Il Bagnai invisibile

 (…giornata complessa! Sveglia all’alba, di corsa a Chieti per terminare l’allestimento di un piccolo ufficio che cercherò di tenere aperto – promessa fatta in campagna elettorale e mantenuta – poi al ritorno passaggio a Tocco da Casauria per procurarmi un saggio dell’artigianato locale, poi cena ristretta a Roma, ora a letto. Il tutto farcito da una raffica di telefonate da e per consiglieri regionali, sottosegretari, presidenti di varie entità, esponenti dell’alta e della bassa amministrazione. Al termine di una di queste telefonate esprimo il desiderio di incontrare di persona l’interlocutore, che ricambia, sostenendo con accenti di verità di seguire da tempo con attenzione e interesse i miei interventi. Lo ringrazio: “Le sono grato per questo attestato di stima verso il Bagnai visibile! Oggi ha potuto conoscere anche il Bagnai invisibile, quello che in silenzio, nell’ombra, aiuta le persone a parlarsi e a capirsi, per prevenire o risolvere problemi. È un’attività che non sommuove le masse, ma spero che possa esserle stata di qualche utilità.”

Perché come voi non esistete, così non esiste più la maggior parte di me, ormai risucchiata da un vortice di minuzie di cui una volta ignoravo l’esistenza, e che ora sono la mia vita, e di cui devo interessarmi non solo per lealtà al mio capo, che me lo chiede, ma soprattutto per lealtà a me stesso, che continuo a detestare le cose fatte a cazzo! Un po’ di ordine, di metodo, di razionalità. Le stesse virtù necessarie per montare i mobili della nota multinazionale: virtù che nessuno, a giudicare dai risultati, possiede, forse perché il vantaggio di praticarle non è immediatamente evidente!…)

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“Il Bagnai invisibile” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Dal FIN DAY al click day

 (…chiedo scusa per la mia latenza. Il mese di settembre è stato piuttosto denso: fra l’elezione in Commissione Enti Gestori, gli impegni sul territorio, qualche affare di famiglia da risolvere, sono in debito di parecchie risposte a tutti voi, e ho indietro almeno tre post, due tecnici e uno politico. Oggi però, piuttosto che rispondervi, #urge parlare di politica…)

La quarantesima settimana del 2023, quella dal 2 all’8 ottobre, sarà particolarmente importante per la community che non esiste e che, non esistendo, non ha potuto dare vita al dibattito sull’opportunità di aderire o meno alle magnifiche sorti e progressive del progetto europeo, né tantomeno a quel movimento culturale e politico che i coglioni chiamano sovranismo, e noi chiamiamo rispetto vero della Costituzione del 1948.

Che la community che non c’è non c’entri nulla è possibile (non) dimostrarlo adducendo ampia (ed inesistente) documentazione iconografica:

e video:

(tratta da qui).

Chiaro?

Forse no, quindi per evitare equivoci, o equinozi, come direbbe un giornalista dell’ANSA:

che sugli equinozi equivoca, ma anche su tutto il resto, forse sarà meglio per un momento abbandonare la filastrocca del blog che non c’è, con cui irridiamo l’atteggiamento tattico di certi operatori informativi, e dire le cose piatte, come stanno, sviluppandoci dall’inviluppo delle doppie e triple negazioni.

Se la politica italiana ha preso una certa direzione, questo è dovuto in parte magari non determinante, ma certamente non trascurabile, al fatto che qualcuno, scrivendo un libro che ha occupato la testa della classifica Amazon per settimane, come ricorderete, vendendo circa 25000 copie, sbattendosi per studi televisivi e blog “de sinistra” e “de destra”, parlando a tutti, dai monarchici ai comunisti, con uguale rispetto e con uguale competenza, ha guadagnato l’autorevolezza per far sedere intorno a un tavolo nella Sala del Nord del Serena Majestic di Montesilvano, di fronte a 475 persone, politici di tutti gli schieramenti, alcuni dei quali, all’epoca, non era certo che avrebbero superato la soglia di sbarramento elettorale, e ora sono premier e vicepremier. Nel 2014 ero così fiero di aver attratto a Montesilvano Bertinotti (chi?) e Cuperlo, quello stesso Cuperlo che ora saluto con affettuosa ma distratta cortesia mentre solco a grandi falcate il Transatlantico per andare in Commissione o tornare a San Macuto (e che in casa sua ha qualche lettore del blog inesistente)!

A ripensarci mi faccio tenerezza!

Una platea non enorme, quella del 2014 a Montesilvano, inferiore, ad esempio, ai 578 che si sarebbero riuniti due anni dopo, ma la cui tensione emotiva e intellettuale era palpabile, incuteva rispetto, e induceva a riflettere su dove fosse il consenso, su quali temi appassionassero gli italiani che votano, quelli disposti a fare un viaggio di ore per ascoltare non politici, ma argomenti, per assistere non a comizi, ma a seminari, pagandosi il viaggio e dividendosi le spese congressuali. Una cosa simile, allora come oggi, nessun partito era in grado di realizzarla, e questo impressionava i politici, sempre alla ricerca (a differenza di chi vi scrive) del consenso. Il consenso è fatto di numeri, e sta a chi desidera indirizzare le cose in una certa direzione dimostrare che quella direzione è sostenuta da un forte consenso.

La potenza della community che non c’è aveva colpito altre volte i politici.

Mi ricordo ad esempio che all’uscita del midterm del 2014 Giorgio La Malfa, nel salutarmi, mi chiese se avessi mai pensato di dare uno sbocco politico al consenso che avevo raccolto, perché, mi diceva, la presenza di queste persone esprimeva una domanda, e a quella domanda bisognava rispondere. La mia posizione all’epoca era semplice e condivisa con voi: non ero io a dover rispondere. Famoerpartito non era una soluzione, era una barzelletta (ne abbiamo avuto poi ampia prova). Erano i politici cui mi rivolgevo, nel rispetto di tutte le posizioni, a doversi far carico della risposta, e lo avrebbero fatto se avessero percepito che c’era una domanda. Sale piene i politici non ne vedevano e non ne vedono spesso. Esattamente come noi non vediamo mai sale vuote.

Quindi c’erano ampi spazi per uno scambio Pareto-efficiente.

Ma ciò era possibile perché qualcuno (io) aveva creato un mercato: era riuscito a rendere percepibile a qualcun altro (i politici) la presenza di una domanda, la vostra ansia di libertà e di autodeterminazione, il vostro desiderio di impegnarvi, di combattere con le armi della democrazia per ridiventare arbitri del vostro destino. In altre parole, l’enorme rilevanza, anche elettorale, di temi che secondo comunicatori e sondaggisti (il marcio cancro della democrazia) non appassionavano la mitologematica “sciura Maria”, l’alfa e l’omega dei comunicatori quelli bravi, la bussola senza ago con cui si orientano nel mare delle vostre aspirazioni (salvo poi lamentarsi quando portano il loro naviglio a impantanarsi nel Mar dei Sargassi dell’astensionismo).

Ci sono modi propositivi, intelligenti di rendere visibile il consenso, così come ci sono modi cretini di farlo.

Abbiamo stigmatizzato più volte il modo stupido, petulante e controproducente che alcuni hanno di imprimere al dibattito una certa direzione: andare sui canali social a insultare o infastidire chi la pensa come loro! Non è spiegando a me perché l’Unione Europea e l’euro non funzionano che farete cambiare le cose, semplicemente perché se lo sapete è perché ve l’ho spiegato io, o qualcuno che lo ha imparato da me (o al limite da Giorgio La Malfa). I famosi “cacciatorpedinierini” di Borghi, insomma: i coglioni narcisisti sulla cui psicopatologia ci siamo lungamente intrattenuti, e non mette conto tornarci sopra, anche perché sono irrilevanti quanto i loro metodi di influenzare il dibattito.

Parliamo invece dei metodi intelligenti: alla fine, questo non è un blog di psichiatria (se pure, nell’analizzare l’eurismo, abbia utilizzato anche le neuroscienze)!

Senz’altro è un modo intelligente di evidenziare il sostegno verso una certa tesi quello scelto da Claudio per far notare che di MES non ne vogliamo tanto sapere. Ne abbiamo parlato qui, e il fatto che questo tweet sia arrivato a 2,3 milioni di visualizzazioni non è irrilevante in termini politici (e infatti è stato notato). Vi sfido a trovare il tweet di un altro politico italiano che abbia attratto così tanta attenzione. Non c’è, semplicemente perché gli altri politici vi parlano di cose che vi interessano secondo sondaggisti e comunicatori, cioè di cose che non vi interessano.

La prossima settimana vi offre altre due opportunità per indirizzare in modo intelligente nella direzione giusta il dibattito politico alla vigilia della campagna elettorale per le europee. Lunedì 2 ottobre ricorre infatti il FIN DAY, e domenica 8 ottobre il click day.

FIN DAY

Cosa sia il FIN DAY è spiegato qui:

E qui sarà forse opportuno spendere una qualche parola a favore di una specie particolarmente perniciosa di intelliggenti(TM), quelli che “io ti voto/sostengo perché sei tanto bello, tanto bravo, tanto intelligente [NdCN: tradotto: mi fai sentire tanto bello, tanto bravo, tanto intelligente…] ma il tuo partito non posso votarlo/sostenerlo!” Sì, sto parlando dei fantasiosi teorizzatori del “parlamentare forte nel partito debole”.

Le cose purtroppo non funzionano così: se il partito è debole, il parlamentare, per quanto possa sbattersi, in qualsiasi trattativa peserà quanto il suo partito, e se è all’opposizione peserà zero (cosa che certi sindaci di provincia non capiscono).

Quando prima della campagna elettorale dello scorso anno chiesi il vostro sostegno, in meno di una settimana raggiunsi la cifra massima che potevo raccogliere e fui costretto a respingere molte vostre offerte di aiuto. Non credo che molti altri miei colleghi parlamentari potessero contare su una simile risposta. Imprenditori (pochi o tanti) che li sostengano ne trovano (e poi devono rispondergli), ma una community che esprime un’unica domanda alla quale rispondere, quella di libertà, nei fatti non ce l’ha nessuno. In quella circostanza voi sapevate di sostenere me, il candidato Bagnai, e questo vinceva le remore di quanti (sbagliando) vorrebbero che io facessi miracoli ma al contempo vorrebbero eliminare il partito in cui milito! Il meccanismo escogitato da Claudio viene incontro a queste morbose e poco pragmatiche sensibilità: le somme che vorrete corrispondere nelle modalità che lui vi spiega saranno chiaramente riconducibili a questa community e serviranno quindi a dimostrare quanto pesa. Sarà il più utile dei sondaggi sull’europeismo degli elettori leghisti, sarà qualcosa di misurabile, qualcosa che potremo mettere sul piatto della bilancia. Perché “nontivotopiuuuh” è un ululato al vento: “non ti sostengo più”, se si può misurare il quantum, potrebbe essere un argomento di gran lunga più convincente. In ogni caso, una community si costruisce in anni e ce l’ha chi l’ha costruita. Affermarla, attraverso un’azione concreta, come strumento di misura del consenso implica che questo consenso si sposti verso le tesi di chi una community ce l’ha. E ce l’abbiamo solo noi.

In altri termini: invece di rimbecillirsi leggendo i retroscena dei retroscemisti, quelli di voi che non sono contenti di quella che pensano (molto spesso a torto) sia la linea del partito hanno ora un modo molto semplice di indicare quale linea vorrebbero: aderire al FIN DAY. Non vi stiamo chiedendo di sostenere un partito che non va dove vorreste andare: vi stiamo chiedendo di aiutarci a far andare il partito dove voi vorreste che andasse.

Se siete tanti, basterà poco.

Certo, il meccanismo premiale di Claudio è fatto per invogliare a dare di più, perché per contrastare la ben finanziata propaganda altrui c’è bisogno di molta linfa.

Ai premi di Claudio aggiungerò il mio: indulgenza plenaria, con revoca del blocco, per i primi venti contribuenti.

Click day

Sul click day dell’8 ottobre credo di avere poco da spiegarvi. Quest’anno si torna al vecchio format, da sabato pomeriggio a domenica pomeriggio. Minori costi, minore sbattimento, maggiore partecipazione. Esserci è importante. Se nove anni fa sono bastati 475 spettatori a indurre certe riflessioni, a far nascere quello che i coglioni chiamano “sovranismo”, lo stesso vale oggi, anzi, forse vale di più, perché la vostra attesa di cambiamento è stata frustrata, me ne rendo conto: l’idea che valga la pena di impegnarsi può sembrare logora, chi esorta a farlo può sembrare interessato. Ma il dato resta, e lo avete sperimentato nove anni fa: se volete che si vada in una certa direzione dovete indicarla, e per indicarla dovete esserci.

Le foto e i video delle nostre platee non lasciano indifferenti, ve lo assicuro.

Ululare “nonvivotopiuuuh” sotto il profilo di Claudio (ma anche di Matteo) sì.

Torno a farvi notare che avete avuto prova dell’una e dell’altra cosa. I 475 del #goofy3 hanno a modo loro cambiato la storia. I 4750 troll che ogni giorno vengono a ragliare (gratis o verso corrispettivo) le loro abominevoli e sconce idiozie sotto i nostri tweet non hanno cambiato niente, nemmeno la cosa cui tenevano di più: il loro destino personale, con la conquista della tanto deprecata quanto agognata cadrèga!

Non è una mia opinione, è un fatto osservabile.

Non ho altro da aggiungere, se non che so che non ci deluderete.

Ci vediamo a Montesilvano.

(…e appena posso vi rispondo…)

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“Dal FIN DAY al click day” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Mafia e immigrazione

(…da un nostro amministratore ricevo e pubblico. Mi pare colga un punto importante, poi vedete voi…)

Ciao, Alberto. Ormai siamo tutti tornati al lavoro a pieno regime e tu soprattutto avrai parecchio da fare… Io ti porto oggi una riflessione sul tema migratorio. Molto giustamente noi amministratori locali del Sud siamo messi sotto pressione per non abbassare la guardia in tema di contrasto alle mafie, talvolta con effetti paradossali, ma comunque sempre con buone intenzioni. Intanto però credo che nessuna mafia storica abbia fatto un numero di morti paragonabile, in relazione al tempo, a quello che stanno facendo le organizzazioni criminali che gestiscono il flusso dei clandestini che praticamente buttano la gente in mare, peggio della dittatura argentina. Tuttavia la preoccupazione delle articolazioni periferiche dello stato continua ad essere quella di mettere questo sistema perverso in condizione di continuare a funzionare. I prefetti si vantano pubblicamente di quanto sono bravi a sistemare i migranti (ne ho sentiti un paio con le mie orecchie), la polizia passa le proprie giornate nei porti e il contrasto ad altri fenomeni criminali langue su più fronti. Tutti continuano a parlarne come se fosse un fenomeno naturale e non sociale e quindi politico. Pensa se si ricominciasse a parlare della mafia in questo modo, dicendo cose del tipo: “ma è una questione antropologica collegata alla presenza dei geni dell’uomo di Neanderthal”, “ma è legata alla pigrizia dell’uomo meridionale causata dalle alte temperature”, “delinquono per sfuggire alla povertà causata dalle calamità naturali” ecc… Ovviamente Don Ciotti insorgerebbe a buona ragione e in questo sarebbe seguito da tutti noi. Figurarsi poi se prefetti e polizia si attivassero non per reprimere i taglieggiatori, ma per reperire risorse da destinare alle vittime al fine che continuino a pagare gli estortori per evitare pericoli per la loro incolumità, magari vantandosene pure… Messina Denaro agonizza all’Aquila, scontando giustamente la sua pena, dopo anni di latitanza, i signori della morte che organizzano il traffico di esseri umani sulle coste africane e forse anche su quelle Italiane e magari anche a Malta, Berlino e Londra, continuano a godersi il frutto dei propri crimini: verrà anche il loro turno di essere consegnati a una giustizia giusta? Se non c’è una forte presa di coscienza non credo.

