La Cina annuncia nuove misure di stimolo economico

La Commissione Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma della Cina (NDRC), il principale ente di pianificazione economica del Paese, ha recentemente annunciato una serie di misure di stimolo per rafforzare ulteriormente l’economia cinese. Queste azioni seguono l’ottimo risultato del 5,3% di crescita del PIL nel primo trimestre dell’anno, che riflette un buon avvio e una forte dinamicità pronta a essere liberata, scrive il quotidiano Global Times.

Per sostenere questa crescita, il governo ha previsto di facilitare i piani di investimento attraverso il bilancio centrale e di promuovere ulteriori emissioni di titoli del tesoro. Nonostante le sfide persistenti legate a un ambiente esterno complicato e una domanda interna insufficiente, l’economia cinese continua a mostrare una crescita solida e costante grazie alle politiche di supporto e al consumo.

Liu Sushe, vice capo della NDRC, ha dichiarato che il governo accelererà i piani di investimento del bilancio centrale, con un’allocazione di 700 miliardi di yuan (circa 96,7 miliardi di dollari) per quest’anno. Oltre il 30% di questi fondi è già stato assegnato. Liu ha inoltre sottolineato l’importanza di migliorare l’efficienza degli investimenti e di guidare gli investimenti da tutta la società.

Le recenti misure di stimolo sono state accolte positivamente dagli esperti, che hanno evidenziato l’efficacia delle politiche governative nel sostenere l’economia. Cao Heping, economista dell’Università di Pechino, ha sottolineato come la combinazione di una politica monetaria relativamente accomodante con il supporto fiscale abbia rafforzato l’economia stabile.

Nonostante la performance economica positiva, alcuni media occidentali continuano a sostenere la teoria del “Peak China”, affermando che la crescita economica cinese ha raggiunto il suo apice. Tuttavia, Song Guoyou, vice direttore del Centro per gli Studi Americani dell’Università Fudan, ha ribattuto sottolineando che la Cina continua a distinguersi tra le principali economie globali.

Il progresso strutturale dell’economia cinese è evidente, con una crescita annuale del 6,7% nel settore manifatturiero e un aumento del 7,5% nella produzione di manifattura ad alta tecnologia. Questi settori, come la stampa 3D e i robot di servizio, stanno contribuendo a iniettare nuova linfa nello sviluppo economico.

Nonostante le sfide persistenti, tra cui un ambiente esterno complesso e una domanda interna debole, la Cina mantiene un trend di ripresa economica e miglioramento a lungo termine. Gli esperti sono fiduciosi che con l’implementazione di politiche corrispondenti, la crescita del secondo trimestre non dovrebbe essere inferiore al 5,3%.

In conclusione – afferma il Global Times – la Cina continua a mostrare segni di robustezza economica e di resilienza. Con l’implementazione di ulteriori politiche di sostegno e l’upgrade strutturale in corso, il Paese è ben posizionato per mantenere e consolidare la sua traiettoria di crescita positiva nel corso dell’anno.

USA riattivano sanzioni petrolifere contro il Venezuela

Il governo statunitense non rinnoverà la licenza 44 che consente un parziale alleggerimento delle sanzioni per il settore petrolifero e del gas del Venezuela, in scadenza giovedì.

Secondo la Reuters, che cita alti funzionari statunitensi, la decisione è stata presa a causa di quello che gli Stati Uniti considerano il mancato rispetto di alcuni impegni elettorali da parte dell’amministrazione venezuelana.

Precisamente, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha rilasciato una licenza sostitutiva alla 44, per dare alle aziende 45 giorni – fino al 31 maggio – per “chiudere” i loro affari e le loro transazioni con il settore petrolifero e del gas venezuelano.

Nell’ottobre dello scorso anno, il governo statunitense ha annunciato la revoca parziale di alcune sanzioni contro il Venezuela, relative al settore petrolifero, dell’oro e del gas, in seguito all’accordo firmato tra il governo venezuelano e la Piattaforma Unitaria nel 2023.

Secondo le fonti consultate dall’agenzia, “mentre Maduro ha rispettato alcuni impegni previsti dall’accordo dello scorso anno, non ne ha rispettati altri, tra cui quello di permettere all’opposizione di candidare il candidato di sua scelta contro di lui alle elezioni presidenziali del 28 luglio”.

“Di conseguenza, l’amministrazione Biden intende lasciare che l’attuale congedo generale di sei mesi scada senza essere rinnovato poco dopo la mezzanotte EDT (0500 GMT di giovedì)”, hanno dichiarato i funzionari a condizione di anonimato.

Blinken “esprime preoccupazione” sulla cooperazione russo-cinese

Il Segretario di Stato nordamericano Anthony Blinken intende esprimere, durante la sua prossima visita in Cina, la preoccupazione degli Stati Uniti per il fatto che Pechino stia aiutando la Russia a costruire la sua base industriale di difesa per combattere in Ucraina. Lo riferisce la Reuters, citando il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller.

“Negli ultimi mesi, abbiamo assistito a un flusso di materiali dalla Cina alla Russia che quest’ultima sta utilizzando per ricostruire la propria base industriale e produrre armi che poi appaiono sul campo di battaglia in Ucraina”, ha dichiarato Miller durante un briefing con la stampa. Washington è “incredibilmente preoccupata”.
 
In precedenza, un portavoce dell’ambasciata cinese ha dichiarato alla Reuters che la Cina non è parte in causa nel conflitto ucraino e che il semplice commercio tra Cina e Russia non dovrebbe essere limitato a causa delle ostilità.
 
Il presidente Joe Biden ha sollevato la questione in una conversazione telefonica con il presidente cinese Xi Jinping all’inizio del mese, dopo la quale i funzionari statunitensi hanno dichiarato che Blinken si sarebbe recato in Cina nelle prossime settimane. I dettagli della visita non sono ancora stati resi noti.
 
Blinken ha sollevato la questione con i ministri degli Esteri della NATO a Bruxelles all’inizio del mese e ne discuterà anche in occasione di un incontro con le controparti del G7 in Italia questa settimana, scrive Reuters.

Erdogan accusa Israele di voler allargare il conflitto

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha accusato Israele di voler allargare la geografia del suo conflitto con la Palestina all’intera regione.

“Quello che è successo alla fine della scorsa settimana deriva dai due pesi e due misure dell’Occidente e dimostra che una guerra più grande nella regione è abbastanza probabile. Israele sta compiendo azioni provocatorie nel tentativo di estendere il conflitto all’intera regione. L’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, condotto in violazione del diritto internazionale, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso”, ha dichiarato alle televisioni locali dopo una riunione di gabinetto, secondo quanto riportato dll’agenzia TASS.

Ha sottolineato che è necessario identificare la radice del problema nella regione “piuttosto che giudicare solo da ciò che è accaduto la notte del 13 aprile”, quando l’Iran ha condotto la sua operazione contro Israele. “Nessuno ha parlato dopo l’attacco all’ambasciata iraniana, tranne alcuni Paesi. Ma è iniziata subito una corsa all’accusa di ritorsione da parte dell’Iran. Ma prima di tutto è necessario incolpare [il primo ministro israeliano Benjamin] Netanyahu che ha ucciso 34.000 persone innocenti a Gaza. Netanyahu e la sua amministrazione cannibale sono i responsabili di quanto accaduto il 13 aprile”, ha sottolineato Erdogan.

Ha definito le azioni di Israele a Gaza un genocidio e ha affermato che l’unico modo per allentare la tensione nella regione è quello di fermarla.

Ha sottolineato che la Turchia è stato il primo Paese a imporre restrizioni alle esportazioni verso Israele. “Molto prima degli attuali sviluppi con le uccisioni di massa, la Turchia ha vietato la vendita a Israele di qualsiasi materiale che possa essere utilizzato per scopi militari”.

