Partiti 2010. Pericoli d’involuzione della democrazia, considerazioni di Ferdinando Imposimato

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… Occorre una forte iniziativa dei movimenti che tenda a responsabilizzare i partiti per un cambiamento: la gestione dei partiti con metodo democratico, con la partecipazione reale e il controllo da parte degli iscritti …

Ricevo da Ferdinando Imposimato e pubblico

Partiti 2010. Pericoli d’involuzione della democrazia
di Ferdinando Imposimato [17/03/2010]

In Italia la democrazia regredisce, nonostante l’azione dei movimenti e dei magistrati in difesa della legalità costituzionale. Il premier mantiene i consensi, anche se si registra una flessione non decisiva ai fini dell’esito delle prossime elezioni.

Il popolo viola è la novità politica fondamentale di questi ultimi tempi. La nascita e la crescita del movimento viola e le sue iniziative in difesa di libertà di stampa, Corte Costituzionale, magistratura e Costituzione sono le sole iniziative di opposizione al regime instaurato dal premier. E hanno consentito la partecipazione di tante persone fuori dai partiti al tentativo di cambiamento della politica, in difesa dei diritti inviolabili dell’uomo tra cui il diritto al lavoro dignitoso. E la libertà di informazione, pilastro della democrazia.

Ma non si coglie alcun segnale di rinnovamento nei partiti, che dovrebbero proporsi come forza alternativa. Cosa è successo, dopo che il CDA della RAI e la commissione parlamentare di Vigilanza hanno confermato la bocciatura dei talk show? Nulla. Silenzio. A parte le reazioni di Repubblica e del Fatto e i coraggiosi servizi della Dandini.

C’è un clima di rassegnazione e di indifferenza che evoca l’atmosfera di disimpegno che favorì l’avvento del fascismo. Ciò che preoccupa più di ogni altra cosa è l’assenza di segnali di cambiamento nei partiti, fondamento della democrazia. Riemergono personaggi logori e squalificati, responsabili del disastro del centro sinistra, che trovano spazi anche nei movimenti. Alla iniziativa popolare del 13 marzo in piazza del Popolo, tra coloro che hanno preso la parola è stato Paolo Ferrero, ex Ministro del Governo Prodi, uno dei maggiori responsabili della sconfitta del centro sinistra. Egli, assieme a Vendola, ha distrutto, con una scissione devastante, un grande partito come Rifondazione Comunista che, forte dell’8 %, raccoglieva il consenso di milioni di lavoratori. Secondo gli ultimi sondaggi, la sinistra radicale nel suo insieme non supera il 3%. Un crollo irreversibile.

Intanto nel PD continua a fare capolino l’irriducibile Massimo D’Alema, che concede interviste a destra e manca riproponendosi come il nuovo che avanza. Egli parla di ‚Äúbarbarie in circolazione‚Äù e ‚Äúdi un Presidente del Consiglio che, avendo due milioni e centomila disoccupati, si occupa di fare chiudere una trasmissione che per lui è scomoda‚Äù. E ottiene la patente del popolo viola per avere votato contro la legge sul legittimo impedimento. Ma si dimentica che egli ha gravi e imperdonabili colpe sulla nascita e la crescita di Berlusconi come leader incontrastato. Ed ecco il curriculum dell’ineffabile ‚Äúbaffino‚Äù.

D’Alema non ha mai cessato di colludere con il primo ministro, cui si è rivolto per averne l’appoggio prima per tentare la scalata al Quirinale, dicendosi disposto alle riforme volute dal Cavaliere, poi chiedendo il suo consenso per diventare Ministro degli Esteri della UE e infine avendo i voti del PDL per diventare Presidente del Copasir. Tutto questo in continuità con le scelleratezze del passato. Che, è bene ricordarlo anche al popolo viola, rischia di ritornare.

Infatti l’inizio del declino della democrazia italiana non è di oggi: risale all’elezione al parlamento di Silvio Berlusconi, avallata da D’Alema. Fu l’uso insipiente di una furbizia gravemente censurabile del centrosinistra a compiere il primo di una serie di errori, che hanno portato il paese sull’orlo del baratro oltre il quale sta la fine della nostra democrazia. La furbizia consistette nell’ ignorare, a dispetto delle censure di Paolo Sylos Labini, Giorgio Bocca e Vito Laterza- l’esistenza di un decreto presidenziale 30 marzo 1957 n 361 che all’articolo 10 contempla esattamente il caso Berlusconi: ‚ÄúNon sono eleggibili coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private, risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica…‚Äù. Quando Berlusconi fu eletto in violazione della legge, la giunta delle elezioni , concluse per la sua eleggibilità , in base ad un’assurda interpretazione della legge. Anche allora le interpretazioni erano creative e non esplicative. E oggi il Premier dilaga . Questo era prevedibile: a non prevederlo furono D’Alema e Prodi, con l’assurda giustificazione che il problema del conflitto di interessi non interessava al Paese. Ma interessava alla democrazia che è competizione alla pari tra i partecipanti alla contesa elettorale, come stabilisce l’art 51 della Costituzione. Se questa regola cardine non é rispettata, tutto il sistema vacilla. L’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che ignora la Costituzione e il conflitto di interessi, disse che Mediaset era un patrimonio nazionale. Il problema non era toccare Mediaset, ma applicare la legge. Ed il governo di centro sinistra si pronunciò per l’eleggibilità di Berlusconi per l’ ambizione di D’Alema che mirava ai voti del premier per stravolgere la Costituzione introducendo il Presidenzialismo .

