano alla cui ombra prosperano gli affari. Chi scambia l’assenza della Legge per la sua inutilità è destinato a pentirsene. L’assenza della Legge, ma assolutamente mai la sua eliminazione, ha molti vantaggi per l’uomo d’affari: uno tra tutti non far venire a nessuno stani grilli per la testa come ad esempio chiedere di cambiare le leggi.


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“L’Irlanda davanti alla legge” è stato scritto da maria teresa carbone e pubblicato su Alfabeta2.