Il Venezuela ordina la chiusura di tutte le sedi diplomatiche in Ecuador

Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha ordinato la chiusura dell’ambasciata e dei consolati venezuelani in Ecuador, in solidarietà con il Messico, dopo che le forze di sicurezza ecuadoriane hanno fatto irruzione nell’ambasciata messicana a Quito, un’azione avvenuta per arrestare l’ex vicepresidente Jorge Glas, che vi aveva trovato rifiugio e a cui era stato concesso asilo diplomatico ore prima.

Maduro lo ha annunciato durante la riunione straordinaria dei capi di Stato della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac), che si è tenuta per affrontare la questione dell’assalto alla sede diplomatica.

“Ho ordinato di chiudere la nostra Ambasciata in Ecuador, di chiudere il Consolato a Quito, di chiudere immediatamente il Consolato a Guayaquil e di far ritornare immediatamente il personale diplomatico in Venezuela”, ha affermato il presidente.

Maduro ha ricordato che, nel Paese andino, Caracas ha solo un incaricato d’affari, il professor Pedro Sassone. “Da qui vi do l’ordine di preparare tutto, chiudere e rientrare, finché non sarà espressamente ripristinato il diritto internazionale in Ecuador”.

Gaza, le direttive del NYT ai giornalisti contro l’uso dei termini ‘genocidio’ e ‘Palestina’

 

Una sorprendente fuga di notizie scoperta dal portale The Intercept ha rivelato le linee guida editoriali segrete emesse dal The New York Times.

Queste direttive sono delle direttive su come i giornalisti dovrebbero riferire in merito all’invasione israeliana di Gaza, innescando un dibattito sui pregiudizi dei media e sul ruolo del giornalismo e quale considerezione abbia dell’opinione pubblica.

Il promemoria, scritto dalla redattrice del NYT Susan Wessling, dal redattore di politica estera Philip Pan e dai loro delegati, è stato diffuso per la prima volta nel novembre 2023 ed è stato periodicamente aggiornato durante l’invasione israeliana di Gaza in corso iniziata lo scorso ottobre, ha riferito, ieri, The Intercept.

La guida mette in guardia contro l’uso di termini come “genocidio”, “pulizia etnica”, “territorio occupato” e “campi profughi”, anche se le Nazioni Unite riconoscono fino a otto campi profughi all’interno della Gaza assediata.

In modo pertinente, il governo israeliano ha costantemente mostrato opposizione alla realtà storica secondo cui i palestinesi mantengono lo status di rifugiato, una designazione che sottolinea il loro spostamento da terre alle quali rivendicano il diritto al ritorno.

“Possiamo spiegare perché stiamo applicando queste parole a una particolare situazione e non a un’altra? Come sempre, dobbiamo concentrarci sulla chiarezza e sulla precisione: descrivere ciò che è accaduto piuttosto che usare un’etichetta”, si legge nella nota.

Il promemoria istruisce inoltre i giornalisti ad astenersi dall’usare “combattenti” in riferimento a specifici attacchi, suggerendo invece l’uso di “terrorista”, un termine che il documento applica in modo incoerente, secondo l’analisi di The Intercept, notando il pregiudizio del NYT a favore della prospettiva israeliana sulla guerra.

Una discrepanza notevole

Secondo la nota trapelata, il termine “Palestina” è sconsigliato nell’uso quotidiano, tranne in contesti eccezionali come riferimenti storici o sviluppi politici significativi riconosciuti da organismi internazionali.

A gennaio, The Intercept ha pubblicato un’analisi che esamina la copertura del conflitto dal 7 ottobre al 24 novembre da parte di New York Times, Washington Post e Los Angeles Times. L’analisi ha riguardato le prime settimane di guerra, prima dell’applicazione delle nuove linee guida editoriali del New York Times.

The Intercept ha riscontrato una notevole discrepanza nel linguaggio: termini come “massacro”, ” eccidio” e “orribile” sono stati utilizzati prevalentemente per descrivere episodi di vittime israeliane causate da combattenti palestinesi, mentre sono stati raramente utilizzati quando si è parlato di vittime palestinesi derivanti da attacchi aerei israeliani indiscriminati.

Lo studio ha evidenziato che fino al 24 novembre, il New York Times ha parlato di vittime israeliane come di un “massacro” in 53 occasioni, contro una sola volta per le uccisioni palestinesi.

La disparità risultava evidente anche con il termine “massacro”, che compariva 22 volte più di frequente nelle descrizioni delle morti israeliane rispetto a quelle palestinesi. Questo, nonostante il crescente numero di vittime palestinesi, che a quel punto contava circa 15.000 civili.

Doppi standard palesi

Secondo la nota del NYT trapelata, è corretto usare i termini “terrorismo” e “terrorista” per descrivere gli attacchi del 7 ottobre, che hanno preso deliberatamente di mira i civili con uccisioni e rapimenti.

Il NYT si astiene dall’etichettare come “terrorismo” i ripetuti attacchi di Israele contro civili palestinesi e siti civili protetti, come gli ospedali, anche nei casi in cui i civili sono stati presi di mira direttamente.

La nota del quotidiano prosegue: “Quando possibile, evitate il termine e siate specifici (ad esempio, Gaza, Cisgiordania, ecc.), poiché ciascuno ha uno status leggermente diverso”.

La fonte del New York Times, citata da The Intercept, ha spiegato che evitare il termine “territori occupati” tende a oscurare la vera natura del conflitto, allineandosi alla narrazione ufficiale israeliana.

“In pratica si toglie dalla copertura l’occupazione, che è il vero nocciolo del conflitto”, ha precisato la fonte a The Intercept. “È come se dicessimo: “Oh, non diciamo occupazione perché potrebbe sembrare che stiamo giustificando un attacco terroristico””.

————-

L’AntiDiplomatico e LAD edizioni sono impegnati a sostenere l’associazione “Gazzella”, in prima linea nel sostegno della popolazione di Gaza. 

Con l’acquisto di “Il Racconto di Suaad” (Edizioni Q – LAD edizioni) dal nostro portale, finanzierete le attività di “Gazzella”.

Macron vuole una “tregua olimpica” in Ucraina e Gaza

Il presidente francese Emmanuel Macron ritiene che i Giochi Olimpici, che si terranno a Parigi nel 2024, dovrebbero diventare “un momento di pace diplomatica”. Ha afferm,ato di stare lavorando a un piano per fermare i combattimenti in Ucraina e nella Striscia di Gaza per tutta la durata delle Olimpiadi.

“Stiamo lavorando alla tregua olimpica e penso che questa sia un’opportunità nella quale cercherò di coinvolgere molti dei nostri partner”, ha dichiarato Macron in un’intervista a BFMTV. Secondo il presidente francese, egli intende rivolgersi al presidente cinese Xi Jinping, che arriverà in Francia tra poche settimane, per chiedere aiuto in questa vicenda.

Scholz in Cina: l’economia della Germania ha bisogno di Pechino

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è sbarcato a Shanghai per continuare la sua visita di tre giorni in Cina, accompagnato da tre suoi ministri – Ambiente, Agricoltura e Trasporti – nonché da importanti esponenti del mondo imprenditoriale tedesco quali i dirigenti di aziende importanti come Siemens, BMW e Mercedes-Benz.

Questa è la seconda visita di Scholz in Cina da quando è entrato in carica come cancelliere e il primo leader di un grande paese occidentale a visitare la Cina nel 2024. Il viaggio ha attirato molta attenzione da parte dei media globali.

