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7 ottimi consigli per le neo mamme (2023)

Tutti i genitori ci sono passati, e tutti i genitori possono relazionarsi con quella che è certamente una delle esperienze che ci cambiano la vita – quella di diventare un nuovo genitore.

7 ottimi consigli neo mamme
7 ottimi consigli neo mamme

Ecco 7 ottimi consigli per le neo mamme e in generale i nuovi genitori.

1. Segui il tuo istinto

Non fare paragoni, fidati solo del tuo istinto.

Ci saranno sempre informazioni contrastanti… su ogni argomento! Il meglio che possiamo fare è ascoltare/imparare da entrambe le parti e poi decidere cosa è meglio per la nostra famiglia e cosa c’è nel nostro cuore. Il più grande trucco per la maternità è non sentirsi in colpa o sentirsi come se si dovesse spiegare una qualsiasi delle decisioni che si prendono.

Abbiamo sentito così tante linee guida contraddittorie su se e per quanto tempo lasciare che il bambino “pianga” all’ora di andare a letto. Ci siamo sentiti piuttosto in colpa a lasciar piangere nostra figlia, ma una volta che abbiamo provato, è diventata rapidamente una bambina che poteva addormentarsi da sola in modo affidabile. Abbiamo dovuto imparare a fidarci del nostro istinto sulla strada giusta nella nostra situazione.

Alcune decisioni possono essere bianche o nere, ma la maggior parte dovrebbe essere guidata dalle priorità e dai valori dei genitori piuttosto che da internet o da amici benintenzionati.

2. Sii gentile con te stessa

Abbraccia il disordine e il caos, perché nessuno si ricorderà di una casa pulita o del bucato fatto, ma tu ricorderai i ricordi divertenti.

Fate molte passeggiate con il passeggino: fanno bene ai genitori e al bambino. Un ulteriore vantaggio è che i bambini dormono sempre meglio all’aria aperta.

Inizialmente ho resistito al consiglio di “dormire quando il bambino dorme” perché pensavo che mi avrebbe dato più tempo per fare le cose. Mi sono presto resa conto che l’opportunità di essere (semi)riposata era il miglior regalo che potessi fare a me stessa.

3. Cerca opportunità per legare con il tuo bambino e fare ricordi

Amali ogni volta che puoi. Sorridi molto. Fissa i loro occhi. Apprezza ogni momento.

Date ai vostri figli molti e molti ricordi.

Fate tutte le foto e assicuratevi che qualcuno faccia delle foto anche a voi. Scrivete le cose che volete ricordare.

Godetevi ogni momento possibile, anche quelli difficili. I bambini crescono troppo in fretta, e se vi preoccupate troppo delle cose che non contano, perderete le opportunità di godervi quelle che contano.

A volte i genitori si eccitano troppo per la “prossima” fase di sviluppo. Prendetevi del tempo per godervi ogni pietra miliare della crescita.

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4. Regola le tue aspettative di mamma

Imparare a stare bene con tutto ciò che richiede 10 volte più tempo di prima di avere figli. Preparati a vivere nell’incertezza e cerca di essere più flessibile con le tue aspettative. Sii d’accordo con il fatto di non essere d’accordo a volte.

Cercate di fare pace con la vostra nuova vita e il vostro nuovo ruolo – come genitore e come co-genitore. Ho sentito qualcuno dire che è come se un interruttore venisse girato da “coppia romantica” a “squadra tattica”. I soprannomi che io e mio marito ci siamo dati in quelle prime settimane erano “Sacco di cibo” e “Ragazzo delle pulizie”. Abbiamo cercato di ridere attraverso la nostra stanchezza per i nostri nuovi ruoli.

Ricorda che le mamme e i papà fanno le cose in modo diverso l’uno dall’altro e che tutti vogliamo avere successo. Mettetevi d’accordo sulle cose grandi e lasciate perdere quelle piccole.

5. Trova il tuo gruppo ideale

Ho capito presto che era importante avere una tribù di altri neo-genitori, per scambiare storie su questo periodo unico, e per aiutare con il babysitting, i pasti e le faccende di casa. A distanza di anni, sono ancora buona amica di molte di queste persone!

