Il paese esportatore

Chi è qui da un po’ si ricorda senz’altro il nostro amico che ha l’abitudine di guidare contromano in autostrada: è un complottista, ma è tanto una brava persona. Qualche giorno fa ne ha fatta un’altra:

(il tweet originale è qui).

Ora voi mi direte: ma che cosa c’è che non va in questo grafico? In fondo sono solo dati!

Sì, naturalmente: sono solo dati, e raccontano solo un pezzo della storia, non solo e non tanto perché partono dal 1991 (che sarebbe anche abbastanza), quanto perché ci fanno vedere solo il saldo fra esportazioni e importazioni di beni e servizi (il saldo commerciale), senza farci vedere come si sono mosse le rispettive componenti, cioè le esportazioni e le importazioni. Non c’è nulla di male nel non farlo vedere, ma non c’è neanche nulla di male nel farlo vedere, e quindi ve lo faccio vedere usando i soliti dati ISTAT. Il grafico (su dati annuali anziché su media mobile di dati mensili, il che non cambia sostanzialmente nulla nelle informazioni “a bassa frequenza”, cioè di lungo periodo, che interessano me), è questo:

dove l’unità di misura è il punto percentuale di PIL, le esportazioni sono blu, le importazioni arancioni, e il saldo è rappresentato dal grafico a barre grigie (scala di destra).

Che cosa vi racconta questo grafico? Che dal 1970 a oggi (volendo si potrebbe andare ancora più indietro) ci sono state tre correzioni abbastanza violente del deficit di bilancia dei pagamenti del nostro paese: una fra 1974 e 1975, una fra 1992 e 1993, e una fra 2011 e 2012.

Ora, della diversa natura di queste correzioni, in particolare delle ultime due, abbiamo già parlato, ma conviene riparlarne un attimo.

In effetti, il saldo delle partite correnti (le barre grigie), dato dalla differenza fra esportazioni e importazioni, può cambiare segno, passando da negativo a positivo (da sotto a sopra) per due ordini di motivi: o perché aumentano le esportazioni, o perché diminuiscono le importazioni (i due movimenti possono ovviamente coesistere e quindi sommarsi). Le esportazioni dipendono dal reddito del resto del mondo, e dal loro prezzo relativo, il tasso di cambio reale (rapporto fra i prezzi italiani e esteri espressi nella stessa valuta, un concetto spiegato qui). Le importazioni dipendono dal reddito italiano e ancora una volta dal tasso di cambio reale. Naturalmente il Governo italiano, che già ha il suo da fare nell’assicurare la sopravvivenza degli italiani, in questi tempi così difficili, non è mai stato particolarmente in grado di influire sul reddito del resto del mondo, il che significa, in buona sostanza, che per far aumentare le sue esportazioni l’Italia può far leva solo sul tasso di cambio reale. Altra storia per le importazioni: siccome queste dipendono dal reddito italiano, e il Governo italiano questo reddito un po’ lo controlla, ecco che anche in assenza di manovre del cambio le importazioni possono essere manovrate influendo sul reddito.

Semplicemente, se vuoi che gli italiani complessivamente importino di meno, occorre che il loro reddito complessivo sia inferiore, cioè occorre austerità. Naturalmente l’aggiustamento in base al reddito diventa indispensabile quando non è possibile ricorrere all’aggiustamento dei prezzi relativi, o almeno a un aggiustamento sufficientemente rapido (e anche di questo abbiamo parlato). 

Per far capire dove voglio arrivare, consideriamo l’entità dell’aggiustamento del saldo fra l’anno precedente alla correzione e il picco positivo successivo alla correzione. Dopo il -1.33% raggiunto dal saldo della bilancia commerciale nel 1974, il picco arrivò col 2.85% del 1978: una correzione di 4.18 punti percentuali del saldo di cui 3.38 dovuti a un aumento delle esportazioni, e 0.80 a una diminuzione delle importazioni. La correzione delle importazioni fu quindi il 19% della correzione totale (0.8/4.18=0.19). Dopo il -1.98% del 1992 la correzione fu molto più forte: il saldo delle partite correnti arrivò nel 1996 a 4.53%, con un aumento di 6.52 punti, di cui 4.75 dovuti a un aumento delle esportazioni e 1.76 dovuti a una diminuzione delle importazioni: la diminuzione delle importazioni, in questo caso, contò per il 27% dell’aggiustamento totale. E arriviamo a oggi: dopo il -1.4 del 2011, il picco è stato raggiunto col 3.66 del 2020, con una correzione complessiva di 5.06 punti, di cui 2.61 dovuti a un aumento delle esportazioni, e 2.44 a una diminuzione delle importazioni. In questo caso, quindi, finora, la correzione è dipesa per circa metà (il 48%) dalla diminuzione delle importazioni.

Chiaro ora quello che non va nel discorso del nostro fratello tedesco?

Non è esattissimo dire che l’Italia “is increasingly becoming an export nation”. Non siamo sempre di più una nazione esportatrice: siamo soprattutto sempre di meno una nazione importatrice, per la semplice ragione che il nostro reddito prima del COVID era fermo a quello di quindici anni prima (cioè nel 2019 avevamo il reddito aggregato del 2005). Nel grafico si vede bene: quest’ultimo aggiustamento (quello del 2012) dipende soprattutto dal fatto che le importazioni si fermano: è l’austerità, bellezza!

E partendo da qui si potrebbero sviluppare tante interessanti considerazioni, che rinunciamo a sviluppare un po’ perché lo abbiamo già fatto tante volte, e un po’ perché abbiamo altro da fare. Ci vediamo più tardi in diretta FB sulla pagina del collega Siri…

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“Il paese esportatore” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.