I mezzi di comunicazione tedeschi hanno sottolineato: “Come primo ministro, non ha mai visitato un paese per un periodo così lungo. I media di Hong Kong hanno citato i commenti degli esperti secondo cui il viaggio di Scholz dimostra che “sia la Germania che l’UE vogliono comprendere la vera situazione dell’economia cinese”.

Secondo un servizio del media in lingua inglese di Hong Kong South China Morning Post del 14 aprile, domenica scorsa, il cancelliere tedesco Scholz è arrivato a Chongqing, città nel sud-ovest della Cina, per la prima tappa di una visita di tre giorni in Cina.

A Chongqing, Scholz si è recato per la prima volta alla Bosch Hydrogen Power Systems (Chongqing) Co., Ltd., che ha un background finanziato dalla Germania, e ha osservato i prodotti per l’energia a idrogeno e le soluzioni di celle a combustibile a idrogeno sviluppate e prodotte dall’azienda. Il servizio giornalistico sottolinea che negli ultimi anni Chongqing e la vicina provincia del Sichuan hanno sviluppato vigorosamente questo settore.

Pang Zhongying, professore di economia politica internazionale all’Università del Sichuan, ritiene che il viaggio di Scholz dimostri che “sia la Germania che l’UE vogliono comprendere la vera situazione dell’economia cinese”.

Pang Zhongying ha affermato che la visita di Scholz potrebbe aiutare le aziende tedesche a sviluppare ulteriormente le loro attività in Cina, soprattutto nel settore dei veicoli a nuova energia. “La Cina sudoccidentale era una regione economicamente sottosviluppata, ma ora è diventata un nuovo centro di crescita economica”, come riferisce il cinese Guancha.

Secondo un articolo della tedesca “Bild” del 13 aprile, in qualità di primo ministro Scholz non ha mai visitato un Paese per un periodo così lungo. Il suo viaggio riguarda il futuro, l’economia, l’occupazione e la crescita della Germania. Ad accompagnarlo nel viaggio c’erano i più importanti dirigenti imprenditoriali tedeschi.

I media tedeschi hanno anche affermato che, sebbene il governo e le aziende tedesche amino parlare di “voler ridurre l’eccessiva dipendenza da un singolo Paese”, la realtà è che gli investimenti diretti delle aziende tedesche in Cina saliranno a un punto massimo nel 2023. Nei suoi rapporti con la Cina, Scholz ha subito le pressioni di Stati Uniti, Francia, Commissione europea e Verdi per adottare misure più severe contro la Cina. Nei rapporti con la Cina, Scholz ha subito pressioni da parte di Stati Uniti, Francia, Commissione Europea e Partito dei Verdi affinché adottasse misure più severe contro la Cina. Ma d’altro canto, l’economia tedesca spera che il cancelliere sia abbastanza intelligente da negoziare buone condizioni per le aziende tedesche.

Il Wall Street Journal ha affermato che la tiepida ripresa economica, le preoccupazioni sulla Russia e la possibilità che Trump vinca le elezioni statunitensi stanno avvicinando l’Europa e la Cina.

La versione europea del sito statunitense “Politico” afferma che Scholz ha bisogno della Cina. A poco più di un anno dalle prossime elezioni nazionali, i leader della potenza economica europea stanno esaurendo il tempo per fare miracoli per invertire la disastrosa posizione del loro governo tra l’opinione pubblica tedesca.

Da un certo punto di vista, la visita di Scholz rappresenta un ritorno alla normalità delle relazioni bilaterali, caratterizzate da scambi intensi a tutti i livelli. Tuttavia, l’attenzione mediatica e le molteplici interpretazioni evidenziano anche le incertezze e le ambiguità presenti nell’opinione pubblica europea riguardo alla Cina.

In particolare, ci sono aspettative contrastanti in Germania riguardo alla posizione da adottare su questioni delicate come il conflitto Russia-Ucraina, lo Stretto di Taiwan e i “diritti umani”. 

Nonostante ciò, la necessità di cooperazione pratica tra Cina e Germania è prioritaria rispetto alle voci discordanti.

A tal proposito il quotidiano Global Times evidenzia che la Germania è il principale partner commerciale della Cina in Europa da 49 anni, mentre la Cina è il principale partner globale della Germania da otto anni. Nel 2023, gli investimenti tedeschi in Cina hanno raggiunto un record storico.

Nonostante la competizione in alcuni settori, spesso enfatizzata dai media occidentali, lo spazio per una cooperazione razionale e pragmatica tra Cina e Germania è ampio. Entrambe le parti hanno la saggezza e la capacità di trovare soluzioni ai problemi controversi.

La visita di Scholz coincide con il decimo anniversario del partenariato strategico globale tra Cina e Germania. L’importanza di questa interazione tra le due maggiori economie è innegabile, non solo per i rapporti bilaterali ma anche per quelli tra Cina ed Europa.

In conclusione, la visita di Scholz sottolinea l’importanza del dialogo e della comunicazione, anche in tempi di difficoltà e cambiamenti. Il rispetto reciproco e la cooperazione pragmatica dovrebbero continuare a guidare lo sviluppo delle relazioni tra Cina e Germania, conclude il quotidiano cinese.

 

 

WSJ: gli USA vogliono bloccare il progetto russo Arctic LNG-2

Gli Stati Uniti stanno usando le sanzioni per ostacolare la realizzazione del progetto russo di liquefazione “Arctic LNG-2”. Lo riporta il Wall Street Journal facendo riferimento alle parole dell’assistente segretario di Stato USA per l’energia Jeffrey Pyatt.

Payette ha affermato che la Casa Bianca vuole ottenere garanzie sul fatto che il progetto non nascerà. La Russia non dovrebbe essere in grado di sviluppare nuovi progetti di gas per dirottare i volumi precedentemente forniti all’UE, secondo i piani di Washington.

La pubblicazione rileva che finora gli Stati Uniti stano avanzando verso questo risultato. L’articolo specifica che il cantiere sudcoreano Hanwha Ocean, che stava costruendo sei gasiere per il progetto, ha interrotto la collaborazione con il cliente. Al momento sono rimaste in piedi tre navi finite e il lavoro sulle altre è stato interrotto.

PUBBLICATO IL RAPPORTO EURES: “GIOVANI 2024: IL BILANCIO DI UNA GENERAZIONE”

 

di Michele Blanco*

L’Italia ha perso negli ultimi venti anni oltre un quinto dei giovani, diventando ultima in Europa, in percentuale, per la presenza di persone sotto i 35 anni under. Al Sud la disoccupazione giovanile è pari a tre volte quella del Nord. Il lavoro dei giovani è sempre più, precario, instabile e discontinuo, anche nel settore pubblico, con bassissime retribuzioni per i giovani del settore privato con gli ultimi 5 anni dove continuano a calare i salari reali. Si verifica, parallelamente una crisi di

rappresentatività e un crollo della rappresentanza: soltanto un elettore su 5 ha meno di 35 anni, e i giovani eletti alla Camera crollano sotto il 7%. Le istituzioni sono troppo distanti dalle esigenze dei giovani. Sette giovani su 10 sono preoccupati dall’ingresso nel mondo del lavoro: molestie, ricatti e vessazioni, i timori maggiormente diffusi tra le giovani. Sono salute e famiglia i fattori centrali per la qualità della vita di qualsiasi persona e anche per i piu giovani. Il contrasto alla violenza di genere e la lotta alla mafia, sono considerati interventi prioritari. Molti ragazzi si sentono, infine, poco compresi dagli adulti nelle loro fragilità. Queste alcune delle principali evidenze emerse dal nuovo rapporto sulla condizione giovanile in Italia: “Giovani 2024: Bilancio di una Generazione” presentato dal Consiglio Nazionale dei Giovani e dall’Agenzia Italiana per la Gioventù e realizzato con il supporto scientifico dell’istituto EU.R.E.S. Ricerche Economiche e Sociali.