(…non è mai un segno di intelligenza interpretare come fenomeni naturali, come tendenze oggettive, prive di alternative, dei fenomeni politici, frutto di scelte. Non è mai un segno di onestà intellettuale presentare come fenomeni naturali dei fenomeni politici. Che sia l’immigrazione, l’AI, la globalizzazione, chi afferma che non esistano alternative semplicemente vuole precluderci alternative, vuole limitare la nostra libertà. Nei palazzi che contano non ci si gira tanto intorno: chi ha molte decisioni da prendere tende a dare per scontato ciò che è evidente. Ricordo ancora il discorso che mi fece un paio di anni fa un’altissima funzionaria: non ne poteva più del modo sciatto e superficiale con cui il PD gestiva i dossier europei “ma se va al governo il centrodestra questi ripartono coi barconi!” Non è complottismo, è scienza (che in Italia è arrivata grazie a noi). Quindi quello che sta succedendo è chiaro. Perfino Bruno Vespa ha dovuto inquadrarlo sostanzialmente con le categorie della Greenhill. Certo, gli manca l’ultimo miglio: se le elezioni europee non ci fossero, i socialisti non avrebbero bisogno di fare campagna elettorale coi barconi. Sinceramente, fra i socialisti e l’UE ho le idee piuttosto chiare su chi sia meno utile: il problema non è certo la coesistenza di diverse visioni del mondo: il problema è costringerle a confrontarsi in un sistema malato e distorto, marcio fino al midollo, inefficiente per elefantiasi e intrinsecamente alieno alla democrazia. Questo sì che è un bel problema, tant’è che se da un lato sono ovviamente convinto che si debba fare il massimo per cambiare il fronte in UE – la volta scorsa lo impedirono nove grillini – dall’altro sono ben consapevole che questa è solo una necessaria misura difensiva, ma non può essere una misura risolutiva. Tuttavia – e qui torno al senso più profondo del contributo del nostro amico – prima di poter pensare a impostare una soluzione del problema è necessaria una profonda rivoluzione culturale che ci renda padroni del discorso. Finché le parole saranno quelle degli altri, il mondo non potrà essere che quello che desiderano loro per i loro sordidi scopi. È a questo che dovete guardare per capire se stiamo avanzando o meno. E un po’ stiamo avanzando…)



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“Mafia e immigrazione” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Presidenziagite

(…poi vi spiego con calma che cos’è, che cosa significa e che cosa comporta…)

 

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“Presidenziagite” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Inflazione da profitti?

 (…fra cinque minuti sono in radio per parlarne, su Rai1. Intanto vi appoggio qui un grafico, poi ne parliamo in modo più organico…)

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“Inflazione da profitti?” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Isomorfismi

(…sto scrivendo sul tema un post più ampio, perché purtroppo è utile. Lascio qui una breve annotazione…)

Oggi la rassegna stampa ci regala questa peerla, una vera regina probationum

che non mi son potuto trattenere dal commentare (piatto ricco mi ci ficco):

Il commento ha riscosso la vostra attenzione (grazie!), ma verteva soprattutto sulla seconda risposta di Weber, e quindi potrebbe aver distolto la vostra attenzione dalla prima, in particolare da un dettaglio importante.

Il ragionamento di questo grigio burocrate ha sinistre assonanze con quello svolto da uno dei volenterosi carnefici dell’austerità in un’intervista che passò alla storia, e che ora è molto difficile da reperire su Internet. Noi la commentammo qui, e perfino il nostro commento è ora impossibile da trovare via Google: Google non indicizza più il Dibattito, come sapete con l’ottima scusa che diffonde malware.

Vediamo se trovate l’analogia, e che riflessioni suscita in voi…

(…ho una serie di commenti in coda, ma non riesco a stargli dietro: meritano un post a parte che sto scrivendo con una certa ansia, perché la Storia accelera, e ci mette sempre meno tempo a raggiungerci. Arriveremo comunque prima di lei, sperando che questa volta serva a qualcosa…)

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“Isomorfismi” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Scene dalla vita di città: la Santa Inquisizione

Qualche tempo fa vi ho spiegato, fra tante altre cose, che rivestendo una carica elettiva ho potuto accumulare un discreto capitale relazionale, quel capitale in assenza del quale ogni aspirazione politica è confinata al dominio dello spontaneismo velleitario, per il semplice motivo che da soli non si va da nessuna parte. Questo capitale mi offre di quando in quando l’opportunità di avere uno sguardo più penetrante su certi processi della vita quotidiana che potrebbero altrimenti restare confinati in una inquietante opacità, di trovare il bandolo di matasse troppo ingarbugliate per il tempo che ho da dedicare loro.

Faccio subito un esempio, questo:

È stata annullata la pubblicazione del post intitolato “QED a valanga (45 e 46): il bacio della morte”

Blogger <[email protected]>

gio 27 apr, 00:47

a me

     Ciao,

          Come forse già saprai, le nostre Norme della community (https://blogger.com/go/contentpolicy) descrivono i limiti di ciò che consentiamo, e non consentiamo, su Blogger. Abbiamo ricevuto una richiesta di revisione per il tuo post intitolato “QED a valanga (45 e 46): il bacio della morte”. Abbiamo stabilito che viola le nostre norme e abbiamo annullato la pubblicazione dell’URL 

http://goofynomics.blogspot.com/2015/03/qed-valanga-45-e-46-il-bacio-della-morte.html, 

rendendolo non disponibile per i lettori del blog.

     Perché la pubblicazione del tuo post del blog è stata annullata?

     I tuoi contenuti hanno violato le nostre norme relative a malware e virus. Per ulteriori informazioni, visita la pagina sulle nostre Norme della community tramite il link fornito in questa email.

     Per pubblicare nuovamente il post, aggiorna i contenuti per fare in modo che aderiscano alle Norme della community di Blogger. Dopo averli aggiornati, puoi pubblicare nuovamente i contenuti all’indirizzo 

https://www.blogger.com/go/appeal-post?blogId=2821993064219628483&postId=1583826873248852538. 

Questo comporterà una revisione del post.

     Per ulteriori informazioni, consulta le seguenti risorse:

     Termini di servizio: https://www.blogger.com/go/terms

     Norme della community di Blogger: https://blogger.com/go/contentpolicy

     Cordiali saluti,

     Il team di Blogger

Sei anni fa, al ricevere una lettera simile, avrei semplicemente pensato: “Ci siamo! Andatevene a fare in culo voi e la vostra censura, fascisti di merda!” (avrei anche pensato “Ciao un cazzo!”: questo tipo di lettere, lo confesso, mi mette sempre di buonumore…), dopo di che avrei tirato dritto, dedicando (o meno) all’accaduto un post, e attrezzandomi per combattere su un’altra trincea.

Oggi è un po’ diverso, anche perché se da un lato tutto quello che verrà fatto a voi sarà come se fosse stato fatto a me, dall’altro tutto quello che viene fatto a me potrebbe un giorno essere fatto a voi! Quindi è mio dovere vedere che aria tira, anche per aiutarvi ad affrontare circostanze impreviste. Naturalmente di leggere i “Termini di servizio” e altri sproloqui in legalese generico assolutamente ridondanti e inutili non se ne parlava: non ne vedevo l’utilità, non ne avevo il tempo. Però (vedi alla voce “capitale relazionale”) oggi posso fare una cosa che cinque anni fa non potevo fare: chiamare al telefono (o meglio: mandare un Whatsapp) ai padroni del mondo!

Per farvi capire come sono messo, dal 27 aprile in cui ho ricevuto questo avviso terroristico (io disseminatore di malware? Magari, se avessi tempo, potrei anche pensarci…) il Whatsapp ai Signori del cyberspazio l’ho mandato il 2 agosto:

Caro Demiurgo, per non so quale motivo siete andati a pescare un mio post del 2015 per tirarmelo giù. Mi piacerebbe capirne il motivo in privato, atteso che non mi risulta di aver inserito malware, pornografia, ecc.

In risposta ottengo un cortese messaggio in cui mi viene detto che effettivamente sembrava strano anche ai Signori del globo che io mi dedicassi ad attività simili, e mi chiedevano l’URL, che è questo, ma non ci cliccate: il post in questo momento non esiste più:

[redatto: dopo la lieta e istantanea conclusione di questa istruttiva storia il post si vede ed è qui. Tuttavia Google non lo indicizza più e se cercate il suo titolo nel motore di ricerca non lo trovate…]

e nel backend mi appare (e mi appariva) con gli occhietti rossi e in bozza:

Aprendolo, non è che avessi particolari lumi:

C’era la perentoria citazione in giudizio bella in evidenza in basso nel riquadro nero, c’era er martelletto del compianto Sante Licheri in alto a destra, ma il problema non veniva evidenziato in alcun modo.

Il giorno dopo (il 3 agosto) arriva la (probabile) soluzione dell’arcano: 

Caro Alberto, ho capito cosa è successo. Il sito rifondazionemilano.org è stato violato e usato per lanciare campagne di phishing. Il tuo articolo è stato bloccato automaticamente perché conteneva un link a un sito di truffe. Se vuoi mantenerlo è sufficiente rimuovere il link e fare appello.

A una rapida ricerca su tutti i link, il link incriminato risulta essere questo, che peraltro rinvia a una pagina non più esistente (sulla cui pericolosità quindi avrei qualche dubbio):

http://www.rifondazionemilano.org/nws/milano-il-direttivo-cgil-impedisce-a-cremaschi-di-parlare/

Ricorderete l’episodio.

Che Rifondazione fosse una truffa lo avevamo capito dai tempi della tabellina dello zero. Che una truffa da cui ci eravamo tenuti ben distanti potesse danneggiarci, se pure in modo trascurabile, se pure indirettamente, dopo la sua sostanziale estinzione, questo era in effetti più difficile da intuire.

Comunque, ora che ho un po’ di tempo da perdere seguo le istruzioni dei Dominatori dell’universo: rimuovo il link, e clicco sul martelletto di Forum.

Vi racconterò come andrà a finire.

Intanto, fate tesoro di questa esperienza, la cui morale è che dei vostri contenuti potrebbero essere tirati giù col pretesto che altri potrebbero esserne danneggiati anche se voi non avete avuto alcuna parte attiva nella potenziale minaccia e anche se questa minaccia di fatto non esiste più, non può più nuocere:

La cosa un po’ mi inquieta, per voi, ovviamente: perché voi non avete il cellulare di Dio.

Io sì, ma lo uso solo per cose futili: annoiarlo mi dispiacerebbe.

Keep in touch!


(…ci sono dei commenti in coda. Per cortesia evitate gli Gnooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo. Mi occuperò di voi quando potrò farlo e a quel punto preferirete che non avessi avuto il tempo di farlo, perché delle vostre fisime nel frattempo si sta occupando il Mondo. Io, se potessi, vi consiglierei di non mettervi contro il Dibattito, ma la buona educazione mi preclude di dare commenti non richiesti…)

(…comunque il cellulare di Dio funziona:


ci hanno messo un nanosecondo: quindi è stata una macchina a prendere la decisione. Non c’è che dire, siamo in buone mani. Tranquilli?
…)

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“Scene dalla vita di città: la Santa Inquisizione” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

I Golgota

(…sentivo gli oboi da caccia…)

(…ieri era giorno di “riposo” – in senso atletico – e l’ho dedicato a una cosa che desideravo fare da tempo: visitare le estreme propaggini meridionali del mio collegio. Il comune più a Sud, come certamente saprete, è Schiavi di Abruzzo:


e per me che quando insegnavo ho risieduto nel comune più a Nord:


e da quando “sono in politica” ho la mia base nel secondo comune più a Nord:

anche se ora vi sto scrivendo da un comune del Sud:


(vediamo chi li indovina) rendere visita all’estremo opposto del collegio mi sembrava un atto doveroso ed era da tempo desiderato.

Lo vedete qui, in fondo, al centro dell’immagine, su uno sperone a 1127 metri sul livello del mare, vertiginosamente a picco sulla confluenza del Sente nel Trigno, in posizione dominante, con una prominenza di quasi mille metri, rispetto alla valle attraversata da questo viadotto, che non a caso è il ponte stradale più alto d’Italia, e per il quale stiamo cercando di #farequalcosa. Volevo anche dare un’occhiata a questo ponte, per rendermi conto della sua effettiva utilità, e direi che un’idea me la sono fatta: per girargli intorno devi fare chilometri e chilometri di provinciali non esattamente in ottime condizioni, per motivi oggettivi: la cosiddetta abolizione delle province, chiesta come sapete dalla cosiddetta Europa, e prima ancora la geologia, che non è una scienza esatta, nel senso in cui la intenderebbero i lattonzoli pieiccdì, ma come tutte le scienze non esatte regna sulle umane cose: dalla Maiella in giù è una specie di millefoglie di strati di calcare con interposti strati argillosi, che nel contrasto fra placca euroasiatica e placca africana si sono inclinati, qualche volta arrivando a emergere in verticale dal terreno circostante (sono le morge, come questa). Se l’argilla fra due strati di calcare in qualche modo si infiltra di acqua, se c’è pendenza, se c’è erosione, parte la frana, e si va giù.