Delega i compiti a familiari e/o amici disponibili. Se non avete familiari/amici locali disponibili (per aiutarvi a fare la spesa, cucinare e fare il bucato), considerate la possibilità di esternalizzare questi compiti durante i primi giorni e le prime settimane.

6. Arruola l’aiuto di esperti

Prendete lezioni per genitori in anticipo e assumete un aiuto. Raccomando di fare formazione molto prima che i bambini siano qui, e lungo tutte le loro fasi di sviluppo.

Mi sono unita a un gruppo di genitori attraverso Parents Place che ha aiutato me e mia figlia a socializzare e a trovare risposte alle mie domande sui genitori.

7. Sappi che le cose diventeranno più facili col tempo

Il primo mese sembra un giorno molto, molto lungo. I mesi 2 e 3 sono piuttosto duri, ma migliora mese dopo mese. L’allattamento al seno è più impegnativo di quanto si pensi, ma anche questo diventa più facile nel corso dei primi mesi. Fare il genitore è il lavoro più difficile ma più gratificante di sempre.-Tati, MomWifeLadyLife

Ricordate: anche questo passerà. Per quanto estenuante possa sembrare questa fase, è solo una fase. Prima che tu te ne accorga, il tuo bambino ti guarderà e sorriderà… e ti renderai conto che quelle dure prime settimane ne sono valse la pena.

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Pagare le tasse in base alla ricchezza

 

di Michele Blanco*

Le disuguaglianze aumentano, inesorabilmente dal 2020: cinque uomini, Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett, hanno più che raddoppiato il loro patrimonio, da 405 a 869 miliardi di dollari. Se facciamo un rapido calcolo, hanno guadagnato circa 14 milioni l’ora. Allo stesso tempo i 5 miliardi di persone povere sono rimaste lì dov’erano, nella stessa identica povertà, se non aumentata. Questo è quanto emerge dal rapporto Oxfam “Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi”. In questo contesto il sistema democratico erge questi personaggi a esempi da seguire per arrivare al successo personale, mentre chi è povero viene considerato un fallito, nullafacente e un peso per la società. Negli Stati cosiddetti “canaglia” gente come questa è “oligarca”, mentre da noi sono considerati “imprenditori di successo”: fa niente se non pagano mezzo centesimo di tasse in proporzione ai loro veri e propri “furti finanziari”.

 Infatti chi è ricco non paga le tasse, l’1% della popolazione più ricco paga sempre meno tasse. Le imposte sono diventate regressive per i più abbienti mentre i redditi per la stragrande maggioranza della popolazione italiana continuano a diminuire. Le disuguaglianze fiscali sono in aumento con i ricchi che in proporzione pagano meno tasse di chi fa fatica ad arrivare a fine mese – 5% degli italiani più abbienti pagano un’aliquota inferiore al 95% di tutti gli altri contribuenti.

Le persone con redditi medio-bassi si impoveriscono ma per i ricchi l’attuale momento storico è sempre radioso e sempre più lo sarà, e lo conferma uno studio serissimo congiunto di Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Università di Milano-Bicocca, pubblicato dalla rivista scientifica Journal of the European Economic Association.

 Il sistema fiscale italiano appare solo “blandamente progressivo” e, come sottolinea questo studio, “diventa addirittura regressivo”. Lo studio ha confermato – come si sospettava da tempo – che esistono importanti differenze in relazione alla tipologia di reddito prevalente: sono i lavoratori dipendenti a pagare più imposte, seguìti dai lavoratori autonomi, dai pensionati e, infine, da chi percepisce soprattutto rendite finanziarie e locazioni immobiliari.

 Lo studio, fatto con grande serietà e disamina di dati pluriennali, stima che dal 2004 al 2015, mentre il reddito nazionale reale si riduceva del 15%, il 50% più povero degli italiani subiva la maggiore perdita con un calo di reddito di circa il 30%. All’interno del 50% più povero, ad essere più colpiti sono stati i giovani tra i 18 e i 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito. La disuguaglianza di genere risulta significativa per ogni classe di reddito e raggiunge valori estremi nell’1% più ricco della distribuzione, dove “le donne guadagnano circa la metà degli uomini”.