Si tratta di un lavoro per tracciare un quadro dettagliato delle principali sfide e delle opportunità o meno che i giovani italiani affrontano oggi, cercando, al contempo, di dare spunti concreti per politiche future. Il documento rivela dati assolutamente preoccupanti riguardanti la demografia, l’istruzione e l’occupazione, evidenziando in modo particolare la riduzione demografica delle persone più giovani, il fenomeno della fuga di cervelli, che impoverisce l’intero paese anche per il futuro, la grande diffusissima precarietà lavorativa e la disuguaglianza territoriale e di genere. Il rapporto cerca di proporre anche possibili vie d’uscita basate sulle necessarie innovazione, la necessità d’inclusione delle persone appartenenti alle classi sociali svantaggiati, che appartengono a tutte le fasce d’età, non solo giovani, e la necessità della sostenibilità. L’Italia si confronta con una sfida demografica di vasta portata, evidenziata da un grave e continuo calo molto significativo nella sua popolazione giovane. Negli ultimi due decenni, abbiamo assistito a una riduzione di quasi 3,5 milioni di giovani under 35, con un tasso di decremento di circa il 21%. Un confronto che a livello europeo pone l’Italia in una posizione a dir poco allarmante: siamo gli ultimi per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’Unione Europea. La costante fuga di cervelli si manifesta in modo preoccupante, con quasi 18 mila giovani laureati che hanno optato per l’espatrio nel 2021, un aumento del 281% rispetto al 2011. Questo scenario si accompagna a una crescente instabilità nel mercato del lavoro, dove il precariato coinvolge il 41% degli under 35, evidenziando una condizione di incertezza continua e discontinuità lavorativa che affligge in modo particolare i più giovani, ma anche ormai l’intera società italiana.

Le note e costanti disparità territoriali aggiungono un ulteriore livello di complessità, con il Sud Italia che registra tassi di disoccupazione giovanile notevolmente superiori rispetto al Nord, e dove il salario medio annuo dei giovani lavoratori è significativamente più basso. Queste condizioni sfavorevoli si riflettono anche sulla capacità dei giovani di accedere a opportunità di lavoro stabili e retribuzioni adeguate, influenzando negativamente la qualità della vita e le aspettative future.
Le basse retribuzioni dei giovani nel settore privato rappresentano una problematica significativa. Nel corso del 2022, la retribuzione lorda media annua dei giovani dipendenti del settore privato si è fermata a 15.616 euro, rispetto ai 22.839 euro complessivamente rilevati nel settore. Questa disparità retributiva si manifesta anche nei diversi tipi di contratto: i giovani con contratti stabili percepiscono in media 20.431 euro, mentre coloro con contratti a termine e stagionali guadagnano rispettivamente 9.038 euro e 6.433 euro. Nel settore pubblico, invece, i giovani lavoratori (15-34 anni) hanno raggiunto una retribuzione lorda media annua di 23.253 euro nel 2022, che rappresenta una volta e mezza quella del settore privato. Tuttavia, nonostante un incremento nominale delle retribuzioni dal 2018, considerando l’inflazione, si registra una diminuzione del potere d’acquisto, con una variazione negativa delle retribuzioni reali pari al – 1,7% nel settore privato e al -7,5% nel settore pubblico.

Dal punto di vista politico e sociale, la diminuzione della popolazione giovanile ha avuto ripercussioni evidenti sull’elettorato giovane, che in 20 anni si è drasticamente ridotto passando dal 30,4% del 2002 al minimo storico del 21,9% nel 2022. Più rilevante il dato sulla rappresentanza politica, il taglio dei Parlamentari ha colpito quasi esclusivamente gli under 35, con un drastico calo dei giovani eletti, che tra il 2018 e il 2022 hanno subito un decremento dell’80%, passando da 133 a 27, determinando un’influenza sempre minore dei più giovani. L’indagine realizzata tra i giovani italiani mostra un forte senso di alienazione dalle istituzioni, percepite come inefficaci nel rispondere alle loro esigenze: solo il 12% esprime un giudizio positivo sulla sensibilità delle istituzioni verso le problematiche giovanili e per l’85% del campione il livello di attenzione politica nei confronti dei giovani è assolutamente superficiale e inadeguato.

Il percorso formativo viene valutato positivamente dalla maggior parte delle ragazze e dei ragazzi, con un apprezzamento particolare per le opportunità offerte da programmi europei come l’Erasmus+. Tuttavia, la realizzazione personale e professionale rimane ostacolata da barriere significative, tra cui l’instabilità occupazionale e l’accesso limitato, in particolare per gli alti costi degli affitti nelle città che attraggono i giovani per le maggiori opportunità che i centri maggiori offrono. Tutto questo impedisce una piena transizione verso la piena indipendenza economica  e quindi la vita adulta.

Ma la gravità della situazione è data dalle preoccupazioni legate all’ingresso nel mondo del lavoro dominano il panorama giovanile, con la paura di precarietà e sotto-retribuzione che si sommano ai timori di ricatti, molestie o vessazioni sul posto di lavoro, indicati esplicitamente dal 17,5% dei giovani.

Sappiamo bene cosa serve agli under 35 per diventare adulti, per affrancarsi dai genitori, la condizione primaria è quella di ottenere un lavoro stabile. Allo stesso modo, per crearsi una famiglia, quasi il 70% dei giovani indica il bisogno di una situazione economica adeguata. A proposito di genitorialità, più del 60% degli intervistati esprime il desiderio futuro di avere figli. Il 72% del campione, inoltre, attribuisce un ruolo centrale al fenomeno della denatalità, ma sappiamo bene che senza possibilità economiche nessuno può pianificare la nascità di un figlio, almeno se si è persone razionali.

Questi dati – rileva il rapporto – sottolineano l’urgenza di interventi politici e sociali mirati a migliorare le condizioni di vita e le prospettive dei giovani in Italia, attraverso la promozione di un mercato del lavoro più stabile e maggiormente inclusivo e una maggiore valorizzazione delle competenze reali perché troppo spesso le persone più capaci vengono penalizzate da un sistema ingiusto, dove contano fin troppo solo le conoscenze personali o familiari, oltre che la famiglia di provenienza.

In particolare negli ultimi 5 anni sono calati i salari reali, in particolare le retribuzioni per i giovani del settore privato sono scese a medie sempre più basse, toccando i 9.546 euro annui per gli under 24. La centralità di un lavoro stabile per costruire una vita autonoma, risulta ancora oggi la maggiore richiesta giovanile (65,7%), con una percentuale sempre più alta tra le ragazze. La sfida che ci attende è impegnativa. È necessario un impegno collettivo per promuovere l’istruzione di qualità, aperta realmente a tutti, l’inserimento lavorativo adeguato alle capacità, l’effettiva equità sociale e di genere. Sono azioni che devono andare di pari passo con l’intensificazione degli sforzi per contrastare ogni forma di discriminazione e di esclusione economica e sociale, per garantire a tutti l’accesso alle opportunità, alla salute e al benessere, preservandone i diritti e ascoltandone le voci. Allo stesso modo, occorre rafforzare la comprensione delle loro difficoltà soprattutto alla luce che per tre giovani su quattro gli adulti comprendano ‘poco’ o ‘per niente’ le loro paure e loro fragilità. È per questo che ci impegniamo a garantire che le esigenze di questa generazione e le loro istanze siano ascoltate in tutte le sedi in cui si discute e si decide del loro futuro, per far si che le loro difficoltà diventino importanti priorità per il nostro Paese.

