Avere il passaporto in un “paese in via di sottosviluppo”

di MATTEO CORSINI

Mentre il presidente della Repubblica ci teneva a far sapere di aver telefonicamente tirato le orecchie al ministro dell’Interno per via delle manganellate inferte dai poliziotti a studenti manifestanti per la Palestina, il Sole 24Ore dedicava (a mio parere meritoriamente) un paio di pagine a uno dei diversi segnali del fatto che l’Italia è un Paese in via di sottosviluppo: i tempi biblici necessari per l’emissione o il rinnovo del passaporto.
Un documento che in altri Paesi europei è ottenibile mediante procedimenti molto più snelli, spesso in tutto o in gran parte online, tra l’altro a costi inferiori ai 116 euro che servono a un cittadino italiano (e meno male che qualche anno fa è stata abolita l’imposta di bollo annuale, a onor del vero evasa dai più, ma altro balzello allucinante).

Il ministro Piantedosi cerca di difendere il poco difendibile, ricordando che il sistema di pagamento, che obbliga il richiedente a pagare 42,5 euro presso gli uffici postali e ulteriori 73,5 euro in tabaccheria a titolo di contributo amministrativo, “è in via di superamento“, e che “nel 2023 sono stati rilasciati 2,75 milioni di documenti, un milione in più rispetto a ciascun anno pre-pandemico“.
Perché il problema del dover passare per le Questure per ottenere il passaporto ha reso ancora più lungo un procedimento già anacronistico a seguito dei quasi due anni persi per i lockdown vari.
Per quanto mi riguarda rinnovai il passaporto nell’estate del 2020 e mi ci vollero meno di 3 settimane, ma in quel periodo si era in piena isteria da Covid, per cui quasi nessuno chiedeva l’emissione o il rinnovo del passaporto. All’epoca mi illudevo che l’isteria in questione sarebbe terminata per l’autunno, ossia il periodo in cui viaggio solitamente. Era ahimè una pia illusione, ma per lo meno non mi sono poi trovato, dal 2022 in poi, ad attendere mesi per rinnovare il documento.
Va da sé che, se tra un DPCM e l’altro in cui si rinchiudevano le persone e le si obbligava (se volevano lavorare ed entrare in locali o mezzi di trasporto pubblici) a iniettarsi un prodotto chiamato vaccino ma che, contrariamente a ciò che fino a quel momento corrispondeva alla definizione di vaccino, non evitava il contagio, si fosse ammodernato il procedimento per ottenere il passaporto, oggi non saremmo in questa situazione.
Ma in un Paese in via di sottosviluppo non si può pretendere troppo, evidentemente.

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