 Lo studio della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università Bicocca mostra che il 50% più povero degli italiani maggiorenni detiene meno del 17% del reddito nazionale e vive con meno di 13mila euro all’anno. Invece, sottolinea Elisa Palagi, autrice dello studio e ricercatrice di Economia alla Scuola Superiore Sant’Anna “l’1% più ricco del Paese detiene circa il 12% del reddito nazionale, cioè una media di 310mila euro all’anno, ottenuti soprattutto da redditi finanziari, profitti societari e redditi da lavoro autonomo, in gran parte derivante dal ruolo di amministratori societari. Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie ai redditi da lavoro dipendente. In particolare, i 50mila italiani che compongono lo 0.1% più ricco del Paese detengono il 4.5% del reddito nazionale con entrate medie superiori al milione di euro annuo, cifra che potrebbe essere raggiunta dal 50% più povero soltanto risparmiando l’intero reddito per 76 anni.

L’elemento più preoccupante riguarda il fatto che i ricchi non pagano le tasse come dovrebbero. La minore incidenza fiscale per i redditi più elevati è spiegata principalmente da fattori come l’effettiva regressività dell’IVA (che grava meno sui cittadini abbienti che risparmiano di più; dal minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100mila euro; dalla maggiore rilevanza per i contribuenti più ricchi delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari, tassati con un’aliquota del 12% o del 26%. Lo studio ha messo in luce “la necessità di avviare una profonda e seria discussione sullo stato attuale dell’iniquo sistema fiscale italiano. L’evidenza di una regressività che favorisce solo le fasce di reddito più elevate sottolinea l’urgenza di riforme mirate che non penalizzino i redditi più bassi, ma mirino a correggere gli squilibri presenti riducendo le disuguaglianze e promuovendo una distribuzione del carico fiscale in modo proporzionato”. Ma tutto quanto viene proposto al dibattito attuale, la flat tax e la riduzione delle aliquote vanno nella direzione diametralmente opposta.

Secondo l’ex Segretario al Lavoro americano Robert Reich durante la presidenza Clinton, la disuguaglianza, anche quella che si sta affermando nel nostro Paese, si è imposta con tale forza da far vacillare crescita economica e democrazia. Esistono collegamenti tra povertà e prosperità, esigenze di sviluppo e politiche sociali e si impone un ragionamento sulle regole del gioco, la governance economica e una emergente tendenza che il rapporto analizza con metodo, ovvero l’incontrollata espansione del settore finanziario, anche nella arena della agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Cosa fare per contrastare la disuguaglianza? Diversi studi realizzati negli ultimi anni ritengono indispensabili alcune caratteristiche: fondamentale sarebbe un sistema fortemente progressivo per il pagamento delle tasse, con una tassazione più gravosa per le rendite finanziarie in modo tale da dare una spinta all’economia reale; importanti per una effettiva riduzione delle diseguaglianze sono misure come il miglioramento nell’accesso all’istruzione con un incremento nell’offerta di servizi pubblici e l’adozione di un salario minimo garantito. Come si vede si tratta di strumenti che richiedono un deciso intervento pubblico, spesso non gradito a chi detiene il potere economico finanziario (e la ricchezza) e difficile da attuare in un contesto di scarsità di risorse pubbliche e di limitazioni poste alla spesa pubblica.

Il World Social Report di UNDESA sottolinea in particolare come l’accesso universale all’istruzione sia la vera chiave per prevenire e contrastare le disuguaglianze. Tuttavia, occorre che il sistema educativo sia davvero accessibile a tutti altrimenti il rischio è di esacerbare le disuguaglianze. È impor tante agire su tutte le forme di disuguaglianza, non solo quella economica: tutte le forme di discriminazione che ostacolano la partecipazione sociale ed economica dei gruppi svantaggiati – donne, disabili, minoranze etniche – devono essere rimosse. Sono tutti processi a lungo termine, ma non c’è altra strada se si vogliono ridurre le disuguaglianze ed evitare che le conseguenze generino crescenti conflitti sociali.