I dati emersi nel rapporto di ricerca fanno emergere una realtà difficile, in cui i problemi che i giovani italiani vivono ormai da più di un decennio risultano certamente aggravati dalla pandemia, dalla guerra e dalle recenti crisi economiche. Tuttavia, possiamo cogliere dei segnali positivi: l’attenzione per il tema della natalità e della famiglia, non scontati in una Nazione che sta vivendo quello che gli esperti chiamano “inverno demografico”; il ruolo determinante dei genitori – che restano il primo e più importante esempio nel percorso di crescita dei giovani italiani; il ruolo importante dei Programmi europei nella formazione e nella propensione alla partecipazione attiva. Pur continuando a registrare numeri assoluti preoccupanti, va detto anche che nel 2023 abbiamo visto un aumento del tasso di occupazione dei giovani e delle donne e la diminuzione della percentuale dei NEET.

In particolare emerge un dato, nelle considerazioni dei giovani intervistati,  particolarmente grave: Quando le raccomandazioni contano più delle competenze.

Nell’indicare i fattori che “regolano” l’ingresso di un giovane nel mondo del lavoro, il campione delinea un dualismo tra le capacità/competenze personali (37,8%) e le raccomandazioni (37,7%), ovvero l’appartenenza ad un sistema di relazioni forte in grado di alterare i meccanismi di “libero” accesso alle opportunità. Un giovane su 4 (il 25,1%) indica inoltre la volontà e determinazione, mentre uno su 5 (il 19,4%) attribuisce un peso significativo alla posizione sociale della famiglia di origine, riferendosi ancora una volta al “capitale relazionale” di cui si dispone; secondo il 19,3% del campione occorre inoltre essere dotati di adattabilità e flessibilità, per il 16,1% di serietà e affidabilità, mentre il 15,4% cita l’immagine e la capacità di presentarsi. In coda i giovani collocano la propensione alla subalternità/sottomissione e alla spregiudicatezza/carrierismo (con il 6,7% e il 6,5% delle citazioni), ovvero due tratti “estremi” di funzionalità e/o di adesione ad una sottocultura di impresa che privilegia il controllo individuale alla qualità complessiva delle relazioni tra le risorse umane.

L’equilibrio tra competenze e raccomandazioni lascia il campo a posizioni più nette nelle diverse componenti del campione, prevalendo il “disincanto” tra il giovani-adulti (25-35 anni) e nella componente femminile, che collocano le raccomandazioni, addirittura, al primo posto tra i fattori che agevolano l’accesso al mercato del lavoro  (rispettivamente con il 39% e il 41,2% delle citazioni); diversamente nel campione più giovane (15-24 anni) e in quello maschile prevalgono le citazioni relativa alle competenze/capacità individuali (rispettivamente con il 39,7% e il 36,7% delle citazioni).

Il lavoro nella Pubblica Amministrazione torna un’opzione vincente. E il terzo settore seduce più delle PMI e delle imprese artigiane – La percezione diffusa di instabilità e di sotto-retribuzione quali componenti ormai strutturali del mercato del lavoro sembra spiegare l’affermazione della Pubblica Amministrazione quale settore e contesto lavorativo di riferimento per gli intervistati, che la collocano al primo posto tra le proprie aspirazioni occupazionali (con il 24,3% delle citazioni, che salgono al 26,5% tra le donne e al 30,7% al Sud). Tale opzione elettiva precede quella dell’ingresso in una multinazionale (20,7%) e del lavoro autonomo (20%), mentre ancora più distante risulta la “capacità attrattiva” del lavoro in una grande impresa italiana (13,7%). Non marginali, infine, le indicazioni relative al lavoro nel Terzo Settore (12,8%), quanto meno per la sua capacità prefigurata di gratificazione sul piano valoriale, mentre in ultima posizione si collocano le piccole imprese (con appena l’8,5% delle indicazioni), che pure costituiscono la quota più consistente della domanda di lavoro.

Già pubblicato su “l’uguaglianza.it

Global Times – La Cina spera che l’Italia mitighi le preoccupazioni UE sull’energia

Il Ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, ha sottolineato l’importanza di rafforzare i legami tra Cina e Italia, invitando l’Italia a svolgere un ruolo chiave nel promuovere una visione equilibrata e aperta sull’energia rinnovabile a livello europeo, come scrive il quotidiano Global Times.

Durante il 15° Meeting della Commissione Congiunta Economica e Commerciale tra i due Paesi a Verona, Wang ha evidenziato l’intenzione di intensificare la cooperazione bilaterale, prendendo spunto dall’eredità storica della Via della Seta per promuovere nuove opportunità di investimento e crescita.

L’obiettivo è quello di potenziare la collaborazione verde tra Italia e Cina, accelerando la transizione verso un’economia a basso impatto ambientale. Wang ha auspicato che l’Italia, attraverso il suo ruolo nell’UE, possa sostenere una politica energetica più aperta e collaborativa con la Cina.

Il Vicepresidente del Consiglio italiano e Ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, ha ribadito l’importanza di una relazione stabile e di lungo termine con la Cina. Tajani ha accolto con favore gli investimenti cinesi in settori innovativi, come quello delle auto elettriche, e ha espresso l’auspicio di un rafforzamento dei legami commerciali e dei collegamenti aerei tra i due Paesi.

Il 2024 rappresenta un traguardo significativo per la collaborazione tra Italia e Cina, celebrando il 20° anniversario del loro Partenariato Strategico. Questo partenariato ha segnato una fase di crescita e sviluppo economico bilaterale, guidato dalla visione dei leader di entrambi i Paesi, evidenzia il quotidiano cinese.

Nel frattempo, a Milano è stata lanciata l’iniziativa “Invest in China”, un’occasione per le imprese italiane di esplorare le opportunità di investimento nel mercato cinese e di rafforzare i legami commerciali.

Zhu Bing del MOFCOM ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra Italia e Cina, riconoscendo le capacità manifatturiere italiane e la reputazione dei suoi marchi nel mondo.

Mario Boselli, presidente della Fondazione Italia Cina, ha evidenziato l’importanza di promuovere i prodotti italiani di alta qualità nel mercato cinese, sottolineando l’impegno della Fondazione nel facilitare questo processo.

Milei su Israele a Gaza: “Stanno seguendo la strategia giusta”

Il Presidente argentino Javier Milei ha spiegato in un’intervista al Washington Post che il suo forte sostegno a Israele nella sua campagna nella Striscia di Gaza è dovuto al fatto che ritiene che Israele stia “seguendo la giusta strategia”.

Rispondendo a una domanda della giornalista Lally Weymouth sul suo sostegno “senza mezzi termini” a Israele, Milei – che ha anche commentato la possibilità di convertirsi all’ebraismo – ha ricordato che il suo primo viaggio diplomatico da presidente è stato proprio nella nazione ebraica, dove ha espresso il suo sostegno “non solo per il Paese, ma per il popolo”. 

“Dal mio punto di vista, Israele sta agendo all’interno delle linee guida internazionali e credo che la strategia che sta seguendo sia quella giusta, perché non si può negoziare con i terroristi”, ha detto Milei, aggiungendo che dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha condannato “l’attacco terroristico” e sostenuto “il legittimo diritto di Israele all’autodifesa”.

Secondo Milei, durante il suo governo, l’Argentina ha “intrapreso un cambiamento radicale” nella politica internazionale, “abbracciando le idee di libertà” che, secondo lui, “hanno portato tanta prosperità al mondo” e sono alla base dell’Occidente, inteso come Stati Uniti e anche Israele. In questo senso, ha sottolineato che “i valori di Israele” sono “la pietra angolare delle idee dell’Occidente”.  