Non mi è venuto mai così spontaneo rispettare i limiti di velocità!…

Come avrete intuito dall’ultima cartina, per arrivare giù al Sud ho dovuto attraversare un pezzo di Molise, di cui non sto ora a dirvi le bellezze (cercatevi ad esempio Pescopennataro), per poi rientrare in Abruzzo nel comune di Castiglione Messer Marino, in corrispondenza appunto delle sorgenti del Sente. Il paesaggio ovunque dominato dalle pale eoliche, su tutte le creste, quasi come nel subappennino dauno. Salito in cima a Castiglione Messer Marino, dove il castellone, che una volta forse c’era, magari al tempo del ducato di Benevento, oggi non c’è più, ho fatto lo scatto che vedete sopra, colpito dalla presenza di un Calvario fra tante cime calve e brulle. Solo dopo ho visto che nella foto si fronteggiavano due atti di fede: a sinistra, in primo piano, quella in Dio, oggi un po’ démodé; a destra, sullo sfondo, quella nel “green”, oggi in gran voga, che si traduce in un calvario per il paesaggio, con ritorni ridicoli per il territorio. Da questo stupro i sindaci non traggono nemmeno le risorse necessarie per tenere in ordine le strade comunali (ci sono anche quelle, e sono soggette alla stessa geologia), tanto più che le royalties devono essere reinvestite in transizione. Ecologica, ça va sans dire, anche se per questo territorio la transizione geologica, i cui tempi non sono stabiliti dalle reghiulescion di qualche Eichmann europeo, è la vera emergenza. Sempre, non solo quando qualche episodio acuto, come questo o questo, riportano la nostra attenzione su quanto non sappiamo e non riusciamo a prevedere della nostra Terra.

Lezione che sfugge a chi oggi pensa di sapere tutto.

Io, invece, tante cose non le so.

Ad esempio: mentre per crocifiggere Nostro Signore bastarono, così recita la tradizione, due pezzi di “sequestratori di carbonio” (fu quindi a modo suo una fine “sostenibile”, per usare il gergo attuale), per tirar su il Golgota moderno, le orripilanti pale, per crocifiggere il paesaggio, quante materie prime occorrono? Quanta energia si assorbe per metter su un patibolo del genere? Quanta CO2 si emette? Tutti ci raccontano quante energia produce una pala, nessuno ci racconta con quanta energia si costruisce una pala. Eppure sarà misurabile! Sono sicuro che il bilancio sia largamente positivo, ma averne esatta contezza rassicurerebbe. Un po’ come le auto elettriche: certo, non sono maleodoranti mentre le usi, non “emettono”. Ma l’elettricità da dove arriva? Da Castiglione Messer Marino? E il litio, da dove arriva, e dove va?

Si potrebbe anche parlare degli aspetti economici: dei canoni per l’uso del suolo comunale, delle royalties e dei loro vincoli, ma la sintesi è quella che vi ho detto sopra.

Emergono su tutto due dati: la capacità indiscutibile degli altri di appropriarsi di una dimensione simbolica, archetipica, e di converso il rischio che le loro narrazioni fasulle ci spingano a gettare il bambino con l’acqua sporca, in un contesto in cui io però, sinceramente, vedo solo acqua inquinata dalla propaganda e da svariati livelli di opacità.

Qualcuno mi aiuta a vedere il bambino?

Io vedo solo la croce: Paesi dotati di vento e privi di paesaggio impongono a Paesi privi di vento e dotati di paesaggio di deturpare se stessi, non sia mai qualcuno capisse che la prima delle strategie di mitigazione è venire a vivere nelle terre alte. Ma io sono una brutta persona: aiutatemi voi a migliorare…)

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“I Golgota” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Eolico: cui prodest? (Addendum a “I Golgota”).

(…il post precedente, in cui mettevo a confronto due Golgota, l’originale, simbolo della redenzione dell’umanità dal male, e la sua parodia, simbolo della redenzione dell’umanità dal fossile, ha prodotto alcuni commenti interessanti, che ci avvicinano, ovviamente, al cui prodest. Perché un cui prodest, se sei stato scolarizzato nel XX secolo, sai che ci deve essere, e per trovarlo devi seguire i soldi…)

Enrico Pesce ha lasciato un nuovo commento sul tuo post “I Golgota”:

La questione delle pale eoliche mi inquieta da quando comparvero le prime a Collarmele, alla fine degli anni ’90. Quando ancora la follia green non era comparsa nell’orizzonte dei media, quei giganti sui crinali, visibilissimi dall’autostrada, deturparono da un giorno all’altro il paesaggio cui da sempre ero abituato. E vedendole quasi sempre immobili, solo qualcuna in lentissimo movimento, mi chiedevo già allora perché si fossero disturbati così i monti, per un risultato che sembrava risibile. Fu il primo impianto eolico dell’ENEL in Italia. Da allora si sono moltiplicate. Ci furono anche proteste, ma i soliti Don Chisciotte persero su tutta la linea.

Dalle analisi, un po’ datate, della Regione sembra che i miei dubbi fossero fondati. Quei primi impianti pesano molto paesaggisticamente e producono poco. Definiti obsoleti già dopo 10 anni, continuano però a essere bruttissimi come il primo giorno, testimoni di una transizione prematura e irragionevole.

Pubblicato da Enrico Pesce su Goofynomics il giorno 26 ago 2023, 21:56

Il documento, sì, è datato, ma tuttora interessante. Attirerei la vostra attenzione sulla Tabella 4.2:

A mero titolo di estemporaneo aggiornamento: nell’impianto di Tocco le pale nel frattempo sono passate da 2 ad almeno 5 (se non ricordo male: ci passo ogni volta ma preferisco guardare la strada, è anche più prudente…).

Viceversa, le cinque pale nel sito Palena-Sangro sono quelle, inattive e definite “archeologia industriale” da un mio amico sindaco della zona, ben visibili dalla cresta della Porrara, e sono le uniche a deturpare il Sangro-Aventino, grazie all’opposizione di un altro sindaco coraggioso che ho conosciuto e che non voglio nominare (perché non posso associarlo alla mia blasfemia, ovviamente). Va detto che come archeologia il Sangro-Aventino (l’altopiano fra Aventino a Nord e Sangro a Sud) offrirebbe di molto meglio:

e va anche detto che, purtroppo, se il Sangro-Aventino non è stato deturpato oltremodo, sono però stati devastati i suoi orizzonti meridionali, quelli del Trigno-Sinello.

(…incidentalmente: i Romani costruivano sopra i mille metri di altezza perché nonostante non avessero spazzaneve né abbigliamento tecnico non temevano il freddo per motivi che di quando in quando i media involontariamente spifferano, come in questo e in questo caso, conseguendo un fine che non è parte delle loro intenzioni terroristiche…)

Ma al netto di questi lievi anacronismi, la tabella è molto utile perché ci chiarisce che su 282 pale all’epoca installate, il 72% erano tedesche (Enercon e Gamesa) e il 9% danesi (Vestas). Avvertendovi che ho fatto i conti in fretta (magari verificateli), credo che si capisca sufficientemente bene perché mai dall’UE a trazione tedesca giungano così sollecite pressioni per sostituire la fede in Cristo con quella in Eolo.

San Bonifacio ha fatto, e l’UE disfa.

La storia non è rettilinea, ma quando si ripassa dal via si paga pegno…

(…p.s.: leggetevi questo…)

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“Eolico: cui prodest? (Addendum a “I Golgota”).” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

63 anni di quote del Pil mondiale

Riprendo l’argomento del post precedente e mantengo la promessa che vi avevo fatto di estendere l’orizzonte temporale all’indietro:

Per farlo, sono andato sul sito della Banca Mondiale. Per la precisione, vi avverto che la serie dei BRICS ha una discontinuità nel 1988, perché prima di quell’anno non sono disponibili i dati del Pil russo in dollari. Il motivo è che nei Paesi comunisti fino all’inizio degli anni ’90 si utilizzava un diverso sistema di contabilità nazionale, il Material Product System, che poneva l’enfasi sulla produzione fisica, trascurando il valore aggiunto dai servizi. Era, insomma, un Pil un po’ come lo immaginano i “decrescisti” di cui qui ci occupammo a suo tempo in un post sulla cui preveggenza ci dovremo presto intrattenere. Non in tutti i Paesi erano disponibili gli elementi fattuali necessari o la volontà politica di ricostruire le serie storiche con il nuovo criterio (lo SNA), e quindi prima del 1988 nel Pil dei BRICS la Russia è a zero. Vi segnalo però che nel 1988 il Pil russo era solo 2,9% del Pil mondiale e la discontinuità in questione nel grafico la vede solo un occhio esperto e istruito. Diciamo quindi che il quadro che vi offro delle dinamiche “semisecolari” delle quote di Pil mondiale è sufficientemente accurato.

Per aiutarne la lettura, vi propongo di spezzare il periodo in tre sottoperiodi, che ho scelto facendo riferimento alla storia del nostro martoriato Paese: dall’inizio al divorzio Tesoro-Banca d’Italia (1981), dal divorzio Tesoro-Banca d’Italia a Maastricht (1992), da Maastricht a oggi. Precisazione: questi cut-off points sono tutt’altro che estemporanei e hanno un significato non solo locale. Nel 1981 o giù di lì, secondo noi, ma anche secondo loro, inizia la terza globalizzazione (poi ci sono quelli bravi “de sinistra” che la categorizzano in modo diverso, ma sappiamo che lo fanno anche per nascondere l’evidenza della loro complicità col “neolibberismo bbrutto”…). Si tratta quindi di una soglia temporale che ha un significato sistemico. Sempre il 1981 è anche l’anno del Volcker shock, l’innalzamento del tasso di interesse con cui gli Usa cercarono di domare l’inflazione e assicurare la supremazia del dollaro. Il combinato disposto di due di questi tre eventi (l’aver costretto il Governo a finanziarsi sul mercato e l’innalzamento repentino dei tassi di mercato) causò l’esplosione disastrosa del nostro debito pubblico, che ancora oggi ci condiziona, come ci ha spiegato Vladimiro al #goofy10. Quindi il 1981 è una data molto significativa per noi, ma in diretta connessione con eventi di significato e portata globale.

Il 1992 è l’inizio del meraviglioso sogno europeo, e questo basti ad avvalorarne l’importanza sistemica.

Il risultato è in questo agile specchietto che lascio ai vostri commenti:

Mi limito a osservare che se estendiamo lo zoom fino al 1960 il Paese che è rimasto più o meno dov’era non sono gli Stati Uniti ma il Giappone (e ancor più la miscellanea degli “altri Paesi”), con un aumento della sua quota sul Pil mondiale pari all’1,0%. Viceversa, se allarghiamo il campione, constatiamo che  dal 1960 gli Stati Uniti hanno perso più terreno dell’Eurozona, e questo perché l’Eurozona, prima dell’euro, cioè fino al 1992, aveva guadagnato terreno (nonostante le “valute nazzionali”, er debbitopubblico, er terorismo, er familismo amorale, la tabaccaia non scalabile, e tutto il repertorio di scemenze di chi considera fatti le proprie riverite opinioni).

Queste considerazioni ovviamente sono ancillari rispetto al tema della validità e degli effetti di una “moneta unica dei BRICS”, su cui torneremo con più calma.

Evidenzio solo che una delle conseguenze più o meno involontarie della rivoluzione green è la nostra deindustrializzazione a beneficio del sistema produttivo cinese. Quello che nasce come estremo conato della Germania di riconvertire il proprio apparato produttivo, con annesso obbligo per i fratelli europei di acquistare le sue auto elettriche, si palesa sempre di più come un suicidio di tutta l’Europa, Germania compresa, con benefici ambientali trascurabili in termini di riduzione delle emissioni (anche volendo fare l’atto di fede secondo cui la C-molecola sia la causa di ogni male). Lo stesso cinema di quando ci fecero passare dalla rossa alla verde (1985), poi dalla verde al diesel, e ora dal diesel all’elettrico. Ma questa volta il gioco è pericoloso: l’intima pulsione per le politiche beggar-thy-neighbour rischia di ritorcersi contro la Germania, e questo non è positivo per noi. Fra una decina d’anni ci troveremo con un bel -10% (se va bene) rispetto al 1960, e i BRICS con un bel +26%. Moneta unica (dei BRICS) o meno. Il motivo, credo lo sappiate, è che i fini strateghi alemanni non si sono premurati di accertarsi di avere un minimo di controllo sulle filiere di produzione delle materie prime green.

Del resto, si sa, coraggiosi sono coraggiosi, ma la logistica non è sempre stata il loro forte.

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“63 anni di quote del Pil mondiale” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

La moneta unica dei BRICS

Ne parleremo al #goofy12 con relatori di livello (non il solito pattume che vi viene somministrato dai media).

Per farvi arrivare preparati, vi fornisco un paio di disegnini:

Dal secondo, in particolare, appare evidente la crisi della Cina di cui i media ci riferiscono. Appare cioè evidente che questa crisi è solo nel referto dei media…

Sul primo ci sarebbero, com’è naturale, tante considerazioni da fare, ma per motivi di orario mi limito a una, di carattere descrittivo. Nei trent’anni dal 1992 al 2022 gli Usa hanno sostanzialmente tenuto botta in termini di quota del Pil mondiale (con un impercettibile arretramento del -0,3%). I grandi perdenti sono stati Giappone (-11.5%) e Eurozona (-12.5%). A fronte di questo arretramento del -24.4% (arrotondato), i BRICS sono avanzati del 20,5% e il complesso degli altri Paesi (molto eterogeneo: dentro c’è dal Regno Unito alla Somalia al Turkmenistan alla Svizzera…) del 3.9%.

Sarebbe utile estendere le serie per vedere come sono andati nel corso di tutto il secondo dopoguerra i poli attualmente declinanti dell’economia mondiale (Giappone ed Eurozona), per capire se questo declino li ha sempre caratterizzati, o se è stato preceduto da una fase di espansione. Per quel che riguarda noi, in particolare, la tendenza negativa è piuttosto evidente da Maastricht in poi, ma questo non ci consente di trarre alcuna conclusione perché ci manca il pezzo precedente della Storia, quello dal 1946 al 1991. Domani con calma cerco di ricostruirvelo, e intanto buona notte!

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“La moneta unica dei BRICS” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Pe’ malati c’è la china (ancora sull’Albania)

brina82 ha lasciato un nuovo commento sul tuo post “Frenkel goes to Albania”:

Gentile Prof., spero non mi “banni” per questo mio commento.

Capisco l’indebitamento estero e il ciclo di Frenkel, però sarebbe come dire che l’Albania riuscirebbe a fare prezzi “stracciati” grazie ad un’economia drogata dal credito estero, come se vi fosse una concorrenza sleale, scorretta, al pari del Marco convenzionalmente sottovalutato grazie al sistema Euro (mi permetta il paragone, anche se legato, ovviamente, a dinamiche completamente diverse).

Tuttavia, facendo i conti, il reddito procapite è parente a 1/4-1/5 (o roba del genere) di quello italiano, quindi a mio avviso il prezzo concorrenziale che si rileva col turismo è più legato a ciò (si ha di fatto un’economia “povera”), che ad un discorso legato all’importazione di capitali dall’estero (e anche in considerazione del fatto che, a differenza della vicina Grecia, le spiagge albanesi non se l’è proprio mai filate nessuno, probabilmente poichè mai “spinte”, mai sponsorizzate).