In Europa, i Paesi con la ricchezza più equi-distribuita sono i paesi scandinavi, la Germania e addirittura alcuni paesi dell’est (Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca), con un indice di Gini compreso tra lo 0,25 e lo 0,30. La forza dell’economia tedesca e il sistema di welfare in vigore nei paesi nordici sono i fattori determinanti dell’equa ridistribuzione del reddito. Nel resto del mondo, l’unica “grande potenza” ad avere un indice di concentrazione così basso è il Giappone. In Italia negli ultimi venti anni, l’indice di Gini ha toccato il suo punto più basso nel 2001, quando era a 0,29, indice di una società più egualitaria. Da allora ha continuato a salire, seppur con fasi alterne, fino allo 0,331 del 2016, dato più alto degli ultimi venti anni.

In conclusione, lo studio ha messo in luce la necessità di avviare una profonda e seria discussione sullo stato attuale dell’iniquo sistema fiscale italiano e la necessità di una riforma in chiave più inclusiva, capace di sostenere una crescita economica sostenibile. Cosa aspettiamo a provare ad invertire questa preoccupante tendenza?

*Articolo già pubblicato su “La Fonte periodico dei terremotati o di resistenza umana”, aprile 2024, Anno 21, n. 4, pp. 18-19.

 

Inefficienze e ingiustizie si perpetuano

 

di Michele Blanco*

L’Italia è un paese socialmente fragile, molto più oggi rispetto a pochi anni fa. Gli ultimi anni sono stati difficili e complessi. L’aumento dei costi dell’energia, in particolare dei carburanti, i rincari dei prezzi con inflazione molto alta, che colpisce principalmente i beni di prima necessità, necessari per sopravvivere (pasta, pane, alimenti in generale), l’incremento dei tassi di interesse, che colpiscono chi ha mutui da pagare, solitamente per l’acquisto della prima casa, hanno iniziato ad avere effetti negativi e preoccupanti sulla struttura sociale ed economica del nostro paese. Anche chi lavora stabilmente, in molti casi, ha grandi difficoltà ad avere una vita tranquilla e serena per il fatto che i salari, da molti anni, sono bassi.

L’Italia è sempre più una realtà altamente polarizzata economicamente e socialmente, con il rafforzamento dei ceti privilegiati, delle classi sociali più ricche, lo “sfarinamento” del ceto medio e l’enorme ingrossamento e impoverimento dei ceti medio-bassi e popolari, che hanno sempre meno disponibilità economiche. L’ISTAT -dati settembre 2023- ha confermato la caduta del reddito prodotto (il PIL) nel secondo trimestre. Anzi, ha rincarato la dose: -0,4% invece di -0,3%. I dati disponibili sul terzo trimestre non sono buoni. Nel mese di luglio l’occupazione è scesa e in agosto il clima di fiducia delle imprese si è indebolito, confermando una tendenza in corso da diversi mesi.

Molti sociologi ritengono che da un punto di vista della struttura sociale l’Italia potrebbe essere suddivisa in cinque classi principali. Il dato è stato ricostruito in base al metodo di ricerca dell’autocollocazione delle persone nei diversi segmenti. Un metodo che permette di cogliere come si sentono realmente le persone, quale ritengono sia il proprio posizionamento nella scala sociale. L’autocollocazione è molto utile nelle scienze sociali, perché permette di tenere insieme tutti i fattori dell’esistenza familiare, dal reddito alle concrete esperienze di vita e le reali possibilità di spesa, dallo stile di vita allo status sociale e economico a cui si aspira.

In vetta alla piramide sociale troviamo la upperclass; si tratta di persone che si collocano tra i ricchi, i benestanti e il ceto alto e medio-alto. Questo segmento, in questi anni complessi, è cresciuto di diversi punti, passando dal 4% di media negli scorsi anni al 6-7% odierno. Il ceto medio è, invece, in costante oscillazione. Al termine della prima fase della pandemia (autunno 2020), quando anche negozi e botteghe artigiane avevano subìto le chiusure, il numero di persone che si percepiva solido e parte del ceto medio era sceso fino al 26%. Poi la ripartenza è arrivata.