Lavrov afferma che la conferenza svizzera sull’Ucraina è “una strada che non porta da nessuna parte”

Tenere una conferenza sull’Ucraina in Svizzera è una “strada che non porta da nessuna parte”, poiché Mosca non ritiene che l’Occidente sia sinceramente pronto a impegnarsi in negoziati equi, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov coe riporta l’agenzia TASS.

“Che questa sia una strada verso il nulla, per usare un eufemismo, è evidente a qualsiasi normale osservatore politico. Ieri, il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha nuovamente chiarito e reso comprensibile la nostra posizione durante l’incontro con Alexander Grigoryevich Lukashenko. Non ho nulla da aggiungere. Non vediamo alcun desiderio a Kiev o da parte dei suoi padroni di condurre gli affari in modo equo”, ha affermato il diplomatico di punta in una conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) a Minsk.

“Invece di un dialogo diretto senza ultimatum, l’Occidente sta imponendo il cosiddetto processo di Copenaghen, pianificando una conferenza in Svizzera, dove, è stato esplicitamente dichiarato, vogliono formulare e finalizzare i famigerati 10 punti della formula di pace del [presidente ucraino Vladimir] Zelensky e poi presentarla alla Russia”.

HSBC si unisce alle aziende che lasciano l’Argentina

Le grandi aziende internazionali continuano a lasciare l’Argentina. A loro si è aggiunta la holding bancaria HSBC Holdings PLC, riferisce Bloomberg.

Il presidente argentino Javier Milei sta cercando di attrarre investimenti esteri per contribuire a stabilizzare l’economia traballante. Invece, alcune grandi aziende internazionali stanno lasciando il Paese, si legge nella pubblicazione.

HSBC Holdings PLC venderà le sue attività in Argentina al Grupo Financiero Galicia per 550 milioni di dollari. Clorox ha già abbandonato l’Argentina e Exxon Mobil Corp. potrebbe andare via. Walmart Inc., Falabella SA e LatAm Airlines Group SA hanno lasciato l’Argentina durante la pandemia.

L’unità argentina di HSBC “provoca una significativa volatilità negli utili del gruppo”, ha affermato in una dichiarazione l’amministratore delegato Noel Quinn, aggiungendo che le sue attività in Argentina “hanno una connettività limitata con il resto della nostra rete internazionale”.

La decisione di lasciare il paese arriva nel mezzo della peggiore crisi economica dell’Argentina degli ultimi due decenni. Gli analisti prevedono che l’economia del Paese subirà una contrazione per il secondo anno consecutivo. Per aiutare a combattere l’inflazione e ridurre il deficit di bilancio, il presidente ultraliberista è ricorso a riforme economiche shock, svalutando il peso di oltre il 50% e tagliando la spesa pubblica. Gli analisti intervistati da Bloomberg prevedono che l’inflazione raggiungerà quasi il 300% su base annuo.

 
 

 

 

5 formidabili droni in forza all’Iran

Con l’industria della difesa sorta dalle ceneri della sanguinosa guerra Iran-Iraq degli anni Ottanta, la Repubblica Islamica dell’Iran si è lentamente affermata come una delle principali potenze missilistiche e di droni del mondo. Gli scienziati della difesa hanno creato più di cinquanta diversi progetti di droni, dagli UAV tattici a corto raggio, ai droni a razzo e a elica per la ricognizione, l’attacco e la guerra elettronica a lungo raggio.

Memore dell’esperienza degli embarghi sulle armi e delle sanzioni sul suo settore della difesa, l’Iran è orgoglioso dello sviluppo e della produzione di armamenti con un altissimo tasso di indigenizzazione dei componenti e, per quanto riguarda i droni, ha creato sia progetti di produzione propria sia progetti di reverse-engineering da UAV statunitensi e israeliani che hanno commesso l’errore di volare nello spazio aereo della Repubblica Islamica.

Di seguito 5 droni prodotti dall’Iran, presentati da Sputnik:

Shahed 136

Lo Shahed 136 (in italiano “Testimone 136”) è un drone ad ala delta unico, semplice e a basso costo creato dalla Iran Aircraft Manufacturing Industrial Company (acronimo persiano HESA) e dalla Shahed Aviation Industries – creatori di un’intera linea di UAV ed elicotteri militari.

I droni, del peso di 200 kg l’uno, sono lunghi 3,5 metri e hanno un’apertura alare di 2,5 metri; il motore a pistoni degli UAV alimenta un’elica bipala a spinta.

Gli Shahed 136 possono accelerare fino a 185 km all’ora e hanno un’autonomia stimata fino a 2.500 km. Gli UAV a navigazione satellitare e guida inerziale sono designati come munizioni loitering/drone kamikaze, con un carico utile di 50 kg sufficiente a colpire infrastrutture, fortificazioni, navi da guerra, caserme militari, porti, aerodromi, concentrazioni di soldati nemici e altri obiettivi strategici e sul campo di battaglia.

Lo Shahad 136 è stato presentato nel 2021 e negli ultimi tre anni è stato impiegato in massa nelle forze armate iraniane. 

Mohajer 10

Tra i più recenti progetti di droni nell’arsenale iraniano c’è il Mohajer 10 (lett. “Immigrante 10” o “Santo Migrante 10”), un UAV multiuso presentato nel 2023 e progettato per la sorveglianza, gli attacchi a lungo raggio, la guerra elettronica e la superiorità a tutto spettro.

Progettato dalla Qods Aviation Industries Company – il più vecchio produttore iraniano di droni – il Mohajer 10 è un UAV a media altitudine e lunga resistenza che, con i suoi 6,5×4,2×18,2 metri e un raggio d’azione fino a 2.000 km, è uno dei più grandi veicoli aerei senza pilota dell’arsenale nazionale.

L’UAV ha una durata di 24 ore, un’altitudine massima di volo di 7 km e una velocità massima di 210 km all’ora. Il Mohajer 10 ha un carico utile fino a 300 kg, sufficiente per trasportare missili o bombe multiple sganciate dall’aria e/o apparecchiature di sorveglianza e guerra elettronica.

La serie di droni Mohajer è apparsa per la prima volta a metà degli anni ’80 e inizialmente aveva scopi di ricognizione. Il Mohajer 10 è stato progettato per soddisfare le esigenze delle forze di terra dell’esercito iraniano e quelle delle forze di terra e della marina delle Guardie rivoluzionarie islamiche.

Arash 2

Realizzato dalla Defense Industries Organization, l’Arash 2 (in italiano “Eroe 2” o “Verità 2”) è un drone d’attacco a elica con un raggio d’azione di 2.000 km, una velocità massima di 185 km all’ora e un tetto di volo di 12.000 piedi.

Entrato in servizio con le forze armate nel 2020, questo UAV d’attacco da 2.000 kg, lungo 4,5 metri e con un’apertura alare di 4 metri, può essere equipaggiato con fino a 260 kg di esplosivo ed è progettato per colpire obiettivi strategici. È stata messa in campo anche una variante a razzo dell’Arash 2, nota come Kian-2 (lett. “King 2” o “Realm 2”), che vola a una velocità di circa 400 km/ora.

Oltre al suo pacchetto di esplosivi, l’Arash 2 avrebbe capacità di sopprimere le difese aeree nemiche.

Karrar

L’HESA Karrar (lett. “Attaccante violento”) costituisce una famiglia di UAV versatili a reazione, introdotti per la prima volta nel 2010 e che si ritiene abbiano preso spunto dal Beechcraft MQM-107 Streaker.

