Credito (da Charlie Brown)

(…da Charlie Brown ricevo e pubblico…)


La teoria generale della finanza spiega che il rendimento è funzione positiva del rischio:

R = f (σ)

Il rischio è definito come la probabilità che il risultato dell’investimento sia diverso in più o in meno rispetto al risultato “atteso” . Per questo il rischio è misurato dalla deviazione standard, misura non direzionale.

Esistono quindi infinite coppie coerenti di rischi e rendimento:

 

(R1σ1) , (R2, σ2), (R3, σ3)  …

 

La “teoria del portafoglio” ci dice che il rendimento di uno specifico investimento è funzione solo del suo rischio sistematico, ossia della misura in cui il valore dell’investimento varia , in su o in giù, al variare delle condizioni generali del mercato. Il rischio specifico , correlato alle caratteristiche individuali dell’investimento, può essere “diversificato via” mettendo più investimenti nel portafoglio. Se l’azienda Charlie Brown va peggio della media del settore, l’azienda Alberto Bagnai andrà  meglio e l’azienda Goofynomics  sarà senza infamia e senza lode (performerà come il settore). 

Una banca commerciale italiana ha un vasto portafoglio di clienti operanti in un dato settore. Essa dovrebbe quindi prezzare il denaro dato ad ogni singolo cliente prevalentemente sulla base delle suddette considerazioni (fermi i dovuti presidi prudenziali: non si dovrebbe investire in una bisca, anche se ciò di fatto è spesso avvenuto).  ciò è più o meno ciò che avveniva finché  i crediti concessi venivano impacchettati e venduti in blocco  sul mercato con le cartolarizzazioni. La cosa sfuggì di mano ed  il meccanismo si ruppe dopo Lehman quando si “scoprì” che non è possibile “diversificare via” magicamente anche il rischio sistematico (questa era la falsa magia che nell’ignavia generale pareva trasformare portafogli schifosi  investimenti con rating tripla A – nulla di nuovo sotto il Minsky).

Oggi le banche italiane devono in buona parte gestirsi il rischio internamente.  Esse non si preoccupano più tanto del rischio totale quanto del cosiddetto “downside risk “ ossia della probabilità che i risultati del singolo investimento divergano da quelli attesi  in senso peggiorativo. Le regolamentazioni spingono sempre più in questa direzione. Il risultato è un ingessamento generale del processo del credito commerciale. Prevale una esasperata “avversione al rischio” la quale oltre a scaricarsi sui tassi (oltraggiosamente alti per i clienti più piccoli, non dotati di forza contrattuale e percepiti come intrinsecamente rischiosi ) si trasforma in un razionamento del credito. Le banche cercano di compensare il conseguente calo di fatturato con il trading sui titoli di stato e con le operazioni finanziarie a leva (ambedue le cose sono malviste ma pilatescamente tollerate dal regolatore). 

E quindi?

E quindi, questo blocco del credito non si scioglierà con maggiore regolamentazione prudenziale ma solo alterando la percezione del rischio generalizzato di insolvenza. Il che non avverrà grazie a spontanei cambi di “mood”, ma grazie ad una politica economica  massicciamente espansiva e reflattiva la quale faccia uscire l’Italia dalla sua trappola di liquidità, stimolando nel mentre un sano “risk appetite” nel settore bancario.



(…dichiaro aperta la discussione generale, con un’osservazione: è Basilea, bellezza!…)

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“Credito (da Charlie Brown)” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.