A questo punto però dovremmo assistere ad una bolla, e cioè i prezzi dovrebbero impennarsi, se Frenkel è arrivato in Albania…

Grazie.

PS a questo punto, verrò bannato?

Pubblicato da brina82 su Goofynomics il giorno 21 ago 2023, 06:59

GNOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!

Scusate: va bene tutto, tuttissimo, ma il piantarellino vittimistico su Bagnai che banna anche sinceramente no!

A parte che non si dice “bannare” ma bandire, dal che consegue etimologicamente che le persone che eventualmente vengano mandate a stendere sono bandite, non bannate, cioè sono dei banditi, non dei bannati, vorrei insistere su un punto: in questo blog i commenti sono moderati, e moderazione non è censura. La censura è quella che secondo alcuni dovrebbe subire Vannacci: una restrizione pregiudiziale della libertà di espressione. Tendenzialmente la censura difende (o prova a difendere) gli interessi del sistema. La moderazione è una cosa molto diversa: il non pubblicare, dopo averle lette, idiozie o cose non pertinenti, e va nell’interesse di chi si è espresso in modo diversamente intelligente o pertinente. Se lo capite va bene, se no va bene uguale perché almeno qui comando io, e quindi potete farci poco. Il vittimismo è veramente degradante per chi lo esprime, se non altro perché dimostra di non aver capito dove si trova. A valle di questa radicale incomprensione se ne riscontrano altre, inevitabilmente. 

Che cosa non capisce il nostro nuovo caro amico?

Semplice!

Che in un Paese la cui soglia di povertà relativa è il 14% della nostra (qui):

(ma può essere utile anche questo), con i tassi di risparmio irrisori che abbiamo visto nel post post precedente, se non fossero arrivati i capitali esteri semplicemente non ci sarebbero state le strutture per accogliere i turisti esteri! Il Paese non avrebbe generato abbastanza risparmio da investire nella costruzione di queste strutture! Ci può arrivare anche chi non conosca, come io conosco, imprenditori che hanno fatto questa scommessa.

Questo è stato il principale motivo che ha finora precluso lo sviluppo di un certo tipo di turismo: il fatto che precedenti stagioni di incertezza politica non avevano incoraggiato l’afflusso di capitali necessario perché si creassero le infrastrutture richieste dai turisti “spiaggia&lettino” (un altro elemento potrebbe essere il pregiudizio verso gli abitanti di quel Paese, che in una certa fase della loro integrazione in Europa hanno lasciato da noi qualche brutto ricordo).

Quindi sì, si può anche argomentare che dietro al battage piddino a favore dell’Albania c’è sfruttamento del lavoro povero, questo è ovvio! Dobbiamo veramente dircelo? Non c’è nulla di quanto i piddini sostengano che non sia intimamente connesso a un progetto di sfruttamento, dalla moneta unica (di cui qui abbiamo a sufficienza esplorato tutte le implicazioni), alla rivoluzione green (che altro non è che una torsione in senso neocoloniale del nostro rapporto con l’Africa), alle vacanze al -248%, che possono anche essere lette come l’approfittare del lavoro povero di uno dei pochi Paesi messi peggio di noi (qui):

Solo che senza capitali esteri non ci sarebbero le strutture dove portare a termine questo nobile progetto tipicamente europeo!

Vorrei anche far notare che di per sé non c’è nulla di male nel fatto che da un lato i consumatori si orientino in base ai segnali di prezzo (a parità di qualità…), né che Paesi meno sviluppati siano in grado di offrire forza lavoro a un costo inferiore. In particolare, il turismo è un’esportazione, che però, come abbiamo visto, non basta e possiamo ritenere che non basterà a correggere il mostruoso eccesso di importazioni dell’Albania (e quindi a ripagare i capitali a vario titolo investiti in quel Paese).

La dimensione di sfruttamento, a mio avviso, si palesa più nelle dinamiche finanziarie, che non nel fatto che un Paese con un percorso e una situazione socioeconomica radicalmente diversa dalla nostra offra prezzi più bassi perché ha costi più bassi. Da quest’ultima dinamica, in teoria, potrebbe scaturire un’equalizzazione dei redditi nei due Paesi, idealmente col catching-up del Paese inizialmente meno avvantaggiato. Vedremo se finirà così. A me viene da dire da un lato che se la qualità dei servizi proposti è vagamente assimilabile a quella italiana, è perché lì sono andati a investire tanti italiani. Dall’altro, visto che il turismo difficilmente riequilibrerà una bilancia dei pagamenti così insostenibilmente deficitaria, che il momento dello sfruttamento arriverà col redde rationem, quando i capitali andranno restituiti come ho spiegato nel post precedente: austerità, crollo della quota salari, ecc.

Insomma: ora siamo nella fase in cui va bene. Quella in cui va male (per gli albanesi, intendo) arriverà dopo, e in questo, come in tante altro cose, il ponte fra l’oggi e il domani è la finanza.

Quanto alla tua curiosa presunzione secondo cui questo non è un ciclo di Frenkel perché non c’è una bolla, sei almeno andato a controllare prima se la bolla c’è o non c’è?

Gli albanesi la vedono così:

ma tu sarai sicuramente più informato di loro!

Del resto, è per questo che Bagnai ti “banna”! Perché tu non possa smentirlo dall’alto della tua superiore scienza ed esperienza del mondo!

Che persona meschina questo Bagnai: “bannandoti” si qualifica per quello che è, e quindi, simmetricamente, non “bannandoti” ti qualifica per quello che sei: un caro amico.

Basta così?

Se no ce n’è ancora: ma già questo sarà stato utile a molti per approfondire alcuni risvolti del dibattito sul -248% (posto che interessi ancora: ma come vi ho spiegato, prima o poi tornerà di attualità: nessuno sopravvive a deficit così sostenuti della bilancia dei pagamenti… e a una bolla nel mercato immobiliare!).

(…sia chiaro: io non ho nulla contro nessuno, né tantomeno contro gli albanesi. Sono dinamiche oggettive, e oggi è facile documentarsi…)

(…vittimismo? No, grazie…)

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“Pe’ malati c’è la china (ancora sull’Albania)” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Addendum sull’Albania

Torno un momento sul miracolo lettone. Vi avevo detto qui che il sito dell’Eurostat non consente di analizzare il Pil albanese dal lato del reddito, ma solo da quello della produzione e della spesa. In altre parole, non è possibile, consultando l’Eurostat, analizzare l’evoluzione di questa identità:

 Y = W + GOS + TS

quella che scompone il Pil Y nella somma dei redditi da lavoro W (compensation of employees), più i redditi da capitale/impresa (il risultato lordo di gestione, gross operating surplus, cui si aggiunge il reddito misto, mixed income, che è il risultato dell’attività economica svolta dalle famiglie: li ho indicati con GOS), più il saldo fra tasse pagate su produzione e importazioni e sussidi ricevuti (TS).

Per fortuna però c’è il sito dell’INSTAT. Lavorandoci un po’ ho tirato fuori questa tabella:

(dovete scusarmi se non ho compilato la parte coi conti del reddito dal 2013 al 2015 ma andava fatto numero per numero e ci avrei messo troppo tempo: il quadro è comunque chiaro e stabile), che ha la stessa struttura di quella del miracolo lettone:

Non ve la faccio tanto lunga perché ho poca batteria e poco campo. Diciamo che il miracolo albanese somiglia molto alla Lettonia “pre-miracolo”, quella del 2008: un Paese con una propensione al risparmio pressoché nulla (cioè con una propensione al consumo fuori scala, nel caso albanese oltre il 90%), che ha un tasso di investimento sostenuto (oltre il 20% del Pil), e che quindi campa di capitale estero, importando capitali per oltre il 10% del Pil all’anno. Nel caso albanese queste dinamiche sono evidenti ed esasperate.

Notate bene: il fatto di risparmiare poco, cioè di consumare molto, è ovviamente legato al fatto di guadagnare poco, cioè di avere salari molto vicini al livello di sussistenza. Capite così qual è il segreto dietro il famoso -248% (notate però che in termini distributivi la quota dei salari sul monte redditi aumenta).

Come sapete, il bel gioco del campare coi soldi degli altri non può durare per sempre (ed è già strano che ora vada avanti a ritmi simili: ma la spiegazione di questa anomalia risiede da un lato nelle dimensioni irrisorie dell’Albania, che attenuano la rischiosità sistemica del prestarle soldi incautamente, e dall’altro nell’ovvia pulsione geopolitica verso l’annessione dei fratelli balcanici al “progetto” europeo). Credo sappiate anche che prima si proporrà alle aquile albanesi un aggancio valutario, millantandolo come elemento di progresso e di promozione sociale (“anche noi avere monetona pesantona”!). Ottenuta così la certezza di essere ripagati in moneta “forte”, l’eurone, poi si chiederà il conto. A quel punto la tabella del miracolo albanese diventerà sovrapponibile a quella del miracolo lettone: crollo della propensione al consumo, della propensione all’investimento, e rientro del deficit estero, accompagnati da un ridimensionamento della quota salari.

Di tutta questa bella storia cogliamo l’unico lato positivo: non ci riguarda troppo (anche se ogni tanto conosco qualche imprenditore attratto da questo nuovo Eldorado: e fa bene ad andarci, per intercettare i soldi dei piddini disposti a pagare il -248%, purché sappia quando tornare!).

Resterà un QED di un futuro non troppo prossimo, ma nemmeno troppo remoto. Sempre, naturalmente, che non intervengano fattori più rilevanti in Paesi più rilevanti. Mi riferisco, ovviamente, ai termini dimensionali! Non si adontino eventuali fratelli albanesi qui presenti, cui non voglio assolutamente portare sfortuna, né dare consigli. Sorrido solo pensando alla singolare idiozia di quelli che, dopo avercela menata per anni con la storia che lo Statone gigantone ci avrebbe consentito di essere competitivi e di difendere il nostro tenore di vita, per potersi permettere una vacanza, da cittadini orgoglioni dello Statone gigantone, devono andare nel più minuscolo degli Stati europei degni di questo nome (escluse quindi le “città stato”), che si trova quindi ad essere più competitivo dello Statone gigantone.

Ma tanto a loro, come ad altri, in testa non entra. Il caso della Germania però dimostra che la Storia sa trovare i propri percorsi. Restiamo in contatto.

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“Addendum sull’Albania” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Quota 1883

Da questa buca:

un soldato dell’invincibile Wehrmacht controllava questo territorio:

Com’è andata a finire lo sapete. Oggi i “bellaciao” sono, in piena e indiscutibile buona fede, da questa parte della linea Gustav, quella sbagliata (così ha decretato la SStoria). Un paradosso su cui riflettere, come qui abbiamo fatto per anni. Forse la sintesi più efficace di quanto ci siamo detti qui è questa: la rimozione del conflitto, l’afflato irenico delle signorinə di buona famiglia, non è composizione del conflitto, ma anzi, involontariamente, si traduce spesso nella sua esasperazione. Tralascio la consueta citazione di Rilke, che ce lo aveva detto.

E ora, visto che ho espugnato quota 1883, tengo la posizione, in fiduciosa attesa dell’ebollizione globale, e in compagnia di giumente e puledri, testimoni indifferenti di questa e altre imprese.

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“Quota 1883” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

I tuttosubitisti e il giorno della marmotta

(…latrati, latrati ovunque…)

In fondo sono un ingenuo.

La settimana precedente iGiornali avevano detto che saremmo combusti, e io, che come sapete de iGiornali ho massima stima e rispetto, ci avevo creduto. Dovendo recarmi nel mio collegio, mi ero quindi posto il problema di come sopravvivere al settimo cerchio, o alla settima cornice. Avrei potuto trattenere il fiato per una settimana, rinunciando ad arricchire di CO2 l’atmosfera. I benefici sarebbero stati immediati (io ci credo, perché credo ne Lascienza che decide a maggioranza, a differenza di quei negazionisti neolibberisti del WSJ), ma sarei morto. Ritenendo inappropriato un simile eccesso di altruismo, mi lambiccavo il cervello alla ricerca di una ipotetica soluzione di second best… finché non mi soccorse un’illuminazione. Atteso che, per motivi di fisica dell’atmosfera a me del tutto ignoti, la temperatura di norma e in media diminuisce con la quota (mistero! Eppure l’aria fredda è più pesante…), forse sarebbe semplicemente bastato, per evitare la fine di Jeanne, trovarsi un albergo in quota. Del resto, se gli Aldobrandini decisero di costruire la loro villa a Frascati, e non, per dire, a Coccia di Morto, avranno avuto le loro ragioni. Seguendo l’antica saggezza dei mercanti fiorentini, mi sono quindi prenotato un posto in alto, molto in alto, ma rigorosamente nel mio bel collegio.

Lasciata l’autostrada a Scafa, mentre salivo da Lettomanoppello, a un tornante mi si palesa un affaccio meraviglioso sulla Val Pescara: il Gran Sasso, le montagne di Campli e dei Fiori, il Conero…

Arrivo, mi installo nella mia stanzetta vista mare:

(sì, quello azzurro in fondo è il mare, prova evidente che la Terra è piatta, come direbbe er Piccozzetta “chiudendo il dibattito”…), mangio una cosetta (mi ero svegliato alle 5, appesantirsi sarebbe stato rischioso), e scendo lungo la val di Foro a Ortona:

dove avevo un appuntamento con un amico:

un alpinista che per lavoro si occupa di porti (e aeroporti, autostrade, ferrovie…). Mi aspettavo un’atmosfera simile a quella di Venere: il mare in ebollizione, una densa caligine, l’atmosfera satura di H2O (un gas serra più presente della CO2, che monopolizza ingiustificatamente il dibattito minor)

E invece, come si vede dalla foto precedente, un orizzonte inciso nello zaffiro, sei-sette nodi di brezza tesa da grecale, insomma: un bel freschetto, tant’è che dopo il convegno risalivo in disordine e senza speranza la val di Foro che avevo disceso con tanta orgogliosa sicurezza, pensando: “Se qui è così fresco, lassù mi congelerò…”.

Ma poi, alla fine, il fresco era sostenibile (con opportuno maglione), tant’è che quando l’aere bruno toglieva gli animai che sono in terra dalle fatiche loro:

io, sol uno, uscivo dall’Overlook Hotel per regalarmi questa vista meravigliosa:

che gli abruzzesi conoscono, e che in foto non rende, ma senza coprirmi di brina…

Ora, il fatto è che gli irriverenti giovani della Lega di Casacanditella avevano proposto circa un mesetto prima al decrepito onoré Bagnai una cosa che l’onoré voleva fare da quando era più giovane di loro: l’ascensione al Monte Amaro, la seconda vetta più alta dell’Appennino, e verosimilmente l’escursione più faticosa dell’Abruzzo, almeno fra quelle che hanno un senso (volendo, c’è di peggio: puoi farla partendo da Fara San Martino, ma allora devi fermarti a dormire su).