Creato principalmente come drone bersaglio dall’esercito e dall’IRGC per esercitarsi con bersagli antiaerei e antimissile durante le esercitazioni, il Karrar è diventato un UAV universale grazie all’ingegno degli scienziati della difesa iraniani, che ne hanno convertito varianti per trasportare bombe da 225 kg, missili antinave e siluri, bombe a guida satellitare e persino missili aria-aria.

Il Karrar può accelerare fino a 900 km all’ora durante il volo e ha un’autonomia dichiarata di 1.000 km in una missione di sola andata. I droni pesano 700 kg, sono lunghi 4 metri e hanno un’apertura alare di 2,5 metri. A differenza degli MQM-107, che hanno un motore montato in basso, i Karrar sono dotati di un motore a turbogetto montato in alto.

Secondo quanto riferito, i karrar sono finiti nelle mani degli Hezbollah libanesi e sono stati utilizzati dagli alleati del governo di Assad contro i terroristi nel corso della guerra sporca condotta dalla CIA contro la Siria negli anni 2010.

Kaman 22

Completa l’elenco il Kaman 22 (lett. “Arco dell’esercito 22”), un veicolo aereo da combattimento senza pilota a lunghissimo raggio sviluppato e prodotto dall’Aeronautica militare della Repubblica islamica dell’Iran. Presentato nel 2021, il drone si distingue per essere il primo drone da combattimento a fusoliera larga dell’Iran, con un raggio d’azione fino a 3.000 km, un tempo di resistenza di 24 ore, un tetto di servizio di 8.000 metri e un carico utile di 300 kg.

Questo grande UAV, paragonato da alcuni osservatori della difesa all’MQ-1 Predator (ma con una coda a forma di V montata verso l’alto, anziché verso il basso, e con spunti di design di altri droni indigeni di produzione iraniana, come lo Shahed 129, il Fotros e l’Hamaseh), è lungo ben 6,5 metri, alto 2,5 metri e ha un’apertura alare di 17 metri. Il drone ha un peso lordo di 1.700 kg.

Oltre alle missioni di combattimento, l’UAV è progettato per la ricognizione e la guerra elettronica, compresa l’individuazione e la fotografia di obiettivi distanti e l’uso di munizioni intelligenti, o per missioni antiaeree e di attacco al suolo con munizioni a guida laser.

Damasco: “115,2 miliardi di dollari saccheggi e sabotaggi degli USA in Siria”

 

Il rappresentante permanente siriano presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali a Vienna, Hassan Khaddour, ieri, ha rivelato le cifre e le conseguenze economiche dei danni per i saccheggi, i furti continui di idrocarburi degli Stati Uniti d’America con la complicità delle milizie filocurde.

Si parte dai danni provocati dalla guerra per procura ai danni della Siria imposta dall’occidente e dalle potenze regionali usando i gruppi terroristici.

Con il 70 per cento del parco industriale distrutto, le perdite sono stimate in circa 60 miliardi di dollari.

Secondo Khaddour, “il numero degli impianti industriali privati ??danneggiati, registrato solo nelle province di Damasco, Aleppo, Hama e Homs, ammonta a circa 4.200, mentre 49 fabbriche del settore statale hanno cessato la produzione.”

Il diplomatico siriano ha ricordato che “la Siria ha bisogno di almeno 210 miliardi di dollari per ripristinare il corso della produzione industriale com’era prima della guerra.”

Le perdite nel settore degli idrocarburi

Il rappresentante di Damasco ha sottolineato che il settore petrolifero che “prima della guerra costituiva la principale fonte di reddito per lo Stato siriano, mostrano che i danni derivanti da saccheggi e sabotaggi da parte degli Stati Uniti ammontano a 115,2 miliardi di dollari.”

Inoltre, si stima che le forze statunitensi e le loro milizie ‘terroristiche e separatiste’ hanno rubato tra i 100 e i 130mila barili al giorno e recentemente questa cifra ha raggiunto i 150mila, a cui si aggiungono 60 milioni di metri cubi di gas naturale all’anno.”

Riguardo i danni indiretti “il valore supera gli 87,7 miliardi di dollari, una cifra che rappresenta i mancati benefici di petrolio greggio, naturale e gas domestico derivanti dalla diminuzione della produzione.”

Dal Ministero degli esteri siriano hanno, dunque, ribadito che “queste non sono semplici cifre, ma prove che dimostrano la responsabilità degli Stati Uniti e dei loro alleati per la sofferenza e il deterioramento della situazione economica e umanitaria dei siriani.”

————-

L’AntiDiplomatico e LAD edizioni sono impegnati a sostenere l’associazione “Gazzella”, in prima linea nel sostegno della popolazione di Gaza. 

Con l’acquisto di “Il Racconto di Suaad” (Edizioni Q – LAD edizioni) dal nostro portale, finanzierete le attività di “Gazzella”.

La Cina chiede la “rapida” ammissione della Palestina all’ONU

 

La Palestina ha bisogno di almeno altri 9 voti per completare la sua adesione alle Nazioni Unite (ONU). I paesi che detengono il veto, inclusa la Cina, non possono opporsi apertamente. Gli Stati Uniti, che hanno anch’essi questa capacità, hanno esitato.

La portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha chiesto di continuare ad agire sulle questioni politiche, avvertendo che l’attuale escalation del conflitto a Gaza dovrebbe servire da “promemoria” sul fatto il problema deve essere risolto.

“L’unico modo per spezzare la spirale dei conflitti tra palestinesi e israeliani è attuare pienamente la soluzione dei due Stati”, che implica “la creazione di uno Stato di Palestina indipendente e la lotta all’ingiustizia storica”, ha sottolineato Mao in una conferenza stampa.

————-

L’AntiDiplomatico e LAD edizioni sono impegnati a sostenere l’associazione “Gazzella”, in prima linea nel sostegno della popolazione di Gaza. 

Con l’acquisto di “Il Racconto di Suaad” (Edizioni Q – LAD edizioni) dal nostro portale, finanzierete le attività di “Gazzella”.

Presidente Sudafrica: ciò che sta accadendo a Gaza è puro “genocidio”

 

Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha avvertito, ieri, che i palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza stanno affrontando un genocidio dopo 70 anni di discriminazione, oppressione e apartheid nei loro confronti.

“Il bombardamento indiscriminato di civili da terra, aria e mare se non si può considerare un genocidio, e allora cos’è?”, si è chiesto, denunciando come lo sfollamento forzato e la fame di una popolazione non costituiscono un genocidio.

Ramaphosa ha ricordato che questa settimana ricorrono i 30 anni dal genocidio ruandese e, a tal proposito, ha sottolineato che questa volta il Sudafrica non rimarrà in silenzio di fronte a quello in atto a Gaza e, indipendentemente dalla razza, dall’etnia, dalla religione e dal credo politico delle vittime, agirà e prenderà le misure necessarie.

————-

L’AntiDiplomatico e LAD edizioni sono impegnati a sostenere l’associazione “Gazzella”, in prima linea nel sostegno della popolazione di Gaza. 

Con l’acquisto di “Il Racconto di Suaad” (Edizioni Q – LAD edizioni) dal nostro portale, finanzierete le attività di “Gazzella”.

 

Sea Shield-2024, contadino moldavo ai soldati USA: “Cosa ci fate qui? Tornate a casa!”

L’esercitazione navale Sea Shield-2024, avviata sotto l’egida della Romania con la partecipazione di 12 paesi membri della NATO, arriva in un momento di grande incertezza e tensione geopolitica. Questa massiccia dimostrazione di forza navale nei pressi del Delta del Danubio e del Mar Nero non può essere considerata un mero esercizio di addestramento, ma piuttosto un segnale forte inviato in un contesto internazionale estremamente delicato, caratterizzato da un pericolo sempre più tangibile di conflitto aperto con la Russia, e il rischio concreto di un conflitto nucleare.