Nel 2021 la ripresa si è consolidata e con l’inizio del 2022 una quota significativa era tornata a sentirsi stabile e certa. Le persone che si collocavano nel ceto medio avevano sfiorato quota 40%. Ma il contesto di grande incertezza innescato dalla guerra russo-ucraina e lo scatto inflattivo, diretta conseguenza della guerra, ha ridotto certezze e i relativi livelli di stabilità, facendo oscillare, nell’autunno 2022, il dato del ceto medio intorno al 30%. Dato che ci dovrebbe fare riflettere è la crescita netta che si registra tra i segmenti sociali in difficoltà. Complessivamente tra il 58% e il 66% degli italiani mostra segnali di crisi e difficoltà economica e sociale, con un incremento del 7% rispetto all’inizio del 2022, ultimo dato certo disponibile. In pochi mesi abbiamo assistito a un doppio processo di scivolamento: dal ceto medio alla middle class in fall, ovvero in quella parte della società la cui posizione sociale è in discesa e il reddito non consente lussi (in questo segmento si autocollocano tra il 35% e il 39% delle famiglie).

Assistiamo ancora allo scivolamento dalla classe media in difficoltà al ceto fragile, ovvero quella parte di famiglie che arrivano a fine mese con pochissimi soldi a disposizione: in questo segmento si collocano tra il 15% e il 19% delle persone, ma non tutti riescono ad essere sinceri per autocollocarsi tra le persone bisognose che non hanno soldi, anche se lavorano, e non arrivano alla fine del mese. Infine, la “classe lavoratrice”, working class, come la vecchia definizione data dai sociologi anglofoni, le persone che in Italia si sentono veramente povere, che oscilla tra il 6% e l’11% (tra i 4 e i 6 milioni di persone che si percepiscono senza mezzi termini come indigenti). Lo scatto inflattivo e il caro bollette si è scaricato maggiormente sui ceti popolari e medio- bassi. Gli incrementi dei prezzi sono stati maggiori, in termini percentuali, nei beni più difficili da tagliare, necessari, come quelli alimentari.

Un quadro che, in termini previsionali, conduce a ipotesi di riduzione anche consistenti del reddito disponibile per le famiglie. Il 20% degli italiani arriva a prevedere per il prossimo futuro una riduzione del reddito tra il 10% e il 20%, mentre il 21% ipotizza un calo compreso tra il 20% e il 30%. Il 13% delle famiglie, infine, pensa che la decurtazione di reddito potrebbe essere tra il 30% e il 50%. La quota di quanti prevedono tagli così consistenti sale dal 13% al 24% nei ceti popolari, mentre in quel che resta del ceto medio e nella classe sociale più ricca, abbiamo ovviamente una maggiore stabilità. Quanti prevedono un reddito stabile o in aumento sono mediamente il 15%, ma nei ceti benestanti e medi si sale al 23%. Nel nostro paese le disuguaglianze sono da decenni in costante crescita, ma la situazione attuale rischia di peggiorare e portare ad un pericoloso allargamento della forbice sociale con l’aumento delle ingiuste disuguaglianze, incompatibili con una nazione che si possa definire seria e civile.

Ma se a questo quadro non idilliaco aggiungiamo le false attestazioni di meritocrazia, la situazione si fa ancora peggiore. Infatti l’Italia è il Paese dell’Unione Europea dove i laureati faticano di più a trovare lavoro, quando lo trovano esso non è adeguato ai livelli di studio conseguiti e lo stipendio è la metà o meno se confrontato con quello degli altri Paesi. A livello europeo, circa 8 giovani in possesso di laurea su 10 hanno ottenuto un’occupazione in una fascia di tempo che va da 1 a 3 anni dal conseguimento del titolo di studio più alto. Si tratta però di un dato che varia significativamente da Paese a Paese.

Tra gli stati membri, l’occupazione più alta si registra in Lussemburgo, dove il 93,4% dei lavoratori che hanno ottenuto recentemente il titolo ha un posto di lavoro. Il Paese che invece riporta l’incidenza minore è l’Italia (65,2%), Fonte EUROSTAT. In un quadro educativo in cui diventa sempre più fondamentale insegnare l’importanza dell’apprendimento permanente a qualsiasi età, le università continuano a giocare un ruolo importante per garantire un’occupazione. A livello europeo, ci sono delle iniziative per sostenere e indirizzare l’ambito dell’istruzione superiore per fornire le competenze che sono direttamente spendibili sul mercato del lavoro.