Io non andavo in montagna dal 30 ottobre scorso, quando avevo esagerato, salendo “a secco” (cioè senza preparazione) al monte Tartaro da Barrea, con in più l’aggravante di essermi fermato verso le 14:30 in un punto un po’ aperto, con un meraviglioso affaccio sul Greco:

per rilasciare questa intervista:

Ora, la montagna, si sa, è come la politica: scendere è più difficile che salire.

Evitare che la discesa si trasformi in caduta richiede in entrambi i casi un certo sforzo fisico e un grande sforzo mentale.  Lo penso ogni volta che vedo, dal loro banco di peón, ex ministri o ex presidenti intervenire in aula nell’indifferenza generale. Lo penso anche quando osservo la mia condizione attuale. All’inizio della scorsa legislatura ero il potente (?) Presidente della Commissione Finanze del Senato (ruolo oggi rivestito dall’amico Garavaglia). Ora sono il vicepresidente della Commissione Finanza della Camera, ma va bene così. Di lavoro ne ho tanto, a quanto dicono i bene informati:

In ogni caso non mi annoio e non sto fermo, e questo è l’essenziale. Viceversa, a ottobre, scendendo dal Tartaro fermarsi e raffreddare le gambe non era stata una buona idea. Qualche giorno dopo, i normali doloretti post-escursione si concentravano in un dolore acuto al ginocchio sinistro, molto fastidioso. Non riuscivo a alzarmi dalla sedia, mi era penoso usare il pedale della frizione, ecc. Mi ero affidato al tempo, che è sempre il medico migliore, ma niente. Convinto che fosse un problema al menisco, l’avevo tirata in lungo. Lascienza mi diceva che forse era il menisco, e che operandomi avrei risolto, ma io, che riconosco Lascienza quando la incontro, in mano a un ortopedico non mi ci volevo mettere. E poi a febbraio una risonanza (la scienza) aveva riscontrato che il menisco era sempre quello di cinque anni fa! S.A.R. l’aveva detto subito “Vai dalla fisioterapista!”, ma non c’ero riuscito fino ad aprile. Non era il menisco, ma una contrattura del tibiale. A maggio stavo in piedi. A giugno correvo.

Però l’escursione più faticosa dell’Abruzzo…

Perché il dislivello da La Fàrə certo è maggiore (2400 metri), ma è meglio distribuito, come avrete visto su Wikiloc (perché voi cliccate sui link, vero?):

mentre quello dal Pomilio è la metà, ma è distribuito in modo un po’ infelice:

Parti quasi in piano, poi hai un balzo di circa 600 metri, e poi, quando hai le gambe belle cotte, ci sono tre saliscendi da poco meno di 200 metri l’uno (i tre portoni) che, se non ti resta un po’ di testa, ti sfibrano. Senza contare, ovviamente, che una salita, vista dall’alto, somiglia tanto a una discesa, cioè a una contrattura del tibiale. Per non dire, poi, che mancavo da anni dall’ambiente di alta montagna, che le mie scarpe erano rotte, ecc.

Ma agli impertinenti giovani della Lega (e non) non potevo darla vinta.

E così, con santa pazienza, due settimane prima, per ambientarmi, mi ero affacciato al versante orientale:

salendo alle 13 dal Balzolo verso la Madonna delle Sorgenti (itinerario, come saprete, sconsigliatissimo a quell’ora, a causa del caldo: ma io non sono uno snowflake: quello che non mi uccide mi rende più forte; in foto, lassù, in mezzo alle nuvole, si intuiva il sentiero che avrei poi percorso per salire in vetta…), poi ero andato a comprarmi delle scarpe nuove, ecc. Ovviamente, nei ritagli di tempo. Per esempio, al Balzolo c’era andato muovendomi da Paglieta, dove ero stato a festeggiare San Giusto, verso Bucchianico, dove andavo a festeggiare San Camillo de Lellis. Una piccola pausa di solitudine fra l’uno e l’altro impegno di presenza nel collegio:

Ritorniamo all’Overlook Hotel.

Il giorno dopo, che era il giorno prima dell’ascensione, ero indeciso se riposarmi o meno. Il saggio maître, che mi aveva diffusamente spiegato quanto l’escursione fosse faticosa, e che lui cinque anni prima, quando era allenato, ci aveva messo cinque ore, ecc., mi consigliava di muovere due passi, e io, visto che dovevo provare le scarpe, un po’ tardi, verso le 9, decidevo di dargli retta.

Vox populi, vox Dei.

Colgo l’occasione per fugare un equivoco. Io non sono cattivo. Se viene da una persona che sa di che cosa sta parlando, accetto anche un consiglio non richiesto. Fatto sta che nei social il -248% delle persone non sa di che cosa stia parlando, e questo ovviamente non mi predispone al dialogo.

Ero talmente disabituato alla montagna che dal pezzo di sentiero che già avevo percorso una quindicina di anni fa, quello per il Blockhaus e Monte Cavallo, mi venivano le vertigini sia guardando verso l’alto, verso il sentiero che non avevo ancora mai percorso:

che verso il basso, verso il sentiero che avevo percorso due settimane prima:

(se ingrandite forse lo vedete). Eppure il sentiero in quota mi era noto ed era comodissimo: una traccia pulita protetta dalle fronde e dall’aroma balsamico dei pini mughi:

L’esperimento era comunque riuscito: le scarpe funzionavano. A sera, una cena digeribile:

lu rentrocele fatto in casa, col sugo di castrato, e mezzo litro di Montepulciano di Villamagna: glucidi e serotonina per affrontare con sicurezza l’ascensione.

Il giorno dopo siamo partiti sul serio. Solita sveglia alle 5:30, con alba sul mare Adriatico dalla finestra:

e poi via. Il Sole si alzava rapidamente, riflettendosi sul mare oltre la montagna d’Ugni:

noi ci fermavamo alla penultima sorgente:

prima di affrontare i 600 di dislivello, quelli che secondo tutti sono così faticosi, e che visti da lontano sembravano appesi al vuoto, mentre da vicino erano così:

Una roba sufficientemente geriatrica, insomma, e quanto alla fatica basta usare la testa per non sentirla. Se l’altezza ti chiama, il corpo segue, e quando dietro lo spigolo del Focalone trovi questo:

hai solo un desiderio: vedere cosa c’è dopo. E per vederlo, devi seguire i saliscendi della cresta a destra nella foto. In alto la cresta si appiattisce, chi sa dove sono vede il Manzini e il Pelino persi nel paesaggio lunare:

e a destra, salendo, le gigantesche colate di ghiaia che scendono verso il vallone dell’Orfento:

finché, superato un passaggio un po’ esposto (quel minimo che richiede attenzione, considerando che cadere non sarebbe fatale, ma neanche gradevole…), non ci si affaccia sull’ultimo gradone:

e qui il punto più alto è in effetti la vetta, adorna di uno di quegli orribili simboli divisivi di cui tanto si è parlato (e non so come sia andata a finire la storia):

(in cinque ore, naturalmente: come uno allenato, perché la testa è allenata).

Deposti gli zaini:

si studia geografia su una cartina vivente, sul plastico in scala 1:1 di un bel pezzo dell’Italia centromeridionale: dal Fucino alle Tremiti, dal Conero alle Mainarde, dai Pizzi al Gran Sasso, e si prova anche a mangiare qualcosa, stranamente senza grande appetito, perché il cammino è appagante. Capisci allora quanto quella fame rabbiosa che ti viene in aula alle 11:59 nulla abbia di fisiologico, sia tutta chiamata dalla tua ansia di sbranare qualcuno, che si converte, per decenza, in ansia di sbranare qualcosa. Ma dove quel qualcuno non arriverebbe mai, puoi anche camminare 11 ore senza voler sgranocchiare un cracker.

Poi ci si volge al ritorno, ed è lì che senza un minimo di fortezza i saliscendi dei Tre portoni possono essere un po’ incomodi:

Ovviamente i giovini correvano:

(mortacci loro!) ma io preferivo andare al mio passo. Di fare “il tempone” mi importava il giusto (zero), di evitare un altro semestre col ginocchio avariato molto di più. E poi, bisogna anche godersi il panorama! Vedere il Morrone dall’alto non ha prezzo:

dietro quella montagna verde c’è Sulmona, e subito sopra il mio cappello si vede il Fucino. Del resto, se dal Fucino vedi la groppa bianca della Maiella, dalla Maiella devi vedere il Fucino: funziona così (con preghiera ad Alberto49 e a quell’altro di non ricominciare a litigare sulla teoria della relatività: facciamo finta che le onde elettromagnetiche, che in fondo non sappiamo cosa siano, seguano un moto rettilineo).

Ci lasciamo dietro le spalle anche il passaggio “delicato”:

e di saliscendi in saliscendi:

torniamo in cima al Focalone, da cui inizia la lunga discesa che riporta alla cresta del monte Cavallo, prima in vista del bivacco Fusco (quello giallo) di fronte all’anfiteatro delle Murelle (quello sì un po’ esposto, e infatti non ci voglio andare):

e poi giù, per ghiaie scomposte e gradoni accidentati, molto più fastidiosi in discesa:

giù, giù fino all’agognata meta:

E credo che all’Overlook che l’onoré tornasse intero e così presto non se lo aspettassero, ma c’è onoré e onoré. L’onoré autoctono, per dire, mi ha confessato di non esserci mai stato, nemmeno con l’elicottero: non gliene faccio una colpa, ha altri interessi.

Restava da capire quando e come mi sarei svegliato il giorno dopo.

Alle 8, con le gambe sciolte, non doloranti, e con una grande voglia di assaggiare la crostata che avevo preferito accantonare a cena!

Inutile dire che a questo punto se la mia fisioterapista mi dicesse di indossare un tutù fucsia e sacrificare un capretto sull’altare di Baal, io eseguirei immediatamente. C’è Lascienza, c’è la scienza, e ci sono i risultati. Che bastassero 75 secondi di un certo stretching per svegliarsi a 60 anni meglio di come mi sarei svegliato a 40 non lo avrei mai creduto, ma siccome non sono grillino, e quindi mi fido, l’ho fatto, e ho constatato il risultato.

Ora tocca al Gran Sasso, ma prima, alle 15, avevo un appuntamento all’Aquila, per un dibattito.

Dopo una breve sosta in camera, a scrivere un post sull’ego-ansia, sono partito lucido, rasserenato, ossigenato, andando incontro a quello che pensavo fosse uno dei soliti dibattiti, e che invece ha avuto dei momenti di interesse, perché eravamo pochi, ed eravamo a contatto. Questo ha concesso ai convenuti maggiore agio di rivolgere domande al relatore alfa, che ero, inevitabilmente, io, non tanto per il mio ruolo parlamentare (servus servorum Dei), quanto perché creatore del Dibattito (che non c’è). Di tempo ne è passato un po’ (quasi tre settimane), non sono sicuro di ricordare esattamente le espressioni utilizzate dai miei stimolanti interlocutori, ma il senso delle domande mi era chiaro, anche perché sono domande che mi pongo quotidianamente, e che di tanto in tanto discuto con le quattro persone di cui mi fido.

Il senso della prima (e tutto sommato unica: il resto erano apostrofi, invettive, grillanza de destra, su cui ci soffermeremo, ma cui è veramente difficile aggiungere valore, come a qualsiasi materia prima scarsa) era più o meno questo: posto che noi abbiamo un obiettivo comune, che è quello dell’autodeterminazione del nostro Paese, e che di alcuni snodi tecnici di questo obiettivo oggi si preferisce non parlare, per motivi tattici, noi elettori in che modo possiamo essere certi che voi politici stiate ancora lavorando a questo obiettivo?

Purtroppo non c’era streaming né ripresa, quindi non garantisco l’esattezza letterale (aggiungiamoci il solito vizio dei “dibattiti”, che è quello di trasformare le domande – frasi brevi che finiscono con un ricciolo – in comizi), ma il senso era questo. Prima di dirvi che cosa ho risposto, due rapide considerazioni. La prima è che al fondo di domande simili c’è sempre la grillanza, il partire dal presupposto che il tuo rappresentante voglia fotterti, probabilmente perché tu ragioni così! In questo senso, confesso di essere un rappresentante poco rappresentativo: non mi sento di rappresentare i tanti somaticamente furbastri che vengono a espormi la loro pregiudiziale sfiducia nei miei confronti. Chi io ritenga e desideri rappresentare dovrebbe essere chiaro dal lavoro che qui è stato svolto ed è tutto in consultazione pubblica. La seconda considerazione si lega appunto a questo lavoro: la vostra paura che io perda la bussola, che poi è anche una mia preoccupazione, visto che, per quanto possa saperne più di altri, onnisciente non sono, è stata oggetto negli ultimi tre anni di una serie infinita di commenti e dibattiti (per trovarli basta seguire il tag community).

Il fatto che il tema fosse stato ampiamente discusso, ovviamente, non rendeva la domanda superflua, e la risposta è stata più o meno questa: dobbiamo partire dal presupposto che quella del 2018 è stata una battaglia che ci ha visto sconfitti, come ha detto con appassionata eloquenza Nello Preterossi al goofy10 (dal minuto 7, ad esempio, ma ascoltate anche il minuto 12, insomma: rivedetevelo tutto). Siamo quindi di fronte a un bivio: prendere atto di questa sconfitta, analizzarne le ragioni, e adeguare il nostro comportamento, o rifiutarci di farlo. Le motivazioni della sconfitta sono piuttosto chiare ex post e, devo dire, grazie all’aiuto di tanti amici (primo fra tutti Luciano), a me erano abbastanza chiare anche ex ante: la confusione fra cattura del consenso e esercizio del potere. Una confusione, va detto, che sa tanto di grillanza: parte cioè dal presupposto che #aaaaabolidiga sia un blob indistinto, in cui i ruoli e le prerogative si confondono, una legione di fannulloni onnipotenti che se solo volesse potrebbe con un tocco di bacchetta magica cambiare il mondo, e che il presupposto necessario e sufficiente perché ciò avvenga è avere la maggioranza dell’organo legislativo (dimenticando che i poteri sono tre e che oltre al legislativo c’è anche l’esecutivo e il giudiziario, che, per inciso, è l’unico che può mettere in gabbia gli esponenti degli altri due…). La prima lezione da trarre, quindi, è che forse per cambiare le cose bisogna investire meno nella conquista del consenso e più nell’esercizio del potere, ovvero nel conquistare la lealtà e nel tutelare la competenza della macchina amministrativa (braccio del potere esecutivo) e nell’assicurarsi che le magistrature restino nell’alveo che la Costituzione traccia per loro (un alveo che, ricordo a me stesso, ovviamente a mero titolo di paradosso esemplificativo, non prevede l’uso della polizia giudiziaria a scopo di indirizzo politico). Ma non sono solo queste le istituzioni su cui una maggioranza deve appoggiarsi se vuole cambiare indirizzo al Paese: c’è anche tutto il mondo delle partecipate statali, che vanno dall’informazione (Rai) all’energia (Eni) alle infrastrutture (Fs) – ovviamente limito gli esempi per non tirarla troppo in là – e ci sono anche istituzioni informali, come il rutilante mondo dei media, e quello della cultura, che vanno coltivati, infiltrati, egemonizzati.