Secondo quanto riportato dal Ministero della Difesa rumeno, il simulacro vedrà la partecipazione di oltre 2.200 militari e 135 piattaforme, includendo navi da guerra, aeromobili e veicoli corazzati, con l’obiettivo dichiarato di affrontare “attività illegali” nelle acque del Mar Nero e del fiume Danubio, nonché di garantire la sicurezza delle infrastrutture critiche. Tuttavia, in un contesto di crescente tensione tra NATO e Russia, è difficile non interpretare queste manovre come un segnale di sfida diretta nei confronti del Cremlino.

L’invito esteso alla Moldavia e alla Georgia, paesi non membri della NATO, a partecipare al simulacro aggiunge ulteriore combustibile alle fiamme della tensione regionale. Sebbene l’Ucraina, direttamente coinvolta nel conflitto con la Russia, abbia deciso di non partecipare, la presenza di truppe statunitensi in prossimità dei suoi confini non può che alimentare ulteriormente le preoccupazioni per una possibile escalation.

Nel contesto delle esercitazioni NATO in corso, alcuni soldati statunitensi si sono spinti fino al confine tra Moldavia, Ucraina e Romania per ricognizioni. Un agricoltore moldavo – secondo quanto riporta il quotidiano turco Aydinlik – sorpreso dalla presenza dei militari mentre si trovava nei suoi campi con un bambino in braccio, ha manifestato il suo dissenso verso le manovre belliche.

Il dialogo tra l’agricoltore e i soldati è stato il seguente:

    Agricoltore moldavo: “Cosa state facendo qui? Tornate a casa, negli Stati Uniti! Qui non ci sono soldati russi.”
    Soldato statunitense: “Siamo qui per fornire aiuto.”
    Agricoltore moldavo (sorridendo): “Non state aiutando. State provocando una guerra qui. Qui non ci sono soldati russi.”

I successi del boicottaggio al regime israeliano: il caso McDonald’s e l’app “No Thanks”

 

di Agata Iacono

 

Da questa parte del “mondo democratico occidentale”, molti di noi si dibattono tra rabbia e la sensazione drammatica di impotenza nell’assistere allo sterminio in diretta di un intero popolo.

A volte questo senso di frustrazione si trasforma in disagio somatizzato, in depressione (parlo per me e per gli amici e compagni con cui mi confronto ogni giorno). In altri casi, invece, rischia di generare reazioni di autoconservazione fatalista, ricerca del deus ex machina, rimozione.

Eppure qualcosa si muove. Qualcosa possiamo fare. Una piccola goccia insistente sta scavando la roccia.

McDonald’s è costretta a riacquistare il franchising israeliano. L’azienda si riprenderà 225 punti vendita dopo che il franchising è diventato un punto di riferimento per le proteste contro il genocidio del popolo palestinese. La catena di fast food è stata oggetto di boicottaggio, soprattutto dopo la dichiarazione di aver fornito pasti gratuiti ai militari israeliani dal 7 ottobre.

McDonald’s Corporation ha dichiarato che il franchising israeliano “ha agito senza l’approvazione della sede centrale”. McDonald’s aveva respinto quelle che aveva definito “notizie inesatte” da parte della rete internazionale BDS (Boicottando Disinvestimento Sanzioni), sulla sua posizione nei confronti di Gaza. L’isolamento di Israele nel mondo e anche le proteste interne ad Israele hanno contribuito a far sì che l’azienda statunitense mancasse le aspettative di vendita nel quarto trimestre dello scorso anno. La crescita delle vendite della divisione della catena di fast food per il Medio Oriente, la Cina e l’India nel periodo ottobre-dicembre è stata di appena lo 0,7%, molto al di sotto delle aspettative del mercato del 5,5%. Un crollo che arriva dopo che i clienti dei Paesi a maggioranza musulmana hanno chiesto il boicottaggio di McDonald’s in risposta all’annuncio di Alonyal, che ha portato le sedi di Paesi come l’Egitto, la Giordania e l’Arabia Saudita a prendere le distanze dalle donazioni e a impegnarsi collettivamente per milioni di dollari in aiuti ai palestinesi di Gaza. Con i suoi oltre 40.000 ristoranti in tutto il mondo, il destino delle 225 sedi in Israele non sarà probabilmente un ago della bilancia per i profitti, ma l’amministratore delegato Chris Kempczinski ha dichiarato “che l’azienda ha registrato un “impatto commerciale significativo” in diversi mercati del Medio Oriente e in alcuni al di fuori della regione a causa del conflitto tra Israele e Hamas.”

In sintesi: l’azienda madre, McDonald’s, prende le distanze dalla gestione “locale”. Si sfila: non era stata autorizzata né frutto di accordi la decisione del franchising israeliano Alonyal Limited di distribuire i pasti all’esercito israeliano. Vince il mercato, come sempre.

Un’altra iniziativa di rilievo, abbastanza interessante, è la sperimentazione dell’app No Thanks, scaricabile gratuitamente sui cellulari.

No Thanks è un’app utilizzata per boicottare Israele a livello commerciale. Le sue funzioni principali includono una directory di marchi e uno scanner di prodotti che ci indicano se i produttori appoggiano Israele o hanno legami con il Paese, in modo che ognuno possa scegliere se acquistare o meno. L’obiettivo di questa app è boicottare i marchi e i prodotti che appoggiano Israele durante il conflitto bellico ed è diventata nota grazie a un video virale che si è diffuso sui social network. Il funzionamento è semplice: l’utente scansiona il codice a barre di un prodotto attraverso la fotocamera del telefono o cerca un marchio nel motore di ricerca. Immediatamente l’interfaccia indicherà se il produttore appoggia o meno Israele. Inoltre, scaricando No Thanks gratuitamente, possiamo anche accedere all’elenco delle aziende segnalate, ordinate per settore. L’app No Thanks APK è stata creata da Ahmed Bashbash, uno sviluppatore palestinese che ha perso il fratello e i familiari nei bombardamenti indiscriminati di Israele sui territori di Gaza. Alla tecnologia degli algoritmi della strategia militare israeliana, risponde con la tecnologia che, invece, aiuta a distinguere, a selezionare, a fare una scelta mirata e consapevole. Unica pecca: non c’è ancora la versione in italiano, ma si può scegliere l’inglese o il francese; le indicazioni sono scritte in linguaggio semplice e comprensibile da tutti.

Infine, ma non in ordine di importanza, registriamo l’espandersi delle iniziative accademiche in Italia, tese a rifiutare i finanziamenti di Israele alla ricerca.

Nelle università italiane aumentano infatti le richieste di vietare la partecipazione a un bando di collaborazione in scadenza il 10 aprile con università e istituti di ricerca israeliani. Lo scorso marzo aveva già preso posizione il senato accademico dell’università di Torino, quindi quello della Scuola Normale Superiore e recentemente si sono uniti in un appello di boicottaggio docenti, dottorandi e assegnisti degli atenei di Firenze, Bari, Pisa, Bologna, Napoli, Roma, dove molte università sono occupate dagli studenti che chiedono la fine immediata del genocidio e l’intervento delle istituzioni (che intervengono, al momento, solo per reprimere le mobilitazioni…).

Il bando è stato pubblicato all’interno di un accordo tra Italia e Israele: tra il Ministero dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia (MOST) per la parte israeliana, e la direzione generale per la promozione del “sistema paese” del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) per la parte italiana, cioè la direzione che si occupa di promuovere all’estero economia, cultura e scienza italiane. Il bando vuole finanziare progetti di ricerca tra i due paesi in tre settori in particolare: tecnologia del suolo, dell’acqua e ottica di precisione.