Un quadro che non si può risolvere a colpi di mancette, come molti dei governi che si sono succeduti hanno mostrato di fare. Un discorso a parte è stata l’introduzione del Reddito di cittadinanza, che è presente in tutte le nazioni europee con importi spesso più importanti di quelli che erano finora previsti nel nostro Paese: introdotto per la prima volta in Italia nel 2019, esso ha spostato, come mai prima, nella storia della nostra nazione, 8 miliardi di euro l’anno dalla fiscalità generale ai due decimi più poveri della distribuzione del reddito, riuscendo, come non avveniva dagli anni ‘90 del secolo scorso, ad ottenere una riduzione della disuguaglianza tra il 20% della popolazione più ricca e il 20% dei più poveri nel Paese. Ma tutto questo, evidentemente, era qualcosa di troppo positivo per le persone povere e l’attuale governo ha provveduto ad eliminare questa misura che a qualsiasi persona di buon senso sembrava utile.

Sono quindi necessarie azioni sul lungo periodo per garantire un accesso all’ occupazione produttiva, occorre un ripensamento complessivo del modello di welfare e, soprattutto sul fronte del lavoro, una strategia orientata alla stabilità lavorativa, alla qualità degli stipendi e alla totale de-precarizzazione per tutti i lavoratori.

*Articolo pubblicato su “La Fonte periodico dei terremotati o di resistenza umana”, aprile 2024, Anno 21, n. 4, pp. 10-11.

Nuova aggressione israeliana contro la Siria, colpiti i sobborghi di Damasco

 

L’agenzia di stampa ufficiale siriana SANA, citando una fonte militare del Paese arabo, ha riferito di questa nuova aggressione israeliana, precisando che la difesa antiaerea dell’esercito siriano ha respinto l’attacco e abbattuto alcuni missili.

Secondo il rapporto, due civili sono rimasti feriti a seguito dell’attacco oltre  danni materiali nella zona.

Dallo scoppio dell’aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza, Israele ha intensificato i suoi attacchi sia contro il territorio siriano che contro il Libano.

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L’Associazione “Gazzella” (www.gazzella-onlus.com) è da anni impegnata nel portare assistenza e cure ai bambini palestinesi feriti da armi di fuoco (soprattutto a Gaza). Con lo sterminio in atto e la popolazione allo stremo sono molti i progetti in corso con 4 associazioni affiliate presenti nella Striscia.

LAD EDIZIONI sostiene le attività di “Gazzella” e ACQUISTANDO QUI “Il racconto di Suaad” – prigioniera palestinese – (Edizioni Q con la nostra collaborazione) sosterrete i prossimi progetti di “Gazzella” per la popolazione di Gaza: 

 

Incidente sulla via Pontina Vecchia: una bambina perde la vita, due feriti

Nel pomeriggio di giovedì, un’incidente stradale che ha coinvolto tre veicoli, ha portato alla morte di una bambina di otto anni

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“Incidente sulla via Pontina Vecchia: una bambina perde la vita, due feriti” è stato scritto da Paolo Giacometti e pubblicato su Notizie.it.

Putin lancia un avvertimento alla Nato, Tajani: “Sugli F-16 fa propaganda”

Antonio Tajani ha espresso la propria opinione in merito alle ultime affermazioni del presidente Vladimir Putin sulle forniture di F-16 all’Ucraina

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“Putin lancia un avvertimento alla Nato, Tajani: “Sugli F-16 fa propaganda”” è stato scritto da Francesca Santi e pubblicato su Notizie.it.

OFF CAMERA con Filippo Caccamo

“Il momento esatto in cui ho capito che c’era un vero e proprio feedback da parte del pubblico è quando ho iniziato a fare gli spettacoli a teatro” Oggi abbiamo avuto il piacere di conoscere e intervistare Filippo Caccamo, noto attore e comico.
Filippo ci racconta come è nato il suo successo e la sua popolarità dal teatro fino ai social.

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“OFF CAMERA con Filippo Caccamo” è stato scritto da Redazione Notizie.it e pubblicato su Notizie.it.

