News dalla Catalogna? Il voto del 21? Garrotati? Cronaca di un’altra arma di distrazione di massa


Partiamo da una premessa chiara e doverosa: non ho nulla di personale né contro la Catalogna, né contro i catalani, né tantomeno contro l’ipotesi di indipendenza. Semplicemente, non me ne frega un cazzo. Vogliono autodeterminarsi? Liberissimi di farlo, sempre che trovino una via che concilii le varie anime del Paese e non si basi su presupposti democraticamente traballanti con il referendum del 1 ottobre scorso. Una cosa, però, mi interessa: l’apparizione e la sparizione di questo argomento dai mass media e dal dibattito pubblico. Parliamoci chiaro: per tre settimane, al mondo è esistita solo la Catalogna. Con utilizzo di terminologie degne di miglior causa: dal “niente sarà più come prima” di Enrico Mentana e delle sue dirette infinite ai timori per una deriva violenta della situazione, soprattutto in relazione a una possibile resa dei conti fra Guardia Civil e Mossos d’Esquadra. La stessa proclamazione d’indipendenza è stata, di fatto, una farsa, con Carlos Puigdemont che si è limitato a citare la parolina magica ma sempre rilanciando la pallina nel campo avversario, alla Borg, di fatto costringendo Madrid ad attivare per la prima volta l’articolo 155 della Costituzione, quello che porta alla sospensione dell’autonomia.

Doveva essere, nei calcoli politici degli indipendentisti, la dinamo della rivolta civile e pacifica della maggioranza del Paese. Così non è stato: Rajoy non solo ha fatto arrestare praticamente l’intera Generalitat ma, contemporaneamente, ha indetto nuove elezioni regionali per 21 dicembre prossimo, atto d’imperio che non solo gli indipendentisti non hanno rifiutato ma al quale hanno aderito subito, di fatto cercando di porre in essere uno schieramento più unitario possibile. Ma, al tempo stesso, riconoscendo in pieno l’autorità politica e amministrativa di Madrid. Di più, Carlos Puigdemont, riparato in Belgio senza che nessuno lo bloccasse alle frontiere (quasi Rajoy cercasse quell’atto alla Badoglio, tanto per mostrare ai catalani chi fosse in realtà il loro Braveheart), ha dato il suo beneplacito alla tornata elettorale pre-natalizia, premurandosi di far sapere che, comunque, resterà a Bruxelles anche dopo il voto, questo nonostante il mandato di arresto europeo nei suoi confronti sia decaduto due settimane fa.

Uno strano evento epocale, se ci pensate. Al netto della manifestazione di solidarietà con i prigionieri politici tenutasi a Bruxelles la scorsa settimana, una tantum figlia legittima proprio della presenza di Belgio dell’ex premier catalano, la vicenda è svanita nel nulla. Passata da svolta storica ad argomento di una breve negli esteri in pochi giorni. Eppure, guardate qui:

il fenomeno Catalogna fu davvero virale e popolarissimo, ancorché di natura meteorica, come testimonia il numero di ricerche sui motori on-line. Da giorni e giorni, invece, mutismo tombale. Questo, nonostante tra una settimana esatta, la regione tornerà alle urne per una voto che appare davvero storico, visto che dopo quanto accaduto, il risultato che gli indipendentisti saranno in grado di ottenere ci dirà molto sul futuro della trattativa Barcellona-Madrid, ammesso e non concesso che questa esista davvero all’atto pratico. Avete sentito qualcosa al riguardo? Io no, zero. Ho dovuto leggere i giornali spagnoli per avere qualche ragguaglio pre-elettorale. Sulla stampa straniera, come se non succedesse nulla all’orizzonte. Davvero strano, almeno per quanto mi riguarda.

A meno che quanto accaduto non sia stata l’ennesima arma di distrazione di massa. Anche il referendum di ottobre, se ricordate, divenne argomento globale solo a pochi giorni dal voto, quasi tutti avessero sottostimato la sua portata fino all’ultimo. Eppure si sapeva da mesi, come da mesi avrebbe dovuto essere chiaro il potenziale politico di una vittoria del “Sì”. Succederà lo stesso con il voto della prossima settimana? Forse. Una cosa è certa: il clamore dello scorso ottobre, ivi compreso l’utilizzo quantomeno sproporzionato della Guardia Civil nei seggi, ha evitato alla Spagna il terzo voto politico in pochi mesi, rinsaldando una sorta di unità nazionale sull’emergenza indipendentista che ha garantito a Rajoy numeri e fiducia alle Cortes. Al netto dello spostamento delle sedi sociali di moltissime aziende catalane, l’economia è crollata? No. Lo spread spagnolo è volato alle stelle? No. L’IBEX è sprofondato? No. E tutto questo lo sapevano tutti da principio: finché c’è lo scudo della BCE, effetti stile 2011 sono esclusi. E anche se i titoli sulle aziende che scappano fanno colore, questo grafico