Con quale faccia tosta, D’Alema accusa il premier, suo amico e sodale? Come fa a dimenticare che il disastro dell’Agcom- lo ricorda Sergio Rizzo sul Corsera del 15 marzo 2010- è dovuto ad una legge ‚Äúfatta male mentre era in pieno svolgimento la Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema‚Äù. ‚ÄúIn quel momento- nota Rizzo- il tema del conflitto di interessi televisivo era stato completamente accantonato a vantaggio del compromesso. Una scelta insensata che portò alla nascita di un’ agenzia che è organo della maggioranza e non garantisce la indipendenza della informazione‚Äù. Con l’aggravante che i cittadini contribuenti sono costretti a pagare al Presidente Corrado Calabrò la bellezza di 477.752 euro lordi l’anno, mentre agli otto commissari provenienti dai vari partiti, ne toccano 398,127 l’anno. Un record assoluto che nessuna altra autorità ‚Äúindipendente‚Äù può vantare. Nè si vede un’opposizione convinta del PD di fronte al tentativo di ‚Äúprivatizzare‚Äù la giustizia del lavoro, privando i lavoratori italiani, già umiliati da precariato e miseria dei salari, della garanzia di giudici imparziali al servizio della Costituzione. Se dovesse passare quella legge, per i lavoratori sarebbe un disastro. ll disegno del premier è ridurre anche la Consulta ad un organo del governo, come Agcom, Cda RAI e vigilanza.

Il nodo resta sempre quello della degenerazione dei partiti, incapaci di rinnovarsi negli uomini e nelle regole. Lo ha ben detto anche Massimo Fini sul Fatto del 17 marzo. La degenerazione dei partiti è stata possibile grazie all’assenza di regole e controlli sul loro funzionamento. La vita dei partiti si è così spenta fino ad isterilirsi.

Nessuno dei bubboni più gravi esplosi negli ultimi tempi è dovuto all’azione dell’opposizione. Guido Bertolaso ha potuto affidare per anni appalti miliardari a imprenditori amici e amici degli amici, grazie all’assenza totale dei partiti della opposizione. E solo grazie alla magistratura di Firenze e di L’Aquila, si è scoperto il marciume che infesta la protezione civile. Oggi bisogna riconoscere che il problema non è più solo dei programmi che non esistono. E’ degli uomini che non rappresentano più gli interessi e i valori della sinistra.

La strada da percorrere è la gestione democratica e trasparente dei partiti, con regole sul loro funzionamento. Che non siano affidate a statuti interni, inesistenti o violati. A ben riflettere, la crisi dei partiti è stata voluta da coloro che costituiscono la loro leadership. Sul piano giuridico i partiti, pur essendo previsti dalla Costituzione (art. 49) come essenziali alla democrazia, sono semplici associazioni di fatto non riconosciute – sembra incredibile ma è così – disciplinate dagli articoli 36 e seguenti del codice civile. Come tali essi non sono soggetti ad alcun controllo nè di rango costituzionale ne di altro genere. La ragione di tutto questo è nella insufficienza della legislazione costituzionale e nella mancanza di una legge ordinaria in grado di fissare delle regole sulla democrazia interna, sull’accesso ai partiti e sulla tutela degli iscritti.

Su questa esigenza di riforma dei partiti, il popolo viola tace ed è inerte, ma anzi lascia spazio a personaggi senza credito e con gravi responsabilità. E’ la strada per l’autodistruzione dei movimenti. Essi non possono ignorare che i partiti, pure rappresentando interessi particolari della realtà sociale, svolgono una funzione pubblica che non può essere abbandonata a se stessa, come è adesso. E soprattutto non possono essere lasciati alla iniziativa di cambiamento degli stessi apparati, che non ci sarà mai. E quando i partiti sono, come oggi, senza statuto pubblico, si lascia scoperto uno dei settori più delicati della vita politica e si lasciano senza garanzia i cittadini.

Una battaglia al loro interno può avere conseguenze sulla direzione della cosa pubblica, e dunque sui cittadini, anche su quelli che non militano nei partiti. E dunque non è più tollerabile la gestione autoritaria e arbitraria dei partiti da parte della leadership, non solo nell’area della maggioranza ma anche in quella della opposizione.

Occorre una forte iniziativa dei movimenti che tenda a responsabilizzare i partiti per un cambiamento a partire da una legge ordinaria che preveda rotazione nelle cariche direttive, congressi periodici, programmi differenziati, l’eliminazione dei partiti-persona, controlli dei bilanci da parte di organi esterni indipendenti. E soprattutto la gestione dei partiti con metodo democratico, con la partecipazione reale e il controllo da parte degli iscritti.

Diversamente, di fronte allo spettacolo di oligarchie immarcescibili e di partiti logori e spenti nella opposizione e la valanga di abusi, attacchi alla stampa, alla giustizia, al Parlamento e ai lavoratori da parte della maggioranza si prospetta il dramma dell’astensionismo. Che non può essere arginato neppure dai movimenti; questi rischiano di morire rapidamente se si lasceranno egemonizzare da partiti e personaggi senza alcuna credibilità morale e nessun radicamento sociale, come purtroppo sembra stia accadendo.

Gruppo per il ripristino della Costituzione del 1948
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Iscrivetevi al Comitato Cittadino Democrazia Diretta
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