Milei: “Pronta una legge che manda in galera chi farà deficit stampando moneta”

di LEONARDO FACCO Ogni volta che Javier Milei si presenta in pubblico, ospite di qualche importante convention, tiene una lezione di economia. È accaduto anche l’altro ieri al Foro Económico Internacional de las Américas. Questa volta, l’argomento è stata la macroeconomia, ovvero l’andamento dei conti dell’Argentina, che da tre mesi è sottoposta alle sue politiche…

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“Milei: “Pronta una legge che manda in galera chi farà deficit stampando moneta”” è stato scritto da Leonardo e pubblicato su Miglioverde.

Il numero chiuso: un esempio dei fallimenti della pianificazione

di MATTEO CORSINI

Tra i contributi fondamentali alla scienza (non solo) economica contenuti nelle opere di Friedrich von Hayek vi sono quelli relativi alla conoscenza. Nessun individuo, o ristretto gruppo di individui, può essere onnisciente. Le conoscenze sono diffuse tra una moltitudine di individui, il che rende l’ordine di mercato, ossia le interazioni volontarie che conducono alla formazione di prezzi, superiore agli altri metodi per decidere l’allocazione delle risorse (anche prescindendo da giudizi etici).
In particolare, l’ordine di mercato risulta superiore alla pianificazione centralizzata. Quando Hayek scriveva su questo argomento sembrava che il socialismo potesse funzionare meglio del mercato, ma nei decenni successivi i fatti gli diedero ragione. Anche se questo non portò alla scomparsa della pianificazione centralizzata, bensì a una sua giustificazione con richiami (peraltro fuori luogo) a concetti discutibili come la “giustizia sociale”. Tema di cui non intendo occuparmi in questa sede.
Ancora oggi uno dei Paesi più popolosi del pianeta, la Cina, è governato da un regime comunista, ed è interessante notare come il ritorno a una maggiore “presa” del partito su tutto ciò che fanno cittadini e imprese dopo tre decenni di parziale apertura a logiche di mercato stia facendo scappare gli investitori esteri. Si noti che il Paese sperimenta un problema di invecchiamento della popolazione incombente come conseguenza di una delle politiche di pianificazione centralizzata praticata per decenni, ossia la politica del figlio unico.
Nel suo piccolo, in Italia un esempio di pianificazione centralizzata e delle sue conseguenza non intenzionali è rappresentato dal numero chiuso per l’iscrizione alle facoltà di medicina. Non che sia l’unico problema del servizio sanitario nazionale, ma di fatto ci si è trovati negli ultimi anni ad avere carenza di medici.
Adesso, però, i sindacati di categoria (che, va da sé, potrebbero non essere particolarmente oggettive nelle valutazioni), paventano nel prossimo decennio il passaggio a “una sovrabbondanza di professionisti tale da dar vita a un “imbuto lavorativo” e ad un mercato sanitario con forza lavoro a basso costo e con potere contrattuale azzerato. Il trionfo del lavoro precarizzato, ma con retribuzioni e diritti molto più bassi di oggi”. Così la pensa Anaao Assomed.
Non entro nel merito della valutazione del sindacato, ma il problema è che non dovrebbe mai essere esistito il numero chiuso stabilito per via legislativa. Questo vale per la professione medica come per i taxisti o qualsiasi altra categoria.
L’offerta dovrebbe essere ad accesso libero, ma non mi illudo che cambi la tendenza dei più a volere la concorrenza per i beni o servizi di cui sono consumatori e protezioni legislative per i beni e servizi di cui sono offerenti.

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“Il numero chiuso: un esempio dei fallimenti della pianificazione” è stato scritto da Leonardo e pubblicato su Miglioverde.

Sondaggio Ipsos (20 marzo 2024): Europee 2024

Sondaggio Ipsos (20 marzo 2024): Europee 2024

Sull’edizione del 20 marzo 2024 del Corriere della Sera è stato pubblicato un nuovo sondaggio elettorale realizzato da Ipsos sulle prossime elezioni europee.

Le intenzioni di voto

Per consultare l’elenco dei sondaggi Ipsos ripubblicati su Scenaripolitici.com potete andare nella sezione “Gli altri istituti”, oppure qui.

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“Sondaggio Ipsos (20 marzo 2024): Europee 2024” è stato scritto da The Watcher e pubblicato su Scenaripolitici.com.