ci mostra come anche nel caso corporate, è Francoforte a decidere i destini, non Puigdemont e soci: finché il programma di acquisto obbligazionario va avanti, garantendo alle aziende una fonte di finanziamento non-bancario a costo zero, nessun referendum può fare davvero paura. Diverso sarebbe stata una terza crisi di governo e un terzo voto destinato all’ennesima impasse di ingovernabilità: in quel caso, la BCE avrebbe sicuramente dovuto intervenire sugli acquisti in quota parte della Banca di Spagna, perché i tremori avrebbero cominciato a farsi sentire sottotraccia con il rischio di contagio bidirezionale: ovvero, verso l’esposizione portoghese e verso la via di contagio euromed sull’Italia, anche attraverso le fughe di capitali che si sarebbero riverberate sul bilancio di Target2. Insomma, la Catalogna è divenuta tale, salvo tornare nell’anonimato in tempo record, per garantire un futuro a Rajoy e ai conti spagnoli, con Puigdemont costretto ad affrontare sul serio ciò che fino ad allora aveva solo millantato: ed essendo un cialtrone, ha gestito la vicenda nel peggior modo possibile, garantendo paradossalmente a Madrid un doppio risultato positivo.

Parliamoci chiaro, il ritorno dell’amministrazione diretta di Madrid sulle istituzioni catalane non ha portato a incarcerazioni di massa, al tanto millantato e mai messo in atto sciopero fiscale dei vari municipi, alla repressione franchista, al ritorno della garrote per i dissidenti, al coprifuoco. Barcellona continua a vivere e a essere meta di turismo, le libertà civili sono rispettate ovunque, la Guardia Civil non arresta arbitrariamente e non sono sorti tribunali speciali: è tutto come prima, salvo Puigdemont che resta a Bruxelles a mangiare praline. Non è stata un’arma di distrazione di massa europea, alla fine? E questo non deve farci riflettere? Per due motivi, entrambi legati all’attualità stringente. Primo, questo:

al di là delle ironia sulle ossessioni di Maurizio Molinari, appare inquietante il montare in stile catalano della faccenda, quindi attendiamoci una campagna elettorale con abuso di argomentazioni stile fake-news e crociate di censura on-line, soprattutto ora che Facebook e governo sono in luna di miele per la decisione del gigante social di pagare le tasse nel luogo dove genera gli utili dal 2019. Di più, il quotidiano torinese ospita un’intervista al segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, il quale dice chiaro e tondo che la Russia intende usare il voto politico italiano per dividere l’Europa (notoriamente unitissima, vedi lo scontro Tusk-Commissione sulle quote di migranti dell’altro giorno) e per giungere all’eliminazione delle sanzioni, le quali stanno infatti uccidendo il Cremlino, come ci mostra questo grafico.

E, sempre restando all’allarme di oggi de “La Stampa”, mi ha fatto pensare l’intervista ad Alessandro Di Battista, a detta del quale in caso di governo a 5 Stelle, i rapporti con Mosca saranno più intensi: se ti sei appena ritirato dalla politica, visto che vuoi fare il papà e lo scrittore giramondo, perché ti fai tirare per la giacchetta da un quotidiano notoriamente ostile e di parte su un argomento di questa delicatezza, viste anche le accuse-farsa ma dirette di Joe Biden? Strano, non vi pare? Infine, secondo motivo:

attenzione, perché per quanto mi prendiate in giro e la stampa autorevole la scorsa settimana abbia venduto ai gonzi del mondo l’accordo raggiunto fra Juncker e May, questo voto non solo dimostra come la premier britannica sia un’anatra zoppa, ostaggio delle correnti del suo partito e dei nordirlandesi del DUP; molto sensibili alla tematica delle frontiere con l’Eire ma che l’intera questione Brexit diverrà di fatto un affare di politica interna britannica legato a un passaggio parlamentare che si sostanzierà chissà con quale premier in carica al 10 di Downing Street, non certo la May. Io continuo a pensarla a mio modo, nonostante i vostri dileggi e la pizza virtuale che ho scommesso (oltre alla cenere sul capo in caso di sconfitta) resta valida ma voi riflettete.

Come le fake news serviranno a coprire un DEF che ci ucciderà nella prossima primavera, chiunque prevalga al voto con una legge ad hoc per l’ingovernabilità e l’emergenza, così il falso accordo Juncker-May (il quale non tratta dei rapporti commerciali e dello status della City in nessun punto, ho detto tutto sulla sua credibilità) potrebbe essere l’ennesima distrazione di massa per un Brexit che non arranca per mancanza di volontà britannica – intesa come popolo – ma delle elites, soprattutto estere. Meglio però non dare indizi al riguardo e operare come con in Catalogna, ovvero far esplodere all’improvviso una grana che si conosce da tempo, sfruttando tutti gli alibi che l’emergenzialità garantisce. Nulla è come appare. E, soprattutto, nulla è come ci viene raccontato da lorsignori. Il voto catalano della prossima settimana potrebbe esserne la rapida e concreta prova del nove.


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“News dalla Catalogna? Il voto del 21? Garrotati? Cronaca di un’altra arma di distrazione di massa” è stato scritto da Mauro Bottarelli e pubblicato su Rischio Calcolato.