Come è possibile, amici cari, che in un Paese in cui l’uomo colto di sinistra è letteralmente un imbecille che non sa come si calcola una percentuale (ricordate il -248%, vero?), una persona digiuna dell’aritmetica elementare, una persona che ha letto il -248% dei testi che cita, sia così profondamente radicato il pregiudizio che la cultura sia “di sinistra”!?

Ecco: una cosa come questa devi superarla se vuoi vincere la guerra, perché se non la superi combatterai per sempre col pregiudizio che essere di sinistra sia fico, e che essere di destra sia segno di inferiorità culturale e quindi morale, e conseguentemente non riuscirai ad attrarre (se non coi soldi) le persone di valore necessarie per porre in essere un progetto politico. Ma da una palude simile non si esce a botte di maggioranza, e non si esce con la bacchetta magica. Se ne esce col tempo e col lavoro, un lavoro che ovviamente non puoi raccontare, proprio perché ti trovi in condizioni di inferiorità tattica strutturale: essere di destra è infamante, il che, fra le tante conseguenze, comporta anche che nessuno di quelli che vorrebbero essere con te ha il coraggio di dichiararsi per te o anche semplicemente di palesarsi a te, temendo per la propria vita professionale (il mobbing sinistro è qualcosa di inimmaginabile: so che qui pensate che sia nato con la punturina, ma chi c’era prima sa che non è così e ricorda quante ne abbiamo passate…). Anche solo sapere chi siano le persone competenti ma non nemiche del Paese è un’impresa non da poco, e non solo per un ovvio problema preliminare (ognuno ha diritto alla propria idea di Paese, ci mancherebbe altro: è assolutamente ovvio, ad esempio, che per una parte consistente della classe dirigente che abbiamo ereditato dal PD l’interesse del Paese lo si fa svendendolo a potenze estere), ma soprattutto per la difficoltà pratica di stringere relazioni e cercare in quelle relazioni la verità e la fiducia dell’altro, anche al di là dell’orientamento partitico.

Questo lavoro, piaccia o no, si fa da dentro, si fa occupando i palazzi. Da fuori non si può fare, semplicemente perché non ci sono occasioni per stringere relazioni con la macchina.

Da qui, la mia semplice risposta all’amico: “Posto che l’obiettivo strategico è chiaro e resta il solito, in termini tattici gli obiettivi politici sono tre: sopravvivere, non farsi rompere i coglioni dai media internazionali, e occupare il più a lungo possibile le posizioni conquistate. Solo in questo modo è possibile organizzare una resistenza efficace”.

I piddini non sanno l’aritmetica, non sanno la musica, non sanno niente: per questo mi dà molto fastidio quando qualche sciocco li chiama “comunisti”: i comunisti studiavano! Una cosa però sanno farla: sanno occupare il potere e sanno “investire in capitale relazionale” (modo elegante per dire: sviluppare una rete paramafiosa di fedeltà incrociate). Ci hanno fatto anche uno slogan, ricordate? #Facciamorete!

Bene!

Allora invece di lamentarci che “i comunisti, signora mia!, so tanto tanto cattivi!”, invece di confinarci in questa dimensione di chiacchiere da comare, impariamo da loro! I nostri avversari hanno messo su in settant’anni un carrarmato (sì, perché nel PD ci sono pezzi di una roba che governa l’Italia dagli anni ’50, laddove non ve ne foste accorti). Noi abbiamo diecimila cerbottane. Possiamo decidere di combatterli ora, scagliando sulle corazze avversarie le nostre palline di stucco, o possiamo in silenzio costruire il nostro carrarmato. C’è un’immagine qua sopra che non è un panorama e che dovrebbe farvi capire che questo non è solo un discorso teorico, che ci si sta lavorando.

L’elettore non lo capisce?

Beh, il grillismo è stato messo su apposta perché non capisca. Quindi capiamo, noi, e perdoniamo, perché tutto comprendere è tutto perdonare, che l’elettore non capisca, ma ci faremo bastare quello che abbiamo capito noi. Se per avere la òla sui social o il consenso di qualche sciroccato il prezzo da pagare è il bombardamento a palle incatenate da parte dei vari Rutters, Blumberg, Fainanscial taim ecc., lo spread, il ricatto dei mercati, ecc., anche no, grazie! Abbiamo già dato nel 2018. Vi ricorderete forse (non so se l’ho condivisa con voi) la mia icastica risposta a un ex studente (che fa l’olio buono) incontrato in campagna elettorale: “Professore, la stimo sempre come insegnante ma non la stimo più come politico!” E io: “Aiutame a ddì e sti cazzi! Ah! Me ne dolgo! E come mai?” E lui: “Perché lei non dice più così così e così!” E io: “Ma amico caro: se pensi che lo scopo del gioco sia prenderlo in quel posto, ti segnalo che quel posto ce l’hai anche tu!”

Invece lo scopo del gioco è un altro: tirarlo in tasca agli altri. E questo richiede metodo, pazienza, e silenzio (infatti ne parlo qui, nel blog che non c’è: non lo farei mai in pubblico)!

Interviene allora un altro fiero partecipante al dibattito, con una domanda che era una concione il cui senso, in definitiva, potrebbe essere riassunto così: “Voi siete andati al potere con slogan rivoluzionari e poi vi siete rimangiati tutto per restare attaccati alla poltrona [NdCN: poltrona lo ha detto: il fetido marker del grillismo si palesò!]. Ora venite anche a dirci che volete restarci attaccati il più a lungo possibile! Allora, visto che avete tradito [NdCN: ha detto anche questo!], tanto vale che noi elettori votiamo per partiti che ci promettono di restare fedeli ai loro ideali: la vostra ironia sugli zerovirgolisti è fuori luogo!”

Sì, non era esattamente un genio della politica, siamo d’accordo, e non ricordo come gliel’ho fatto capire, ma qui penso sia evidente a tutti: ci sarebbe intanto da ragionare su quali garanzie il partito dei puri dia di non “tradire”. Per carità, non metto assolutamente in dubbio l’integrità morale der sor Perepè o di quell’altro che fa i filmetti divertenti, ci mancherebbe! Gli abbiamo dato tante volte uno strapuntino ai nostri convegni, dove hanno imparato in ritardo le cose che ora vi ripetono fuori contesto e fuori tempo, attirando il consenso degli sciroccati, sono senz’altro persone per bene e in buona fede, ma la loro buona fede mi interessa quanto quella di Prodi. Provo affetto per loro, gli sono vicino nel loro immedicabile dolore, che è quello di voler essere me, senza essere me, riuscendo ad essere al massimo una caricatura di me, e però mi chiedo: come può uno che non è se stesso restare fedele a ciò che non vuole essere (cioè se stesso)? Capisco tuttavia che questa può sembrare un’osservazione personale, quindi la accantono. Resta però il tema politico. Perché un elettore dovrebbe buttare un voto al cesso?  Per dare un segnale che non arriva per l’inadeguatezza di chi dovrebbe trasmetterlo? L’inadeguatezza c’è, perché altrimenti al posto mio ci sarebbe un altro, no? Solo che così gli sbarramenti non si superano! E se anche si superassero, fra tre legislature arriverebbero a Roma dalla Montagna del Sapone dieci parlamentari che si troverebbero immediatamente di fronte a un bivio: o condannarsi all’irrilevanza aderendo al fritto misto, o perpetrare un tradimento rinunciando a parte della propria piattaforma per allearsi con altre forze nel tentativo di incidere.

E saremmo da capo a dodici: una nuova schiera di haitraditisti rimprovererebbe ai poveri puri e duri (de coccia) la colpa di aver tentato di non essere irrilevanti (oggettivamente, senza alcun successo).

Perché va ricordato che quando la Lega ha fatto il 17% dietro non c’era solo un messaggio rivoluzionario. Intanto, il messaggio non era uno solo. E poi, c’era una organizzazione a sostenerlo. Qui stiamo parlando di gente che non sa nemmeno quante firme raccogliere per presentare una lista, tanto per capirci, che non ha un’organizzazione territoriale, che litiga su qualsiasi minuzia: insomma, il bello spettacolo che vedete tutti i giorni sui social! E questo che garanzie dovrebbe dare a un elettore che non sia un imbecille (e che in quanto imbecille ha comunque diritto di votare, direi anzi il dovere, proprio per rassicurarci sul fatto che gli imbecilli sono una esigua minoranza)!?

Per carità, mi costituisco! Sono colpevole anch’io! Anch’io ho detto mille volte che preferivo perdere da solo piuttosto che vincere in compagnia. Ma io potevo permetterlo. I miei pallidi e sconclusionati epigoni no.

Per inciso, ricorderete che gli ortotteri insistevano molto sul fatto di non volersi alleare con nessuno (ovviamente, se lo ricordano quelli nati nel 10 a.P.), e non era così strano. Un partito nato per sterilizzare la politica non poteva che rinnegare lo strumento con cui la politica ottiene i propri risultati: la mediazione, il compromesso, l’alleanza. E gli elettori? Contenti e cojonati.

Insomma: l’idea del tuttosubitista è che siccome non si può avere tutto subito, allora ogni volta bisogna ricominciare da capo: ripetere lo stesso errore (quello di pensare che la Veritah porti il consenso e che il consenso sia sufficiente), senza considerare che si è subita una sconfitta, che il consenso non c’è più, e che anche se ci fosse porterebbe a Roma persone impreparate, incapaci di trovare risposte e appigli nella macchina dello Stato, una macchina che è fatta di migliaia di pezzi, che non rispondono sic et simpliciter a #aaaaabolidiga, ma che vanno conosciuti e coinvolti. E questo prende tempo!

Noi forse avremo anche tradito, ma chi non capisce questo prende in giro voi, e se stesso. Tanto per darvi un’idea, fatevi un giro su questa pagina di Wikimm… Ci sarebbero mille e una considerazioni da fare. Un lettore compulsivo di Saint Simon (non il socialista) ovviamente penserà subito a:

À mon retour de la Trappe où je n’allois que clandestinement pour dérober ces voyages aux discours du monde à mon âge, je tombai dans une affaire qui fit grand bruit et qui eut pour moi bien des suites.

M. de Luxembourg, fier de ses succès et de l’applaudissement du monde à ses victoires, se crut assez fort pour se porter du dix-huitième rang d’ancienneté qu’il tenoit parmi les pairs au second, et immédiatement après M. d’Uzès.

con tutto quel che ne consegue, e in effetti questo ci porta verso un pezzo del ragionamento: da sempre la macchina dello Stato è complicata, è fatta di tanti pezzi, e un pezzo di questa complicazione è capire quale pezzo debba venire prima degli altri. Ma il ragionamento che volevo farvi è diverso, e so che ad alcuni di voi, obnubilati dalla grillanza, non piacerà. Partiamo da questa foto. Nel 2018 io non conoscevo nessuno degli omologhi di queste alte cariche: né Napolitano, né Alberti Casellati, né Fico, né Conte, né Lattanzi. Nel 2022 ne conoscevo il -60% (visto che ai piddini piacciono le percentuali negative): uno di loro ha regalato un certo libro a Salvini, uno è stato mio collega senatore, e un’altra è stata ospite ai nostri convegni. Me ne sto al posto mio ma il rapporto c’è ed è di fiducia – anche perché, lo ripeto, l’appostismo che vi predico lo pratico e non abuso della confidenza che pure ho acquistato nel tempo. Ovviamente er sor Perepè  o er videomaker dovrebbero cominciare da capo (capito il giorno della marmotta?). Mi sono divertito a estendere questo ragionamento, scendendo per li rami fino alle cariche di terzo livello, paragonando quante ne conoscevo nel 2018 e quante ne conosco nel 2023, in base semplicemente alla mia rubrica telefonica. Nel 2018 dei primi 223 ne avevo in rubrica cinque: il vicepremier e Ministro dell’Interno, il Ministro della famiglia, il Ministro degli Affari Europei, e un paio di sottosegretari. Oggi il 48%, e mediamente mi rispettano per come mi comporto. Ho fatto rete. Quello che vale per le persone, vale per le procedure, per le norme, ecc.

Conosco benissimo l’argomento: “Eh! Ma se questa rete ti serve a fare quello che farebbe il PD, a noi che ce ne viene?” Torno ad attirare la vostra attenzione sul fatto che le querimonie del PD sulle nomine in Rai (solo per fare un esempio) indicano che qualcosa ve ne sta venendo. Se a qualcuno interessa, c’è la riforma fiscale. Se a qualcuno interessa, c’è l’abbattimento del cuneo fiscale. Siamo qui per confrontarci su altri temi, ma io ora devo occuparmi anche di quelli che a voi sembrano dettagli o divagazioni, e che invece a certe persone migliorano la vita. Ci sarebbe anche il fatto che non solo gli sciroccati votano: ricordo a me stesso che gli utenti Twitter sono il 17% della popolazione italiana, e circa il 20% sono finti, il che ci porta attorno al 13%. Fuori c’è un mondo, fatto dell’87% di persone che hanno una vita, il che giustifica lo spiacevole paternalismo con cui ho liquidato il problema di non essere capito da una frazione di quel 13%. Perdonatemi: il problema non è che io non capisca che voi esistete: il problema spesso è che voi non volete ammettere che esistono altri, che hanno altre priorità, di cui comunque va tenuto conto.

Conosco anche l’altro argomento: “Eh! Ma se bisogna essere subalterni alla dittatura dello spread, allora bastava il PD, invece sicceroio mi riappropriavo della Banca centrale e emettevo moneta ecc. ecc.” [NdCN: tutte cose che non ho mai posto in questi termini, come ricorderà chi c’era, ma lasciamo stare]. Sì, infatti funziona proprio così! Me lo immagino! Dice, fa, dice: “Toc toc!” E Ignazio: “Chi è?” E Perepè: “Sò io!” E Ignazio: “E cche vvòi?” E Perepè: “Voglio stampà moneta sovrana, aprime!”

Il resto ve lo immaginate…

Fa ridere, no?

No.

In fondo è un po’ triste che tutto quanto certa gente ha cavato da un progetto didattico così accurato e approfondito sia una visione così caricaturale dei processi politici, dove tutto si regola in base alla conquista della maggioranza del 51% da parte del Partito della Verità, privo di classe dirigente, di interlocuzioni con le magistrature, di nozioni elementari sul funzionamento della macchina amministrativa, di competenze legislative, di rudimenti di diritto parlamentare, ecc. Il lato umoristico, eventualmente, consiste nel fatto che certi sempliciotti vengano da me a spiegarmi come funziona er monno. Non che io creda di saperlo. Un’intuizione però penso di averla avuta: magari, prima di immaginare gesti politicamente eclatanti, bisogna assicurarsi, con le opportune riforme e con il lavoro di cui vi parlavo sopra, un minimo di retrovia, per evitare che il generoso slancio verso la trincea nemica diventi un massacro in cui il plotone di trombettieri si trova preso fra i due fuochi.

O no?

In altre parole: ve l’immaginate la gestione di una seria crisi valutaria, cioè di un evento che la logica economica continua a indicarci come possibile, con questa Banca d’Italia, con questa magistratura, ecc.? Io sì, e preferisco evitare.

Ma per trarre una morale corta da una favola lunga, la risposta è come al solito dentro di voi: dovete scegliere se fidarvi di chi vi ha spiegato come stanno le cose e come lottare per cambiarle, o vivere un eterno giorno della marmotta. Perché, per i motivi che credo di avervi illustrato in modo convincente (ma siamo qui per discutere insieme) quelli del 14 luglio, alla prova dei fatti, e al di là delle loro indubbie qualità personali, per motivi meramente oggettivi si riveleranno essere quelli del 2 febbraio. La scelta quindi è fra scommettere su un cavallo che potrebbe non arrivare al traguardo, o avere la certezza di entrare in loop.

Non credo che sia una vera scelta.

Tutto qua.

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“I tuttosubitisti e il giorno della marmotta” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

Frenkel goes to Albania

In rapida continuità col post precedente, diamo una spolverata al nostro palantìr, l’identità dei saldi settoriali, per mettere nel corretto contesto la notizia del giorno: il prezzo di una vacanza in Albania è pari al -248% di quello di una vacanza in Italia. Non ci credete? Malfidati! Lo dicono la Stampa e il Messaggero:

e apprezzerete che il Messaggero ha interiorizzato la regola principe della “comunicazzione credibbile”: non dare mai cifre tonde, che trasmettono un senso di approssimazione. Bisogna sempre dare il numero esatto: 248, non 250!

(…la Stampa poi ha corretto il tiro, sputtanando la legione di sciagurati imbecilli che si erano affrettati, con lo zelo del neofita, ad avvalorarne la fantasiosa tesi secondo cui esisterebbero prezzi negativi – se non la capite, siete in buona compagnia, e ve la spiego dopo – mentre il Messaggero ad oggi mi risulta ancora attestato su questa bislacca posizione: tenete presente che questi vi informano sulle dinamiche economiche, e questo, come ci siamo sempre detti, spiega tante cose…).

Lascerei per un attimo da parte questo folklore (ma, ripeto, poi dovremo tornarci) e andrei allora a vedere che cosa succede in Albania, quale sia la spiegazione del miracolo albanese, di questo nuovo giardino dell’Eden dove ti pagano per andare. In effetti, la nostra “legge di Lavoisier”, come l’ho chiamata nel post precedente, cioè l’identità dei saldi settoriali, ci fa immediatamente capire che, tanto per cambiare, a pagare siamo noi, e, come al solito, non v’è certezza di rivedere i soldi indietro.

Mi piacerebbe potervela fare corta, e basterebbe questo grafico:

ma siccome oggi sono generoso, vi regalo un altro grafico:

Ecco: ora i più anziani dovrebbero essere in grado di spiegarci che cosa sta succedendo in Albania. I meno esperti potrebbero aiutarsi con questo post, che (ri)spiega come funziona il primo grafico (e quindi aiuta, ad esempio, a capire come mai il fatto che la linea rossa superi quella nera nel secondo grafico è coerente col fatto che la linea azzurra sia negativa nel primo).

Aggiungo un dettaglio. Come tutti i miracoli, anche quello albanese può essere letto in diversi modi. Avrei voluto leggerlo come lessi a suo tempo quello lettone, ma… purtroppissimo Eurostat non fornisce i dati su salari e profitti necessari per esplicitare i riflessi distributivi di questa dolce vita coi soldi altrui. Cercherò nelle statistiche nazionali, se avrò tempo, oppure potrete farlo voi. La dinamica della quota salari però diventerà interessante dopo, quando la riga azzurra dovrà tornare positiva.

E ora vi lascio: chi ha capito spieghi, chi non ha capito chieda, di percentuali parliamo un’altra volta: si sono svegliati tutti e mi saturano la banda, devo (per fortuna) smettere…

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“Frenkel goes to Albania” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

QED 104: “Quando c’era lei i treni non arrivavano in orario!”

(…nel giorno dell’Assunzione, commentiamo la discesa agli inferi di una Angela caduta…)

Il successo del blog che non c’è (questo) può essere ricondotto a varie cause: i temi affrontati, la qualità della scrittura, l’approccio adottato, e via dicendo. Credo che molti di voi siano rimasti convinti e coinvolti, in particolare, dalla capacità del blog che non c’è di aiutarvi a prevedere lo sviluppo prossimo e meno prossimo degli eventi in base a un rigoroso ragionamento economico condensato in formule elementari, formule caratterizzate da quella semplicità, da quella economicità in cui risiede la cifra estetica della vera scienza. Prima fra tutte, l’identità dei saldi settoriali, qui spiegata e applicata plurime volte (uno dei ripassi e delle applicazioni più interessanti è qui e riguarda la Francia) ma della quale certamente non può nuocere ripercorrere brevemente il senso, anche per radicare nel (buon)senso economico certe affermazioni e certe categorie che nel dibattito minor vengono sistematicamente travisate.

Il punto di partenza è molto semplice, così semplice e ovvio che regolarmente lo si ignora (il triste destino delle umili verità): in un’economia di mercato si produce per vendere e quindi per guadagnare, il che significa, in buona sostanza, che il valore del prodotto di un sistema economico equivale alla spesa complessiva effettuata per acquistare i beni prodotti, e alle remunerazioni (salari e profitti) complessive di chi li ha prodotti.

Insomma: quando parliamo di Pil (prodotto interno lordo) stiamo parlando non solo del valore della produzione (sottolineo che non si possono sommare mele e clarinetti, ma si può sommare il loro valore, che si ottiene applicando alle quantità fisiche – un chilo di mele, un clarinetto… – il prezzo di mercato), ma anche, necessariamente, della spesa effettuata per acquistare questa produzione, e quindi, necessariamente, dei redditi percepiti da chi ha prodotto i beni. Insomma: in economia la domanda contabilmente deve uguagliare l’offerta (immaginatela come una specie di legge di Lavoisier dell’economia), e quindi il prodotto contabilmente uguaglia la spesa, e siccome i soldi spesi dagli acquirenti privati e pubblici non finiscono in un vulcano, come nell’immaginazione di certi libberisti alle vongole, ma nelle tasche dei venditori e quindi dei produttori, la spesa necessariamente uguaglia il reddito. Ne consegue che ci sono tre modi per calcolare il Pil, e tutti e tre portano allo stesso risultato: come somma dei valori aggiunti dei singoli settori (lato produzione), come somma delle spese effettuate, distinte per categoria di acquirente (lato spesa o domanda che dir si voglia), e come somma delle retribuzioni percepite (lato reddito). Abbiamo illustrato questa equivalenza in dettaglio quando l’abbiamo utilizzata per spiegare il miracolo lettone (un miracolo con la “m” di massacro sociale, come tutti i miracoli “europei”).

Se avete capito questo (e molti, direi praticamente tutti fuori di qui, non lo hanno capito), non avete bisogno di molto altro. Il resto sono simboli che ci permettono di elaborare algebricamente questa tautologia (il prodotto venduto è prodotto comprato) conferendole un minimo di valore ermeneutico, assistendoci cioè nell’interpretazione delle traiettorie macroeconomiche.

Si parte dall’idea che il prodotto-reddito-spesa è la “variabile dipendente” del sistema macroeconomico, e quindi le si attribuisce il simbolo matematico della variabile dipendente, Y. Questo Y, che è il Pil, può essere espresso come somma della spesa delle famiglie per Consumi, delle imprese per Investimenti, del Governo per l’erogazione (e quindi lato utente il consumo) di servizi pubblici, del settore estero per il nostro eXport, che è acquisto di nostri beni da parte di residenti esteri. Ovviamente dovremo sottrarre dalla nostra produzione-reddito-spesa la spesa in beni iMportati, perché si tratta di acquisto da parte nostra di beni che sono stati prodotti, e quindi hanno generato reddito, altrove.

Discende da qui l’identità risorse-impieghi:

Y = C + I + G + X – M

un banale dato contabile che solo un cretino potrebbe contestare (scaturisce direttamente dalle definizioni della grandezze macroeconomiche), ma di cui solo persone istruite riescono a cogliere tutte le implicazioni.

La principale deriva dalla definizione di risparmio, che altro non è che la differenza fra quanto le famiglie guadagnano (Y) e quanto consumano (C+G):

S = Y – C – G

con la “s” di saving (risparmio in inglese).

Ricordandoci quella magia algebrica che va sotto il nome di regola del trasporto, possiamo riscrivere l’identità del Pil così:

Y – C – G – I = X – M

e sostituendo la definizione di risparmio arriviamo dove ci serviva di arrivare oggi:

S – I = X – M

L’eccedenza (deficienza) del risparmio nazionale sugli investimenti nazionali deve essere identica all’eccedenza (deficienza) delle esportazioni sulle importazioni.

Questa semplice verità contabile ci assiste nell’interpretare alcuni fatti macroeconomici rilevanti. Ad esempio, come abbiamo più e più volte ricordato, se un Paese è in surplus estero, cioè esporta più di quanto importi, necessariamente si verificherà almeno una delle seguenti tre cose:

  1. o le sue famiglie consumano relativamente poco (quindi C è relativamente basso e S relativamente alto);
  2. o lo Stato fornisce una quantità relativamente ridotta di servizi pubblici (quindi G è relativamente basso e S relativamente alto)
  3. o le sue imprese (e il suo settore pubblico) investono poco (quindi I è relativamente basso).

Insomma: se X è maggiore di M, S deve essere maggiore di I, e questo risultato lo si ottiene o facendo crescere S o facendo scendere I. Non c’è nulla di magico! Semplicemente, se quel Paese i beni che produce li consumasse lui (e quindi avesse un C e un I alto), non ne avrebbe da esportare. Il mercantilismo (orientamento di politica economica che consiste nel darsi l’obiettivo di massimizzare le esportazioni) è necessariamente repressione relativa della spesa interna (di famiglie o di imprese, pubblica o privata). Dico relativa perché finché dura, cioè finché l’estero compra, può benissimo darsi che nel Paese mercantilista i consumi relativamente bassi (rispetto al reddito nazionale) delle famiglie siano relativamente alti rispetto ai consumi di altri Paesi (ma questo non necessariamente allieta le vittime di simili politiche).

Una delle cose che è stato più difficile far capire ai cialtroni autorazzisti nostri gentili interlocutori è stata che il relativo successo della Germania in termini di conti con l’estero, cioè il suo surplus estero strutturale, dipendeva da una sostanziale repressione degli investimenti. L’idea che la Germania fosse in surplus perché avendo fatto importanti investimenti aveva acquisito una superiore produttività che le consentiva di vendere prodotti a prezzi inferiori era fallace. La fallacia anche qui era nel manico, cioè nel concepire la produttività come un fenomeno di offerta (secondo l’idea ingegneristico-neoclassica del processo produttivo) anziché di domanda (secondo l’idea economico-smithiana-keynesiana del processo produttivo). Non mi dilungo su queste distinzioni, di cui ho parlato ad esempio qui. Sul perché il ragionamento non fili si può discutere, e non è detto che sia una perdita di tempo: qui mi limito ad ribadire che il ragionamento platealmente non fila in quanto la Germania non è stata il campione europeo di investimenti. 

Avevamo evidenziato questa semplice verità dieci anni or sono, in questo post, da cui è tratta questa immagine:

che mostrava come nel periodo di gestazione della grande crisi del 2008-2011, prima dell’arrivo dell’austerità “che fa crescere”, la Germania fosse stata il fanalino di coda degli investimenti europei. 

Come sempre, quelli bravi c’erano arrivati un pochino dopo. Ci vollero cinque anni perché Bruegel mettesse in relazione il surplus estero tedesco con la debolezza degli investimenti tedeschi:

ma naturalmente nemmeno questo servì a estirpare la malapianta dell’autorazzismo piddino: i poveri piddini tuttora vivono nell’illusione di essere splendide eccezioni in un failed State popolato da Untermenschen (voi), un Paese per colpa vostra (certo non loro!) incapace di uguagliare i traguardi di disciplina (e quindi di oculatezza e di produttività) delle Panzer-Divisionen tedesche.

Traguardi che ieri, con una tempistica un po’ sfortunata (per la Fondazione per la sussidiarietà), venivano così eloquentemente illustrati dal Times:

Eh già! Sarà anche vero quello che ci diranno in autunno i sussidiaristi (che in tempi non sospetti hanno dato attenzione al blog che non c’era, motivo per valutare con attenzione i loro argomenti):

(e sarà anche interessante vedere se su quali dati basano le loro analisi e quanto siano disposti a risalire la catena delle cause), ma il fatto è che in conseguenza del grafico che vi ho fatto vedere nel 2013 la situazione nel 2023 è questa:

Gli Svizzeri sono costretti a rifiutare l’accesso alla loro rete ferroviaria ai treni tedeschi perché questi sono in sistematico ritardo e quindi sconvolgono il traffico (e la puntualità) delle Ferrovie Federali Svizzere: un risultato pessimo, quello delle ferrovie tedesche, peggiore di quello delle FS (rectius: di Trenitalia), che invece riesce ad accedere alla rete svizzera con relativa puntualità e senza sconvolgerne il traffico (apprezzerete anche la definizione britannica di piddini: foreigners seduced by stereotypes of German superiority).

Secondo il Times il problema nel 2023 è ovviamente (lo ribadisco) quello che vi evidenziavo nel 2013 e che non poteva non manifestarsi a tempo debito (le logiche della scienza economica sono ferree):

Ci siamo soffermati a lungo su quanto fossero fuori luogo i peana levati dai nostri ascari all’indirizzo di una persona che ha trasformato l’Eurozona nel buco nero della domanda mondiale (la signora Merkel). Dalla sua scomparsa alla sua demonizzazione (cioè al ristabilimento di un minimo di verità storica) sono passati pochi mesi: della Merkel, come di Monti, oggi nessuno, tranne qualche autentico deficiente, rivendica di aver tessuto le lodi, perché oggi si manifesta come incontrovertibile quanto vi dissi illo tempore (nel 2011) sul Manifesto: la Germania stava segando il ramo su cui era seduta. Certo, questa semplice verità (X-M = S-I) aveva un corollario: tutti noi eravamo, e siamo, seduti su rami più bassi (e infatti ora la recessione tedesca ci sta frenando, esattamente come il ritardo dei treni tedeschi sta rallentando i treni svizzeri).

Va da sé che una rete infrastrutturale non si mette (o rimette) su in un giorno, né in un giorno o in un anno si smantella. Per questo i brillanti risultati del mercantilismo tedesco (cioè dello spingere X-M tagliando I) si vedono oggi. Ma non è che non ci fossero stati segnali eloquenti già ai tempi: ricordate ad esempio la storia dell’aeroporto di Berlino?

Nove anni di ritardi e corruzione, che però, essendo alemanna, supponiamo sia stata corruzione benigna, come certe pericarditi.

Mi sembra tuttavia che il ritardo sistematico dei treni tedeschi, considerati ormai meno affidabili di quelli italiani dagli svizzeri, sia il miglior QED del post che scrivemmo dieci anni or sono.

Resta, prima di lasciarci, da espletare un ultimo doveroso compito, in questo che, pur non esistendo, è l’unico organo di informazione del nostro desolato e amato Paese: aggiornare i dati. La Germania è ancora il fanalino di coda degli investimenti in Europa? Ovviamente no, e il motivo dovreste intuirlo. Per illustrarvelo vi riproduco con i dati odierni (tratti da qui) il grafico di dieci anni fa, con le medie 1999-2007, e il suo aggiornamento, con le medie 2008-2022:

Com’è ovvio, la stagione dell’austerità ha compresso gli investimenti dei PIGS, che quindi sono scesi in graduatoria, facendo risalire la Germania. Osserverete però che gli investimenti tedeschi non sono aumentati, in rapporto al suo Pil, e si presume quindi che siano sempre relativamente insufficienti: sono invece diminuiti quelli dei PIGS, che certamente sono diventati insufficienti. Qui in Italia la copertura politica a questa operazione l’ha data il PD, che ora, nel suo consueto stile, incolpa “le destre”…

Due brevi considerazioni.

La prima è che il titolo del Times è tutto sommato compatibile con le analisi della Fondazione per la sussidiarietà. Certo: se ci limitiamo agli ultimi dieci anni, largamente coincidenti con quelli dell’austerità, è chiaro che rileveremo in Italia un livello di investimenti relativamente compresso. Sarà interessante vedere se il rapporto della Fps attribuisce questo dato a congiunzioni astrali o a scelte politiche che hanno un nome e un cognome: PD. La seconda è che la leadership europea, a trazione tedesca, ha scientemente tentato di ridurre l’Italia come la Germania. Del resto, le identità valgono per tutti, anche per noi, ed è quindi ovvio che l’esplosione del nostro surplus estero, di cui parlavamo qui, evidenziandone le catastrofiche conseguenze geopolitiche, anche da noi si sia tradotta in un taglio degli investimenti (non essendo certamente dovuta a un incremento dei risparmi, data la stagnazione dei redditi!), col conseguente degrado della qualità delle infrastrutture. Se questo degrado arriverà al livello di quello tedesco lo sapremo fra qualche anno, ma tenderei a credere di no. Non mi aspetto fra cinque o sei anni titoli del Times sui ritardi italiani che bloccano i treni svizzeri, ma come tutte le affermazioni del blog che non c’è anche questa è un’affermazione scientifica, cioè falsificabile.

Basta avere pazienza, e io ne ho tanta.

Suggerisco anche a voi di dotarvene.

Sarà mia cura cercare di dimostrarvi che ne vale la pena, ma in ogni caso… TINA! Nel prossimo post vi aiuterò a fare di necessità virtù…

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“QED 104: “Quando c’era lei i treni non arrivavano in orario!”” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

La grillanza

 (…dalla periferia dell’impero ricevo e pubblico…)

Ciao, Alberto.

Augurandoti una buona pausa estiva (se riuscirai a ritagliartela) volevo sottoporti una riflessione sulla grullanza/grillanza che ormai sembra aver contagiato tutti in materia di stipendi. Il povero Fassino, che parlò in mal punto, è stato travolto dagli strali dei suoi stessi compagni ormai schiavi del proprio schema retorico autoreferenziale. Ora io penso che sia difficile smontare le critiche con argomenti razionali perché ci sono idioti che partono dal presupposto, talora inespresso, che i “loro” soldi (ma poi bisogna vedere se effettivamente pagano le tasse dirette) non devono essere usati per pagare i politici e che anche un euro sarebbe troppo. Tuttavia loro non sanno che i “loro” soldi vengono usati, indirettamente, per pagare ad esempio i calciatori. I comuni infatti garantiscono in Italia a tutt’oggi la quasi totalità delle strutture sportive utilizzate dalle squadre di calcio, spesso dietro richiesta di canoni di concessione veramente esigui, come anche numerose norme sono state negli anni adottate a livello nazionale per garantire l’atterraggio morbido a società sportive fallite o per allontanare lo spettro dei fallimenti, per non parlare infine del fiume di denaro pubblico speso per ogni partita di campionato e non solo per la sicurezza e l’ordine pubblico: se le squadre di calcio dovessero contribuire economicamente a tutto questo non potrebbero pagare gli stipendi che pagano in Italia e forse non sopravviverebbero neanche un mese… Per non parlare poi del settore dello spettacolo che è forse il più assistito in assoluto, tra quelli a gestione sostanzialmente privata. Tutti i maître-à-penser, tipo Gassman o Moretti, sono convintissimo che abbiano la maggior parte delle proprie scritture in produzioni sovvenzionate (film o spettacoli teatrali) o che girano per teatri e cinema sovvenzionati, se non direttamente pubblici: vorrei verificare ma non ho tempo né capacità di giornalista investigativo. So che un grillino DOC direbbe che tutti costoro dovrebbero morire di fame, ma non so se gli andrebbero dietro tutti gli anti-casta opportunisti che si stanno accanendo sul povero Fassino: in fondo tutti hanno i propri circoletti e lo stato, le regioni, i comuni o gli enti parapubblici sono presenti ed elargiscono sostanzialmente in tutti i settori, ma stranamente poco se ne parla. Ecco, penso che una volta tanto dovremmo scendere al livello di questa gente e (pur sapendo di aver ragione) ribattere non sul punto ma cambiando argomento e chiedendo conto della provenienza dei redditi di molti dei loro beniamini se non, in alcuni casi, di loro stessi. Il che ovviamente non necessariamente comporta che si pensi che tali redditi vadano tagliati…

(…certo che il problema di reagire alla grillanza senza scatenare una race to the bottom è di difficile soluzione, perché l’essenza della grillanza è la race to the bottom: abbassare gli stipendi alti strappa l’applauso – ed è doppiamente regressiva, sia in senso politico che distributivo – rispetto all’innalzare gli stipendi bassi! Il brodo di coltura della grillanza è l’odio, ce lo siamo sempre detto, l’odio e la diffidenza. Colpire il nemico appaga più di aiutare l’amico, soprattutto se di amici non ne hai, magari semplicemente perché non ne meriti. Insomma: quello che rende difficile gestire la grillanza è la sua diversa, autolesionistica e meschina, umanità. Abbassarsi al loro livello è un presupposto per ingaggiare la loro attenzione, per aprire un dibattito, ma significa anche perdere in partenza. Lo dico in un altro modo: si tratta di un caso in cui usare la forza dell’avversario senza farsi del male richiede uno sforzo di creatività in più. Comments welcome…)

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“La grillanza” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

“Io prega Allah per te!” (avvelenare i pozzi)

(…scrivo nel brusio suscitato dalle grillate dei grillini, riprendendo un tema già sviscerato qui, e in numerosi altri contributi…)

Ieri mi ero alzato alquanto sversato. Il cerino della DG (discussione generale) sulle comunicazioni del ministro Fitto era rimasto in mano a me, e non avevo avuto tempo di mettere la testa se non superficialmente sulla risoluzione di maggioranza, ad adjuvandum della quale (da deputato di maggioranza) sarei intervenuto. In buona  sostanza, mi ero limitato a controllarne gli impegni:

accertandomi che non contenessero roba tipo strage dei primogeniti, patrimoniale, case verdi, lockdown climatici, o simili (del Governo mi fido, ma il mio lavoro è controllarlo)!

D’altra parte, il pomeriggio precedente era stato dedicato all’esame degli ordini del giorno, ridondante liturgia della Camera bassa, sicché di tempo per “fare il tecnico” ne avevo avuto poco. Così, avviando l’automobile, mi chiedevo di cosa avrei parlato, come sarei intervenuto in un dibattito che secondo me non ci sarebbe proprio dovuto essere, per almeno due motivi. Intanto, perché il PNRR non sarebbe proprio dovuto partire: la corretta linea di intervento, anche secondo il mainstream, era questa, ma come al solito, sotto l’urgenza di una crisi, l’Europa aveva “fatto un progresso” proponendo con l’etichetta del PNRR il vino vecchio del BICC, una proposta tedesca che era stata puntualmente respinta al mittente per anni, semplicemente perché esponeva (come oggi ben si vede) a un livello indebito e irrazionale di ingerenza delle burocrazie europee nel processo politico nazionale. In secondo luogo, perché il dibattito attuale si basava largamente sul nulla, su una serie di fake news riprese dalla grande stampa, cui secondo me non si sarebbe nemmeno dovuto rispondere, e alle quali controbattere era desolante, anche perché solo una assoluta malafede poteva sostenere l’argomento dei “tagli”, e a me l’esercizio di confrontarmi con chi mente sapendo di mentire sembra un po’ sterile.

Al solito semaforo, il solito ambulante, credo pakistano, o afghano (non ho mai avuto tempo di approfondire questa, come infinite altre cose…), che tutte le mattine mi vede parlare da solo (le dirette Facebook itineranti…), e rispetta la mia follia, questa volta, vedendomi trasognato, si para sotto e mi chiede di aiutarlo perché a Roma non è rimasto più nessuno. La cosa meno inutile che avesse da offrire erano gli accendini, che come sapete sono dotati di vita propria e tendono a sottrarsi al controllo del proprietario. Me ne dà tre o quattro, gli do un pugno di euro, e lui mi ringrazia e mi saluta: “Grazie, tu brava persona, io prega Allah per te!”

Mi allontano, riconfortato da queste parole affettuose (per così poco!), applicando la scommessa di Pascal: considerando che proprio non sapevo a che santo votarmi per il mio intervento, l’idea che qualcuno invocasse su di me la benevolenza del vertice supremo delle tre grandi religioni monoteiste mi rassicurava. Sotto l’usbergo di cotanto protettore, decido in aula di dire quello che penso (male non fare, paura non avere), e il risultato lo vedete qui:

Fino a qui, a parte la palettata di ghiaino che mi sono tolto dalle scarpe, saremmo rimasti nella norma. Ma poi è apparsa la mano di Allah:

(o sarà stata quella dell’ufficio stampa?) e la matrix ha avuto un altro glitch: una semplice verità (il PNRR è stato usato dalla sinistra per avvelenare i pozzi) è passata al Tg1 e al Tg2, a pranzo e a cena (che a qualcuno sarà andata di traverso):

Il testo lo trovate, come al solito, sul mio canale Telegram.

(…e ora perdonatemi ma devo passare ad altro…)

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“”Io prega Allah per te!” (avvelenare i pozzi)” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.

810 mesi di inflazzione

(…seguito della puntata precedente…)

Qualche giorno fa qualcuno di voi su Twitter, citando questo articolo di una rivista specializzata:

mi ringraziava cortesemente per essere, come dire, arrivato preparato all’argomento, avendo sentito parlare di razzi e piume su questo blog un anno fa, nella puntata precedente di questo post. Lettore cortese, quindi, cui faccio però notare che qui di “razzi e piume” si parla da molto, molto prima, direi almeno dal famoso “benza paper”, concepito nel 2013 e pubblicato nel 2015. C’è più roba in questo blog, cari lettori, di quanta possa sognarne la vostra filosofia, ma mi rendo conto che proprio per questo il tempo per leggerle manca.

In ogni caso, la citazione mi ha ricordato che era tempo di tornare su uno dei nostri argomenti preferiti, l’inflazione (che nei titoli definiamo inflazzione per individuare i cretini su Twitter). Come sapete, sta scendendo. Vi do intanto il grafico “nudo e crudo”:

poi quello assistito con due rette: una pari all’inflazione del giugno 2022 (in arancione), e una pari all’inflazione dell’ultimo giugno (in grigio):

Parlando di razzi e piume, queste due rette ci mostrano che in dodici mesi siamo passati dall’inflazione di gennaio 1986 a quella di aprile 1986 (quattro mesi). Attenzione però! Questo non significa che la discesa nell’ultimo anno sia stata più lenta di quella sperimentata negli anni ’80. Significa solo, come si vede benissimo nel grafico, che quando a giugno scorso gli esperti mi dicevano compunti “Eh, ma ora l’inflazione scenderà perché è vicina al picco!” avevano ragione, salvo per il trascurabile dettaglio che il picco sarebbe poi stato raggiunto a ottobre (cioè qualche mese dopo quando se l’aspettavano loro). Insomma: fra gennaio 1986 e aprile 1986 la strada fu tutta in discesa. Nell’ultimo anno è stata prima in salita e poi in discesa.

Può allora essere interessante valutare se i nove ultimi mesi di discesa dal picco siano in qualche modo nel solco delle esperienze precedenti. La tabella qui di seguito elenca i principali picchi precedenti, il calo assoluto dell’inflazione nei mesi successivi, e il calo percentuale:

Come è facile intuire, il calo assoluto dell’inflazione è correlato positivamente all’entità del picco (cioè: più sali in alto, più scendo in fretta). Se fossimo calati dal picco dell’ottobre scorso alla velocità assoluta sperimentata dopo il picco di novembre 1974 saremmo al 3.6% di inflazione. D’altra parte, la correlazione con la diminuzione percentuale dell’inflazione è più debole, ma inversa: più alto è il picco, meno rilevante (in media) il calo in termini percentuali. Per mettere un po’ di ordine in questi dati ve li rappresento come diagramma a dispersione:

Premesso che non c’è una correlazione fortissima (la nuvola è molto dispersa), la situazione attuale è rappresentata dal puntino rosso. Rispetto all’entità del punto di partenza, la percentuale di diminuzione dell’inflazione è superiore alla media. Insomma, la piuma questa volta sembra essere più “pesante” (o per meglio dire più aerodinamica).

Non so se sia del tutto una buona notizia. Forse va letta insieme alla notizia del giorno. Ma di questo dovremo necessariamente parlare dopo. Ora devo lasciarvi causa TG.

Buon proseguimento.

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“810 mesi di inflazzione” è stato scritto da Alberto Bagnai e pubblicato su Goofynomics.